Novembre 29th, 2025 Riccardo Fucile
UNA SCELTA CHE FA DISCUTERE PERCHÉ ARRIVA DA UN GOVERNO DI “PATRIOTI” CHE A PAROLE DIFENDE LA RETE DEL PICCOLO COMMERCIO E I NEGOZI TRADIZIONALI CONTRO LE GRANDI PIATTAFORME COME AMAZON
La presidenza del Consiglio di Giorgia Meloni ha deciso per la prima volta di autorizzare
acquisti di beni utili a Palazzo Chigi sulla piattaforma Amazon business invece che sui tradizionali portali della pubblica amministrazione.
La scelta è destinata a fare discutere perfino nella maggioranza di governo, dove non sono stati pochi in questi anni (soprattutto
la Lega) a difendere la rete del piccolo commercio e i negozi tradizionali messi a rischio dall’assalto di multinazionali come quella fondata da Jeff Bezos.
La svolta è firmata da Gabriella Salone, che dall’aprile scorso è coordinatrice dell’ufficio gare e contratti all’interno del dipartimento servizi strumentali della presidenza del Consiglio, anche se al momento è limitata negli importi: 90 mila euro massimo spendibili più Iva su Amazon nel prossimo biennio, con possibilità di aggiungere un terzo anno con altri 45 mila euro da spendere oltre Iva.
Con Amazon business Palazzo Chigi ha firmato un vero e proprio contratto a scalare secondo il consumo con il quale assai diversamente dal solito ha dovuto accettare tutte le clausole contrattuali imposte dalla società di Bezos.
Palazzo Chigi ha fatto anche un’altra eccezione: «considerato il valore dell’appalto, la natura delle prestazioni e la verificata solidità della Società, stante la remota possibilità che un inadempimento che possa verificarsi in sede di esecuzione contrattuale ed arrecare significative ripercussioni alla stazione appaltante, si ritiene di non richiedere all’Operatore economico la produzione della cauzione definitiva, ai sensi di quanto previsto agli artt. 53, comma 4 del d.lgs. n. 36/2023».
Con quei 135 mila euro più Iva nel prossimo triennio i collaboratori della Meloni (e anche quelli di chi guiderà il governo dopo di lei) potranno acquistare un paniere di beni di
consumo già determinati e puntualmente elencati nella delibera.
«È autorizzata l’adesione», si spiega infatti, «alla Piattaforma Amazon al fine di procedere all’acquisto di prodotti rientranti nelle seguenti aree merceologiche come meglio dettagliate nelle premesse: fotografia, ottica, audio e video, libri e pubblicazioni, ferramenta, consumabili da copia/stampa, carta, piccoli e grandi elettrodomestici, arredi per ufficio e complementi di arredi, prodotti informatici, periferiche e accessori, necessari per le esigenze funzionali della Presidenza del Consiglio dei ministri»
(da Open)
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Novembre 29th, 2025 Riccardo Fucile
LA GIUNTA SALIS HA SCOPERTO IL DISASTRO EREDITATO ED EVITATO IL FALLIMENTO
E’ durato circa 40 minuti l’incontro tra il vicesindaco di Genova con delega alle società partecipate Alessandro Terrile, il segretario generale del Comune di Genova Pasquale Criscuolo e il procuratore capo Nicola Piacente. Dei contenuti dell’incontro, per evidenti esigenze investigative, trapela poco o niente. Certamente il Comune di Genova è intenzionato fornire la massima collaborazione a tutte le istituzioni e agli organi giudiziari che stanno cercando di far luce sulla grave situazione finanziaria in cui versa l’azienda partecipata e sulle eventuali responsabilità (anche penali e contabili) di una gestione che l’ha portata a un debito patrimoniale netto di 90 milioni.
Ed è per questo che a chiedere l’incontro con il procuratore è stato proprio palazzo Tursi. Se la sindaca Silvia Salis ieri era a Roma per la delicata vertenza Ilva di Cornigliano, a informare il procuratore su quanto in questi mesi la nuova giunta ha scoperchiato tra i vari uffici, ha inviato le persone più competenti
in materia. A loro il procuratore avrebbe fatto anche domande specifiche, circa il ritardo – per esempio – con cui dagli stessi revisori di Amt è stato dato l’allarme sui conti in rosso. Non è dato sapere – ma non è affatto escluso – che oltre alle informazioni richieste il Comune di Genova non abbia portato al procuratore qualcos’altro, per esempio un esposto o una denuncia formulando accuse specifiche o si siano riservati di farlo a stretto giro.
In ogni caso il fascicolo è già aperto anche se ufficialmente ancora a modello 45 e la guardia di finanza un po’ di carte dell’azienda le ha già acquisite vista l’inchiesta in corso – le indagini in questo caso si sono chiuse pochi mesi fa – per la fusione Amt-Atp.
anche su questo aspetto il Comune ha offerto alla procura la massima collaborazione e ha garantito anche un aggiornamento periodico sulla situazione dell’azienda. E’ possibile che nei prossimi giorni le fiamme gialle facciano acquisizioni anche negli uffici comunali.
