CHIOCCI SU “IL TEMPO”: “PAGLIACCIATA INCOMPRENSIBILE, TANTO DI CAPPELLO A BERLUSCONI, L’UNICO AD AVERCI MESSO LA FACCIA”
“DAI RAGAZZOTTI DEL CENTRODESTRA SOLO VETI E DISTINGUO, PEGGIO CHE ALL’ASILO”
Le gazebarie volute per Bertolaso, al pari delle consultazioni popolari imposte da Salvini, per non dire delle comiche primarie del Pd, non entreranno nei libri di storia come esempio accademico di coinvolgimento degli elettori.
Andrebbero regolate per legge, o addirittura abolite del tutto.
Tuttavia questi presupposti non fanno venir meno l’obbligo, soprattutto per il centrodestra morente, a uno scatto di reni e di responsabilità : là fuori c’è Roma, c’è un Partito democratico allo sfascio e un MoVimento 5 Stelle che si trascina troppi interrogativi circa l’adeguatezza di una classe dirigente a curare i mali della Capitale. Verrebbe da dire: chi ha più testa la usi, e chi non ce l’ha la trovi.
Perchè il clamoroso plebiscito per San Guido poteva rappresentare la svolta nel ricompattamento di una coalizione dilaniata da veleni, colpi bassi, tradimenti e tatticismi.
La scusa per resettare pagliacciate incomprensibili.
La resurrezione, insomma, per tentare il miracolo anche a costo di turarsi il naso. E invece no.
Puntualissima è arrivata sul tavolo la carta che anzichè far scopa, spariglia: dopo un irritante tira e molla di mesi, soprattutto dopo aver appoggiato pubblicamente Bertolaso per differenziarsi da Salvini (pro Marchini) il candidato ideale che non s’è voluto candidare, cioè Giorgia Meloni, ieri si è improvvisamente candidata per il Campidoglio nel preciso istante in cui Bertolaso si godeva il trionfo dei gazebo.
Un tempismo perfetto da leader in (dolce) attesa.
E allora non resta che inchinarsi a Berlusconi: è stato l’unico a portare un candidato e a metterci la faccia, a differenza dei suoi alleati, i ragazzotti della nuova generazione del centrodestra che non hanno messo la faccia su niente se non sui propri veti e i propri distinguo.
Berlusconi, al contrario, è sceso in strada nonostante Bertolaso non sia certo in una posizione di forza nel quadro complessivo del centrodestra.
Una lezione di stile anche a Renzi, che appena intravide la malaparata si scrollò di dosso la grana Marino rifilandola a Orfini.
Essendoci ancora in giro un gigante come il Cavaliere verrebbe da dire che non tutto è perduto e che una speranza, forse, c’è.
Epperò poi uno si guarda intorno e li vede tutti lì, come all’asilo, dietro i banchi a tirarsi i cancellini, a farsi le linguacce.
Fino a ieri all’appello rispondevano in troppi, da Bertolaso a Marchini fino a Storace. Adesso in classe si è aggiunta l’alunna Meloni, senza contare l’inserimento al volo della scolaretta Pivetti e la preannunciata presenza in classe, in fondo a destra, dei discoli postfascisti che a Roma qualche voto prezioso si portan via.
Sei, sette candidati al posto di uno. Oggi poteva essere Bertolaso, domani la Meloni. Avanti il prossimo, continuiamo così, facciamoci del male.
Gian Marco Chiocci
(da “il Tempo”)
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