Luglio 1st, 2025 Riccardo Fucile
LA TESTIMONIANZA DI UNO SEI SEDATI: “CI HANNO PICCHIATI E MESSI IN ISOLAMENTO, HO DORMITO PER TRE GIORNI DOPO LE PUNTURE”
Due interventi delle forze dell’ordine a pochi giorni di distanza, una protesta per ricevere assistenza medica da parte degli ospiti finita con due cittadini stranieri messi in isolamento e sedati. Questo è quello che sta accadendo al Cpr di Macomer, in provincia di Nuoro, in Sardegna. Nel centro per il rimpatrio per
cittadini extracomunitari si sono susseguiti giorni convulsi, come ha spiegato a Fanpage.it la Rete “LasciateCIEentrare” che si occupa del monitoraggio delle condizioni degli ospiti all’interno dei Cpr in tutta Italia.
Due persone, Hassan, cittadino marocchino e Hamza, cittadino algerino, sarebbero stati messi in isolamento dopo la protesta del 27 giugno scorso e pesantemente sedati. Il primo si sarebbe risvegliato solo nella serata di domenica 29 giugno, mentre il secondo sarebbe ancora in stato letargico e in isolamento.
“Sedati per tre giorni dopo le proteste per ricevere assistenza medica”
Sono giorni di fuoco nel Cpr di Macomer, denuncia a Fanpage.it Yasmine Accardo della Rete “LasciateCIEntrare”. Due sono stati gli eventi violenti nell’ultima settimana. La prima sarebbe stata un’irruzione delle forze dell’ordine nella notte tra il 24 e il 25 giugno scorso: “A seguito di una protesta verbale degli ospiti che reclamavano assistenza medica, c’è stata un’irruzione delle forze dell’ordine che ha causato il ferimento di almeno due persone che sono state portate in ospedale”.
Tra gli ospiti del centro anche Hassan, un cittadino marocchino con due gambe ingessate. Ma oltre a lui sono diversi gli ospiti che hanno chiesto più volte di ricevere assistenza medica. Hassan a seguito di un alterco con un operatore era stato condotto una settimana fa nuovamente in ospedale, dove lo avevano rinviato a un visita specialistica. “Una visita a cui non è mai stato sottoposto” denuncia Accardo. Arriviamo così al 27 giugno, quando gli ospiti del Cpr protestano ancora per ricevere assistenza medica, e appiccano il fuoco a un materasso.
L’intervento delle forze dell’ordine avrebbe preso di mira proprio due ospiti del centro, tra cui proprio il cittadino marocchino che necessita di urgente assistenza medica e Hamza un cittadino algerino. “Da come ci hanno raccontato, i due vengono portati in
isolamento e Hamza viene picchiato da diversi poliziotti – ci spiega Accardo – sempre in isolamento vengono sottoposti a due punture di sedativi da parte del personale medico sanitario del centro. Da quel momento sono stati per giorni in stato letargico. Hassan si è ripreso ieri sera ed è uscito dall’isolamento, mentre Hamza ci risulta essere ancora sedato dopo 3 giorni”.
La zona di isolamento del Cpr di Macomer è un’area dove ci sono i materassi a terra, bagni senza porte, in una stanza senza finestre, vigilati continuamente dalle forze dell’ordine, anche in bagno. Uno stato di detenzione abominevole per persone che sono semplicemente in attesa di rimpatrio senza aver commesso alcun crimine specifico. Una situazione che è sempre più aggravata dall’uso smodato di psicofarmaci e sedativi a cui sono sottoposti gli ospiti.
La testimonianza: “Ci hanno picchiati e sedati”
All’interno del Cpr di Macomer è stata tolta la possibilità di accesso alla rete internet per gli ospiti e le comunicazioni sono particolarmente difficili. Siamo riusciti a metterci in contatto telefonico con Hassan per pochi minuti. “Sto molto male, mi fa male la gamba, ho bisogno di essere visitato da un medico” ci dice il cittadino marocchino, che poi ci ricostruisce quello che è accaduto il 27 giugno scorso. “Per 3 giorni sono stato sedato, i ragazzi mi buttavano l’acqua in faccia per svegliarmi, ma non mi svegliavo. Oggi sto finalmente meglio, Hamza invece sta ancora dormendo, a lui gli hanno fatto due punture, l’ho visto”.