Sempre ieri si è tenuta davanti al tribunale civile di Genova l’udienza per la composizione negoziata della crisi dove l’azienda chiede in pratica al giudice di poter restare riparo dei creditori a fronte di un piano di risanamento credibile e della garanzia dei pagamenti futuri. L’esito dell’udienza sembra positivo, al netto di alcuni dettagli da mettere nero su bianco per liberare rapidamente alcune risorse per i creditori.
E anche grazie all’intervento della Regione Liguria con 14 milioni di euro per pagare stipendi e tredicesime, lo scenario peggiore è al momento stato scongiurato. Ma l’azienda di trasporto pubblico metropolitano è stata a un passo dal default.
Come si è mossa la Procura di Genova, così ha fatto la procura generale della Corte dei conti, che ha aperto un fascicolo d’inchiesta contabile per far luce a 360 gradi sulla gestione della società, in primis sulla scorta degli articoli di stampa che hanno riguardato la sospensione prima e il licenziamento poi dell’ex direttrice generale, e in precedenza presidente, della stessa Amt Ilaria Gavuglio. Anche in questo caso, l’indagine è alle fasi preliminari e quindi ancora non è stato contestato ad alcun soggetto preciso un eventuale danno erariale. Ma l’apertura di un’inchiesta da parte della magistratura contabile rappresenta un ennesimo fronte critico per Amt
Non si tratta formalmente del primo contatto tra palazzo Tursi e la Corte dei conti, Il 22 ottobre scorso, infatti, la sindaca Silvia Salis e il vice sindaco Alessandro Terrile avevano chiesto e ottenuto di essere ricevuti dai magistrati della sezione Controllo, per esporre il quadro economico in cui versa l’azienda ereditato al momento del loro insediamento a Palazzo Tursi, dopo le elezioni di maggio. Cosa diversa invece è l’attività della Procura regionale, guidata da Roberto Leoni, che è scattata d’iniziativa. E vedrà i pm contabili disporre anche in questo caso accertamenti e acquisizioni di documentazione.
(da Genova24)
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Novembre 29th, 2025 Riccardo Fucile
IL SISTEMA DI APPALTI E CONSULENZE DESTINATE DALL’ISTITUTO SAN MICHELE A PERSONE VICINE ALLA CORRENTE POLITICA DEL DEPUTATO DI FRATELLI D’ITALIA
Nell’ultima inchiesta di Fanpage.it abbiamo raccontato la rete di incarichi e appalti
affidati dall’Istituto Romano San Michele – guidato dal presidente Giovanni Libanori, in quota Fratelli
d’Italia – a persone della corrente ‘democristiana’ del partito di Giorgia Meloni. Il San Michele è certamente l’Azienda pubblica di servizi alla persona, dove più spesso ricorrono nomi vicini al gruppo politico, capeggiato dal deputato di Fdi Luciano Ciocchetti. Ma non è l’unica. Tracce dello stesso sistema si trovano anche in altre Asp del Lazio.
È il caso ad esempio dell’Asilo di Savoia, ente pubblico presieduto da 2014 è Massimiliano Monnanni. Una personalità esperta in politiche sociali – dal 2024 è anche segretario del Cnel -, il cui curriculum va detto subito è quello di un tecnico, senza particolari caratterizzazioni politiche, né tantomeno legami diretti con il partito della premier Meloni. E tuttavia, anche all’Asilo di Savoia ormai da un anno e mezzo è arrivato a ricoprire uno dei ruoli chiave un uomo vicinissimo all’onorevole meloniano Luciano Ciocchetti.
Il segretario di Ciocchetti e Maselli diventato dirigente della Asp
Si tratta di Massimo Matteucci, già responsabile della segreteria di Ciocchetti tra il 2010 e il 2012, quando quest’ultimo era assessore all’urbanistica e vicepresidente della Regione Lazio. In precedenza aveva collaborato con l’Udc laziale, nel periodo in cui l’attuale deputato di Fdi era il segretario regionale dello scudo crociato. Insieme al “amico” (ipse dixit) Matteucci, Ciocchetti ha fondato nel 2005 anche la onlus Alma Aurea e dato vita all’iniziativa “Il Natale di Solidarietà”, che i due portano avanti ancora oggi. Nel 2018, la onlus finì sotto il faro della
magistratura per un contributo ottenuto dall’immobiliarista Sergio Scarpellini, ma le accuse di illecito furono presto archiviate.
Dopo aver lavorato con Ciocchetti, Matteucci ha proseguito la sua carriera, come funzionario nel Consiglio Regionale del Lazio. Fino al 2023, quando è tornato a svolgere il ruolo di capo segreteria, stavolta per l’assessore per i Servizi alla Persona Massimiliano Maselli, l’altro uomo forte del gruppo degli ex democristiani di Fratelli d’Italia. Una posizione ricoperta per poco più di un anno, fino al 1 luglio 2024: data in cui è stato assunto a tempo determinato – dopo un interpello pubblico -, come dirigente dalla Asp Asilo di Savoia.
