Agosto 24th, 2020 admin
A OMNIBUS L’EX GOVERNATORE DELLA LOMBARDIA: “IO MANTENGO LE TRADIZIONI DI UN GRANDE PARTITO CHE SI CHIAMA LEGA NORD, PER ORA FERMIAMOCI QUA”
Alla vigilia delle elezioni politiche del 4 marzo 2018 aveva fatto molto discutere l’improvviso cambio di nome della Lega, che perdeva il suo appellativo “Nord” e abbandonava la sua impronta secessionista per diventare un partito nazionalista.
Oggi, a distanza di due anni, la “vecchia” Lega Nord potrebbe tornare alla luce.
Ad annunciarlo, in diretta su La7 durante la trasmissione Omnibus, è stato l’ex segretario del Carroccio, Roberto Maroni.
Incalzato dal conduttore Andrea Pennacchioli, che gli chiedeva come mai alle sue spalle ci fosse il sole delle Alpi (celebre simbolo della Padania), l’ex governatore della Lombardia ha risposto così: “Io mantengo le tradizioni e la storia di un grande partito che si chiama Lega Nord. Il futuro riposa sulle ginocchia di Giove, vediamo cosa succederà. Come un fiume Carsico potrebbe riemergere, ma per ora fermiamoci qua”.
Maroni non ha voluto commentare oltre, nonostante le domande dei conduttori: “Novità a breve? Non vi sento bene…”, ha detto, trincerandosi dietro un sorriso.
(da agenzie)
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Agosto 8th, 2020 admin
A VIADANA FAVA APPOGGIA UNA LISTA CIVICA CONTRO IL CENTRODESTRA SOVRANISTA… A SABBIONETA AVEVA GIA’ BATTUTO LA COALIZIONE DI CENTRODESTRA… LA VECCHIA GUARDIA VUOLE IL VECCHIO SIMBOLO, SALVINI NON LO MOLLA, LA QUESTIONE FINIRA’ IN TRIBUNALE
Prima o poi, direbbe il saggio, doveva accadere. Inevitabile come insanabile è la frattura interna alla Lega. O Lega Nord, e la differenza stavolta non è di poco conto. Per la verità non la è mai stata.
Ora che Matteo Salvini, leader della Lega, sembra avere perso molti punti in percentuale rispetto all’anno scorso quando veleggiava oltre il 30%, ecco che la minoranza – che mai è stata silenziosa ed è incarnata da un uomo del comprensorio Oglio Po come Gianni Fava – fa un passo (con annessa richiesta) in più.
Nei fatti, e nel locale, Fava si era già opposto alla Lega ufficiale, vincendo peraltro a Sabbioneta, ad esempio, dove ha sostenuto apertamente la candidatura di Marco Pasquali contro quella proposta dal centro-destra ufficiale.
E lo stesso fa a Viadana, sostenendo Alessia Minotti contro Nicola Cavatorta, espressione della giunta uscente.
La novità ha un rilievo nazionale, in ogni caso. Gli ex deputati Gianluca Pini e Gianni Fava – quest’ultimo ex sfidante di Matteo Salvini al congresso del 2017 – si fanno portavoce della richiesta di poter utilizzare il simbolo elettorale della Lega Nord alle prossime amministrative nei Comuni romagnoli, a Mantova e a Viadana.
“Siamo ancora iscritti a un partito, la Lega Nord per l’indipendenza della Padania, e uno degli obiettivi di ogni partito è partecipare alle tornate elettorali – spiega Fava -. Da più parti mi è giunta la richiesta di poter correre sotto l’egida della Lega Nord per l’indipendenza della Padania. Non si capisce perché un Movimento che ha un tesseramento non possa partecipare alle elezioni. La Lega Salvini premier è un altro partito, è libera di correre con altri candidati”.
Per questo, sia Fava che Pini hanno inviato una richiesta al commissario federale della Lega Nord Igor Iezzi di poter utilizzare il simbolo con il guerriero Alberto da Giussano.