Gli chiediamo se hanno subito violenza: “Ci hanno picchiato, sia me che Hamza, lui ha tutta la schiena graffiata per le botte. Noi volevamo l’ambulanza ma non la chiamavano. Hanno chiamato la Guardia medica, poi sono arrivati quelli della Guardia di Finanza, erano in tanti con gli scudi, ci hanno portato in isolamento, hanno preso Hamza e lo hanno immobilizzato con lemani dietro la schiena, e gli hanno fatto fare una prima siringa di sedativo. Lo hanno lasciato, ma lui non si è addormentato subito, allora hanno fatto una seconda siringa. Io ho sentito che la Guardia Medica ha detto al funzionario del centro che doveva scrivere tutto sul referto. Poi hanno fatto una puntura anche a me” ci spiega il cittadino marocchino.
Secondo questa ricostruzione ci sarebbe quindi stato prima un intervento della Guardia di Finanza che ha portato in isolamento i due ospiti del Cpr e poi la sedazione massiccia. “La mia gamba è gonfissima, noi volevamo solo un’assistenza medica”.
La denuncia: “Violenze aumentate dopo l’approvazione del DL sicurezza”
La rete “LasciateCIEntrare” ha chiesto l’intervento della garante dei detenuti della Sardegna, fino ad ora senza successo. “La condizione di menomazione della mobilità è una condizione inconciliabile con la permanenza nel Cpr – spiega Yasmine Accardo – è scritto chiaramente nel regolamento dei Cpr, Hassan ha ancora il gesso, non può camminare e deve essere portato fuori dal Cpr. La garante dei detenuti non è ancora intervenuta, eppure potrebbe accedere alle telecamere di sorveglianza per verificare cosa è successo”.
In tutta Italia si stanno moltiplicando gli episodi che vedono proteste e violenze all’interno dei Cpr in tutta Italia. Proprio a Macomer nelle scorse settimane c’era stata una ispezione dell’europarlamentare di Avs Ilaria Salis, che aveva definito la struttura “una prigione etnica”. Una situazione però che coinvolge diversi centri da Nord a Sud, come denuncia Accardo: “Dopo l’approvazione del Dl sicurezza sono aumentate significativamente le violenze nei Cpr. Riceviamo continuamente video da Gradisca d’Isonzo, da Trapani, da Macomer, da Bari, c’è un aumento della discrezionalità dell’intervento di polizia da quanto è stata approvata la legge.
Stiamo cercando di coinvolgere i parlamentari dell’opposizione per promuovere le ispezioni, soprattutto a Trapani dove ci sono stati episodi di autolesionismo e dei tentativi di suicidio”.
Una situazione esplosiva che vede però anche delle chiare denunce da parte degli ospiti dei centri stessi. “Quello che sta avvenendo non succede in silenzio – sottolinea Accardo – chi suppone di aver ricevuto violenze sta denunciando e ogni giorno raccogliamo testimonianze dai Cpr, c’è bisogno di un intervento immediato della politica per fermare questa deriva”
(da Fanpage)
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Luglio 1st, 2025 Riccardo Fucile
I TRE SCENARI POSSIBILI
«Niente di nuovo, c’è un sollevamento dell’area in corso. Finché il suolo continuerà a
sollevarsi ci saranno terremoti», ha commentato Carlo Doglioni, geologo ed ex presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) interpellato da Il Messaggero in seguito della forte scossa di terremoto originata nei Campi Flegrei e che è stata avvertita a Napoli nella mattina di lunedì 30 giugno, con epicentro nei pressi di Bacoli.