Da controllore a controllato, in 24 ore
In pratica, da un giorno all’altro, Matteucci è passato dagli uffici dell’assessorato che ha il compito di vigilanza e controllo sulle Asp a quelli di una delle aziende pubbliche, poste sotto il controllo dell’assessore Maselli. Da controllore a controllato, nel giro di 24 0re. All’Asilo di Savoia, l’ex collaboratore di Ciocchetti è stato messo a capo di un’unità appena costituita, dedicata al “Dopo di Noi”. Si tratta del progetto di housing sociale per persone con gravi disabilità e senza supporto familiare finanziato dalla Regione Lazio, di cui la Asp è soggetto attuatore.
Grazie al salto da funzionario regionale (ruolo da cui è attualmente in aspettativa) a dirigente, Matteucci ha ottenuto nel
primo anno una retribuzione di 74813 euro lordi. L’incarico è stato poi più volte prorogato e attualmente è in scadenza il 31 dicembre, ma è probabile che venga ulteriormente prolungato
Nei corridoi della Pisana, qualcuno fa notare che in questo modo, l’uomo di fiducia del gruppo Ciocchetti potrebbe arrivare fino all’età della pensione con la qualifica di dirigente, una condizione che potrebbe comportare dei vantaggi anche per il futuro trattamento pensionistico. Intanto perché ovviamente negli ultimi anni di carriera avrà versato contributi più alti, di quelli da funzionario. E poi perché potrebbe ottenere un calcolo più ricco del trattamento di fine servizio.
Anche in questa occasione non c’è nulla di illecito, come per le decine di incarichi e consulenze distribuiti dal San Michele a persone del giro di Luciano Ciocchetti. Ma certo, questo nuovo caso sembra confermare la commistione di ruoli pubblici e privati, amicizie personali e fedeltà politiche, che hanno caratterizzato la ‘conquista’ del mondo delle Asp laziali, da parte di Fratelli d’Italia e dagli ex Dc che hanno trovato nuova vita nel partito di Giorgia Meloni.
(da Fanpage)
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Novembre 29th, 2025 Riccardo Fucile
SENZA LA MAREA DI MILIARDI EUROPEI OGGI L’ITALIA SAREBBE IN RECESSIONE, IL GOVERNO NON HA SAPUTO AFFRONTARE I PROBLEMI STRUTTURALI DELL’ECONOMIA ITALIANA
C’è un mistero, nei conti italiani. Il mistero si chiama Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Dal mitico Pnrr, che dal 2021 al giugno 2026 avrebbe dovuto inondare la nostra economia con più di 194 miliardi, ci si aspettava legittimamente uno spintone alla crescita. Che però prima è diventato una spintarella e poi si è esaurito, praticamente del tutto.
Basta dire che nel secondo trimestre del 2025, dice l’Istat, il prodotto interno lordo è perfino diminuito. Una flessione contenuta, quantificata nello 0,1% rispetto al trimestre precedente. Ma che ha ridimensionato allo 0,4% la crescita su base annua.
I numeri sono avvilenti. Dal 2001 al 2026, secondo i dati facilmente reperibili nella banca dati del Fondo Monetario Internazionale, il prodotto interno lordo pro capite a prezzi
costanti sarebbe aumentato in Italia del 4,98% contro il 18,51% in Francia, il 2,28% in Spagna, il 23,35% in Germania, il 25,7% nei Paesi Bassi.
La crescita più bassa dell’area euro dunque, addirittura un quarto della Grecia (+20,21%) e la metà del Lussemburgo (+9,88%).
Il numero dei posti di lavoro è salito in Italia nello stesso periodo a un ritmo pari alla metà di quello dell’intera area euro: 9,7% contro 18,8%. Per non parlare di quanto invece accadeva nei periodo precedenti.
È come se nel 2001 ci fossimo di colpo arenati, senza più riuscire a tirarci fuori dalle secche. Nei vent’anni precedenti, dal 1980 alla fine dello scorso secolo, il pil pro capite reale degli italiani è cresciuto del 54,76%, dieci punti in più di Francia (44,99%) e Germania (44,42%).
Il rallentamento, del resto, è progressivo e inarrestabile anche a dispetto dei tanti soldi in circolazione. Il pil italiano è salito in termini reali appena dell’1% nel 2023, per cadere allo 0,7% nel 2024 e atterrare su qualche «zerovirgola» quest’anno.
Guardate invece la Spagna, che di problemi con il suo Pnrr da 70 miliardi ne ha forse più dell’Italia. Nel 2023 l’economia spagnola ha evidenziato un progresso del 3% e per quest’anno la crescita economica è proiettata al 2,6%.
