STRAGE DI PADERNO DUGNANO: “IN CASA MI SENTIVO UN CORPO ESTRANEO, CI PENSAVO DA UN PO'”
L’AUTORE DEL TRIPLICE OMICIDIO: “HO PENSATO CHE UCCIDENDOLI TUTTI MI SAREI LIBERATO DI QUESTO DISAGIO. MA NON E’ STATO COSI’, ME NE SONO ACCORTO UN MINUTO DOPO”
In mano ha la lama di un grosso coltello che gronda sangue. Lo lascia cadere sul marciapiedi davanti al cancello del vialetto quando vede i carabinieri. Riccardo è in mutande, a torso nudo, addosso ha il sangue di papà Fabio, della mamma Daniela, di suo fratello Lorenzo, 12 anni. È a lui che riserva le prime coltellate, nel sonno, mentre dorme. Sono colpi feroci, tanti. Gli inquirenti parlano di decine di lesioni.
«Non c’è un vero motivo per cui l’ho ucciso. Mi sentivo un corpo estraneo nella mia famiglia. Oppresso. Ho pensato che uccidendoli tutti mi sarei liberato da questo disagio». Ma non è stato così. «Me ne sono accorto un minuto dopo: ho capito che non era uccidendoli che mi sarei liberato».
Per più di dodici ore Riccardo C., — 17 anni, la quinta al liceo scientifico Gadda di Paderno che sarebbe iniziata a giorni, la passione per la pallavolo, un ragazzo come tanti — prova a far reggere una bugia che non sta in piedi. Perché è davvero difficile credere, come ha raccontato al 112, che papà Fabio abbia ucciso mamma e figlio e poi lui abbia raccolto il coltello per colpirlo senza però avere addosso neppure un graffio, un segno di lotta contro un uomo alto e dal fisico atletico.
Quello davanti al pm dei minori Sabrina Ditaranto è un monologo inframmezzato dalle lacrime: «Non è successo niente di particolare sabato sera. Ma ci pensavo da un po’, era una cosa che covavo», racconta durante le sue spontanee dichiarazioni.
Sono parole difficili da ascoltare. Riccardo dice di essersi alzato mentre gli altri dormivano per andare in cucina a prendere un «coltello da carne» e di avere colpito per primo («ma senza una ragione precisa») il fratellino. Quando parla delle motivazioni del massacro, singhiozza parole che non chiariscono cosa sia questo «disagio» che ha armato il suo piano di morte, un «malessere», questo il termine messo a verbale dal ragazzo davanti a inquirenti e investigatori. «Non so davvero come spiegarlo. Mi sento solo anche in mezzo agli altri». A casa come con gli amici, che non gli mancavano: «Non avevo un vero dialogo con nessuno. Era come se nessuno mi comprendesse». Riccardo ha pianto a lungo e chi l’ha visto nelle ore dell’interrogatorio ha trovato un ragazzo «fragilissimo».
Quando alle 17.30 esce dalla caserma di Paderno, mentre la macchina dei carabinieri sfreccia via, lui si copre il viso con la mano destra. Tra le dita sembra stringere un fazzoletto di carta. Nei prossimi giorni gli psicologi del Beccaria, dove è in arresto per omicidio plurimo, lo aiuteranno a scavare dentro di sé. A dare una ragione — se mai ce ne possa essere una — per spiegare questo massacro arrivato nei giorni in cui tutti si interrogavano per la fine di Sharon Verzeni, ammazzata «solo per il bisogno di uccidere».
Fuori dalla villetta di via Anzio c’è chi prova a lanciarsi in parallelismi arditi: «Questi ragazzi non conoscono il valore della vita. Non sappiamo insegnargli più cos’è il bene e cosa il male», sentenzia la mamma di un ragazzino che avrà l’età del povero Lorenzo. «È davvero troppo presto per capire», riflette il difensore del 17enne, Chiara Roveda.
E sono parole sovrapponibili a quelle degli investigatori. A chi lo interroga sembra un ragazzo «intelligente», forse più della media. La sua appare come una confessione «autentica». Ma è un racconto vuoto, desolante davanti a tanto orrore. Forse Riccardo non ha gli strumenti per spiegare cosa sia davvero quel «disagio interiore». Non parla di bullismo, di sessualità, di problemi con le droghe. È come se tutto fosse racchiuso in quella sensazione che tanti adolescenti vivono ogni giorno: la difficoltà di sentirsi adulti, il disagio di trovare una propria strada. Ma è tutto troppo poco, infinitesimo di fronte al massacro di un’intera famiglia.
(da Il Corriere della Sera)
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