Secondo l’esperto, l’evento si colloca all’interno di uno scenario più ampio e i rischi per il futuro sarebbero tre: quello sismico, il rilascio di gas e, il più grave, quello di un’eruzione.
L’esperto Doglioni: «Il problema è il sollevamento del suolo»
«Il suolo si sta sollevando di 15mm al mese, ed è una velocità anche relativamente bassa, però è attivo (il vulcano, ndr) e quindi di tanto in tanto rilascia energia – spiega Doglioni – è come se ci fosse un pistone che spinge verso l’alto e che quindi rompe la crosta fredda». Nonostante l’evento di oggi non abbia aumentato la pericolosità della situazione, i rischi di questa
dinamica, secondo quanto sostenuto dall’esperto, potrebbero essere tre: «Quello sismico, quello geochimico perché c’è un rilascio di gas, e poi il rischio più pericoloso: quello vulcanico, cioè che ci sia un’eruzione. Al momento non abbiamo indicazione che il magma stia risalendo, ma è il rischio più serio di cui dobbiamo tener conto. È un vulcano attivo, quindi sta facendo il suo lavoro». L’ultimo evento di questa portata risale al 1538, come spiega Doglioni.
La spiegazione del fattore magnitudo: «Nei campi Flegrei non si supererà mai una certa soglia»
Secondo il geologo, è difficile descrivere con certezza il terremoto di oggi come il più forte degli ultimi 40 anni, come indicato dalle rilevazioni a seguito dell’evento. Il motivo starebbe nel fatto che la scala con cui si calcola il sisma di tipo vulcanico è diversa rispetto a quella utilizzata per i sismi tettonici.
«Il calcolo è in “magnitudo duata”, un modo diverso di calcolare la magnitudo poiché questo (dei Campi Flegrei, ndr) è un terremoto legato a un vulcano. In questo tipo di magnitudo, se confrontato con le altre magnitudo classiche dei terremoti dell’Appennino, il 4,6 corrisponde a qualche decimo in meno».
(da agenzie)
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Luglio 1st, 2025 Riccardo Fucile
“DEVE ESSERE RISPETTATO IL DIRITTO EUROPEO, OCCORRE SEGUIRE LA PROCEDURA”
L’ex cancelliera tedesca Angela Merkel ha criticato la decisione del governo di respingere i migranti irregolari alla frontiera, anche se sono richiedenti asilo.
”Quando qualcuno dice ”asilo” qui, alla frontiera tedesca deve comunque svolgersi una procedura, direttamente alla frontiera, se si vuole, ma una procedura – ha affermato Merkel nell’estratto di un documentario trasmesso oggi dall’emittente pubblica tedesca Ard – È così che ho sempre interpretato il diritto europeo”.
Merkel ha incontrato alcuni ex rifugiati per un documentario che celebra il decimo anniversario della sua storica decisione di mantenere aperti i confini della Germania durante la crisi migratoria europea del 2015, scelta che portò nel Paese centinaia di migliaia di migranti, molti dei quali di origine siriana.
Da allora, molti di loro si sono stabiliti nel Paese, contribuendo all’economia tedesca e ottenendo la cittadinanza.
Tuttavia, la decisione di Merkel suscitò forti critiche, favorendo la crescita dell’estrema destra di Alternativa per la Germania (Afd), che ha costruito parte del suo consenso su un programma anti-immigrazione, ricordano gli osservatori.
I governi successivi hanno cercato di limitare gli arrivi di migranti e quello attuale, guidato dal cancelliere Friederich Merz, ha imposto regolamenti molto rigidi, tra cui la controversa misura di respingere i richiedenti asilo direttamente alla frontiera.
(da agenzie)
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Giugno 30th, 2025 Riccardo Fucile
SABRINA DE CAPITANI, LA PORTAVOCE DI GALVAGNO, FINITA SOTTO INCHIESTA PURE LEI PER CORRUZIONE, HA RASSEGNATO LE DIMISSIONI
L’assessora regionale al Turismo Elvira Amata, esponente di Fratelli d’Italia, è
indagata per corruzione. Le indagini sarebbero state avviate nel settembre del 2023. Nel gennaio scorso, la componente della giunta di Renato Schifani ha ricevuto un avviso di proroga delle indagini, con un termine fissato al 27 marzo del 2025.