“A Viadana – spiega Fava – per esempio sosterremmo la candidata sindaca di area civica Alessia Minotti, contro l’esponente di Fratelli d’Italia Nicola Cavatorta”.
Le battaglie per la Lega di Salvini non sono più le stesse di un tempo, sostiene da sempre Fava, quando cioè la questione settentrionale era stata il motore fondante della Lega Nord di Umberto Bossi.
Ora la Lega ufficiale, quella di Salvini, ha scordato quelle mozioni per provare a diventare un partito più forte in tutta Italia, dimenticando però – l’accusa di Fava – le proprie origini. Le stesse origini che col vecchio – ma nemmeno troppo, dato che fino a un anno e mezzo fa era ancora in voga – simbolo Lega Nord proverebbero a tornare, sostenute da radici forti soprattutto nel locale.
(da “OglioPo”)
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Agosto 4th, 2020 admin
PINI E ALTRI 20 LEGHISTI DELLA VECCHIA GUARDIA HANNO INVIATO UNA DIFFIDA AL COMMISSARIO DELLA LEGA NORD SULLE PROCEDURE DI TESSERAMENTO: PRONTI A PRENDERSI IL SIMBOLO, IL NOME E IL LOGO DI ALBERTO DA GIUSSANO
Vecchi militanti della Lega “Nord” contro la Lega di Salvini. Carmelo Lopapa e Claudio Tito su
Repubblica raccontano una disfida interna al Carroccio che vede la Vecchia Guardia contro il Capitano. E la possibilità di adire le vie legali:
I nostalgici di Bossi hanno chiesto un parere ad alcuni avvocati. La scelta di “regalare” e di non far pagare l’iscrizione alla Lega Nord che viene mantenuta in vita solo formalmente, potrebbe invalidare l’intero percorso che conduce alla Lega per Salvini Premier e al sistema del doppio tesseramento.
Alcuni dirigente fedeli al Senatur sono pronti a far valere l’illegittimità e a riprendersi il simbolo, il nome e l’immagine di Alberto da Giussano.
Tutto si fonda su un interrogativo presente nei pareri legali: «E’ possibile non pagare le quote associative per un partito che avrebbe ancora 49 milioni di debito con lo Stato?».
Gianluca Pini, ex deputato leghista e sfidante di Salvini all’ultimo Congresso, insieme ad una ventina di esponenti della vecchia guardia ha inviato una diffida a Igor Iezzi, il Commissario federale della Lega Nord (Salvini si è dimesso dalla segreteria per incompatibilità rispetto al nuovo partito), richiamando proprio le procedure del tesseramento.
«In attesa di ricevere un celere e puntuale riscontro, significando sin d’ora che in caso di palesi violazioni delle norme interne, saranno espletati tutti gli atti necessari al rispetto dello statuto e del regolamento».
L’universo leghista, dunque, sta entrando in fibrillazione. Se non supererà lo stress test del 2021, allora partirà la caccia a Salvini o si aprirà la ricerca del nuovo segretario della Lega Nord scissionista.
E il prescelto sarà cercato in quello che un tempo era il cerchio magico di Bossi, a partire da Maroni. Il progetto sovranista, insomma, non corre più lungo i binari della certezza ma della precarietà. Gli spazi in politica non restano mai vuoti troppo a lungo.
(da agenzie)
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Agosto 3rd, 2020 admin
GLI ISCRITTI SCENDONO DA 80.000 A 50.000 … FLOP AL SUD: SOTTO LE 300 TESSERE IN SICILIA E IN SARDEGNA
Il 30% dei militanti del Nord ha abbandonato la Lega di Matteo Salvini. Mentre il Carroccio diventa sempre più il partito del Capitano, Repubblica scrive oggi che dietro il trionfalismo nella campagna di tesseramente sbandierato dai salviniani c’è una rottura ben precisa:
I numeri ufficiali del tesseramento sono stati comunicati fino ad ora con un certo entusiasmo. A febbraio già in oltre 50 mila avevano versato i dieci euro per iscriversi al partito nuovo e mantenere gratuitamente la tessera del partito “vecchio”.
