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SCAJOLA, TUTTO AMORE E DOSSIER

AFFARI, SOLDI, POTERE, LA VOGLIA MATTA DI TORNARE NEL GIRO CHE CONTA DELLA POLITICA… E LA PASSIONE PER UNA DONNA

“Completamente asservito” a Chiara Rizzo, la moglie del latitante Amedeo Matacena. Donna affascinante, intelligente, combattiva. Una leonessa.
L’ex ministro dell’Interno è pronto ad aiutarla nell’opera di “spostamento” del marito da Dubai, dove ha trovato un momentaneo e precario asilo, nel più ospitale Libano. Ne asseconda le esigenze, i bisogni, anche i capricci quando serve.
Si tormenta per lei che ha una vita e relazioni spericolate.
Brucia di gelosia, fino al punto da farla seguire, controllare, pedinare.
Fa raccogliere notizie su di lei e le racchiude in un dossier. Ingaggia una donna che vive a Bordighera e che usa utenze telefoniche francesi, “convenzionalmente chiamata Spino”, come si legge nelle carte dell’inchiesta della procura di Reggio Calabria, e la incarica di “curare” l’ignara Rizzo nei suoi spostamenti in territorio francese e monegasco.
Scajola voleva sapere tutto della donna, anche a chi fosse intestata la fiammante Porsche Cayenne con la quale la bionda Chiara attraversava le dorate strade di Montecarlo.
Per questo incarica un poliziotto suo amico di fare ricerche oltre confine.
Porsche e panfili
Quando la Spino, autrice degli appunti per il dossier, rivela alla segretaria di Scajola che l’auto è stata vista più volte ferma al porto di Monaco nei pressi dell’imbarcadero dove è attraccato il panfilo di alcuni russi “poco raccomandabili”, la gelosia dell’ex capo del Viminale esplode. Ma non si tratta solo di pene d’amore. In mezzo c’è il business, i danari, gli affari di Scajola e dei suoi amici, particolarmente di Sergio Billè, l’ex presidente della potentissima Confcommercio.
Scajola e Billè, notano gli investigatori della Dia di Reggio Calabria, hanno paura che la bella Chiara riveli all’Orco qualcosa di particolarmente “pericoloso” per i due.
Si tratta di un nome in codice che in un primo momento viene attribuito all’armatore professor Francesco D’Ovidio Lefevbre, cognome noto fin dai tempi dello scandalo degli aerei Lockeed e di Antelope Cobbler, poi tutto si chiarisce.
L’Orco che potrebbe far saltare gli affari dell’ex ministro e del pasticciere di Messina, è il costruttore Francesco Bellavista Caltagirone.
Anche per lui, come per Chiara Rizzo, Scajola organizza una particolare sorveglianza, affidandosi ai servigi del sovrintendente di Polizia Michele Quero, che avrà  il compito di monitorarne i movimenti e gli spostamenti aerei.
E questa volta non sono solo affari, perchè ritorna la gelosia. Il sospetto (si legge nelle note della Dia) è che Chiara intrattenga una “relazione extraconiugale” con l’Orco. Una foto scattata dagli 007 della Dia il 12 febbraio di quest’anno, ritrae Francesco Bellavista Caltagirone e Chiara Rizzo agli arrivi internazionali dell’aeroporto di Fiumicino.
Lui in giacca sportiva di velluto e pashmina rossa, lei con gli occhi nascosti dietro vistosi occhiali da sole.
Scajola e Caltagirone, s’erano tanto amati, ma ai tempi della costruzione del porto turistico di Imperia. Un affare da centinaia di milioni di euro che travolge l’ex ministro e il costruttore e che nel 2010 fa scattare una inchiesta giudiziaria.
Il politico e il re del mattone vengono accusati di associazione a delinquere, tre anni dopo il gip dispone l’archiviazione per entrambi, per Caltagirone, invece, rimane in piedi l’accusa di truffa aggravata ai danni dello Stato.
Quali siano le rivelazioni che Chiara Rizzo poteva fare all’Orco, e in grado di allarmare Scajola e Billè, non è ancora chiaro.
L’unico dato certo è che la diabolica Chiara cerca di tutelare la vera identità  di Bellavista Caltagirone, facendo intendere che Francesco fosse un altro, ancora una volta il Lefevbre D’Ovidio.
Un chiacchiericcio che fece indispettire la sua amica Marzia Lefevbre D’Ovidio, parente dell’armatore, fino a farle litigare ferocemente.
Ed è all’Orco che la moglie di Matacena telefona il 16 gennaio. È su un aereo con Claudio Scajola i due hanno un appuntamento importante a Roma per affrontare la vicenda dello spostamento in Libano di Amedeo Matacena.
La sceneggiata sull’aereo
All’improvviso Chiara fa “una sceneggiata”, simula una telefonata urgente della madre che la avvisa della improvvisa malattia del figlio, si dispera e chiede al comandante di scendere. Scajola è paonazzo dalla rabbia e dalla vergogna, mentre la donna viene fatta uscire dall’aereo.