La vicenda rappresenterebbe uno dei filoni dell’inchiesta che ha coinvolto anche a vario titolo il presidente dell’Ars Gaetano Galvagno, imprenditori e collaboratori.
Già in quel fascicolo, si faceva più volte riferimento al ruolo di Giuseppe Martino, uomo vicinissimo all’assessora, della quale è stato anche Vice capo di gabinetto vicario, prima di essere nominato Segretario particolare, lo scorso gennaio.
Novità anche dallo staff del presidente dell’Assemblea regionale: Sabrina De Capitani, la sua portavoce finita sotto inchiesta pure lei per corruzione, ha rassegnato le dimissioni. Convocata nei giorni scorsi in procura, per essere interrogata, si è avvalsa della facoltà di non rispondere
(da Repubblica)
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Giugno 30th, 2025 Riccardo Fucile
“QUANDO GLI È STATO CHIESTO DEL PONTE AL VERTICE NATO DELL’AIA A FINE GIUGNO, GLI ASSISTENTI AMERICANI HANNO RIDACCHIATO”
Di fronte a un nuovo scoraggiante obiettivo di spesa della NATO, i politici italiani propongono che un ponte per la Sicilia, a lungo discusso, da 13,5 miliardi di euro, sia definito come spesa militare.
Roma è uno dei paesi con la spesa militare più bassa della NATO: l’anno scorso ha destinato alle forze armate solo l’1,49% del prodotto interno lordo. Questo fa sì che il nuovo obiettivo del 5% entro il 2035 sembri fuori portata.
Ed è qui che il ponte potrebbe aiutare.
Il governo di Giorgia Meloni è intenzionato a portare avanti il faraonico progetto di attraversare lo Stretto di Messina con quello che sarebbe il ponte sospeso più lungo del mondo, un progetto che è stato il sogno dei romani, del dittatore Benito Mussolini e dell’ex premier Silvio Berlusconi.
Sia il Ministro degli Esteri Antonio Tajani che il Ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, vice-primo ministro della Meloni, stanno facendo leva sull’idea che il ponte abbia un valore strategico per la NATO
Un funzionario del governo ha sottolineato che non è stata presa alcuna decisione formale sulla classificazione del ponte come progetto di sicurezza, ma ha detto che probabilmente si terranno presto ulteriori colloqui per “vedere quanto sia fattibile”.
L’idea potrebbe essere politicamente utile per la Meloni, che sta lottando per convincere un pubblico diffidente nei confronti della guerra della necessità di grandi spese per la difesa in un momento in cui l’Italia si sta già avviando verso l’austerità.
Ci sono alcune basi chiare su cui l’Italia potrebbe essere in grado di costruire un caso per il ponte. Del 5% del PIL che la NATO si è prefissata, solo il 3,5% deve essere destinato alla spesa di base per la difesa, mentre l’1,5% può essere indirizzato verso una più ampia capacità di ripresa strategica, come le infrastrutture.
Un funzionario del Tesoro italiano ha anche suggerito che il marchio del ponte come progetto militare aiuterebbe il governo a superare alcune delle barriere economiche e tecniche che ne hanno impedito la costruzione in passato.
La nuova designazione “supererebbe gli ostacoli burocratici, le controversie con le autorità locali che potrebbero sfidare il governo in tribunale sostenendo che il ponte danneggerà inmodo
sproporzionato i loro terreni”, ha detto il funzionario del Tesoro. Inoltre “faciliterebbe la raccolta di fondi, soprattutto nel prossimo anno, per il ponte”.
In aprile, il governo italiano ha adottato un documento in cui si dichiara che il ponte deve essere costruito per “motivi imperativi di rilevante interesse pubblico”.