L’indice della produzione industriale italiana è crollato di quasi dieci punti dal 2021, anno di uscita dalla pandemia del Covid-19, registrando due anni e mezzo di cali mensili consecutivi.
riprova del fatto che nel Paese è in atto una desertificazione industriale strisciante.
C’è chi tira in ballo la faccenda dei dazi commerciali imposti fra tanti ondeggiamenti dal presidente statunitense Donald Trump. Ma la presidente del consiglio Giorgia Meloni li aveva considerati sopportabili e il suo vice Matteo Salvini si era spinto a giudicarli addirittura «un’occasione».
In ogni caso la decelerazione dell’economia era già iniziata. A conferma del fatto che qualcosa decisamente non va.
I dati pubblicati sul sito Italia Domani sostengono che l’impatto economico del Pnrr in rapporto alla dotazione finanziaria, pur essendo in Italia un po’ inferiore a quello medio dell’Unione Europea, e molto inferiore rispetto a Francia e Germania, risulterebbe comunque superiore alla Spagna e ad altri Paesi. E siccome, sempre da quei dati, si ricava che l’impatto sarebbe positivo, si può dedurre che sono i fondamentali della nostra economia a fare cilecca.
Con il risultato che la robusta iniezione di denaro dall’Europa servirebbe a poco; senza quella, per giunta, l’Italia sarebbe negli ultimi anni in perenne recessione. Diversamente non si comprende come sia possibile che la frenata più consistente si manifesti, guarda caso, proprio mentre il flusso di soldi europei sta aumentando.
Il sito internet Italia Domani, aggiornato a metà ottobre scorso, ci rappresenta con dovizia di particolari che i pagamenti per i
progetti del piano, la cui fine inderogabile è prevista per giugno 2026, sono arrivati a 77 miliardi di euro, cifra che rappresenta appena il 47,3% del totale stanziato
La fetta maggiore dei finanziamenti dovrebbe essere utilizzata quindi nei prossimi mesi. Ma già ora il ritmo della spesa effettiva supera i 2 miliardi al mese (esattamente 2 miliardi e 58 milioni) ed è triplicato rispetto a un anno fa, quando però l’incremento del prodotto interno lordo italiano era superiore a quello attuale. Più soldi, meno crescita: Il mistero italiano si fa ancora più fitto
(da “MilanoFinanza”)
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Novembre 29th, 2025 Riccardo Fucile
IL CDR VERGA UN COMUNICATO DI FUOCO: “LA REDAZIONE SI RAMMARICA CHE L’AZIENDA ABBIA SCELTO DI PUBBLICARE COMUNQUE LE PAGINE CHE VEDETE OGGI. UN GIORNALE PRODOTTO COSÌ NON GARANTISCE NÉ PLURALISMO NÉ QUALITÀ DELL’INFORMAZIONE” … LUNEDÌ ARRIVA IL NUOVO DIRETTORE, TOMMASO CERNO, AL POSTO DI ALESSANDRO SALLUSTI
“Cari lettori, il Giornale che trovate oggi in edicola è stato realizzato senza il contributo
della quasi totalità dei redattori, che ieri hanno aderito allo sciopero nazionale dei giornalisti. La nostra redazione, forte di una lunga tradizione liberale, non ha mai scioperato a cuor leggero. Neppure questa volta.
La protesta non aveva alcuna motivazione politica né alcun riferimento critico al governo: è nata esclusivamente dal mancato rinnovo del nostro contratto di lavoro, fermo da oltre dieci anni. In questo decennio il numero dei giornalisti dipendenti si è ridotto, mentre è cresciuto in modo drammatico lo sfruttamento di collaboratori e precari: giovani colleghi pagati pochi euro a notizia, senza tutele e senza prospettive. È anche per loro che abbiamo scioperato.
La redazione si rammarica che l’azienda abbia scelto di pubblicare comunque le pagine che vedete oggi, realizzate senza l’apporto della quasi totalità dei redattori. Un giornale prodotto così può reggere solo per pochissimo tempo e non garantisce né pluralismo né qualità dell’informazione.
Proprio queste sono le situazioni che, nell’interesse dei lettori, vogliamo evitare chiedendo il rinnovo del contratto.
Da domani torniamo in edicola e al servizio di chi ci legge, convinti che la tutela della professionalità giornalistica – di tutti, dai più anziani ai più giovani – sia la condizione essenziale per un’informazione libera, autorevole e responsabile.
