Dicembre 4th, 2010 Riccardo Fucile
L’ARROGANZA DEL POTERE DEI MISERABILI SI ESPRIME CON L’INVITO A “MANIFESTARE LA PROPRIA RABBIA” CONTRO CHI HA IDEE DIVERSE… COME MAI BELPIETRO NON CI HA PIU’ FATTO SAPERE NULLA DEL SUO MISTERIOSO ATTENTATORE?… PUBBLICHIAMO LA RISPOSTA DI FAREFUTURO
«Cari traditori, qui sotto trovate la vostra foto e il vostro indirizzo e-mail della Camera». Mancava solo l’indirizzo dell’appartamento.
E gli orari di entrata e uscita da casa.
E qualche consiglio su come “agire”.
Così su Libero di oggi Maurizio Belpietro “commenta” la presentazione della mozione di sfiducia al governo presentata ieri da Casini, Fini, Rutelli e gli altri.
La commenta con la pubblicazione in prima pagina dei profili e degli indirizzi di posta elettronica dei deputati di Futuro e libertà e del gruppo misto che hanno sottoscritto il documento.
L’obiettivo? A parole, un invito ai lettori a scrivere, a “manifestare” in caso di sfiducia la propria rabbia contro questi.
In realtà la lista di proscrizione è bella e servita.
Presentata come letterina ma inquietante come un avvertimento.
E che ciò possa comportare qualcosa di “diverso” dalla semplice indignazione, al direttore di Libero non sembra preoccupare più di tanto: «A noi importa un fico secco».
Già in fondo, calata giù la maschera, è questo il vero aspetto di un’intera classe dirigente. L’arroganza mista all’incoscienza.
Ma anche un disprezzo sempre più malcelato per le istituzioni e per i contrappesi.
Lo si è visto con l’intemerata del coordinatore del Pdl Denis Verdini contro il presidente della Repubblica, recitata come un coro da stadio: di Napolitano? «Politicamente ce ne freghiamo».
O con il “trattamento” che è stato riservato a chi, come Fini, si è permesso di dissentire dalla linea del partito.
O con la magistratura, denigrata come un agente affiliato alla sinistra.
O con chi, facendo il proprio mestiere di giornalista cattolico, ha solo osato criticare la condotta morale del capo dell’esecutivo.
Di tutto questo nulla viene detto in questa “letterina”.
Nè sui problemi irrisolti come quello dei rifiuti di Napoli, sulla crisi economica, sui crolli dei monumenti storici, sui retroscena emersi da WikiLeaks.
Nè sul fatto, ad esempio, che intere categorie sociali siano in piazza.
No, la colpa di tutto questo è dei “ribaltonisti”, dei “traditori” (che tra un po’ diventeranno “badogliani”).
Nessun contenuto, nessuna analisi sul perchè ciò sia accaduto.
Solo richiami irrazionali a categorie politiche che appartengono al peggiore Novecento.
Solo emotività laddove invece sarebbe opportuno un’assunzione (magari minima, solo un accenno) di responsabilità .
E cosa c’è di meglio di una bella lista, con tanto di facce, per addossare agli altri la promessa che si è disattesa?
Cosa c’è di più semplice che indicare nel “prossimo tuo” il colpevole del fallimento politico di un quindicennio?
«Molti di loro erano sconosciuti», spiega Libero riferendosi ai deputati finiani.
Ancora una volta, rispetto al vincolo con il programma, viene anteposto quello personale con il premier.
Quasi che siano state esclusivamente le proprietà taumaturgiche di Berlusconi a legittimare un intero mondo.
Una concezione feudale dei rapporti politici, che è ontologicamente altra dal principio democratico di responsabilità personale.
I risultati di tutto questo? Iniziano a essere drammaticamente reali: una ragazzina aggredita in pieno centro a Roma perchè sulla giacca esibisce una spilletta di Generazione Italia, un ex Pdl adesso esponente di Fli picchiato a Riccione dai militanti del partito dell’Amore e in generale un imbarbarimento del confronto politico che preoccupa categorie produttive e partner internazionali.
