RIFORME, GRUPPO FORZA ITALIA SI SPACCA: I DUE TERZI CHIEDONO IL SENATO ELETTIVO
QUESTA MATTINA LA ROTTURA, GUIDATA DA MINZOLINI… CONTEMPORANEAMENTE 18 MEMBRI DELLA MAGGIORANZA AVANZANO ANALOGA PROPOSTA
C’è un nuovo fronte dissidente sulla strada delle riforme istituzionali. Trentacinque senatori hanno depositato un sub-emendamento che ripropone il Senato elettivo, pronti alla battaglia in aula e nella società contro il rischio di “deriva autoritaria” e di esproprio del diritto dei cittadini ad eleggere i proprio rappresentanti.
Diciotto sono esponenti della maggioranza (16 del Pd, più Mario Mauro ed Enrico Buemi), ma la fronda è composta anche da da Sel e da ex M5S.
“Il Senato della Repubblica — si legge — è eletto su base regionale, garantendo parità di genere, in concomitanza con la elezione dei Consigli regionali”.
E ancora: i 35 chiedono la riduzione del numero dei membri della Camera (con 315 deputati) e che il numero dei senatori sia pari a 100, a cui si dovranno aggiungere 6 senatori eletti all’estero.
La proposta è stata presentata in commissione Affari costituzionali per modificare gli emendamenti dei relatori, Anna Finocchiaro e Roberto Calderoli. Stando ai numeri, le 18 firme potrebbero creare problemi durante il voto in aula del ddl costituzionale.
Il testo, infatti, in aula non potrebbe passare senza tutti i voti di Forza Italia.
Ma sul tema le acque sono molto agitate anche tra le file forziste.
Secondo quando riferiscono alcuni partecipanti alla riunione del gruppo azzurro di questa mattina a palazzo Madama, quasi i due terzi degli onorevoli forzisti preferirebbero un Senato elettivo e quindi diverso da quello del patto Renzi-Berlusconi.
I malumori, sempre secondo quanto si apprende, si sarebbero palesati proprio nel corso della riunione di questa mattina.
Un’incontro turbolento, raccontano, durante il quale Augusto Minzolini si è fatto portavoce di questa larga fetta di senatori che del nuovo Senato non vogliono proprio sentire parlare.
A tenere banco è l’eleggibilità dell’Aula di Palazzo Madama. La riunione, a cui hanno partecipato sia Denis Verdini, mediatore di Forza Italia per le riforme con il Pd, sia Giovanni Toti, consiglieri politico di Silvio Berlusconi, si è quindi chiusa prima che gli animi si accendessero ulteriormente.
La posizione ufficiale resta la stessa ed è quella di rimanere saldi al patto del Nazareno, una vera e propria strategia che mira a far esplodere i problemi interni al Pd. A convincere la fronda azzurra è stata la notizia dei 18 senatori Dem, facenti parte della maggioranza, che hanno firmato il subemendamento per il nuovo Senato elettivo.
Quattro senatori di Forza Italia hanno presentato sub-emendamenti con cui si ripropone il Senato elettivo, in dissenso quindi dall’indicazione del gruppo.
Un sub-emendamento è stato presentato congiuntamente da Luigi D’Ambrosio Lettieri e da Lucio Tarquinio.
Giacomo Caliendo e Augusto Minzolini hanno invece depositato ciascuno una propria proposta. Che ci sia maretta lo conferma anche la riunione dei capigruppo di Camera e Senato prevista per la prossima settimana alla presenza di Silvio Berlusconi.
“Con il presidente dei senatori di Forza Italia, Paolo Romani, convocheremo per la prossima settimana una riunione dei gruppi congiunti di Camera, Senato e Parlamento europeo, alla presenza del presidente Berlusconi — si legge in una nota del presidente dei deputati di Forza Italia, Renato Brunetta — la riunione è volta a delineare in maniera chiara e unitaria la posizione di Forza Italia sulle riforme, ai fini delle nostre decisioni di voto al Senato, prima in commissione e poi in Aula”.
La decisione , spiega Brunetta, giunge “a seguito delle numerose proposte emendative presentate”.
La conferma della maretta che agita il partito dell’ex premier è arrivata in mattinata da Paolo Romani: “Noi riteniamo di dover ribadire che il Patto del Nazareno prevede un’elezione di secondo grado”, ma “all’interno di tutti i gruppi, a maggior ragione nel nostro, ci sono molti senatori che vedrebbero meglio un’elezione diretta”, spiega il capogruppo FI al Senato.
Al momento le voci fuori dal coro sono quelle di Minzolini e Claudio Azzolini, che si sono riservati la possibilità di votare in aula per una elezione diretta della nuova Camera delle autonomie.
Anche Lucio Tarquinio e Sante Zuffada avrebbero espresso perplessità . “Sarà a mio avviso l’Aula a decidere. In commissione sarà difficile che venga contraddetto il patto”, aggiunge Romani.
