Gennaio 2nd, 2019 Riccardo Fucile
L’ANCI SI SCHIERA CON ORLANDO CONTRO IL DECRETO RAZZISTA CHE CREA SOLO PIU’ INSICUREZZA
Dai sindaci al Parlamento in nome dei diritti costituzionali: dritto fino alla Consulta. In questi
primissimi giorni del nuovo anno, prende forma una sorta di reazione alle politiche del governo gialloverde.
In maniera variegata, magari un po’ disordinata ma qualcosa si sta muovendo pian piano nel tessuto sociale e politico soprattutto di area centrosinistra ma non solo.
E come spesso è accaduto negli ultimi anni (si ricordino i ricorsi sulle leggi elettorali), si invoca la Corte Costituzionale: in forma diretta, nel caso del ricorso presentato dal gruppo parlamentare del Pd al Senato per la compressione del dibattito parlamentare sulla manovra economica; oppure in forma meno diretta, come per la sollevazione dei sindaci contro il decreto sicurezza voluto fortemente da Matteo Salvini e approvato dalla maggioranza gialloverde lo scorso autunno.
Iniziamo da quest’ultimo dossier. Ad aprire le danze ci pensa il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, che spesso agisce di sua iniziativa, senza coordinamenti con altre reti o altri colleghi.
Lo fa anche oggi e la sua mossa di “sospendere” l’applicazione del decreto sicurezza ha l’effetto di togliere il tappo alle discussioni interne già vive da mesi all’Anci, oltre che quello di far infuriare Salvini.
Da tempo il presidente Antonio Decaro ha raccolto il malessere dei sindaci contro il decreto sicurezza che aggiunge tutta una serie di problemi pratici ai primi cittadini. Tanto che le lamentele sono arrivate non solo dai sindaci di centrosinistra, ma anche dall’assessore al welfare di Roma Laura Baldassarre della giunta pentastellata di Virginia Raggi, nonchè da amministratori di Forza Italia, come Silvana Romano, assessora a Gorizia di una giunta di centrodestra.
Sia Baldassarre che Romano hanno infatti firmato un documento della commissione Immigrazione dell’Anci critico del dl sicurezza, insieme ad altri assessori, sindaci e consiglieri di tutta Italia. La prima si è fatta pure promotrice di una apposita mozione approvata nel consiglio capitolino, simile a quella voluta da Virginio Merola (Pd) a Bologna.
Ecco, tutto questo oggi è esploso.
Con Orlando si sono schierati sindaci di diverse provenienze politiche della sinistra e del centrosinistra, renziani e anti-renziani, da Luigi De Magistris di Napoli a Giuseppe Falcomatà di Reggio Calabria, Dario Nardella di Firenze, Alessio Pascucci di Cerveteri in prima fila alla manifestazione di Riace contro l’arresto di Mimmo Lucano.
E naturalmente c’è anche lui, proprio Lucano, che ora ha ancora divieto di dimora nel suo paese in Calabria: “Sono d’accordo con Orlando. Bisogna disobbedire perchè è un decreto contro i diritti umani e la dignità degli esseri umani. Non è una novità : io l’ho già fatto e mi trovo in queste condizioni…”.
Spiega Nardella, al telefono con Huffpost: “A Firenze stiamo provando a sterilizzare le conseguenze del decreto sicurezza. Prima di Natale abbiamo fatto partire un tavolo, che si riunirà dopo la Befana, con il mondo del volontariato laico e cattolico, dalla Curia alla Caritas, ai sindacati, le istituzioni locali, il mondo del lavoro. L’obiettivo è creare un circuito di accoglienza parallelo per chi sarà espulso dai centri di accoglienza per effetto del decreto Salvini: potrebbero essere 900 su un totale di 1800. Il punto è che vengono espulsi dai centri di accoglienza, non dal paese: non sanno dove andare, rischiano di cadere preda della criminalità organizzata oppure rischiano la vita. Per questo tentiamo di individuare un circuito parallelo. Certo, non so quanto potrà durare. Per questo ben venga una mobilitazione nazionale dei sindaci: il decreto ci ha creato problemi pratici da gestire, va cancellato e riscritto”.