Che cosa dimostra questo?
Che siamo dinanzi a un potere in scadenza di contratto che si contorce nella stessa rete che ha creato e che, come un grosso tonno in affanno, per la disperazione si agita e ferisce a morte tutti gli altri pesci.
Perchè, è chiaro, quando non si ha davvero più nulla da dire ciò che rimane è cercare di tappare la bocca agli altri.
A questo servono le liste di proscrizione.
Anche quelle che celate “letterine”.
È successo proprio questo, quando si chiama Libero ma in realtà è un manganello…
Antonio Rapisarda
Farefuturoweb
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Dicembre 4th, 2010 Riccardo Fucile
L’ANALISI IMPIETOSA DI MASSIMO GIANNINI SU “REPUBBLICA”, CHE IN PARTE CONDIVIDIAMO… MA GLI ARDITI DI MUSSOLINI, COSI’ COME LE STESSE AVANGUARDIE DELLE RIVOLUZIONI BOLSCEVICHE, ERANO ANIMATI DA IDEALI MORALI E SOCIALI DI CAMBIAMENTO… QUESTI SOLO DAL CONSERVARE I PROPRI AFFARI, PRIVILEGI E IMMMUNITA’: “SE NE FREGANO” DEGLI ITALIANI
Mancava ancora qualcosa, al processo di decomposizione del berlusconismo. 
L’irridente “me ne frego”, che gli arditi del Pdl sbattono in faccia alle regole, alle istituzioni, alla Costituzione.
Ebbene, grazie a Denis Verdini, pluri-inquisito coordinatore del Popolo della Libertà , è arrivato anche questo.
“Ce ne freghiamo”, annuncia il plenipotenziario berlusconiano.
Se ne fregano delle prerogative del Presidente della Repubblica, al quale la Carta del ’48 assegna compiti precisi nella gestione della crisi di governo.
Le conoscono, queste prerogative. I falangisti del Cavaliere sanno che la nostra, ancorchè malridotta, è ancora una Repubblica parlamentare, dove le maggioranze nascono, muoiono e si modificano in Parlamento.
Sanno che i parlamentari non hanno vincolo di mandato.
Sanno che in presenza di una crisi di governo il capo dello Stato ha il dovere di verificare se esiste un’altra maggioranza.
Sanno che in caso affermativo ha il dovere di affidare l’incarico di formare un nuovo governo a chi la rappresenta.
Sanno tutto questo.
Ma appunto: se ne fregano.
Perchè per loro, come si conviene a un populismo tecnicamente totalitario, la “ragion politica” prevale sempre e comunque sulla ragion di Stato.
Il leader incoronato dalla gente è sempre e comunque sovraordinato alle norme codificate dal diritto.
Questo, fatti alla mano, è dal 1994 il dna politico-culturale del berlusconismo.
E così, al grido di “no al ribaltone”, le truppe del Cavaliere sono pronte a marciare sul Colle, sfidando Giorgio Napolitano e stuprando la Costituzione, di cui il presidente della Repubblica è il supremo custode.
Questo è dunque lo spirito con il quale un premier in confusione e una maggioranza in liquidazione si accingono ad affrontare le due settimane di vita che ancora restano al governo, prima del voto del 14 dicembre.
Questo è il “grido di battaglia”, con il quale il Pdl si prepara a combattere la guerra che comincerà il giorno dopo quella drammatica ordalia.
Sapevamo, a nostra volta, che l’ultimo atto della commedia umana e politica di Berlusconi sarebbe stato pericoloso e destabilizzante.
Ma non immaginavamo che al vasto campionario di violenze verbali e di macellerie costituzionali ora si aggiungesse anche il “me ne frego”.
Restano una certezza e una speranza.
La certezza è che la massima istituzione del Paese, il Quirinale, è affidata alle mani salde e sagge di un uomo che saprà esattamente cosa fare, per il bene dell’Italia e degli italiani.