Il Comitato di redazione
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Novembre 29th, 2025 Riccardo Fucile
IL CEO DEL “MONTE”, LUIGI LOVAGLIO, PARLANDO CON FRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE, TIRA IN BALLO IL TESORO: IL 18 APRILE, PARLANDO DEL NO DI BLACKROCK ALL’AUMENTO DI CAPITALE DI MPS, LOVAGLIO DICE: “QUALCUNO CI HA FATTO IL BIDONE, BLACKROCK (…) PERCHÉ IO HO SCRITTO AL CEO E SO CHE IL MINISTRO HA SCRITTO UN SMS”. ..È LA PROVA, SECONDO I PM CHE INDAGANO SUL “CONCERTO” TRA “CALTA”, MILLERI E MPS, CHE IL MINISTERO SI È MOSSO PER INFLUENZARE LA PARTITA … NON SOLO: IL GOVERNO SAREBBE INTERVENUTO ANCHE IMPONENDO LE DIMISSIONI AD ALCUNI CONSIGLIERI DI MPS: “SONO STATE RICHIESTE O IMPOSTE DAL MEF O IN UN CASO DAL DEPUTATO DELLA LEGA, ALBERTO BAGNAI” … L’ASTA COSTRUITA AD HOC PER FAVORIRE LA CORDATA DI “CALTA”
«Qualcuno ci ha fatto il bidone», dice l’amministratore delegato di Monte dei Paschi di Siena, Luigi Lovaglio al costruttore ed editore romano Francesco Gaetano Caltagirone.
L’ad della banca senese si riferisce al voto contrario del fondo americano Blackrock nel corso dell’assemblea che ha dato via libera all’aumento di capitale per finanziare la scalata a Mediobanca.
Una giornata decisiva per la grande partita bancaria che cambierà gli assetti di potere nella finanza italiana. Una partita che la procura di Milano sospetta sia stata giocata violando la legge. Per questo Lovaglio, Caltagirone e il loro alleato Francesco Milleri, a capo del gruppo Del Vecchio, sono indagati per aggiotaggio e ostacolo alle autorità di vigilanza.
Quel 18 aprile il banchiere e l’editore commentano l’esito dell’assemblea di Mps mentre sono intercettati dalla Guardia di Finanza. E alludono «a una sollecitazione di voto da parte del Mef sul ceo del fondo americano».
Insomma, secondo questa ricostruzione fondata sulle parole di Lovaglio e Caltagirone, il Tesoro si sarebbe mosso per
influenzare l’esito della partita. Un comportamento che andrebbe a cozzare con la dichiarata neutralità del governo nella scalata di Mps, di cui il Mef è azionista all’11 per cento.
«Poi le spiego – ribadisce Lovaglio a Caltagirone – perché qualcuno ci ha fatto il bidone, Blackrock (…) Perché io ho scritto al ceo e so che il ministro (Giancarlo Giorgetti, ndr) ha scritto un sms (…) perché io gli ho detto “Oh, guarda che non ha votato!
Quindi gli ho detto a Sala (Marcello Sala, all’epoca direttore generale del Mef, ndr) hanno scritto un sms… nonostante questo non è andata bene».
Tradotto: il fondo statunitense, pur avendo ricevuto – come spiega l’ad – un messaggio di presunto incoraggiamento da parte del numero uno del ministero dell’Economia […], ha votato in modo contrario rispetto ai “suggerimenti” […] impartiti da Roma.
Questo non ha tuttavia rappresentato un ostacolo a che il «progetto volto in modo eclatante alla conquista di Mediobanca» andasse in porto. Un progetto forse condiviso, sembrano dire le intercettazioni contenute nelle carte giudiziarie, pure dai vertici dello stesso ministero, che non risultano indagati.
Nella ricostruzione dei magistrati il concerto tra i grandi azionisti protagonisti della scalata risulta evidente sin dall’asta bandita dal Tesoro a novembre dell’anno scorso per la vendita di un pacchetto del 15 per cento della sua quota in Mps pari
all’epoca al 26 per cento circa. Un’operazione che si è svolta con la procedura dell’accelerated book building (Abb) e scrivono i pm, è stata caratterizzata «da diverse e vistose anomalie».
In sostanza l’Abb sarebbe stato gestito in modo da «destinare una parte cospicua di azioni di Mps di proprietà del Mef a soggetti predeterminati». E cioè il gruppo Caltagirone, la Delfin della famiglia Del Vecchio e il gruppo bancario BancoBpm, anche con la controllata Anima.
La procedura accelerata con cui il Mef aveva incaricato Banca Akros di vendere il 15 per cento di azioni Mps non può però essere ritenuta gara pubblica in base a un decreto ministeriale del 2020. Un “cavillo” senza il quale, secondo chi indaga, ci sarebbero stati «gli elementi di fraudolenza per integrare il reato di turbativa d’asta».
Lo stesso Caltagirone avrebbe confermato alla Consob che come soggetti interessati a creare un “nocciolo duro” di azionisti del Monte c’erano Bpm, Anima e Delfin, cioè la famiglia Del Vecchio
E di questo interesse, scrivono i magistrati , gli era stata data una «sommaria indicazione» proprio da parte del Mef. Circostanza confermata anche dal Romolo Bardin, amministratore di Delfin, che ha parlato a Consob di contatti tra Milleri, Caltagirone e «altri esponenti istituzionali».