Il presidente dell’Anci Decaro chiede un tavolo di discussione al ministero degli Interni: “È evidente, a questo punto, l’esigenza di istituire un tavolo di confronto in sede ministeriale per definire le modalità di attuazione e i necessari correttivi a una norma che così com’è non tutela i diritti delle persone. Noi sindaci l’avevamo detto prima che il decreto fosse convertito in legge attraverso la posizione della commissione immigrazione dell’Anci che all’unanimità , indipendentemente dall’appartenenza politica dei singoli componenti, si era espressa negativamente sul provvedimento, ritenendo che i diritti umani non siano negoziabili”.
Appunto: diritti non negoziabili, garantiti dalla Costituzione.
Il decreto sicurezza è “un provvedimento disumano perchè, eliminando la protezione umanitaria, toglie ogni residuo di comprensione nei confronti del dramma dei migranti – spiega Orlando – ma anche criminogeno perchè trasforma in ‘illegale’ la posizione ‘legale’ di chi ha regolarmente un permesso di soggiorno. Un permesso che viene ottenuto per ragioni umanitarie e che alla scadenza non può essere riconfermato perchè non c’è più la protezione umanitaria. Un permesso – continua Orlando – che viene dato per effetto di un contratto di lavoro e che viene meno appena scade, senza i sei mesi necessari per potere trovare nuovo lavoro”.
I sindaci si stanno muovendo ora, ognuno di loro sta cercando una strada per limitare i danni del decreto sicurezza.
Ma è chiaro che questa storia ha tutte le potenzialità per finire davanti a un giudice, chissà se anche costituzionale. Basti vedere la reazione di Salvini ai microfoni di Radio1: “Saranno gli elettori a giudicare l’operato dei sindaci”, “non sarò io a rimuoverli”, ma la protesta è “un fatto gravissimo. Invece di occuparsi dei problemi delle loro città , questi sindaci pensano agli immigrati. Ne risponderanno personalmente, legalmente, civilmente”.
Intanto alla Consulta si rivolge direttamente l’altro pezzo di protesta che comincia a muoversi contro il governo gialloverde, che pure continua a godere del favore dei sondaggi. Ed eccoci alla storia del ricorso del Pd in Corte Costituzionale.
Il 9 gennaio i 15 giudici della Suprema Corte dovranno decidere sull’ammissibilità del ricorso presentato dal gruppo parlamentare del Pd al Senato per lesione delle prerogative del Parlamento.
Contestano il fatto che la manovra economica sia stata presentata in Parlamento fuori tempo massimo per garantire un minimo di esame e discussione prima del voto. Sono 37 le firme in calce: cifra non casuale, di poco superiore a un decimo dei componenti di Palazzo Madama, la quota che può chiedere la mozione di sfiducia o che un provvedimento sia spostato da una commissione all’altra.
Ora: può sembrare la semplice iniziativa di un gruppo parlamentare di minoranza, iniziativa sostenuta naturalmente anche dal gruppo Dem della Camera.
Ma dalla sera del 31 gennaio i proponenti coltivano qualche speranza in più di riuscire nell’intento. Hanno presentato il ricorso prima della firma del presidente Sergio Mattarella al testo della manovra, proprio per sottolineare i ritardi del governo non certo quelli del presidente.
E ora nel discorso di auguri per il nuovo anno da parte del capo dello Stato ritrovano quei riferimenti che potrebbero aiutare la causa del ricorso.
Mattarella infatti non ha mancato di sottolineare il dato oggettivo che solo la sera prima ha potuto firmare “la legge di bilancio nei termini utili a evitare l’esercizio provvisorio, pur se approvata in via definitiva dal Parlamento soltanto da poche ore”. Insomma, i Dem ci leggono una critica alla compressione dei tempi della discussione parlamentare sulla manovra e dunque una possibile spinta affinchè la Corte Costituzionale dichiari il ricorso ammissibile.
Se questo sarà il verdetto, poi ci sarà la decisione di merito che però non invaliderà la manovra, potrebbe solo piantare paletti per il futuro, affinchè non accada più.
Ma chissà che ne nasca uno scontro tra il governo e la Corte Costituzionale, è comunque presto per prevedere alcunchè.
Di certo, forse, qualcosa si muove contro uno dei governi più popolari degli ultimi anni.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 2nd, 2019 Riccardo Fucile
CHE COMICHE: ORA CERCA UN ACCORDO CON I VERDI EUROPEI PER CREARE UN GRUPPO ANTI-SALVINI DOPO CHE GOVERNA CON SALVINI
Si lavora per la rimonta e per arginare la Lega. La prima tappa del 2019 è infatti Bruxelles. E’ qui che Luigi Di Maio tornerà già all’inizio della prossima settimana per discutere e a ultimare il “Manifesto dei sette”
Manifesto che vuole essere anti-Salvini e contro le destre estreme, che mira a riformare l’Eurozona, a scardinare l’asse franco-tedesco e a rompere la storica alleanza tra Partito popolare europeo e Partito socialista europeo.