Oltre all’uso civile, “il ponte sullo Stretto di Messina ha anche un’importanza strategica per la sicurezza nazionale e internazionale, tanto che svolgerà un ruolo chiave nella difesa e nella sicurezza, facilitando il movimento delle forze armate italiane e degli alleati della NATO”, aggiungeva il documento.
L’Italia ha anche chiesto che il progetto sia incluso nel piano di finanziamento dell’UE per la mobilità del personale, dei materiali e dei beni militari, in quanto “si inserirebbe perfettamente in questa strategia, fornendo infrastrutture chiave per il trasferimento delle forze NATO dal Nord Europa al Mediterraneo”, si legge nel rapporto governativo.
Il ponte “rappresenta un vantaggio per la mobilità militare, consentendo il trasporto rapido di veicoli pesanti, truppe e risorse sia su strada che su rotaia”, ha aggiunto il governo.
Se la NATO – e soprattutto il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che adora i grandi progetti edilizi – si lascerà convincere da questa logica è un’altra questione.
Ufficialmente, lo Stretto di Messina si trova al di fuori dell’unico corridoio di mobilità militare designato dalla NATO per l’Italia, che inizia nei porti della regione Puglia sul tacco dello stivale italiano, attraversa l’Adriatico fino all’Albania e prosegue verso la Macedonia settentrionale e la Bulgaria. Non è nemmeno chiaro se lo stretto rientri nella rete di mobilità militare dell’UE, i cui corridoi, secondo persone che hanno familiarità con le discussioni, dovrebbero allinearsi alle rotte della NATO.
Per il momento, gli americani non stanno mostrando interesse.
Quando gli è stato chiesto del ponte al vertice NATO dell’Aia a fine giugno, gli assistenti americani hanno ridacchiato, ma non hanno offerto alcuna risposta immediata.
Un altro argomento contro il progetto è che collegherebbe due delle regioni più povere d’Italia, nessuna delle quali ha un sistema di trasporti efficiente. Molti ritengono che sia più urgente investire in strade e ferrovie locali.
“La popolazione di Sicilia e Calabria soffre di infrastrutture idriche inadeguate, trasporti a rilento, strade piene di buche e ospedali da terzo mondo. Il ponte sullo stretto, quindi, non può essere una priorità”, ha detto Antoci.
Ma la coalizione di governo è determinata ad andare avanti. Martedì Salvini ha dichiarato che l’autorizzazione finale del progetto è prevista per luglio.
In un segnale alquanto infausto, Tajani ha proposto di intitolare il ponte a Berlusconi, primo ministro famoso per i suoi bunga bunga e le interminabili battaglie legali.
(da politico.eu)
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Giugno 30th, 2025 Riccardo Fucile
NON C’E’ PIU’ LIMITE AL RIDICOLO E ALLA MEGALOMANIA
Che Donald Trump sogni di vedere il suo svolto scolpito nel celebre Mount Rushmore
in South Dakota, la montagna che ritrae i quattro presidenti George Washington, Thomas Jefferson, Theodore Roosevelt e Abraham Lincoln, non è un segreto. Lo aveva proposto nel 2019 durante il suo primo mandato e a gennaio, appena reinsediatosi alla Casa Bianca, la deputata repubblicana della Florida, Anna Paulina Luna ha presentato un disegno di legge per trasformare in realtà il desiderio del suo leader.
Anche diversi commentatori di Fox News hanno proposto che il volto del quarantacinquesimo e quarantasettesimo presidente dovrebbe essere aggiunto al monumento in South Dakota nel 2026, in occasione del 250esimo anniversario della Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti.
A marzo, il Segretario degli Interni Doug Burgum ha dichiarato in un’intervista con Lara Trump, nuora del presidente, che “c’è sicuramente spazio” per il volto di Trump sul Monte ma l’argomento è tornato alla ribalta in questi giorni con un articolo del New York Times che si chiede se sia possibile -filosoficamente, legalmente e ideologicamente – scolpire un nuovo volto sull’opera completata dopo 14 anni da Gutzon Borglum nel 1941.
