SOSTIENE KURT VONNEGUT
NEI SUOI ROMANZI L’ANTICIPAZIONE DI UN’AMERICA SFASCIATA, FATTA DI PERSONE SEMPRE PIU’ SOLE, INFRELICI E CON TURBE PSICHICHE GALOPPANTI
La distopia americana, con il governo che manda la Guardia Nazionale a “garantire l’ordine” negli Stati democratici, e gli Stati dem (in media i più ricchi e istruiti) che minacciano di tenersi le tasse auto-abolendo la quota federale, era stata sostanzialmente anticipata nei romanzi di Kurt Vonnegut (Comica finale, Il grande tiratore) che raccontavano un’America sfasciata, ossessionata dalle armi da fuoco e devastata dagli psicofarmaci, con l’Imperatore del Michigan che si giocava il suo regno a carte. (Neppure la sua fervida fantasia poteva immaginare Trump e la sua megalomania neroniana: forse lo
avrebbe considerato eccessivo perfino per le sue satire).
Vonnegut non era ovviamente un politologo, men che meno uno storico. Era solo uno scrittore umorista, un vecchio libertario, un incoercibile umanista. Gli interessavano gli uomini, non le ideologie: e il suo allegro catastrofismo discendeva dalla percezione — già mezzo secolo fa — di una società fatta di persone sole, sempre più sole e infelici. E con turbe psichiche galoppanti.
Alla solitudine, allo smarrimento sociale, al disagio psichico (che nel frattempo si è conquistato uno spazio primario nella società) la destra, non solo in America, rimedia proponendo, anzi imponendo il ritorno all’aureo passato, alle buone vecchie cose di una volta (la religione di una volta, la famiglia di una volta, la società di una volta): un artificio, e in ultima analisi un imbroglio ideologico, perché “una volta” le cose non erano affatto così armoniose e salvifiche. O almeno: lo erano per pochi.
Quello che propongono i dem, per esteso la sinistra occidentale, è ancora molto misterioso. Mi chiedo quasi ogni giorno se vivrò abbastanza per vedere risolto questo mistero. Ma non mi ci rompo più la testa.
(da repubblica.it)
Leave a Reply