Gli accordi con i leader dei partiti degli altri sei paesi europei, con i quali il Movimento 5 Stelle vorrebbe formare un nuovo gruppo in Europa, devono essere chiusi nei prossimi dieci, massimo quindici giorni, perchè a fine gennaio deve già iniziare la campagna elettorale che vedrà in prima fila Alessandro Di Battista ma anche gli altri big del partito, ai quali il capo politico ha chiesto una disponibilità di almeno tre giorni a settimana per girare tutta l’Italia ma non solo.
Con Di Battista, appena tornato dal centro America, il capo politico ha studiato anche le tappe da fare all’estero durante il tour, in particolare nei Paesi dove si trovano i partiti con i quali si sottoscriverà questo manifesto, di cui il Movimento 5 Stelle punta ad essere il promotore immaginando di conquistare più seggi rispetto agli altri alleati europei.
“Miriamo a oltre trenta eurodeputati e la campagna elettorale sarà totalmente diversa da quella della Lega”, spiega un deputato M5s che si sta occupando del dossier Europee: “Diversa dunque dalla propaganda sovranista/euroscettica, piuttosto la nostra campagna sarà euroresponsabile”.
Sulla trattativa che ruota attorno al Manifesto c’è il massimo riserbo, così come sui partiti che aderiranno. Dopo il fallimento del passaggio dei pentastelli nel gruppo dei liberali di Alde, tentato lo scorso anno per svincolarsi dagli euroscettici dell’Ukip di Nigel Farage del gruppo Efdd, ora si pensa – dicono – a gruppi post ideologici e a movimenti civici.
Il M5s guada ai Verdi tedeschi, con cui si prova a ricucire dopo che alterne vicende hanno portato ultimamente a un allentamento quando Ska Keller ha detto che M5s non è appunto un movimento verde.
Eppure è sull’ambiente che i grillini vogliono recuperare terreno dando una forte impronta in questo senso anche al manifesto in via definizione.
Si pensa infatti anche ai Verdi austriaci e ad altre formazioni minori come il Partito dei Liberi Cittadini ceco, il polacco Korwin (ex Congresso della Nuova Destra) e Ordine e Giustizia della Lituania.
I nodi principali restano Francia e Spagna. Nel primo caso si escludono alleanze con “En Marche” di Emmanuel Macron, sempre nel mirino del governo italiano per la questione immigrati, ma anche con i gilet gialli.
Per quanto riguarda la Spagna viene esclusa un’alleanza anche con Ciudadanos guidato da Albert Rivera e anche qui si guarda a un movimento civico.
Tra i punti chiave dell’agenda pentastellata per il voto di fine maggio c’è senza dubbio il tema dell’ambiente, punto chiave in questa faticosa ricerca di alleati, l’abolizione del Fiscal Compact e degli eurobond, lotta all’austerità , un’economia circolare, investimenti in innovazione e nuove attività produttive esclusi dal limite del 3 per cento annuo di deficit di bilancio, i finanziamenti per attività agricole e allevamento finalizzati ai consumi nazionali interni, i finanziamenti in attività agricole e l’abolizione del pareggio di bilancio.
Su questi temi Di Maio cerca la convergenza di partiti che siano lontani dall’establishment e dalla destra di Salvini nella speranza che M5s diventi capofila di un gruppo in Europa.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 2nd, 2019 Riccardo Fucile
“NON POSSO ESSERE SERVO DI QUALCUNO CHE STA ANDANDO IN DIREZIONE DIVERSA DA QUELLA PROMESSA AI CITTADINI”
“Io non mi aspettavo questa decisione. Non sapevo nulla in particolare del procedimento in corso
se non che era stato avviato, come atto dovuto, dal capogruppo al Senato Stefano Patuanelli. La segnalazione ai probiviri era stata fatta perchè non avevo votato favorevolmente la fiducia al decreto sicurezza uscendo dall’aula”: il senatore Gregorio De Falco a Radio Radicale attacca il MoVimento 5 Stelle e annuncia appello al comitato di garanzia contro l’espulsione comminatagli il 31 dicembre dai probiviri grillini.