”Quello che accadrà nelle prossime settimane per noi è la vita”, avrebbe detto Denis Verdini, responsabile dei rapporti con il Pd sulle riforme, per mettere in guardia i suoi.
In mattinata, in una conferenza stampa alla quale hanno preso parte Vannino Chiti, Falice Casson, Mario Mauro, Francesco Campanella e Loredana De Petris sono stati presentati altri emendamenti, per un numero complessivo di 14 proposte: si riferiscono agli emendamenti presentati dai relatori in Commissione Affari costituzionali del Senato, e saranno quindi votati in quella sede, dove la maggioranza non ha problemi a prescindere dall’accordo con Fi e Lega.
I problemi sorgerebbero invece in Aula, dove il governo Renzi ha ottenuto 169 voti al momento della fiducia. Se i 18 non votassero (su un emendamento poi sono 19) diventerebbero determinanti i voti degli altri partiti, come Fi e Lega e scenderebbero i margini per la maggioranza di due terzi necessaria a far promulgare la legge senza passare per il rischio del referendum: se infatti si sottraggono quei 18 voti ai 169 che hanno votato la fiducia, la non elettività del nuovo Senato ne avrebbe solo 151. “Siamo pronti a metterci di traverso“, ha annunciato Mauro.
L’iniziativa fa il paio con quella di Ncd che ieri ha presentato un sub-emendamento agli emendamenti dei relatori che rilancia l’elezione diretta del Senato. Lo ha riferito il capogruppo in Senato Maurizio Sacconi, che però assicura che Ncd non “intende frenare” il cammino delle riforme.
Tra i 14 emendamenti ve ne è uno che ripristina quasi il bicameralismo perfetto. Infatti attribuisce al Senato poteri legislativi non solo sulle riforme costituzionali (come fa anche il ddl del governo), ma anche su una serie di altre materie che potrebbero essere ampliate: rapporti con la Chiesa cattolica e le altre confessioni; la condizione giuridica dello straniero, le libertà personali; la libera manifestazione del pensiero; le garanzie processuali; la tutela della salute; diritti politici e sindacali; casi di incandidabilità , ineleggibilità e conflitto di interessi; norme sul referendum, il Consiglio di Stato, la Corte dei Conti, la magistratura ordinaria, il Csm; l’esercizio della giurisdizione; la Corte costituzionale.
Inoltre per tutte le altre leggi approvate solo dalla Camera, se il Senato chiederà modifiche con una determinata maggioranza, Montecitorio potrà respingere tale richiesta solo con una identica maggioranza (nel ddl del governo basta la maggioranza assoluta).
Torna sul banco anche il tema dell’immunità .
La soluzione proposta dal ddl del governo e quella dei relatori, su cui si è scatenata la polemica nei giorni scorsi, “è pasticciata”, ha detto il senatore del Pd Felice Casson. L’immunità “aveva un senso nel 1948, quando c’era un processo inquisitorio che era molto pericoloso”, ma dopo la riforma del 1983, con le tutele inserite, la situazione è cambiata e l’immunità può apparire “solo un privilegio”, spiega Casson.
I 35 senatori propongono quindi due soluzioni: o l’abrogazione sia per la Camera che per il Senato (mantenendo solo l’insindacabilità funzionale dell’espressione) oppure affidare a una sezione della Corte Costituzionale l’esame dell’eventuali appello da parte del Gip nel caso in cui la Camera di appartenenza neghi l’autorizzazione all’arresto.
Il Movimento 5 Stelle va oltre: “La materia va rivista e non solo per i Senatori, ma anche per i deputati — scrive Aldo Giannuli sul blog di Beppe Grillo — negli ultimi quaranta anni se ne è fatto un uso ignobile che ha coperto il sistematico latrocinio di una classe politica sempre più indecente”.
Intanto sulla riforma elettorale Forza Italia e Pd tirano dritto. Nonostante l’incontro tra Matteo Renzi con il M5S e le aperture registrate tra i due schieramenti, l’Italicum “è la base da cui si parte, ci si ferma e si arriva. Per noi c’è solo quello”, ha spiegato Romani al termine della riunione del gruppo azzurro a Palazzo Madama.
L’apertura sulle preferenze emersa ieri nell’incontro tra il premier e la delegazione dei 5 Stelle? “Non esiste, ma in realtà il Pd ne parla meno di noi”. Anche i dem paiono sulla stessa lunghezza d’onda. ”Per noi vale il testo dell’Italicum passato alla Camera e che ha un’adesione ampia, perchè ci stanno Forza Italia, Scelta civica, Ncd — ha detto in un’intervista a Repubblica Debora Serracchiani, vice-segretaria del Pd — quello è per noi il testo della legge elettorale”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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