La speranza è che alla fine anche la parabola del berlusconismo, più che in tragedia, degeneri in farsa.
Massimo Giannini
(da “la Repubblica”)
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Dicembre 4th, 2010 Riccardo Fucile
FINI GUARDA OLTRE: IN CASO DI CADUTA DEL GOVERNO, IL PDL SI SFALDEREBBE COME NEVE AL SOLE E INIZIEREBBE IL “SI SALVI CHI PUO”…. IL RUOLO CATALIZZATORE DI BEPPE PISANU, MARCELLO PERA E ANTONIO MARTINO VERSO LA FASE DEL POST-BERLUSCONISMO
Ormai sempre più svestito dei panni istituzionali, Gianfranco Fini non si fa scrupolo di fare previsioni sempre più lapidarie sulla decisiva votazione che il 14 dicembre si terrà nell’aula parlamentare che lui stesso presiede: «Credo che il Parlamento fra qualche giorno testimonierà quello che tutti sanno e cioè che il governo non c’è più o non è in grado di governare».
Nel suo intervento ad un convegno della Confartigianato di Mestre, Fini è lapidario anche sulla sua permanenza alla guida della Camera: «Se la legislatura continuerà – e io auspico che duri – continuerò a fare il presidente della Camera».
Affermazione secca che implicitamente contiene due notizie.
La prima è che, se la legislatura dovesse avviarsi a conclusione traumatica, Fini lascia intendere che lascerebbe sì la presidenza della Camera ma in zona Cesarini, per poter giostrare liberamente in campagna elettorale.
La seconda notizia è già nota, ma Fini non lascia passare 24 ore senza ribadirla: lui – e i suoi sodali del Terzo polo – faranno di tutto perchè lo scioglimento anticipato non ci sia.
Ma per scongiurare elezioni anzitempo le strade, sulla carta, sono tre.
Tutte accidentate.
C’è il governo di unità nazionale, invocato da Massimo D’Alema, con tutti dentro e che sul fronte destro, per ora, è condiviso soltanto da Alessandro Campi, direttore della finiana fondazione Farefuturo.
C’è il governo del ribaltone (tutta l’attuale opposizione, più Fli, Udc e transfughi del centrodestra), scenario che col passare dei giorni perde sempre più quota.
E poi c’è la terza ipotesi, quella di un governo nuovo di centrodestra (Pdl più Lega), allargato al Fli di Fini, all’ Udc di Casini e all’Api di Rutelli e guidato da una personalità diversa da Berlusconi.
E’ proprio questa – con buona pace del Pd – l’opzione su cui punta il neonato Terzo polo, tanto è vero che Pier Ferdinando Casini lo dice senza tante perifrasi: «Berlusconi indichi lui il nome del nuovo premier, a noi va bene».
Ma poichè appare a tutti improbabile che Berlusconi scelga spontaneamente l’abdicazione (come fece Craxi nel 1992 quando per Palazzo Chigi suggerì Giuliano Amato al Presidente Scalfaro), la vera scommessa di Casini, Fini e Rutelli è un’altra: il big bang della galassia berlusconiana.
Fini lo fa capire: «Non si andrà a votare, perchè il cambiamento ha una forza tale che spazzerà tatticismi e meline. Non dico più per motivi di riservatezza».
La vera scommessa dei terzopolisti è lo scenario tanto volte evocato, mai concretizzato, ma che stavolta potrebbe prender corpo: la caduta di Berlusconi e il conseguente, immediato smottamento di quel che fu Forza Italia.
A cominciare da tre personalità significative nella storia del centrodestra italiano: l’ex presidente del Senato Marcello Pera, l’ex ministro dell’Interno Beppe Pisanu, l’ex ministro della Difesa Antonio Martino.