Io — aggiunge De Falco — avevo fatto presente di non aver votato contro, ma di non aver votato per evitare di provocare un danno politico al Movimento. Ero semplicemente uscito dall’aula per abbassare il quorum. Da quel momento non ho saputo più nulla”.
“Formalmente non ho ricevuto nessuna notifica formale. Speravo che il Movimento avesse adottato nei miei confronti un provvedimento di buon senso e, soprattutto, non autolesionistico. Credo che in questo modo — ha aggiunto — si faccia il male del Movimento nell’ammettere, nel sottoscrivere e nel confermare che nel Movimento non può esserci alcun dialogo, alcun dissenso. Non c’è stato dialogo. E il mio dissenso non è stato considerato accettabile”.
In merito alla presenza di esponenti del Governo nel collegio dei probiviri, De Falco spiega: “Nel collegio dei probiviri dovrebbe esserci, anche se non lo evinco dalla decisione dei probiviri in quanto non firmata, anche il ministro dei Rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro. Questa situazione crea un’inscindibile confusione e annulla ogni divisione dei poteri che è alla base di una democrazia moderna e occidentale. E fa a pugni con la cultura democratica”.
In merito al ricorso circa la decisione dei probiviri, De Falco annuncia: “Ci sono cinque giorni per fare ricorso, ma ne sono già passati due dal 31 dicembre. Mi rivolgerò a qualcuno che conosce bene queste procedure. Non ho dimestichezza con queste cose e non penso di riuscire ad acquisirla in tre giorni. Io -prosegue — confido ancora che il Movimento 5 stelle possa avere, in autotutela della propria storia, la capacità di tornare sui suoi passi e annullare questo provvedimento perchè è incostituzionale e sbagliato. E la politica che sta seguendo il Movimento è differente da quello che ha promesso ai suoi elettori”.
Si ritiene indispensabile? “Io non sono indispensabile. La regola dei due mandati dice questo. Ma ognuno è indispensabile in quanto portatore della coscienza e coerente con gli obblighi e i doveri del proprio ruolo. Io — conclude De Falco -, come rappresentante dei cittadini, non posso essere servo di qualcun altro che sta andando in direzione diversa dalle promesse fatte ai cittadini”.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 2nd, 2019 Riccardo Fucile
DOPO L’ANNUNCIO DI ORLANDO CHE NON APPLICHERA’ IL DECRETO SALVINI, SI ESTENDE LA RETE DEI RIBELLI: DA DE MAGISTRIS A NARDELLA, DA PIZZAROTTI A FALCOMATA’, DA PASCUCCI AD ALESSANDRINI
Leoluca Orlando sospende le misure del decreto Salvini. Il sindaco di Palermo chiede al responsabile dell’anagrafe di “approfondire tutti i profili giuridici anagrafici” che deriveranno dall’applicazione della norma, ma, in attesa di questo approfondimento, scrive il primo cittadino “impartisco la disposizione di sospendere, per gli stranieri eventualmente coinvolti dalla controversa applicazione della legge, qualunque procedura che possa intaccare i diritti fondamentali della persona con particolare, ma non esclusivo, riferimento alle procedure di iscrizione della residenza anagrafica”.
Alla scadenza del permesso di soggiorno per motivi umanitari, i cittadini stranieri non potranno più iscriversi all’anagrafe; ma la norma colpisce anche i minori non accompagnati i quali hanno tutti il permesso di soggiorno per motivo umanitari, e gli stranieri che hanno il permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
A seguire le orme di Orlando è il sindaco di Firenze, Dario Nardella. “Firenze – afferma – non si piegherà al ricatto contenuto” nel decreto sicurezza “che espelle migranti richiedenti asilo e senza rimpatriarli li getta in mezzo alle strade. Il fatto grave del decreto è che individua un problema ma non trova una soluzione. Ci rimboccheremo le maniche perchè Firenze è città della legalità e dell’accoglienza, e quindi in modo legale troveremo una soluzione per questi migranti, fino a quando non sarà lo Stato in via definitiva a trovare quella più appropriata”.
“Il governo non sta facendo i rimpatri che aveva promesso di fare -aggiunge Nardella -. Come Comune ci prenderemo l’impegno di non lasciare nessuno in mezzo alla strada, anche se questo comporterà per noi un sacrificio in termini di risorse economiche. Non possiamo permetterci di assistere a questo scempio umanitario. Riteniamo che molti di questi migranti siano persone animate da buonissime intenzioni, che vogliono fare qualcosa di positivo per questo paese e che magari potrebbero essere integrate in modo corretto”.
