SE ORA AI SOVRANISTI RESTA L’IMBARAZZO
LA PIETRA TOMBALE DEL SOVRANISMO REALIZZATO DEITRO IL SILENZIO DEI TRUMPIANI D’ITALIA
Lo straordinario silenzio dei trumpiani d’Italia e d’Europa dopo la notte dei missili americani sull’Iran rivela qualcosa di più di un imbarazzo: il presentimento che l’iniziativa del presidente Usa possa rivelarsi la pietra tombale del sovranismo realizzato. Il solo a parlare e applaudire è l’argentino Javier Milei, che ha postato sui social una foto di Benjamin Netanyahu e Donald Trump corredata dalla frase: «Dopo tanto, è bello vedere il nostro Paese dalla parte giusta della storia». Caso isolato, e si capisce: a molte migliaia di miglia dalla scena del conflitto, senza basi militari che possono essere chiamate in causa, è facile recitare la parte del “groupie”.
In Europa la percezione è ben diversa. E in Italia il gelo è particolarmente evidente perché l’intera narrazione del centrodestra era fondata sul fatto che le minacce di Trump – invasione della Groenlandia, annessione del Canada, dazi, e infine azioni armate contro Teheran – fossero poco più di metodi di contrattazione, parole esagerate per spaventare competitori e avversari e sottometterli al gioco americano.
Non era vero. E ora il Viminale deve far suonare le sirene dell’allerta su 29 mila siti civili e militari, ambasciate, Vaticano, basiliche, ma anche singoli eventi che prevedono la partecipazione di personalità esposte. Ora il ministro della Difesa Guido Crosetto deve avvertire: si apre una crisi molto più ampia, è ragionevole attendersi azioni ritorsive dell’Iran «che potrebbero non limitarsi al teatro regionale».
Trump non è più il maestro dell’Art of Deal e nemmeno il Taco, quello che alla fine si tira sempre indietro. Trump non è più l’uomo che farà finire le guerre, il capo Maga in corsa per il Nobel della Pace, il leader che prometteva alla Cnn di chiudere ogni conflitto «in
ventiquattr’ore», addirittura prima di insediarsi alla Casa Bianca. Trump è quello che scommette su se stesso mettendo in gioco gli interessi di tutti, i commerci mondiali nello Stretto di Hormuz, una nuova vampata terroristica, e poi chissà che altro. Ma soprattutto: il trumpismo non prevede pontieri, anzi li irride. L’attacco ai siti nucleari iraniani è scattato mentre tutta Europa, Italia compresa, cercava di approfittare delle due settimane di riflessione promesse dalla Casa Bianca per riaprire il dialogo con Teheran e convincerla a passi avanti significativi.
Il silenzio dei trumpiani d’Italia segnala un assoluto sconcerto. Non era così che doveva andare. L’America Great Again avrebbe dovuto essere mentore di una stagione di prosperità oltre i disastri della globalizzazione e si sarebbe dovuto guardare all’esempio Usa dicendo: ecco come si fa. Finora sono state raccolte solo delusioni, e già da tempo sui social dei leader sono spariti i cappellini Maga e le cravatte rosse che segnalavano l’adesione incondizionata al modello.
Risale a maggio l’ultimo post di Matteo Salvini con la parola “Trump”, poi pure lui ha scelto il disimpegno. Preferisce il silenzio anche il suo generalissimo Roberto Vannacci, quello che salutò l’insediamento trumpiano come «l’inizio di un nuovo tempo all’insegna della sicurezza e della pace». Certo, resiste la speranza che l’azzardo della Casa Bianca risulti vincente e obblighi Teheran alla resa. Ma nessuno osa neppure dirlo, vista la sconfessione di ogni precedente aspettativa e previsione.
Il paradosso è evidente. Per quindici anni gli establishment europei si sono opposti alle insorgenze sovraniste sul filo dei ragionamenti e delle invettive, persino della criminalizzazione degli elettorati. Ora potrebbero averla vinta, come accadde in passato per altri grandi utopie di massa, davanti al caotico spettacolo generato dalla realizzazione di quel sogno e dalle nuove paure che suscita col suo imprevedibile andamento.
(da La Stampa)
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