Annuisce Pino Pisicchio, vicepresidente dell’Api: «E’ proprio così. Il rompete le righe sarà determinato da due fattori. Primo, i parlamentari, non essendo più radicati sul territorio e dipendendo totalmente dal capo, saranno indotti a fuggire non appena il capo cadrà . Secondo: con un bipolarismo rigidamente bloccato, il salto della quaglia era più difficile. Ora, con la nascita del Terzo Polo, questa trasmigrazione è più facile».
E dunque, uno smottamento tornerebbe utile ai terzisti soprattutto se si provasse a ricostituire un governo di centrodestra senza Berlusconi.
Per ora è soltanto un gioco, ma già si manifestano opzioni diverse.
Per Casini «Gianni Letta andrebbe benissimo», mentre per Bruno Tabacci (il più argomentato oppositore del Tremonti ministro), proprio lui sarebbe il miglior successore di Berlusconi.
E proprio il ministro dell’Economia era stato gratificato, il 19 novembre, da una esternazione che parse estemporanea di Roberto Maroni: «Giulio Tremonti? Se si decidesse di candidare, lui sarebbe un ottimo premier».
Fabio Martini
(da “la Stampa“)
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Dicembre 4th, 2010 Riccardo Fucile
IMPOSSIBILE CHE VOGLIA E POSSA DISTRUGGERE UN MONDO CHE SI E’ GIA’ DISTRUTTO DA SOLO, PERDENDO IL SENSO DEL RIDICOLO… ASSANGE HA SOLO RESO PUBBLICHE NOTIZIE E INTRALLAZZI CHE SI GIA’ SI IMMAGINAVANO VERI… L’ANALISI DI BARBARA SPINELLI SUL “FATTO QUOTIDIANO”
Io non so quale sia il reato di cui si sarebbe macchiato Julian Assange, e condivido i
dubbi di molti che lo conoscono, sulle indagini riguardanti le sue peripezie sentimentali.
Quello che so è che da giorni, e precisamente da quando sono cominciate le pubblicazioni di Wikileaks, mi si accampa davanti, ogni sera in Tv, la faccia di un signore che in Italia fa il ministro degli Esteri e che si agita e che dice che quell’uomo lì va catturato al più presto perchè — mirabile a udirsi! — “vuol distruggere il mondo”.
Non ricordo un’analoga frase usata per Bin Laden, dopo l’11 settembre 2001. Si disse che voleva distruggere l’America.
Ma di abbattere il mondo, nientemeno, nessuno parlò.
Quanto alla religione musulmana, i più ragionevoli seppero evitare contaminazioni, lasciando in cattiva compagnia chi sproloquiò su una civiltà inferiore (Berlusconi, 26-9-2001: “L’Occidente deve esser consapevole della superiorità della sua civiltà ”).
Non fosse altro perchè c’è una sura del Corano (la 3: 97) che in proposito parla chiaro: Dio non si scompone davanti agli increduli, poichè “basta a se stesso e può fare a meno dei mondi”.
Nei file di Wikileaks non c’è un granchè, per la verità , ma in fondo non è quello che conta e Frattini lo sa: quel che davvero conta, e che per i governanti italiani è la calamità satanica cruciale, è la rivoluzione dei media, che Wikileaks conferma e amplifica straordinariamente.
È l’assalto ai Palazzi d’Inverno, che mette spavento ai falsi troni dove siedono, spesso, falsi re.
Anche nell’informazione regnava, fino a ieri, l’ordine westphaliano: ogni Stato sovrano ha la sua informazione, chiusa in recinti nazionali accuratamente separati.
Invece ecco che Wikileaks parla del mondo e al mondo, apre su di esso un grande occhio indagatore, sfata re che non sono re, diplomazie che sfangano senza uscire dal fango.
I cabli sono spesso insipidi perchè insipidi sono i regnanti cui sono riservati.
E a poco servono gli sforzi in cui s’imbarca Leslie Gelb, presidente del Council of Foreign Relations, fulminato dalla scoperta, nei dispacci, di una diplomazia Usa zoppicante forse, ma che almeno sgobba per sciogliere nodi planetari; che almeno “si dà da fare”.