“Siamo già a lavoro – conclude – e abbiamo deciso di aprire un tavolo con tutto il mondo del terzo settore, del volontariato, del privato sociale, che già rappresenta un protagonista fondamentale in tutto quello che è il processo di governo dei flussi dei migranti”.
Si dice d’accordo con Orlando anche il sindaco sospeso di Riace Mimmo Lucano, che all’AdnKronos afferma: “Bisogna disobbedire perchè è un decreto contro i diritti umani e la dignità degli esseri umani. Non è una novità : io l’ho già fatto e mi trovo in queste condizioni”, riferendosi all’inchiesta che lo coinvolge.
C’è poi il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, che, come riporta il quotidiano la Repubblica, rivendica di aver fatto subito questa scelta.
Fin dall’approvazione del decreto: “Ho schierato la mia città dalla parte dei diritti – dice a Repubblica – noi applichiamo le leggi ordinarie solo se rispettano la Costituzione repubblicana. È obbedienza alla Carta e non disobbedienza civile. L’iscrizione all’anagrafe è fondamentale, consente alle persone di avere diritti. Sono in ballo interessi primari della persona: l’assistenza, l’asilo. Ci muoviamo in questa direzione anche per il sistema Sprar che è un’esperienza da tutelare mentre questo governo punta a riaprire centri affollati, depositi di persone che rischiano di trasformarsi in vere e proprie bombe umane”.
Anche il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, esprime la sua vicinanza a Orlando: “Mi sento vicino al sindaco Orlando – dice -, al suo impegno contro l’odio e capisco la sua fatica per porre rimedio a norme confuse scritte solo per l’ossessione di fare propaganda e che spesso producono caos, più diffidenza e insicurezza per tutti. Tutto sulle spalle dei territori e degli amministratori locali. Dall’odio non sono mai nati la sicurezza e il benessere per le persone, ma solo macerie per i furbi e i più forti”.
Il primo cittadino di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà , è amareggiato: “Come sindaci avevamo rilevato queste problematiche fin da ottobre e non c’è stata alcuna concertazione e condivisione. Nella nostra città mai applicheremo norme che vanno contro i principi costituzionali e di accoglienza. A questo punto auspichiamo che il Viminale voglia incontrare l’Anci”.
Sono molti gli aspetti del decreto contestati: “Ci dicono di sgomberare gli irregolari e non ci dicono dove collocarli”, spiega. Ma i problemi non riguardano solo la gestione dei migranti: “Un aspetto che mi inquieta molto è anche la possibilità di vendere beni sequestrati alla mafia senza alcuna selezione. In questo modo il mafioso rischia, attraverso un prestanome, di rientrare in possesso del bene confiscato”.
Nel fronte dei disobbedienti c’è poi anche il sindaco di parma Federico Pizzarotti: “Da subito abbiamo segnalato che questo decreto, per come è scritto, crea solo problemi, difficoltà nell’avere documenti e quindi nell’inserirsi in un percorso regolare, anche per avere un lavoro. Queste persone ovviamente non scompaiono con il decreto sicurezza, ma restano sul territorio, con difficoltà dal punto di vista del riconoscimento. Cercheremo di capire come si muovono gli altri Comuni”
C’è poi il primo cittadino di Cerveteri, Alessio Pascucci che chiede invece una modifica del decreto: “Ai Comuni ora toccherà sobbarcarsi 280 milioni di euro di costi per la gestione del decreto, in termini di servizi sociali e sanitari rivolti ai soggetti vulnerabili. Chiediamo lo stralcio della parte relativa allo Sprar. E serve un tavolo di concertazione con l’Anci”.
Il sindaco di Pescara Marco Alessandrini: “Quella di Palermo è una scelta da studiare, su cui rifletterò. Ma questa è una situazione in cui noi sindaci ci troviamo per le scelte criminogene, sul piano dei diritti, fatte da Matteo Salvini. Per me valgono le parole di Mattarella. La questione della sicurezza – e della convivenza – si declina attraverso diritti e doveri. E ricordo che a Pescara, come in molte altre città d’Italia, il primo nato dell’anno è figlio di una famiglia di migranti”.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 2nd, 2019 Riccardo Fucile
E’ VIETATO E VA SANZIONATO CON UNA MULTA DI 1.162 EURO E IL SEQUESTRO DEL MEZZO
La rivista Oggi ha pubblicato uno scatto che ritrae Davide Casaleggio mentre gira con un
monopattino elettrico per le strade di Milano e più precisamente in Corso Como.