Innanzitutto, sottolinea il quotidiano, c’è da considerare il punto di vista geologico ovvero il fatto che, per gli esperti, sulla
montagna non c’è più spazio, nonostante le rassicurazioni del segretario. Poi c’è un tema artistico: l’opera era stata concepita per ritrarre quattro presidenti ed è un lavoro finito. E infine l’opposizione dei nativi americani locali, già contrari al monumento in sé perchè giudicato simbolo del suprematismo bianco e di un razzismo strutturale.
Di recente i nativi hanno anche protestato contro un progetto lanciato dallo stesso Trump per costruire il “giardino nazionale degli eroi americani” – con 250 sculture di “famosi statisti, visionari e innovatori americani” sulla base di una lista compilata da l presidente nel suo primo mandato – in un’area considerata sacra.
(da agenzie)
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Giugno 30th, 2025 Riccardo Fucile
“QUELLO DUEMILA EURO SI PRESE TRE TELEFONI, HA AUMENTATO IL PREZZO” … ALCUNI AGENTI, ANCHE QUANDO SORPRENDEVANO I DETENUTI A PARLARE AL TELEFONO SI VOLTAVANO DALL’ALTRA PARTE, FACENDO FINTA DI NON VEDERE E NON SENTIRE
«Hai capito cosa gli ha detto? Li ha portati nella valigia i telefonini». La conversazione viene intercettata in una cella del reparto Alta sicurezza del carcere di Prato. È l’11 gennaio scorso, nelle celle che ospitano i reclusi per reati di mafia, camorra, ‘ndrangheta, oltre a esponenti di rilievo della criminalità albanese e cinese, è appena scattata una perquisizione a tappeto che ha portato alla luce dieci telefoni clandestini.
Sono tre detenuti napoletani, quelli che sembrano i padroni della sezione, a commentare tra loro la retata inattesa: «Mo aumenta il prezzo», si lamentano non immaginando di essere intercettati. Poi uno di loro rivolgendosi probabilmente a un agente dice: «Mo il collega tuo invece di prendersi mille euro, quell’infame, si prende duemila euro». «Quello duemila euro si prese tre telefoni, ha aumentato il prezzo». E un altro: «Appuntà a me si sono presi 5 mila euro, 2 mila euro lo pagai io». Una settimana dopo il blitz in carcere saranno loro a trovare e consegnare agli agenti la microspia che li stava intercettando nella cella.
Quei dialoghi registrati dagli investigatori nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Prato sembrano indicare che nel carcere della Dogaia c’era un vero e proprio tariffario per fare entrare i telefoni cellulari grazie alla complicità di alcuni agenti della polizia penitenziaria. Cellulari che arrivavano a destinazione seguendo diversi percorsi: con le fionde, dentro palloni lanciati dall’esterno e poi recuperati dai detenuti che avevano maggiore libertà di movimento, ma soprattutto dentro
le valigie inviate dai familiari.
Per un «carico» perso tanti altri sono arrivati dove dovevano arrivare, visto che nell’arco di un anno sono stati sequestrati quasi 40 telefoni, dieci solo nel giorno della perquisizione a sorpresa. Il sospetto degli inquirenti, guidati dal procuratore capo Luca Tescaroli, che da un anno stanno indagando sul carcere senza controlli, è che la via di accesso preferenziale per i telefoni fosse l’ufficio chiamato casellario, il deposito del carcere dove vengono stoccati plichi postali e tutti gli oggetti destinati ai detenuti.
Uno dei sei agenti indagati per corruzione lavorava proprio in quello che viene considerato il punto nevralgico dell’istituto penitenziario. Gli inquirenti stanno cercando adesso tutta la documentazione di quell’ufficio dal momento che dovrebbero esserci le segnalazioni delle anomalie rilevate.
