UNA GIORNATA DI SANGUE E ARENA
COME IN UNA GRANDE PIECE TEATRALE, TRA PRIMATTORI, COMPARSE E COLPI DI SCENA
Di tutta una giornata di sangue e arena in Parlamento c’è un fotogramma che la dice tutta, più degli altri. Ecco: sta parlando Silvio Berlusconi e l’aula del Senato si ferma rapita. Il Caimano ferito è lo spettacolo un po’ lugubre del giorno: «Voto sì al governo, non senza travaglio». Colpo di scena.
Prima aveva detto no alla fiducia, poi sì, poi no, poi ancora sì. Enrico Letta lo guarda esilarato, un cameraman ferma il labiale: «Grande!».
Ride il premier quasi assistesse ad una pièce di teatro e si volta verso Angelino Alfano, diventato sodale. Grande, grande Berlusconi che riesce a fare la piroetta all’ultimo minuto prima di schiantarsi.
E che giornata, iniziata senza certezze con la faccia pallida di Quagliariello che fa i conti del pallottoliere, questi sono con noi, questi altri no, con le virago del Capo che, sbandando sui tacchi alti, lo circondano, lo toccano, lo consigliano, lo scongiurano di non mollare.
Micaela Biancofiore, vicepitonessa, in giacca giallo livore, la Bernini in bianco, cavallerizza agitata, la Mussolini cupa, orfana del Duce, e poi anche l’inseparabile “badante” Maria Rosaria Rossi, così frenetica nel tenere alto il morale delle truppe.
Adrenalina pura perchè qualcosa davvero sta succedendo.
In contrasto forte con la flemma di Enrico Letta che, in aula, si mette il collirio («Questa notte non ho dormito»), e non perde mai la calma, puntigliosamente incensa i cinque mesi del suo governo in mezzo a quel mare procelloso: «Il governo è nato in Parlamento e se deve morire morirà qui» Ma sa già che non è così «perchè oggi facciamo un passo avanti molto forte».
Le ultime onde di piena del berlusconismo rampante si infrangono di mattina a Palazzo Madama. Hanno la voce stridula di Sandro Bondi ostile a questo governo: «Vergognatevi! », urla il poeta del Pdl, subito sommerso da un coro Pd: «Basta! Stai zitto! Vergognati tu!».
Bondi è quello della linea dura: «Voi fallirete — dice ai ministri ci avete spaccato ma fallirete, il vostro è solo un governicchio».
Berlusconi lo segue, si copre gli occhi, quasi si accascia sul banco. Ed è un peregrinare continuo delle crocerossine.
La ministra Nunzia De Girolamo lo intrattiene a lungo, mettendogli la mano sul braccio. Lui deve ancora parlare, deve ancora dire la sua che non è mai quella di dieci minuti prima.
Attorno tutti si danno da fare. Coppie si compongono e scompongono
Verdini-Minzolini, Bonaiuti-Gasparri, Verdini-Scilipoti.
Sì, Scilipoti sempre lui: fa la spola tra traditori e lealisti, cerca di capire dove soffia il vento. I ministri ci sono quasi tutti, e assistono al lavorio: ecco Saccomanni, Emma Bonino, Quagliariello, la Lorenzin dal cuore spezzato però molto scissionista, Cecile Kyenge in viola, Andrea Orlando, Dario Franceschini…
Letta e Alfano, vicini ,complici.
Man mano che il risultato si va delineando sorrisi, pacche sulle spalle. C’è una nuova maggioranza. «Nulla sarà come prima», dirà alla Camera il Pd Roberto Speranza.
Berlusconi fa i conti su una cartellina e li mostra a Jole Santelli.
Il fotografo dell’Ansa punta l’obiettivo: «23 più 34=57». 23 votano a favore del governo, 34 forse escono dall’aula.
E’ il momento di scegliere da che parte stare. E la senatrice Paola De Pin, grillina pentita approdata al Gruppo Misto, prende la parola. Voterò la fiducia, dice.
Le tremano i fogli in mano, scoppia in lacrime. I Cinque Stelle la puntano: «Venduta!». Uno di loro, Gianluca Castaldi, si proietta come un missile verso la poveretta. Momenti di tensione, i commessi che intervengono, qualcuno che crede di sentire una minaccia dal sapore squadrista: «Non esci di qua, ti aspettiamo fuori».
A sera, tutto si ricomporrà con le scuse di Castaldi.
Letta, intanto, l’ha già difesa in aula: «Il rispetto della persona non deve mai venir meno». Rispetto? I grillini non ne hanno per nessuno, Pd, Pdl fanno tutti schifo. Alessio Villarosa, nel pomeriggio alla Camera, demolisce il discorso di Letta: «Lei, signor presidente è un bugiardo». Segue il coro che li diverte tanto: «Tutti a casa, tutti a casa!» (salvo loro…n.d.r.)
«Qui non siamo allo stadio», sibila la presidente Boldrini.
No, le Camere non sono uno stadio ma va in scena vero teatro, anzi «cabaret», come dice Vendola.
Carlo Rubbia, neosenatore a vita, è spaesato: «Spero che non sia sempre così». «Viviamo tempi di grande volgarità », denuncia Luigi Zanda, capogruppo Pd al Senato, il pensiero che va a Bondi.
Altra bagarre, questa volta dai banchi del Pdl.
Mattina calda con il Caimano che deve chinare la testa. Pomeriggio ormai spento, alla Camera.
I voti di Berlusconi sono «aggiuntivi», la sua leadership parecchio ammaccata.
Alle 20, per la prima volta prende la parola Fabrizio Cicchitto nella versione inedita di scissionista: «Parlo a nome di oltre venti deputati e degli oltre venti senatori…».
La Santanchè se ne è già andata per non saltargli al collo. Lui ci tiene a ribadire che sull’uso politico della giustizia non ha cambiato idea: «Continueremo la nostra battaglia a difesa di Silvio Berlusconi ».
Però ha raggiunto ormai un’altra sponda, è sfuggito alla ragnatela: «Quello che è avvenuto oggi è profondo e significativo. Noi ci riconosciamo nella posizione di Angelino Alfano e pensiamo di costruire il centrodestra del futuro».
Giornata nera, per il Caimano.
Alessandra Longo
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