Nei prossimi giorni ci dovrebbe essere il risultato definitivo. Da tenere presente che secondo gli ultimi dati pubblicati nel 2017 gli iscritti erano circa 80 mila: 19 mila cosiddetti “militanti” e 60 mila “sostenitori”.
Quindi non una grande differenza rispetto alla cifra annunciata prima del lockdown. Ma quel che non dice la propaganda è che una fetta importante dei militanti storici non ha rinnovato l’iscrizione. I responsabili dell’organizzazione di un tempo parlano di almeno un terzo. Almeno il 30 per cento, dunque, rinuncia.
Molti di loro si definiscono bossiani, maroniani. Ma non salviniani. E si allontanano proprio perché manca la parola per loro “magica”: Nord. L’indipendenza, il federalismo, l’Autonomia era la ragione sociale della forza politica ideata da Bossi.
Senza quelle prospettive – giuste o sbagliate che fossero -, si assiste ad una mutazione genetica della Lega. Il “padano” che impegnava le vacanze nelle feste di partito si sente “disimpegnato” dal personalismo sovranista.
Ma la strategia ormai è segnata:
Salvini punta a compensare l’esodo nordista con i nuovi ingressi, anche “sudisti”. La sua Lega Nazionale apre i battenti alla destra da Napoli a Palermo. Eppure, se si prende l’ultimo bilancio ufficiale del Carroccio si capisce che l’operazione non sarà facile. Che la militanza settentrionale è ancora assolutamente prevalente, a partire dal piano economico. I contribuenti che hanno versato nella dichiarazione dei redditi il 2xmille alla Lega sono stati 63.689 per un totale di 753.093 euro.
La distribuzione geografica è illuminante: i finanziatori più numerosi sono i lombardi, circa 24 mila. Seguiti dai veneti, circa 20 mila. Terzi sul podio i piemontesi: 5 mila. Le regioni del sud sono, come prevedibile, i fanalini di coda. Ma molto in coda. I sardi sono più attivi ma non arrivano a trecento e i siciliani sono appena 266. Numeri che hanno ancora più irritato i “militanti ignoti” del nord.
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 19th, 2020 admin
ABROGARE BORGHI E LE SUE TEORIE ANTI-UE… IL BISOGNO DI RAPPRESENTARE I BISOGNI DEL NORD DIETRO LE PROFEZIE DI GIORGETTI E IL PROTAGONISMO DI ZAIA… DAL SOVRANISMO AL PRAGMATISMO
Quella Cassandra di Giorgetti lo aveva detto in tempi non sospetti, lo raccontano in molti: “In Italia volevano fare accordi coi francesi contro i tedeschi e poi, tac, quelli fanno l’accordo, e ti rendi conto che c’è un europeismo a trazione tedesca”.
Il sottotesto evidente è che i 500 miliardi a fondo perduto che Parigi e Berlino propongono di mettere in campo al posto del Recovery Fund, in proporzione ai bisogni creati dalla pandemia sono una novità politica.
Lo aveva detto, la Cassandra leghista, che oggi, dopo la lettura dei giornali, ha consegnato una pillola di saggezza a qualche amico che tanto assomiglia a un messaggio a chi vuole intendere: “Vogliamo parlare di nazionalismo? Beh, il nazionalismo è la capacità di incidere facendo gli interessi nazionali con le regole date”. Il che non fa una piega a livello teorico.
Se il concetto viene poi confrontato con l’intervista data al Foglio da Claudio Borghi sulla necessità di “abrogare Giorgetti”, posizionare la Lega su una linea anti-europeista, abolire il pareggio di bilancio, nutrirsi di scetticismo rispetto al sistema tradizionale di alleanze atlantiche, allora sì capisce di cosa si sta parlando.