Quindi, anche in questo caso sono gli stessi protagonisti dell’operazione finita sotto inchiesta penale a chiamare in causa
il Mef come regista. Ruolo smentito dal ministero, che […] in una relazione inviata alla Consob e firmata dal direttore generale del Mef, Francesco Soro, ha negato «contatti e interlocuzioni con gli investitori che hanno poi acquisito partecipazioni (in Mps, ndr)» nell’asta di novembre 2024
«Facciamo fase due?», continua Lovaglio, registrato dagli investigatori mentre parla con Caltagirone. Per i pm della procura guidata da Marcello Viola il riferimento degli indagati alla «fase due» confermerebbe «l’ipotesi che l’Ops su Mediobanca costituisca soltanto la prima fase di un più ampio piano comune, riguardante Assicurazioni Generali».
È al controllo di Generali, in altre parole, che l’ad della banca toscana e l’editore de Il Messaggero tenderebbero, insieme al terzo indagato dell’inchiesta e cioè Francesco Milleri.
Gli atti della procura svelano ulteriori particolari che riguardano il governo. I pm partono dai fatti che conducono «Delfin e Caltagirone nella cabina di regia della banca senese» e, dunque, a capo di tutta l’operazione. Per gli inquirenti tutto ciò sarebbe stato possibile grazie alle dimissioni di alcuni consiglieri indipendenti di Mps.
«Secondo le dichiarazioni rilasciate alla Consob dai cinque amministratori dimissionari, per tre di loro (Annapaola Lucia Negri Clementi, Paolo Fabris De Fabris e Foti Belligambi), le dimissioni sono state richieste o imposte dal Mef o in un caso dal deputato della Lega, Alberto Bagnai – scrivono i magistrati – Gli
ex consiglieri Visconti e Martiniello hanno riferito, invece, poco credibilmente di aver maturato autonomamente l’intenzione di dimettersi.
Il Mef – continuano i pm – ha viceversa attestato a Consob di non aver contattato i consiglieri uscenti, né tantomeno aver sollecitato le dimissioni».
Fatto sta che il 27 dicembre «in loro sostituzione il Cda ha cooptato, su indicazione di Caltagirone e Delfin» ulteriori soggetti. Per chi indaga questo sarebbe il «collegamento finalistico con quanto di lì a poco sarebbe accaduto: il lancio di Ops volontaria su Mediobanca».
I magistrati sottolineano anche «l’atteggiamento reverenziale e imbarazzato» di alcuni consiglieri di Mediobanca verso Caltagirone. «I consiglieri espressione di Delfin […] rispondono della propria attività in Mediobanca non solo a Delfin, del quale sono emanazione, ma prima ancora a Caltagirone».
Un «quadro indiziario grave» secondo i pubblici ministeri. Tanto più «a ragione della natura dei soggetti coinvolti: intermediari bancari e imprenditori, con partecipazioni rilevanti e incrociate in società quotate che operano in mercati sottoposti a vigilanza pubblica, in misura tale da poterne influenzare gli indirizzi di politica economica».
Un «quadro indiziario grave», si legge ancora nelle carte, dove si rileva anche un certo «conflitto di interesse» del governo che, al contempo, è «azionista rilevante di Montepaschi» e «titolare del cosiddetto Golden Power», lo strumento che permette di bloccare tutte quelle operazioni che potrebbero essere realizzate nell’interesse dei privati e non in quello nazionale.
(da editorialedomani.it)
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Novembre 29th, 2025 Riccardo Fucile
OGGI A GIESSEN, NEL LAND TEDESCO DELL’ASSIA, SI TERRÀ IL CONGRESSO FONDATIVO DELLA NUOVA ORGANIZZAZIONE GIOVANILE DI ALTERNATIVE FUER DEUTSCHLAND (AFD), “GENERAZIONE GERMANIA”: IN CITTÀ ARRIVERANNO MILLE ESPONENTI DEL PARTITO DELLE SVASTICHELLE, E…CINQUANTAMILA MANIFESTANTI, CHE INTENDONO PROTESTARE CONTRO LA NASCITA DI QUESTA NUOVA ORGANIZZAZIONE
Comincia oggi a Giessen, nel Land tedesco dell’Assia, il congresso fondativo della nuova
organizzazione giovanile di Alternative fuer Deutschland (Afd). La nuova giovanile dovrebbe chiamarsi “generazione Germania”, dovrebbero riunirsi circa mille esponenti del partito.
In città è previsto anche l’arrivo di circa cinquantamila manifestanti, che intendono protestare contro la nascita di questa nuova organizzazione. Il ministro dell’Interno dell’Assia, Roman Poseck parla di una “situazione difficile” alla quale la posizione si sta preparando da mesi. Afd ha sciolto la propria organizzazione giovanile, Junge Alternative fuer Deutschland, il
31 marzo 2025, dopo che l’Ufficio federale per la difesa della Costituzione ne aveva segnalato sin dal 2019 la radicalità. Adesso, l’intenzione è di avere un’organizzazione giovanile maggiormente integrata nel partito.
