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REGNO UNITO DOMANI AL VOTO, TUTTI GLI SCENARI POSSIBILI

PARTITI IN LIZZA, FAVORITI, SONDAGGI E FATTORI DECISIVI

Sono considerate le elezioni più importanti della storia recente del Regno Unito. Perchè decideranno la Brexit, il futuro del Paese e dunque anche quello dell’Unione Europea. Si vota domani 12 dicembre, fatto eccezionale, visto che da queste parti non si tenevano elezioni in questo mese addirittura dal 1923, perchè è una stagione in cui è difficile fare campagna elettorale oltremanica a causa di poca luce, freddo e tanta pioggia, se non neve. Ma sono tempi straordinari, cruciali e delicatissimi e dunque anche quest’ultimo tabù è stato rotto.
Che cosa c’è in gioco?
Innanzitutto la Brexit. Dovesse spuntarla Boris Johnson, con il suo ossessivo motto “Get Brexit Done” (“realizziamo la Brexit”), l’uscita dall’Europa sarebbe presto sancita e inappellabile perchè il premier conservatore avrebbe una maggioranza tale da far passare senza troppi problemi il suo accordo Brexit in Parlamento e quindi dire ufficialmente addio all’Ue e iniziare i delicatissimi negoziati sui rapporti futuri Ue-Uk.
Se invece Jeremy Corbyn riuscisse nella clamorosa rimonta, potrebbe formare un governo di minoranza e approvare un nuovo referendum Brexit. Non solo. In ballo ci sono due idee radicalmente differenti per il futuro del Paese. Da una parte il neo-thatcherismo di Johnson e la vocazione neo-liberista del premier. Dall’altra, la soluzione socialista e anti neoliberismo di Corbyn, con la promessa di numerose nazionalizzazioni e una sensibile espansione del welfare e dello Stato nella vita dei cittadini
I partiti in lizza
In primis i conservatori del premier Boris Johnson, che lo scorso novembre ha voluto fortemente queste elezioni in quanto aveva perso la maggioranza in Parlamento: di conseguenza si era impantanato sulla Brexit e sul suo controverso accordo con l’Ue, che secondo i suoi critici spaccherebbe il Regno Unito lasciando pericolosamente l’Irlanda del Nord nell’orbita europea. Il partito di opposizione più pericoloso per Johnson è il Labour di Jeremy Corbyn, che però sembra in declino dalle elezioni del 2017 quando ci fu una clamorosa rimonta laburista segnando per sempre il destino politico di Theresa May). A seguire, tra i principali partiti, ci sono i liberal democratici della giovane leader Jo Swinson, anch’essi però in forte calo nelle ultime settimane; il partito nazionalista e indipendentista scozzese della premier locale Nicola Sturgeon; i Verdi; il partito nazionalista gallese Plaid Cymru e i nazionalisti repubblicani nordirlandesi di Sinn Fèin, che però per convenzione e protesta contro Londra non siedono in Parlamento.
Chi è favorito
I “tories”, principalmente per due motivi. Il primo: con l’accordo in tasca con l’Ue sulla Brexit, che finalmente potrebbe terminare – con costi e conseguenze ancora ignoti – uno psicodramma nazionale durato tre anni e mezzo; molti britannici voteranno tory soltanto per chiudere definitamente la Brexit, turandosi il naso su altri temi. E poi, come seconda ragione, Boris Johnson: un politico di indubbio fascino e carisma, seppur molto più polarizzante di quando era sindaco di Londra. Soprattutto per la borghesia medio-alta potrebbe risultare il più rassicurante di tutti. Ma attenzione: Johnson è inviso a molti e alcuni suoi aspetti destano ampia preoccupazione, come la scarsa empatia per i ceti popolari (vedi l’ultimo rifiuto di guardare la foto di un bambino a terra in un ospedale di Leeds senza letti), ma anche un apparente schiacciamento nei confronti di Donald Trump che potrebbe pesare dopo l’uscita dall’Ue, la quale inoltre potrebbe rivelarsi rovinosa se Uk e Ue non trovassero un accordo commerciale nei loro rapporti futuri. Infine, il governo Johnson di brexiter radicali, come l’anti-europeista ministra dell’Interno Priti Patel, conquista ma aliena anche molti elettori.
Il Labour di Corbyn invece è sembrato per lunghi tratti della campagna elettorale in fase calante per due motivi: la lunga ambiguità  sulla Brexit, risolta solo all’ultimo dalla promessa di un secondo referendum; e poi la sensibile perdita di popolarità  del leader Jeremy Corbyn, criticato per il suo atteggiamento ampiamente giudicato freddo e distaccato nei confronti dello scandalo antisemitismo ma anche per varie posizioni discutibili e controverse, come sulla politica estera, vedi l’equidistanza sul Venezuela di Maduro o la grande prudenza verso la Russia dopo l’avvelenamento di Salisbury.