Anche questo ci si accampa davanti: un globale, trasversale partito del fare, che Assange non solo discredita ma insidia mortalmente.
Deve essere il motivo per cui Hillary Clinton, senza accorgersi del ridicolo e fingendo un soccorso alla nostra stabilità finanziaria, ha deciso di prendere una sedia, di piazzarla a fianco di Berlusconi, e di proclamarlo “migliore amico dell’America”.
Una difesa imbarazzante, d’altronde, perchè il segretario di Stato esce assai malandata da questa storia, e averla accanto come intercessore è un vantaggio quantomeno relativo.
Wikileaks getta infatti sulla Clinton una luce sgradevole, oscura.
Fu lei a indurre molti diplomatici, che pure fanno un mestiere nobile, a indossare una veste affatto diversa: quella della spia, che avvicina subdolamente gli interlocutori (compresi i vertici dell’Onu, compreso Ban Ki-moon) per carpire numeri di carte di credito, codici di carte Frequent Flyer, magari dettagli privati da usare un giorno come pressione o ricatto.
Non è sotto accusa, qui, la classica ipocrisia del linguaggio e dell’agire diplomatico: ben venga questo vizio, che nelle ambasciate è una forma di cortesia, di pacificazione del litigio.
Sotto accusa è l’attività non poco vergognosa di diplomatici degradati a sicofanti. Dicono che dappertutto si fanno cose simili: non consola.
Ma quel che i dispacci rivelano è più sostanziale: è la politica degli Stati — America in testa — e la loro frastornante impreparazione.
Impreparazione all’emergere rivoluzionario della trasparenza online, iniziata molto prima che nascesse Wikileaks nel 2006: se davvero si tiene al segreto, non lo si mette in circolo come è avvenuto con i cabli, rendendoli disponibili a 3 milioni di funzionari Usa oltre che al sito del ministero della Difesa Siprnet. Si scrive top secret sui dispacci, e Wikileaks pare lo rispetti.
È colpa della politica e non dei media se i segreti escono, rovinando ragnatele diplomatiche laboriose e mettendo a rischio le fonti degli ambasciatori.
Nè è colpa dei dispacci se l’intera politica occidentale risulta colma di torbide contraddizioni. Contraddizioni che Wikileaks non scopre, ma conferma: a cominciare dalle complicità nella lotta anti-terrore con paesi poco raccomandabili, tra cui Arabia Saudita e Pakistan.
L’Iran appare l’avversario assoluto, scrive Stephen Kinzer sul Guardian-online, “ma che ne è di Riad, di Islamabad”?
Nello stesso momento in cui re Abdullah chiede all’ambasciatore Usa di “tagliare la testa al serpente” iraniano, un altro dispaccio constata: “I donatori sauditi restano i principali finanziatori di gruppi militanti sunniti come al Qaeda”.
Sono scene che potrebbero figurare nel serial mozzafiato 24: ennesime sventure dell’agente Jack Bauer, alle prese con le sinistre caligini dell’Amministrazione.
È questo paese della doppiezza, l’Arabia Saudita, che Washington rifornisce di armi, sempre più smisuratamente: l’ultima vendita risale al settembre scorso e ammonta a 60 miliardi di dollari, un record mai raggiunto.
Lo stesso si dica del patto con Karzai, corrotto presidente afghano, e soprattutto con Islamabad, cui Washington ha donato, a partire dall’11 settembre, ben 18 miliardi di dollari.
Da tempo i servizi pachistani (Isi) sostengono i talebani sottobanco.
Su tutte queste cose Assange getta una luce forte, strappa veli.
Così come in Italia strappa veli sulle visite clandestine di Berlusconi in Russia: nessun giornalista lo segue, le Tv tanto prodighe di sue immagini non mostrano nulla o ce lo mostrano che s’aggira a Roma — boss attorniato da guardie del corpo: il filmato è un tormentone del Tg1 — mentre se ne sta nella dacia con Putin a fabbricare non si sa quale lucroso accordo energetico, indifferente alla solidarietà tra europei e al diritto degli italiani all’informazione. Il Tg1 ha perfino azzardato, giovedì, un paragone glorioso tra il premier ed Enrico Mattei.