Ecco il punto: va bene la manifestazione del centrodestra, anche se ancora non c’è uno straccio di canovaccio, va bene la piazza a un metro di distanza, il recupero di un minimo di normalità dopo lo stato di eccezione ma una mobilitazione non basta senza un “progetto politico”.
O meglio, mantenendo una ambiguità su due progetti politici, la cui convivenza finora, nella Lega, è stata garantita dalla leadership di Salvini nella fase dell’ascesa prima, del potere poi, dell’opposizione facile fino a poco tempo fa: Borghi e Giorgetti, Bagnai e Zaia, la Lega sovranista e la Lega pragmatica dei produttori, il “no euro” e il “sì euro”. Quel che sta accadendo, complice il declino nei consensi, il quadro mutato, il grido di dolore dell’Italia reale più rumoroso del ruggito di qualunque Bestia, è che questa tensione, dentro la Lega, è squadernata.
E c’è un motivo se, negli ultimi tempi, il governatore del Veneto concede un’intervista politica al giorno, anzi sempre più politica, da interprete autentico del nord operoso e realista avvezzo a lavorare con gli imprenditori tedeschi, senza chiacchiere ideologiche sull’Euro, che rivendica l’autonomia perché “non oso pensare cosa sarebbe stata questa epidemia se tutto fosse stato gestito da Roma”.
In parecchi, fuori e dentro la Lega, hanno interpretato questo protagonismo guadagnato sul campo con una gestione efficiente dell’emergenza, senza polemiche politiche col governo nazionale e senza i disastri lombardi, come una candidatura alla leadership o, se preferite, l’affermazione di una leadership sostanziale, destinata prima o poi a diventare reale.
In verità, il messaggio è tutto in una frase che Salvini ha capito bene. In quel “ma no, io vengo dalla campagna”, professione di finta modestia con cui il governatore del Veneto ha smentito le sue ambizioni.
È un messaggio (per Salvini) che suona più o meno così, detta in modo un po’ sbrigativo, ma che rende l’idea: io non ti vengo contro, non faccio né conte interne, né un’Opa ostile, né scissioni, ma è ora di scegliere una linea, meno improvvisata, meno da cazzari, che tenga conto dell’enorme bisogno di serietà e di governo che viene innanzitutto dal Nord, dopo la fase degli aperitivi, del “chiudiamo, ma anche no”, “apriamo ma anche no”, collaboro anzi non collaboro, “sosteniamo Draghi” anzi “usciamo dall’euro”.
Perché è evidente che il Nord è all’opposizione del governo, si capisce anche dalle parole del sindaco di Milano Sala, ma chiede un’alternativa di governo, non persa nell’ideologia del “no euro”: soldi alle imprese, autonomia, una classe dirigente degna di questo nome, visto che dal Po in giù praticamente è inesistente e a fine settembre si vota.
Ci risiamo, Salvini, che questi ragionamenti non li ha appresi dalle pagine dei giornali ma da una serie di confronti diretti, deve scegliere e comunque prima o poi sarà costretto a farlo perché quel che vale per il governo, e cioè che prima o poi la ricreazione finirà perché lo scenario emergenziale potrebbe diventare drammatico, vale anche per le attuali leadership in campo.
In un recente incontro con un diplomatico Giorgetti si è sentito rivolgere questa domanda: “Ma la linea è quella tua o quella di Salvini?”.
Al momento la risposta non c’è. Ma ogni Cassandra che si rispetti si affida al tempo, sperando che non sia tardi.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 5th, 2020 admin
IL QUOTIDIANO ECONOMICO BRITANNICO DEDICA UN EDITORIALE AL GOVERNATORE LEGHISTA, LUI SI SCHEMISCE: “E’ SOLO UN MOMENTO PARTICOLARE”
“L’astro nascente di Venezia offusca Salvini”. E’ il titolo di un editoriale pubblicato oggi sul
Financial Times e dedicato al governatore del Veneto Luca Zaia.
