UN’ALTRO GIRO DEI PUPI E POI IL PRE-INCARICO CHE RISCHIA DI AZZOPPARE CHI LO RICEVERA’
PARTITI IN ORDINE SPARSO, PLATEALE ROTTURA NEL CENTRODESTRA, MATTARELLA CERCA DI METTERE ORDINE TRA I BAMBOCCIONI… BERLUSCONI METTE ALL’ANGOLO SALVINI: SE ROMPE, FINISCE PER FARE DA STAMPELLA A DI MAIO
Tempo, perchè prima o poi un governo nascerà . E se c’è un punto fermo del Mattarella pensiero, al termine della lunga giornata di consultazioni, è che il voto a giugno è una prospettiva, semplicemente, lunare. L’unica davvero non contemplabile.
Tempo, perchè è stata questa la richiesta dei vari partiti, assecondata affinchè “possano valutare responsabilmente la situazione, le convergenze programmatiche, le possibili soluzioni per dare vita a un governo”.
L’avverbio chiave è “responsabilmente”, che richiama l’esigenza di evitare una lunga crisi al buio.
Ed è indicativo che, nel chiudere il primo giro di colloqui annunciando il secondo, il capo dello Stato non ha indicato una data, che resta “elastica”. Presumibilmente sarà al termine della prossima settimana, giovedì o venerdì, al termine degli incontri annunciati dai leader dei vari partiti.
C’è, nell’avverbio, un’indicazione di metodo — si sarebbe detto una volta: mette i partiti di fronte alle loro responsabilità — ma anche tutta l’incertezza che si è manifestata nel corso della giornata di colloqui. Perchè, a mettere in fila gli elementi, uno “schema” politico non c’è e non c’è neanche l’ombra di una generica convergenza programmatica.
E non è un caso che Mattarella, nel trarre il suo primo bilancio, ha parlato della necessità che “vi siano intese tra più parti politiche per formare una coalizione che possa avere la maggioranza in Parlamento e quindi far nascere e sostenere un governo”.
Coalizione non è sinonimo di “contratto” o di intese generiche: è un vincolo politico serio che si fonda su un programma condiviso e sull’assunzione piena di una responsabilità di fronte al paese.
E se è certo positivo che è emersa la volontà di parlarsi, fatto nient’affatto banale, è sembrato che passerella alla Vetrata abbia — paradossalmente – acuito più che attutito le divisioni.
A partire dal centrodestra, con Berlusconi, in versione europeista, che si è detto favorevole a un governo del presidente mostrandosi indisponibile al dialogo con i Cinque Stelle e Salvini che ha iniziato criticando l’Europa e finito annunciando che l’unico interlocutore per un governo di cinque anni è Di Maio (ma mai il Pd).
E se la novità , diciamo così, mediatica è stata l’apertura del leader pentastellato al Pd (per la prima volta nel suo insieme), politicamente questa ipotesi nelle ovattate stanze quirinalizie è apparsa assai complicata da percorrere.
Perchè il controllo del partito da parte di Renzi è palpabile e questo rende qualunque margine ancora ristretto. Tanto che con la delegazione democratica, nel corso del colloquio, l’argomento non è stato neanche affrontato.
Ed è difficile che la linea dell’opposizione senza se e senza ma possa essere scalfita, quanto meno nel breve termine.
Per questo, di qui al secondo giro di consultazioni, il tema vero tornerà il dialogo tra Salvini e Di Maio. Tempo, hanno chiesto entrambi.
Perchè qui il punto è come gestire la questione Berlusconi. E non è questione da poco. La zampata del vecchio leader ha complicato parecchio il gioco di sponda degli ambiziosi runner della Terza Repubblica: quel trasformare un veto subìto da Di Maio in un veto posto, con una certa durezza, ai “populisti, pauperisti, giustizialisti” non è solo una mossa d’orgoglio per le troppe umiliazioni subite.
È una mossa politica che indebolisce Salvini il quale, nella sua trattativa con Di Maio, ha sperato di ridurre il Cavaliere al ruolo di comparsa che dà il via libera al governo pur di evitare il voto anticipato, “nascondendosi” come avvenuto sull’elezione dei presidenti delle Camere.
E invece il Cavaliere i panni della comparsa li ha già dismessi.
Al Colle hanno avuto la netta impressione che questo schema sia difficile e che, a questo punto, per Salvini la questione si pone in modo più tranchat: o il parricidio o la partecipazione, da socio di minoranza, a un governo con Di Maio.
Ed è per questo che Berlusconi ha espresso il suo sostegno alla possibilità di indicare Salvini come “premier”, dunque capo della coalizione, con la malizia di chi sa che l’alternativa è di fare il secondo di Di Maio.
Forse il nervosismo che trapela tra i leghisti rivela che è stato toccato il punto vivo della questione.
Perchè politicamente è abbastanza chiaro il perimetro entro cui muove (o non si muove Salvini). Il leader leghista non può permettersi di fare la stampella di Di Maio, con il leader dei Cinque Stelle a palazzo Chigi, neanche avendo come contropartita ministeri pesanti.
Può “reggere” un governo con i Cinque Stelle solo se a palazzo Chigi va un nome terzo, però questa possibilità è legata al fatto di trattare da capo del centrodestra, nel suo insieme, anche con Berlusconi.
Ecco l’incastro che il tempo dovrà sciogliere. Tempo che è certo lungo, ma non eterno. Perchè Mattarella si è fatto l’idea che, al termine del prossimo giro di consultazioni, non serve affidare incarichi ad un esploratore, ma che sarà opportuno affidare un pre-incarico a chi ha un programma comune e procedere per tentativi successivi, mettendo in contro anche eventuali fallimenti.
Attenzione: non è un dettaglio, perchè un fallimento del genere, come insegna il precedente di Bersani, non è indolore, anzi è tale da azzoppare anche le carriere più ambiziose.
Non a caso sia Di Maio sia Salvini — questa è l’impressione dei ben informati — hanno il terrore riceverlo il pre-incarico e, così hanno confidato nei rispettivi entourage, sono pronti a rifiutarlo se non ci fossero le condizioni perchè “non si può fare la fine di Bersani”.
C’è solo un modo per evitare questa eventualità , ed è costruire una seria ipotesi di governo. Che oggi non si vede, ma c’è ancora una settimana, prima che vada in scena il secondo bagno di realtà al Quirinale, dopo l’odierna lezione di diritto costituzionale: per fare un governo, serve una maggioranza, che va costruita perchè nelle urne nessuno ha preso il 51 per cento.
Responsabilmente.
(da “Huffingtonpost”)
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