Dalle intercettazioni di alcuni telefoni clandestini gli inquirenti hanno scoperto che alcuni agenti, anche quando sorprendevano i detenuti a parlare al telefono si voltavano dall’altra parte, facendo finta di non vedere e non sentire. A raccontarlo ai familiari sono gli stessi detenuti. «È entrato un agente che mi doveva consegnare una lettera — dice al telefono un detenuto parlando con la moglie —, meno male che mi sono messo sotto le coperte ma mi ha visto al cento per cento»
«Qua possiamo parlare tranquillamente — è la frase intercettata un anno fa durante un colloquio nel carcere tra un detenuto siciliano e il figlio — qui stiamo anche tre o quattro ore senza guardie»
(da agenzie)
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Giugno 30th, 2025 Riccardo Fucile
FERTITTA VIVE NEL SUO “BARCHINO” DA 76 METRI (COSTO, 150 MILIONI DI EURO), E QUANDO DEVE RAGGIUNGERE ROMA LO FA VIA ELICOTTERO. E NEMMENO SEMPRE: SE PUÒ, SI COLLEGA DIRETTAMENTE DA REMOTO
Ambasciator non porta pene. Al massimo, lo yacht. Quel texano miliardario che
risponde al nome di Tilman Fertitta, scelto da Donald Trump come nuovo ambasciatore in Italia, preferisce le acque del mar Tirreno alla calura di Roma.
Fertitta, infatti, ha fatto compiere al suo maxi yacht, il Boardwalk, una traversata oceanica, da Washington DC alla rada del porto turistico di Civitavecchia. A ricostruire la vicenda è oggi Stefano Vladovich sul “Giornale”: “Un’insolita sede istituzionale ancorata davanti alla spiaggia preferita dei romani, Sant’Agostino, che non passa di certo inosservata. Settantasei metri e mezzo di lunghezza, con una stazza di 1.848 tonnellate, realizzata direttamente per Fertitta dai cantieri olandesi
Feadship. Costo 150 milioni di euro.
Un’attrazione, come il parco divertimenti da cui prende il nome, Kemah Boardwalk, e che da giorni è meta per migliaia di curiosi della cittadina portuale e non solo. Eliporto, piscina, spa, sette cabine per 14 ospiti, wine cellar e ascensore”.
Come fa Fertitta a rispettare la sua fitta agenda, e a non perdersi un happening, un incontro, un impegno istituzionale? Semplice, sale nel suo elicottero e vola in città, dove arriva in dieci minuti. “Atterra all’aeroporto dell’Urbe lungo la via Salaria, dove lo attendono gli uomini della polizia di Stato incaricati della sua sicurezza che, in tempi di guerra, è stata raddoppiata”.
Anzi, se può, Fertitta lavora direttamente via mare, da remoto. Come ricorda “il Giornale”, “il 22 giugno” ha raggiunto “il cimitero monumentale americano dello sbarco alleato di Anzio, a Nettuno, direttamente con il suo yacht privato. Creando non pochi problemi all’apparato sicurezza, sia in acqua sia a terra.
Ma a Fertitta, patrimonio stimato 11 miliardi di dollari grazie a catene di alberghi e persino una squadra di basket Nba, gli Houston Rockets, 260° posto nella classifica Forbes sugli imprenditori più ricchi del mondo, non interessa”.
Il problema, semmai, è del Viminale, a cui tocca aggiungere la “lussuosa residenza galleggiante” tra i nuovi obiettivi sensibili da proteggere da eventuali attacchi terroristici, oltre 4mila”.
(da agenzie)
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Giugno 30th, 2025 Riccardo Fucile
BLOCCHI STRADALI PER CHIEDERE LA LIBERAZIONE DEGLI STUDENTI ARRESTATI SABATO NELL’ENNESIMA GRANDE MANIFESTAZIONE CONTRO LA CORRUZIONE DEL PRESIDENTE E PER ELEZIONI ANTICIPATE
Non si ferma il grande movimento che da otto mesi protesta in Serbia contro la corruzione e l’autoritarismo del presidente Aleksandar Vucic e dei suoi governi. Dopo la manifestazione di sabato, a cui hanno partecipato 140mila persone, a migliaia in Serbia hanno organizzato ieri blocchi stradali, a Belgrado e in altre città, per chiedere il rilascio dei giovani arrestati in quell’occasione durante gli scontri con la polizia. Accusano il governo di incitamento alla violenza e lo definiscono illegittimo.