In Italia — precisa il settimanale, che pubblicherà gli scatti nell’edizione in edicola il 3 gennaio — hoverboard, segway e monopattini elettrici non possono circolare su strada e nemmeno sui marciapiedi, perchè il codice della strada non li contempla.
Unica eccezione, quelli con velocità massima 6 chilometri orari che vengono considerati, grosso modo, come giocattoli (se in mano ai bambini), ma possono circolare solo nei parchi e nelle aree dedicate.
Secondo la rivista Casaleggio avrebbe infranto l’articolo 97 comma 7, 8 e 9, l’articolo 171 comma 1, 2 e 3 e l’articolo 193 comma 2 del Codice della strada.
Rischierebbe 1.162 euro di multa più sequestro con confisca del mezzo.
Per quanto riguarda invece l’utilizzo in zone private, o in aree dove non vigono le regole stradali, come alcuni parchi o luoghi di svago, l’utilizzo dei monopattini elettrici è totalmente libero.
La normativa spesso si diversifica da comune a comune e in alcune città italiani i monopattini elettrici non possono circolare, neppure sulle piste ciclabili o sui marciapiedi.
Secondo la legge i minori di 16 anni non possono utilizzarli.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 2nd, 2019 Riccardo Fucile
AL CAPITOLO 26 SI PARLA GENERICAMENTE DI TAGLIARE I COSTI DELLA POLITICA… 15.000 EURO AL MESE PER I GRILLINI SONO UN PRIVILEGIO? FORSE CHE I 12.000 EURO CHE INCASSANO DA 6 ANNI NON LO SONO? PERCHE’ NON SE LO SONO DIMEZZATO?
Nonostante l’alleato leghista Matteo Salvini insista col dire che “le priorità degli italiani” siano “cose anche più concrete”, il Movimento Cinque Stelle, Luigi Di Maio in primis, tira dritto sui tagli degli stipendi ai parlamentari.
Anzi, questa misura, simbolo delle battaglie pentastellate, sarà una priorità del governo per il 2019.
Ma cosa dice il Contratto di governo M5s-Lega a riguardo?
Al capitolo 26 sotto il titolo ‘Tagli dei costi della politica, dei costi delle istituzioni e delle pensioni d’oro si legge:
“Riteniamo doveroso intervenire nelle sedi di competenza per tagliare i costi della politica e delle istituzioni, eliminando gli eccessi e i privilegi. Occorre ricondurre il sistema previdenziale (dei vitalizi o pensionistici) dei parlamentari, dei consiglieri regionali e di tutti i componenti e i dipendenti degli organi costituzionali al sistema previdenziale vigente per tutti i cittadini, anche per il passato. Occorre razionalizzare l’utilizzo delle auto blu e degli aerei di Stato oltrechè l’utilizzo dei servizi di scorta personale. Per una maggiore equità sociale riteniamo altresì necessario un intervento finalizzato al taglio delle cosiddette pensioni d’oro (superiori ai 5mila euro netti mensili) non giustificate dai contributi versati”.
In realtà nel testo non sono citati esplicitamente gli stipendi dei parlamentari ma da M5s spiegano che rientra sia nei costi della politica che in quello dei costi delle istituzioni dove si parla di ‘eccessi e privilegi.
E 15mila euro, sottolineano dentro M5s, sono sia un eccesso che un privilegio.
Ma visto che notoriamente i parlamentari grillini si tagliano lo stipendio solo di 3.000 euro, ci potrebbero spiegare perche’ uno stipendio di 12.000 euro al mese non sarebbe un privilegio? E perchè per tutta la precedente legislatura non hanno dato l’esempio dimezzandolo, come aveva promesso Di Maio, portandolo a 7.500 euro?
(da agenzie)
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Gennaio 2nd, 2019 Riccardo Fucile
MIGLIAIA DI CONDIVISIONI PER LO SFOGO DEL MEDICO: “CERCANO DISPERATAMENTE UNA SCUSA PER DEPOTENZIARCI E APRIRE UN CENTRO A FIRENZE”
In poc tempo una pioggia di condivisioni, oltre 10mila. Oltre tremila commenti e 24mila “mi
piace”.