I liberal-democratici di Swinson, invece, sono forse la più grande delusione sinora. Dopo il grande successo delle europee di maggio quando veleggiavano oltre il 20%, il partito ha commesso molti errori, su tutti quello di puntare alla revoca unilaterale della Brexit, soluzione estremista persino per molti europeisti. La leadership di Swinson, accusata tra l’altro dei danni dell’austerity quando anni fa era sottosegretario nel governo di coalizione Tory e lib-dem, ora è già  in bilico.
I nazionalisti scozzesi (Snp) di Nicola Sturgeon, che invece chiedono un secondo referendum sull’appartenenza della Scozia al Regno Unito (dopo quello del 2014), invece sono in forma proprio per il loro europeismo e l’opposizione a Johnson. Potrebbero aumentare i loro seggi fino a schierare quota 20 in Parlamento.
Che cosa dicono i sondaggi
Due sono gli scenari possibili. Una vittoria dei conservatori di Boris Johnson, che innescherà  dunque il completamento della Brexit e le altre conseguenze spiegate sopra. Oppure, un nuovo “hung parliament”, ossia un parlamento “appeso”, bloccato, a causa di una rimonta di Corbyn nei seggi decisivi. A quel punto, l’unica soluzione per uscire dal pantano della Brexit, sarebbe un secondo referendum.
Tutti i sondaggi hanno sempre dato sinora a Johnson una maggioranza più o meno netta. Ma il distacco si è ridotto sempre di più, è sceso a meno di 9 punti su base nazionale. Secondo l’ultima rilevazione di YouGov un nuovo parlamento bloccato è assolutamente possibile. Questo perchè non contano i voti totali nell’intero Paese, ma quanti seggi dei 650 a disposizione si vincono, collegio per collegio. Essendo molte circoscrizioni in bilico di pochi voti, è stato calcolato che potrebbe rivelarsi decisiva la scelta di soltanto 10mila britannici indecisi sparsi nei vari collegi in cui sarà  battaglia all’ultimo respiro.
Il sistema elettorale britannico
Viene chiamato in gergo “first past the post”, ossia “colui/colei che arriva primo/a, vince”. È un maggioritario uninominale secco. In pratica, il candidato del singolo collegio che prende più voti vince il seggio in Parlamento. Dunque non si tratta di una sfida sul numero di voti a livello nazionale, bensì di una lotta elettorale capillare e locale, composta dunque di 650 piccole sfide che comporranno il Parlamento e la sua maggioranza. Per questo si tratta di elezioni estremamente imprevedibili, a maggior ragione quest’anno, con la Brexit di mezzo e tanti altri fattori in gioco.
I fattori decisivi
Saranno quattro. Il primo: gli elettori laburisti brexiter nel Nord dell’Inghilterra e nelle Midlands. Se questi voteranno in massa Johnson puramente in nome della Brexit, allora per Corbyn potrebbe essere una disfatta storica e un trionfo per Boris. Secondo: quanti europeisti delusi ed ex elettori laburisti torneranno nelle braccia di Corbyn. Potrebbero essere molti, vista la susseguente e probabile delusione subita con i lib-dem (da molti considerati poco credibili visto che il loro fondamentalismo anti-brexit) e il fatto che il leader Labour, nonostante la sua annunciata “neutralità ” in un secondo referendum, comunque offre un’altra consultazione popolare sulla Brexit e sondaggi alla mano guida il partito nella posizione migliore per ottenerlo. Terzo: il voto giovanile. Quest’anno c’è stato un record di nuove registrazioni alle elezioni e, a differenza del passato, le scelte degli under 30 potrebbero essere decisive.
Quarto: la possibilità  del voto tattico, ossia, come ha spiegato di recente l’attore e attivista Hugh Grant a Repubblica, votare in ogni collegio il candidato che ha più chance di sconfiggere l’esponente conservatore, qualsiasi sia il suo colore politico, in modo da fermare la Brexit. Ufficialmente, i partiti Labour e Lib-Dem hanno assolutamente escluso alleanze in tal senso. Ma a livello locale gli elettori anti-Boris potrebbero autonomamente decidere di adottare questa tattica.

(da “La Repubblica”)

This entry was posted on mercoledì, Dicembre 11th, 2019 at 12:21 and is filed under elezioni. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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