L’articolo cita un sondaggio del politologo dell’università Luiss Roberto D’Alimonte, secondo il quale mentre la Lega scende dal 34 per cento dei consensi ottenuti alle ultime elezioni europee al 25-26% per cento, quelli personali di Zaia sono saliti attorno al 50 per cento.
Un alto indice di gradimento, quello riscosso dall’esponente leghista, confermato anche da uno studio di Ilvo Diamanti pubblicato su Repubblica, che pone Zaia al primo posto nella classifica sull’apprezzamento dei leader con una percentuale che supera il 50 per cento.
L’articolo sul quotidiano economico britannico parla dunque di un “offuscamento” della parabola di Matteo Salvini causato dall’affermazione, graduale ma inesorabile, del governatore. Con la frenata a un’ascesa politica che durava da 4 anni e pareva inarrestabile, “la minaccia più pericolosa” per il capo della Lega “non arriva dai suoi numerosi nemici ma dall’interno del suo stesso partito”, scrive appunto il FT.
A suffragio di questa tesi, vengono offerte una serie di motivazioni. Durante l’emergenza italiana del coronavirus Salvini “ha faticato a stabilire l’agenda come faceva prima”, facendo “scivolare la Lega nei sondaggi”, e “lo sfidante alla leadership è ora il presidente della Regione Veneto Luca Zaia, dopo che la sua strategia di lotta al Covid-19 ha attirato l’attenzione globale”.
Lombardia e Veneto, spiega il quotidiano della City, sono state le due regioni inizialmente più colpite dal virus. Entrambe guidate da governatori leghisti, hanno adottato approcci diversi ma il “modello veneto” è risultato vincente, con 1.500 morti contro i 14 mila della Lombardia, grazie a una politica di test e tracciamento dei contagi. Il governatore Zaia, spiega ancora il Ft, è stato definito dai giornali “mr 80%” o “il Doge”.
Zaia, da parte sua, si schermisce: “Astro nascente? E’ un’ossessione, stiamo parlando di sondaggi fatti in un momento particolare. Non me ne frega niente”, dice rispondendo sulle ipotesi di un impegno politico nazionale, “L’obiettività - ha aggiunto Zaia - porta a dire che nella classifica sono in testa tutti quelli che si sono occupati di coronavirus, da Conte in giù. Poi la politica ha un corso diverso dal coronavirus, non sono minimamente interessato, lasciatemi fuori da queste manfrine”.
Zaia poi cita Sallustio: “Il sentimento che viene dopo la gloria è l’invidia, dobbiamo governare una regione complessa e non abbiamo tempo da perdere con le distrazioni. E stavolta è vero - scherza - non è Eracleonte da Gela”.
(da agenzie)
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Maggio 3rd, 2020 admin
EVITA DI INTERVENIRE SULLE QUESTIONI NAZIONALI, MANTIENE IL PROFILO BASSO MA ORA E’ PREFERITO A SALVINI DAI LEGHISTI
Il temperamento di un politico lo si vede dai particolari: Luca Zaia, 52 anni, è presenza fissa nelle
seguite reti locali, che siano Telenuovo, Telearena, Canale Italia o Serenissima Tv; ma centellina col contagocce la propria voce quando c’è da intervenire sulle questioni nazionali, sui giornali e men che meno nei talk show.
Quando poi si esprime andando fuori dai confini veneti, raramente regala quei titoli urlati che invece tanto piacciono, da sempre, al capo del suo partito, Matteo Salvini.
Zaia quindi è un politico dai piccoli passi misurati, ma sempre un po’ più avanti; un democristiano fuori tempo massimo, capace di navigare nelle acque tempestose della Lega (Nord) e del centrodestra senza mai uno strappo clamoroso.
Venetista più che veneto, gavetta militare e laurea in veterinaria, a 29 anni già presidente della provincia a Treviso, di cui prima era stato assessore all’Agricoltura, poi vicepresidente di Regione, ministro - sempre all’Agricoltura - con Silvio Berlusconi e infine presidente della sua regione da dieci anni, la prima volta di un leghista che conquistava in prima persona il Veneto.
