“UNA SBERLA FA MALE SOLO SE NON È MERITATA”. I CONSIGLI DELLO PSICOLOGO OSVALDO POLI, L’EDUCATORE DEI GENITORI: “I FIGLI NON SONO FOGLI BIANCHI, NASCONO DIFETTATI. STARE SEMPRE ADDOSSO AL FIGLIO, POMPARLO DI LODI, NON C’ENTRA CON L’AMORE”
“CONOSCO MAMME CHE IMPARANO A MEMORIA I FIUMI DELLA BASILICATA AL POSTO LORO. MA LO CAPITE O NO CHE, SE VI SOSTITUITE A LUI NELLE FATICHE, IL POKEMON NON EVOLVE?” … “IL TELEFONINO? SI DOVREBBE RESISTERE ALMENO FINO ALLA TERZA MEDIA – I FIGLI RIBELLI? OGGI SONO DUE SU DIECI…”
Educatore esigente. Paladino del buonsenso. Istrione formidabile. Osvaldo Poli, 69 anni, psicologo e psicoterapeuta, non corregge i figli: raddrizza i padri e le madri. Usa l’ironia, più spesso il sarcasmo. E riempie le platee. Lo chiamano tutti: Comuni, scuole, associazioni, parrocchie, persino la Confindustria di Reggio Emilia, la Confartigianato di Cuneo e il Cuoa di Altavilla Vicentina, la più vecchia business school
italiana.
I suoi tredici libri hanno per titoli le frasi fatte dei genitori.
«L’ultimo, Mio figlio mi dice tutto, è sulla confidenza ingenua, caratteristica dei bimbi, che va perduta. L’adolescente sa tenere il segreto psicologico, si mette in modalità aereo. Dove vai? “Al solito posto”. Con chi? “Vedremo”. A che ora torni? “Non so”. Temi che l’abbiano arruolato i servizi segreti ed entri in crisi».
Ha pubblicato anche «Aiuto, ho un figlio impossibile»
«Parla dei ragazzi oppositivi, i ribelli. Fascia in notevole espansione: sono due su dieci».
«Non ho paura a dirti no».
«I timori invisibili ostacolano la fermezza educativa».
Per un «no» s’impiccano.
«Padri e madri devono accettare l’eventualità che il ragazzo faccia qualcosa d’inconsulto. In realtà il più delle volte è una minaccia priva di fondamento, un incantesimo. Se il genitore ci casca, si ritrova alla mercé del figlio».
La cronaca nera spaventa.
«Bisogna amare la verità e la giustizia più dei figli stessi. Chi educa non può prescindere da ciò che intimamente ritiene vero e giusto».
Perché un adolescente si tagliuzza braccia e gambe?
«Quelli che ho in cura mi dicono: “Lo faccio per scaricare l’ansia”. Un modo per sfogarsi, non un tentativo di suicidio».
Da quando è un’epidemia?
«Da 15 anni e nessuno sa a che cosa sia riconducibile».
C’entreranno i social
«Consiglio alle famiglie il paracadute. Il telefonino va dato il più tardi possibile».
Una parola…
«Le più eroiche, poche, resistono fino alla terza media. Dopodiché accettano il nemico in casa. La dipendenza dai social è devastante. C’è un disturbo clinico, non ancora entrato nei manuali diagnostici. Si chiama Fomo, acronimo di fear of missing out, paura di essere tagliati fuori. Provoca ansia, insonnia, depressione, stress».
Lo constata di persona?
«Me ne parlano i genitori di figli che cambiano carattere, diventano irritabili, perdono la concentrazione nello studio, vanno a letto vestiti, stanno sullo smartphone fino alle 2 di notte, dormono sui banchi di scuola».
Lei critica le mamme che amano troppo. Mi stupisce.
«Critico la dismisura dell’amore. Ha mai sentito parlare delle virtù cardinali?».
Come no: prudenza, giustizia, fortezza, temperanza.
«Sono le quattro qualità morali fondamentali riconosciute dalla filosofia greca, da Platone, prima che dalla Chiesa. La più negletta oggi è la temperanza, cioè la virtù della misura. Il bene deve avere una misura, altrimenti si trasforma in male e le virtù finiscono per avvicinarsi ai vizi, come ammoniva Quintiliano. La posologia nelle medicine è tutto, se non vuoi che uccidano. Stare sempre addosso al figlio, pomparlo di lodi, non c’entra con l’amore»
L’eccesso di affetto rovina?
«Il problema numero uno delle famiglie è la mancata distinzione fra l’aiuto dovuto e il rimpiazzo nei compiti a casa. Incontro madri che studiano a memoria i fiumi della Basilicata. Mi dicono: “Ogni pomeriggio è come dargli un rene”, “di notte mi sveglio e ripasso storia e geografia”, “in pausa pranzo non mangio per preparargli gli schemi”, sono frasi che mi appunto. Ma lo capite o no che, se vi sostituite a lui nelle fatiche, il pokemon non evolve?».
Accusa i genitori di essere dominati dalle paure.
«So di che parlo. La paura che non si senta amato è al primo posto nella hit parade, benché quasi mai abbia visto adolescenti con tale problema, e si traduce in un eccesso di cura, di vicinanza psicologica. La paura di fare “ciò che i miei genitori hanno fatto con me”, e così si commette l’errore opposto. Ma due errori non sfociano in una scelta giusta».
Qual è l’errore degli errori che un genitore commette?
«Il determinismo educativo. Traduco: la convinzione che tutto dipenda dalle nostre capacità pedagogiche, come se il figlio fosse un foglio bianco su cui scriviamo la sua storia. Invece no. Ogni individuo nasce con un software preinstallato. Si chiama temperamento e dobbiamo sapere che contiene dei virus, come quelli che infettano i pc. Posso richiamare dall’esilio una parola?».
Prego.
«Difetti. Ebbene sì, i figli nascono difettati. Non è sempre tutto dovuto allo scarso amore, alla scarsa comprensione, alla scarsa vicinanza emotiva dei genitori».
Suona un po’ assolutorio.
«Controcorrente. Come osserva Alessandro Manzoni nei Promessi sposi, il buonsenso c’era, ma se ne stava nascosto per paura del senso comune».
Le punizioni servono?
«Rientrano fra le armi convenzionali. Talvolta indispensabili, spesso opportune. La loro efficacia è dubbia».
Ieri l’educazione com’era?
«Tanto esempio, poco dialogo. E qualche sberla, lo strumento più ecologico: fa male solo se non è meritata».
Come mai i genitori spesso non sanno più educare?
«Sono vittime di errate convinzioni. Ora, non c’è niente di più pratico di una buona teoria, diceva lo psicologo Kurt Lewin. Ma a patto che non sia fallace. Invece oggi si pensa che l’adolescenza sia una malattia; che i figli non abbiano doveri; che non si debbano ferire dicendogli la verità; che il massimo bene per loro siano la laurea prestigiosa e l’inglese fluente».
Quindi che si deve fare?
«I figli non compiono azioni riprovevoli per una sofferenza interiore. A volte sì, ma non in tutti i casi. Il fatto è che abbiamo espunto dal nostro orizzonte la categoria del male. Che invece esiste e non necessariamente è causato dal dolore. Il male nasce da un dolore non accettato, non dal dolore in sé. Ci sono in giro tantissimi ragazzi che sono amati eppure si comportano male».
E non soffre con i genitori?
«Certo. Ma esiste una linea rossa che separa la nostra responsabilità da quella dei figli. Il senso di colpa è un dolore
malato, il dispiacere è un dolore sano. Una croce, però di legno. Si può portare».
(da Correre della Sera)
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