Le proteste contro Vucic
Nei disordini, secondo la polizia, 48 agenti sono rimasti feriti e 77 persone sono state arrestate, 38 delle quali sono ancora in custodia. Il presidente Vucic – l’ex ministro dell’Informazione di Milosevic, leader del partito di destra Sns e padre padrone della Serbia dal 2014 – ha condannato gli scontri, sostenendo che i manifestanti tentano di destabilizzare lo Stato. Anzi, in quella che è ormai una prassi, volta a screditare i ragazzi agli occhi dell’opinione pubblica, anche questa volta le autorità li avevano accusati di preparare per sabato scorso 28 giugno
giorno dell’epica battaglia del 1389 contro i turchi a Kosovo Polje, simbolo dell’eroismo nazionale – azioni violente per fermare il Paese e “portare il loro terrore anche fra gli investitori esteri e le ambasciate, al fine di isolare il Paese”. “Come si chiama tutto ciò? Terrorismo? Fascismo?”, aveva affermato Ana Brnabic, presidente dell’Assemblea nazionale ed ex premier.
L’inizio di tutto: la tragedia di Novi Sad
I manifestanti, che il 15 marzo avevano già radunato una folla oceanica a Belgrado, chiedono elezioni anticipate, perché i cittadini si esprimano su Vucic dopo questi otto mesi di clamorose proteste che hanno scosso per la prima volta il suo potere. Tutto è iniziato l’1 novembre, quando a Novi Sad la tettoia di cemento della stazione centrale è crollata e ha fatto 15 morti. Davanti al muro di gomma delle autorità e alla complicità dei media, il movimento degli studenti ha cominciato a scendere in piazza, sempre più rafforzato dagli imbarazzi del governo e dai primi risultati dell’inchiesta: la pensilina era stata rinnovata da pochissimo, tra il 2021 e il 2024, da un consorzio legato al governo cinese, uno degli alleati internazionali di Vucic insieme alla Russia di Vladimir Putin e all’Ungheria di Viktor Orbán.
L’autoritarismo di Vucic
Le proteste hanno portato a dimissioni eccellenti, come il 28 gennaio quelle del premier Milos Vucevic, sindaco proprio di Novi Sad per un decennio. Ma i manifestanti chiedono di più. Protestano contro un regime corrotto che ha il controllo assoluto dei media pubblici e chiude le ong. Vucic, che aspira all’ingresso nell’Ue, si era detto pronto, nel giro di tre, quattro o cinque mesi, a sottoporsi a una prova di legittimità, andando
incontro alle opposizioni e affrontando nuove elezioni o un referendum sulla sua persona. “Abbiamo capito bene il messaggio e dovremo cambiare”, aveva detto in un discorso alla nazione. E gli studenti ora gli ricordano quella promessa, chiedono di anticipare subito le elezioni, invece previste nel 2027.
La paura di Mosca
Il potere di Vucic è scosso, e l’alleato russo comincia a preoccuparsi, dopo aver perso negli ultimi mesi la Siria di Assad e aver visto l’umiliazione dell’Iran degli ayatollah. “La Russia auspica che la situazione in Serbia si calmi nel rispetto della Costituzione e che l’Occidente non intervenga sostenendo una rivoluzione colorata”, ha detto il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, con un riferimento a quanto avvenuto in alcune ex repubbliche sovietiche dopo il crollo dell’Urss, come in Georgia e Ucraina, dove governi autoritari e vicini a Mosca erano stati fatti cadere da grandi manifestazioni popolari anti-corruzione.
(da agenzie)
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