Un successo per il post su Facebook di un chirurgo dell’Azienda ospedaliera di Pisa, Daniele Pezzati, in cui il medico si sfoga in difesa del suo lavoro e di quello dei colleghi anche contro i politici. “Cercano disperatamente – si legge – una scusa per depotenziarci e aprire un (inutile) ulteriore centro a Firenze”.
Il post era nato come occasione per fare gli auguri agli amici perchè, appena finito di effettuare un trapianto di fegato (il 160esimo in un anno, un record in Italia) era stato richiamato per un nuovo intervento.
“Non c’è stato tempo di festeggiare se non con un rapido caffè perchè siamo ripartiti subito per prelevare un altro fegato per il trapianto 161…”, ha scritto il medico.
Poi, rivolgendosi ai “piani alti della politica” e sottolineando che si tratta di “gente che, mentre facevo oltre cento notti di lavoro nel 2018, 700 ore di lavoro notturno, migliaia di km in auto aereo ed elicottero per andare a prelevare organi, dormiva comodamente nel proprio letto salvo poi riempirsi la bocca con i risultati miei e dei miei colleghi”, aveva aggiunto:
“A volte vorrei dire a questa gente di venire a farseli i trapianti, così io potrò passare le domeniche, Ferragosto, Natale, capodanno con i miei figli e fare il ‘posto fisso’ alla Checco Zalone, con 6.20 ore al giorno e stop”.
Nel suo messaggio il chirurgo ha ricordato le fatiche di chi fa questo lavoro in prima linea.
“Ieri sera mio figlio – aveva proseguito – era triste perchè non giocavo con lui e me ne andavo a lavoro. Io più triste di lui gli ho risposto che dovevo aiutare un tato che stava male. Non sa cosa vuol dire ma dice con fierezza che il suo babbo fa i trapianti e lo vuole fare pure lui. Sono fiero di ciò che faccio – aveva concluso Pezzati – ma stanco di vedere la sanità gestita da politici incompetenti che mi spremono come un limone non riconoscendo il sacrificio che costa fare ciò che faccio”
Parole quelle del chirurgo che sottolineavano il timore che, con l’apertura di un centro a Firenze, quello di Pisa potesse essere depotenziato.
Una struttura definita un’eccellenza stretta tra il costante aumento di pazienti e la necessità di programmi di innovazione.
E proprio in questi giorni, sul quotidiano “Il Tirreno”, il centro trapianti di fegato dell’Azienda ospedaliero-universitaria pisana (Aoup) aveva chiamato la politica e le istituzioni locali a difendere e favorire lo sviluppo di quella struttura.
E dopo il post del medico pisano, diventato virale, qualche cosa si è mosso ed è arrivata una risposta.
L’assessore regionale alla Sanità Stefania Saccardi ha commentato: “Come ho più volte ribadito, sia in occasioni pubbliche che in comunicazioni istituzionali, il Centro trapianti di fegato di Pisa è un’eccellenza nazionale, la sua attività non è messa in discussione da nessuno, e non c’è alcuna intenzione di depotenziarlo da parte della Regione. Chiunque si renda responsabile di dichiarazioni totalmente infondate, tali da suscitare allarme nei cittadini sarà chiamato a risponderne personalmente, anche attraverso l’adozione di provvedimenti disciplinari laddove ne ricorrano gli estremi”.
(da agenzie)
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Gennaio 2nd, 2019 Riccardo Fucile
ALL’ARDEATINO UN SENZATETTO TROVATO MORTO SU UNA PANCHINA, IN PIAZZALE LOTTO UN’ALTRA VITTIMA PER IL FREDDO…E IL GOVERNO PENSA A PENALIZZARE CHI ASSISTE I POVERI
Un uomo polacco di 50 anni è stato trovato morto in mattinata in un parco in piazza Lorenzo Lotto, nel quartiere Ardeatino a Roma.
L’allarme è scattato intorno alle 8. A notare il cadavere sono stati alcuni passanti e residenti della zona che hanno lanciato l’allarme.
Sul posto per i rilievi sono intervenuti il 118, i carabinieri della stazione San Sebastiano e della compagnia Eur. L’uomo è stato identificato. Si tratta di un senzatetto. Sul corpo non sono stati riscontrati segni di violenza. Sono ancora da chiarire le cause della morte.