A casa sua ha sempre stravinto, incarnando la figura del politico che fa contenti un po’ tutti quelli che contano da quelle parti: gli industriali, i piccoli imprenditori, gli artigiani, gli allevatori, e infine la chiesa, gli amministratori locali.
Da anni presidia sagre e feste di paese e come facevano un volta i democristiani (appunto) incontra regolarmente chiunque abbia bisogno di un colloquio.
Parla come i propri concittadini, si veste come loro, si atteggia come loro: lavorare, lavorare, lavorare, pochi voli pindarici con le teorie politiche, incrollabile fede nelle virtù del mercato e degli schei, concretezza, ampio utilizzo del dialetto e i locali per divertirsi.
Bossiano con Umberto Bossi, maroniano con Roberto Maroni, salviniano con Salvini, ex “amico fraterno” del rinnegato già sindaco di Verona Flavio Tosi, in questo Zaia somiglia e si intende molto a e con Giancarlo Giorgetti, un altro che ha imparato bene la lezione in un partito che non ha mai ammesso voci fuori dal coro: mai disturbare il manovratore, anche quando le combina grosse (vedi la scorsa pazza estate del “Capitano”, mossa mai capita davvero da Zaia ma non contestata pubblicamente), perché tutto passa e tutti passano ma la Lega resta.
Solo che adesso l’emergenza covid ha certificato che le due storiche leghe - quella lombarda, che è sempre stata più forte, e la Liga Veneta - hanno una resa differente. La prima comanda, ma la seconda appare funzionare.
Tanto che Salvini è stato costretto a prestare un pezzo del proprio staff comunicazione, la famosa “Bestia”, per risollevare le sorti di una Lombardia uscita a pezzi dalla gestione della pandemia. E se la Lombardia affonda, affonda anche il milanese Salvini. Questo nel mentre, anche con una certa dose di malizia, centrosinistra e 5 Stelle sottolineano le virtù venete nell’approccio della crisi, dal modello sanitario legato al territorio ai test a tappeto sulla popolazione.
Oggi gli indici di gradimento di Zaia, se messi a confronto con quelli di Salvini, dicono che tra i due non ci sarebbe partita. Ma se qualcuno si aspetta una mossa del presidente del Veneto, un assalto al comando di quel che ancora rimane il primo partito italiano, rimarrà deluso. Non rientra nel modus operandi di Zaia, un politico ambizioso ma abituato a imporsi senza rotture.
(da agenzie)
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Aprile 24th, 2020 admin
NELLE TRUPPE LEGHISTE STANCHE DI SALVINI SI FA STRADA LA SUGGESTIONE DI UN CAMBIO DELLA GUARDIA PER UNA LEGA NON SOVRANISTA
E’ il presidente che ha reagito meglio all’emergenza Covid-19, nella sua Regione ha un consenso che è quasi plebiscitario. Tanto che, secondo un sondaggio della maga dei numeri Alessandra Ghisleri (Euromedia Reasearch), Luca Zaia ha un indice di gradimento che si attesta all’80,5%.
Un numero significativo che in rapporto alla popolazione non è dissimile a quello della cancelliera tedesca Angela Merkel.
L’altra Lega di Zaia non è più una fantasia ma è sempre più una realtà.
Si muove in silenzio il doge, nato e cresciuto in una famiglia democristianissima, il diversamente leghista che preferisce rispondere non con le parole, ma con i fatti. E non a caso da quando è esplosa questa pandemia dalle parti di via Bellerio alti dirigenti che si trincerano dietro l’anonimato fanno un ragionamento che più o meno suona così: “Luca (Zaia ndr.) non ha mai fatto polemiche politiche, ha preso dal governo quello che poteva prendere, ha fatto da solo, senza inveire contro l’esecutivo di Conte. E se fa un passo in avanti, come quello sulla riapertura, lo fa perché ne è consapevole. Attilio (Fontana ndr.) invece ha cercato di dare colpe al governo, senza però dare l’idea di come gestire la situazione”.