(da agenzie)
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Novembre 29th, 2025 Riccardo Fucile
MA IL FRONTE DEI RESISTENTI DISPONE DI UN’ARMA MOLTO FORTE: IL CONCERTO DI CAPODANNO, CHE SENZA L’ORCHESTRA DELLA FENICE NON SI PUÒ FARE… IL PROBLEMA NON È SOLO CHE VENEZI ARRIVI SUL PODIO DELLA FENICE SENZA AVERE UN CURRICULUM ADEGUATO, MA COSA SUCCEDERÀ SE E QUANDO CI SALIRÀ, NELL’OTTOBRE 2026 … INTANTO LA VENEZIA STA CANCELLANDO A RAFFICA GLI IMPEGNI IN ITALIA….IL COMUNE È CONTENDIBILISSIMO (LO SFIDANTE DI SINISTRA GIOVANNI MANILDO HA PRESO UNO 0,46% PIÙ DI STEFANI)
E con la vicenda Venezi a che punto siamo? Il governo, cioè il sottosegretario alla Cultura (un ossimoro vivente) Gianmarco Mazzi, ha scelto la strategia del logoramento: nessun passo indietro, “Beatroce” in arrivo nei tempi previsti, mentre i lavoratori del teatro vengono massacrati con dispetti assortiti e tagli allo stipendio: l’ultimo, la mancata corresponsione della rata del welfare di fine anno.
Dall’altra parte, il fronte dei resistenti appare ancora compatto e
dispone di un’arma molto forte: il concerto di Capodanno in diretta Rai da Venezia, che evidentemente senza l’Orchestra della Fenice non si può fare. I professori non lo faranno saltare, ma certamente inventeranno qualche forma di protesta contro la prepotenza di un potere non si sa se più arrogante o più ignorante.
E qui sta il punto. Perché il problema non è solo che Venezi arrivi sul podio della Fenice senza avere un curriculum adeguato, ma cosa succederà se e quando ci salirà, nell’ottobre 2026.
Nella loro crassa rozzezza, i vari Mazzi, Donzelli (è lui il vero sponsor di Bioscalin), Mollicone, Brugnaro e il resto del trust di cervelli che si è ficcato in questo pasticcio immaginano che la Fenice sia una fabbrica e i suoi professori degli operai alla catena di montaggio.
Ma chiunque sa come funziona un’orchestra è consapevole che un direttore indesiderato ha vita durissima, specie se non è esattamente Kleibel
Ammesso che alla prima prova l’Orchestra non si alzi e se ne vada, per mandare a catafascio un concerto di Venezi basta semplicemente seguire lei e non il primo violino. Quindi il problema non è affatto risolto: è appena iniziato.
A rendersene conto, pare, è stata la stessa Venezi, che almeno è del mestiere. In colpevolissimo ritardo (si fosse ritirata all’inizio di tutta questa storia, ne sarebbe uscita in gloria), si è resa conto di essersi messa ed essere stata messa in una situazione
insostenibile, e aveva annunciato ai suoi sponsor di voler rinunciare
Ma, avendo scelto la strada della prova di forza, i suoi mandanti politici le hanno ingiunto di non farlo.
Nel frattempo, “la direttrice del lato B-ioscalin” annulla a raffica i suoi impegni italiani: ultima, la “Salome” di Sassari.
Vediamo quel che succederà a gennaio, quando in teoria dovrebbe dirigere “Carmen” (nota per Mazzi: di Bizet) a Pisa il 23 gennaio e “Aufstieg und fall der Stadt Mahagonny” (sempre per Mazzi: di Weill, e su libretto di quel pericoloso komunista di Brecht) a Trieste il 30.
Situazione bloccata, quindi. Ma forse non del tutto. Ci sono due variabili da considerare. Una è Alessandro Giuli, che potrebbe magari ricordarsi di essere lui il ministro della Cultura e che descrivono insofferente dell’attivismo del suo maldestro sottosegretario.
L’ex ultrà dell’Hellas Verona è riuscito nel non facile capolavoro di compattare contro di lui l’intero mondo dell’opera, che in teoria era quello che la destra doveva conquistare perché più identitario, tradizionale e nazionalpopolare (alla prima dell’Opera di Roma, giovedì, l’inconsapevole Mazzi è stato oggetto di infiniti lazzi e frizzi e battute e sfottò, aggravati dal fatto che si dava “Lohengrin”, opera pre-elettrica e lunghissima). L’altra variabile è la Lega. Finora sulla vicenda Fenice non è intervenuta, facendosi imporre il sovrintendente Nicola Colabianchi, la Venezi e gli altri camerati, e tollerando che il plurinquisito sindaco Luigi Brugnaro si schierasse contro il teatro della sua città e i suoi spettatori, a cuccia davanti alle “pressioni” (parole sue) romane.