Le ipotesi più accreditate sono che l’uomo sia stato colpito da un malore o che non abbia resistito al freddo. La salma è stata trasportata all’istituto di medicina legale di Tor Vergata, a disposizione dell’autorità giudiziaria.
A Milano un altro clochard è stato trovato senza vita a pochi passi dall’ospedale Fatebenefratell
E’ stato ritrovato in via Castelfidardo, a pochi metri dall’ospedale. L’allarme dei passanti, e l’arrivo dell’ambulanza e di un’auto medica. Purtroppo non c’è stato nulla da fare: l’uomo, un senzatetto di 62 anni di probabile origine romena, non ce l’ha fatta.
Il clochard, precisa la polizia, aveva un certificato medico in tasca, che provava come la notte precedente fosse stato visitato e ospitato al
Con ogni probabilità il decesso è legato al gelo della notte.
A metà dicembre un altro clochard era morto nella sala d’attesa del Fatebenefratelli, dove si era recato per ripararsi dal freddo.
(da agenzie)
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Gennaio 2nd, 2019 Riccardo Fucile
LA LINEA CORBYN NON CONVINCE LA BASE LABURISTA, VOGLIONO UN NUOVO REFERENDUM
Come tutto il Regno Unito, Jeremy Corbyn ha un grosso problema: la Brexit. 
È il tema sul quale il leader Labour è notoriamente più ambiguo, principalmente per una ragione: non vuole alienarsi i voti pro-Brexit delle classi operaie e popolari soprattutto nel Nord dell’Inghilterra, ma allo stesso tempo non vuole perdere i voti dei tantissimi giovani, molto spesso europeisti, che lo sostengono.
Questo equilibrismo, però, non potrà continuare per molto, e lo conferma un importante sondaggio di oggi: il 72 per cento della base laburista, cioè gli iscritti al partito, sarebbe a favore di un secondo referendum e, in tal caso, l’88% voterebbe per rimanere nell’Unione Europea.
Sono dati che mettono in forte dubbio la linea di Corbyn, che ha sempre considerato un secondo referendum come l’ultima delle possibilità , anche dopo le elezioni anticipate.
Non a caso, oggi pomeriggio Corbyn è tornato a parlare di Brexit, tendendo la mano a Theresa May, almeno in apparenza: “Se la premier modificasse il suo accordo di uscita dall’Europa potremmo anche sostenerlo”.
In realtà , l’offerta del leader laburista è sempre la stessa dei mesi scorsi e si basa sull’unione doganale permanente per il Regno Unito. Soluzione però impossibile per May, perchè sarebbe considerata un “tradimento della Brexit” all’interno di una buona parte del suo partito.
Sul referendum, poi, Corbyn insiste e allo stesso tempo rimanda: decide il Parlamento, come sul piano May (che verrà votato nella settimana del 14 gennaio).
I dati del sondaggio, però, mettono in luce per la prima volta il timore che sulla Brexit il 69enne leader Labour stia tirando troppo la corda con gli europeisti e i giovani: un terzo degli iscritti Labour non approva la linea di Corbyn e la metà di questi (quindi circa un sesto del totale) si dice pronta ad abbandonare il partito se il leader non cambiasse idea sul referendum.
Allo stesso tempo, circa il 66% dei membri crede che Corbyn stia facendo un buon lavoro alla guida dei Labour e il 58% che raggiungerebbe con l’Europa un accordo migliore di quello di May.
Insomma, c’è ancora una sostanziale fiducia di fondo, almeno per ora.
Inoltre, le posizioni degli iscritti non vanno confuse con quelle degli elettori semplici del Labour (e senza tessera di partito): soprattutto nel Nord, ci sono molte circoscrizioni a maggioranza laburista che hanno votato a favore della Brexit. Tutti voti che Corbyn non vuole perdere.
Ma il caos della Brexit continua, in ogni campo. L’ultima polemica è un appalto del governo May rivolto a società private riguardo al trasporto via mare di scorte di beni e medicinali in caso di “no deal”, cioè di nessun accordo tra Regno Unito e Ue entro il 29 marzo con la conseguente uscita brutale del primo. Si è scoperto che una di queste società , la Seaborne Freight, al momento non ha una nave e non ha mai navigato. “Ma sarà pronta in tempo”, ha dichiarato il ministro dei Trasporti Chris Grayling. Un’altra promessa della Brexit, che chissà se verrà mai rispettata.
(da agenzie)
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