Eppure dietro queste parole che ruotano attorno alla contrapposizione fra Veneto e Lombardia si cela un’altra annosa questione che inizia a prendere forma nei passaparola delle truppe del fu Carroccio.
Ecco allora la domanda che ricorre con più insistenza fra Montecitorio e Palazzo Madama: “E se Luca scendesse in campo?”. Silenzio.
Ed è un dilemma che registra un malessere diffuso, un sentimento dovuto oggi al fatto che “ nella fase due non possiamo pensare di aiutare il Paese con le dirette instagram o con le piazzate su Telelombardia”.
Ecco, la prospettiva del dopo rimanda a una opposizione della responsabilità sul modello del Veneto, di una Lega di governo, pragmatica, che piace agli imprenditori, che viene apprezzata da Forza Italia e da tutto la galassia moderata.
Non a caso, alla fine del 2017, a poche settimane dalle elezioni politiche, Silvio Berlusconi si era lasciato scappare: “Se non posso correre io, indico Zaia”.
Sappiamo tutti come è andata a finire. E sappiamo che da quel momento in poi l’ex ministro dell’Interno e la Bestia di Luca Morisi hanno scalato il centrodestra e poi hanno primeggiato alle Europee del 2019.
Ma oggi il quadro è cambiato, non c’è più la piazza, né tanto meno la campagna elettorale. Per la prima volta la leadership di Salvini appare in crisi e, dettaglio di non poco conto, si staglia il volto di Zaia.
Che in questa emergenza si è beccato i complimenti dell’Università di Harvard per essersi mosso in maniera efficace e in particolare per aver adottato “un approccio molto più proattivo al contenimento del virus”, si legge nella rivista scientifica “Harvard Business Review”.
“E se Luca scendesse in campo?”. Al dilemma nessuno osa rispondere. Non è dato sapere se sono maturi o meno i tempi per la nascita di un’alternativa al salvinismo. Di una nuova Lega non sovranista. Di un nuovo Carroccio a trazione Zaia-Giorgetti.
Pare che il primo non parli con il secondo ma tutti sanno che Giorgetti è un uomo partito che è sopravvissuto a tutte le stagioni. Nell’attesa “Luca” non ha ancora sciolto la riserva sul terzo mandato. “Non è così scontato che si ricandidi”.
Sarà un caso? Qualcuno ironizza e la mette così: “A Galan non portò bene il terzo mandato. Ecco perché il presidente frena”. E allora potrebbe accadere che questa sia la volta buona, che siano maturi i tempi del grande passo del leghista “democristiano”. E se a via Bellerio osservano che “Zaia non farà mai la prima mossa, non si metterà mai pubblicamente contro Salvini, ma forse aspetterà la fine del salvinismo”, nel frattempo il doge si gode la scena assieme al plurivotato Roberto Marcato, assessore regionale allo Sviluppo economico. E con il fedelissimo Marcato rimembra una frase che una volta pronunciò Salvini: “La Lega è la Lombardia, il Veneto non esiste”.
Forse non sarà più così.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 19th, 2020 admin
SPINTONI, INSULTI E MINACCE: DIRIGENTE LEGA BLOCCATO DOPO AVER FORZATO SERVIZIO D’ORDINE
Ci sono stati anche momenti di tensione all’interno del teatro Augusteo, dove si è tenuta la manifestazione della Lega.
Dario Renzullo, figlio di Claudio Renzullo, dirigente di Alleanza Nazionale, ha forzato il blocco del servizio d’ordine che ormai aveva impedito l’accesso visto il tutto esaurito.
Dopo una prima colluttazione, l’ex Casapound ha iniziato a minacciare i membri del servizio d’ordine, per poi prendersela con un operatore, il quale si è sentito dire anche “Tu ti salvi solo perché sei disabile”.
Soltanto l’intervento della Digos è riuscito a placare gli animi ed a identificare Renzullo.
(da Anteprima24)
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