Luca Zaia della Fenice si è sempre disinteressato, destinandole molti meno fondi che allo Stabile del Veneto e non ricevendo i lavoratori che gli avevano chiesto un incontro. Ma adesso tutto è cambiato: invece di essere superata da Fratelli d’Italia, la Lega in Veneto li ha doppiati, e il nuovo governatore, Alberto Stefani, pare più attento alla cultura del suo predecessore.
Non solo: a Venezia si vota l’anno prossimo, Brugnaro non potrà ricandidarsi e il Comune è contendibilissimo, perché lì lo sfidante di sinistra Giovanni Manildo ha preso uno 0,46% più di Stefani. Continuare a difendere l’indifendibile, e a stare contro i veneziani invece che con loro, potrebbe rivelarsi un pessimo affare.
(da Dagoreport)
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Novembre 29th, 2025 Riccardo Fucile
IL PIANO ILLUSTRATO DAI RUSSI CONSENTIREBBE ALLE AZIENDE STATUNITENSI DI ATTINGERE AI 300 MILIARDI DI DOLLARI DI ASSET DELLA BANCA CENTRALE RUSSA CONGELATI IN EUROPA
«Fare soldi, non fare la guerra». Titola così il Wall Street Journal, sostenendo che il vero
piano del presidente americano Donald Trump per l’Ucraina sia finalizzato non tanto al raggiungimento della pace, quanto a far sì che Stati Uniti, Russia e Ucraina diventino partner commerciali. Citando fonti vicine ai colloqui, il giornale scrive che il Cremlino ha proposto alla Casa Bianca di raggiungere la pace tramite gli affari e che, con grande costernazione dell’Europa, Washington si è trovata d’accordo sulla linea proposta da Mosca.
Le fonti citate dal Wsj affermano che durante l’incontro di ottobre a Miami Beach tra l’inviato speciale americano Steve Witkoff e Kirill Dmitriev, capo del fondo sovrano russo e negoziatore scelto da Vladimir Putin, i due hanno discusso di un piano da duemila miliardi di dollari per far uscire dal tunnel l’economia russa. Un piano che vedrebbe le aziende americane in prima linea rispetto ai concorrenti europei.
Il Wsj spiega che il piano illustrato da Dmitriev consentirebbe alle aziende statunitensi di attingere ai circa 300 miliardi di dollari di asset della banca centrale russa congelati in Europa per progetti di investimento russo-americani e per la ricostruzione dell’Ucraina nel dopoguerra. Inoltre, le aziende statunitensi e russe potrebbero unirsi per sfruttare le ricchezze minerarie dell’Artico, ha sostenuto Dmitriev.
L’obiettivo del Cremlino sarebbe quindi quello di convincere gli Usa a considerare la Russia come una terra di abbondanti opportunità, non come una minaccia militare, secondo funzionari della sicurezza occidentale citati dal Wsj. Proponendo accordi multimiliardari nel settore delle terre rare e dell’energia, Mosca potrebbe ridisegnare la mappa economica dell’Europa, creando al contempo una frattura tra l’America e i suoi alleati tradizionali, scrive il Wall Street Journal.
Dmitriev, ex dipendente di Goldman Sachs, ha trovato partner ricettivi in Witkoff, storico compagno di golf di Trump, e in Jared Kushner, il genero del presidente americano, il cui fondo di investimento Affinity Partners ha attirato investimenti miliardari dalle monarchie arabe. Gli uomini d’affari condividono l’approccio geopolitico del presidente Trump. Se generazioni di diplomatici considerano le sfide post-sovietiche dell’Europa orientale come un nodo da sciogliere con fatica, il presidente immagina una soluzione facile: i confini contano meno degli affari.
Negli anni ’80 si era offerto di negoziare personalmente una rapida fine della Guerra Fredda, mentre costruiva quella che, a suo dire, sarebbe stata per i diplomatici sovietici una Trump Tower di fronte al Cremlino, con il regime comunista come partner commerciale. «La Russia ha tante risorse immense, immense distese di territorio», ha dichiarato Witkoff al Wall Street Journal, descrivendo la sua speranza che Russia, Ucraina e Usa diventino partner commerciali. «Se riusciamo a raggiungere questo, tutti prosperano e c’è un vantaggio per tutti; questo sarà un baluardo contro futuri conflitti. Perché tutti prosperano», ha aggiunto.
Per molti alla Casa Bianca di Trump questo mix di affari e geopolitica non è un difetto. I principali consiglieri presidenziali vedono un’opportunità per gli investitori americani di ottenere accordi redditizi in una nuova Russia del dopoguerra e diventare i garanti commerciali della pace. La Russia ha chiarito a Witkoff e Kushner che preferirebbe le aziende Usa, non quelle degli Stati europei i cui leader hanno «fatto un sacco di sciocchezze» sugli sforzi di pace. Una fonte ha affermato al Wsj: «È l’arte dell’accordo di Trump dire: “Guarda, sto risolvendo questa questione e ci sono enormi vantaggi economici per l’America, giusto?”».
(da La Stampa)
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