L’ex ministro dell’Interno della Repubblica italiana rimane al suo posto. È un pezzo di ghiaccio, lei, invece è raggiante e telefona all’Orco: “Sono uscita dall’aereo, mi hanno presa per pazza. Vieni a prendermi all’aeroporto.”
Diciassette giorni dopo, Claudio Scajola non ha ancora smaltito la rabbia. È furioso. “Senti figliola, basta balle, basta sotterfugi, su, uno dice le cose com’è, ognuno ha il coraggio delle sue posizioni nella vita, no… nella vita”. Chiara è indispettita. “Riattacca e chiude la conversazione”, annotano gli agenti della Dia.
La passione va bene, ma gli affari sono affari. A garantire un link col Libano è Vincenzo Speziali, calabrese e nipote dell’omonimo senatore del Pdl.
Ha sposato una cittadina libanese, vive tra Beirut e Catanzaro, e nel paese dei cedri ha ottimi rapporti con Gemayel, il leader dei cristiano maroniti.
In Libano sta per giurare il nuovo governo, lo spostamento di Matacena ora è possibile. Il 7 febbraio riceve una accorata telefonata di Scajola. “Tu pensi che riusciamo a farla accogliere” (la richiesta di asilo per Matacena). Speziali sicuro: “Sì, perchè adesso ho un interlocutore. Ho fatto tutto nei minimi dettagli.”
Tutto bene, Scajola informa Chiara Rizzo: “Quello che doveva avvenire è avvenuto, venerdì fanno il giuramento (il riferimento è al nuovo governo di Beirut, ndr). Da questo momento possiamo considerarci operativi.”
Chiara è contenta, e l’8 aprile, parlando con Scajola, accenna, ma con scetticismo, alla lettera di Gemayel. “È autografa. Eh cazzo, il programma è quello lì, tenetevelo stretto è anche autografo. Eh, Ciccia”, la rassicura Scajola. Rassicurante è anche Speziali: “Ho fatto una cosa più difficile, quella per Sergio, figurati questa.”
Sergio è Billè, l’ex padre padrone della Confcommercio, finito nel tritacarne dello scandalo dei “furbetti del quartierino.” Anche lui gode dei servigi del calabro-libanese Speziali, che il 16 gennaio, dopo l’incontro romano con Scajola sull’affaire Matacena, lo accompagna in Libano.
Qui Sergio Billè doveva definire, notano gli uomini della Dia, “un affare che vede coinvolto il maggiore responsabile della banca d’affari russa in Libano”.
La scorta seminata
Quanti soldi e uomini d’affari ruotavano attorno a Scajola. L’ex ministro il 15 gennaio semina la scorta e con la sua auto personale si fionda a Bernareggio, provincia di Monza e Brianza. Chiara è con lui. Lei scende dall’auto alle 10,56 e si dirige alla “Giorgi-Marconi spa”, dove si trattiene fino alle 13,40.
Per quasi tre ore Scajola è solo, passeggia nervosamente ma non sale mai. A fargli compagnia, ma da lontano, gli uomini della Dia che filmano quella scena ridicola.
Chi c’era all’incontro? Uomini d’affari già  noti alle cronache degli scandali.
A bordo di un suv c’è Loredana Crippa, la moglie di Gabriele Sabatini, già  finito nei guai per intestazione fittizia dei beni di Salvatore Izzo, un napoletano ritenuto “soggetto mafioso.
Sabatini è in stretti rapporti con Paolo Berlusconi, col quale nel 2012 vuole fare un grande affare in Russia, la costruzione di case prefabbricate per un miliardo di euro. Insieme volano spesso a Mosca, sempre accompagnati da Massimo Sergio Dal Lago, altro imprenditore presente nei discorsi della Chiara Rizzo.
È un pentolone zeppo di affari quello scoperchiato da Giuseppe Lombardo, il pm della procura di Reggio Calabria.
Tutto inizia con le tangenti di Francesco Paolo Belsito, tesoriere della Lega di Bossi, e con uno studio d’affari in via Durini a Milano. Qui, al calabrese Bruno Mafrici, Amedeo Matacena chiedeva denari per “The black swan”, la sua barca da 40 metri. Ma nelle mani di Mafrici circolavano anche i soldi della ‘ndrangheta, quella più potente e che fin dagli anni Settanta del secolo passato mise le mani sulla Costa Azzurra: la cosca di don Paolino De Stefano.
La ‘ndrangheta che ha sempre guardato agli affari e alla politica che conta.
Regista dello studio milanese, Lino Guaglianone, un passato nei Nar fascisti, e qui circolava anche Paolo Martino, referente milanese della ‘ndrangheta dei De Stefano.

Fierro e Musolino
(da “il Fatto Quotidiano“)

This entry was posted on mercoledì, Maggio 21st, 2014 at 15:50 and is filed under Giustizia. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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