Frattini avrebbe detto, stando a Wikileaks: nulla so di questi connubi. Ma perchè parla, se non sa?
Parla perchè questa è la parola d’ordine, nell’America conservatrice e nel governo italiano: criminalizzare Assange.
Sarah Palin, all’unisono con Roma, chiede che il fondatore di Wikileaks sia “abbattuto come un agente antiamericano con il sangue nelle mani”.
L’ex candidato presidenziale Huckabee invoca l’esecuzione capitale per tradimento.
Tutto questo perchè Assange, l’informatore a valanga, è una folata di aria in stanze che mancano di ossigeno.
È come Beppe Grillo, quando il 22-11-2005 elencò sull’Herald Tribune i politici condannati che sono in Parlamento.
È sbagliato, forse, denudare ipocrisie e segreti delle diplomazie: la guerra all’ipocrisia ha sempre qualcosa di troppo puro. Ma di qui al terrorismo, ce ne vuole.
L’immagine di Assange distruttore del pianeta è la più colossale banalizzazione del male.
Ancor peggio sarebbe infliggere 52 anni di galera a Bradley Manning, il ventitreenne analista militare accusato di aver dato a Wikileaks notizie e video sulle azioni Usa in Iraq o Afghanistan.
Il bavaglio di cui si è parlato in Italia diverrebbe globale, e la condanna di Manning un crimine contro la libertà di coscienza e di parola.
Sarebbe una pena non meno indecente del carcere inflitto decenni fa a Mordechai Vanunu, il tecnico nucleare israeliano che svelò al mondo, il 5 ottobre ’86 sul Sunday Times, l’esistenza della centrale atomica di Dimona nel deserto del Negev (18 anni di carcere, di cui 11 in isolamento).
Seumas Milne sul Guardian del 2 dicembre ricorda l’essenziale: mentre Manning era demonizzato, gli aviatori americani che nel 2007 uccisero quasi per gioco, in Iraq, una dozzina di civili inermi (tra cui due giornalisti della Reuters) venivano elogiati dal comando militare Usa per il loro “giudizio sensato” (sound judgement).
Manning è un whistleblower, come dicono gli americani: una persona che dall’interno di un’organizzazione ne smaschera i misfatti.
Una figura da proteggere, che serve la democrazia prima delle gerarchie. Non a caso Daniel Ellsberg, il whistleblower che permise la pubblicazione nel 1971 dei Pentagon Papers sulla disastrosa guerra in Vietnam, considera Manning “un eroe”.
Può darsi che Assange sia un caotico; un torrente che la stampa scritta argina con intelligenza.
La diplomazia riceve un colpo pericolosissimo: per migliorare dovrà imparare a tenere meglio i segreti, prima di prendersela con il direttore di Wikileaks.
Ma di certo il mondo dell’informazione dovrebbe difenderlo con pubbliche iniziative, quali che siano i danni che ha procurato.
Proprio perchè è stata fatta questa equazione oscena fra il sangue e l’inchiostro, fra il terrore e l’informazione che sbugiarda i sovrani. Compresi i sovrani mondialmente deprezzati come Berlusconi.
Barbara Spinelli
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 4th, 2010 Riccardo Fucile
IL CAPOGRUPPO IN REGIONE LOMBARDIA STEFANO GALLI RIFIUTA 15.000 EURO PER PILOTARE UN APPALTO E CORRE A DENUNCIARE IL FATTO… “IO CERTE PERSONE LE DENUNCIO, ALTRI FANNO AVERE LORO LE CONSULENZE”… IL PRESUNTO CORRUTTORE E’ UN IMPRENDITORE VICINO ALLE LEGA E CHE HA LAVORATO PER CASTELLI
Qui al Nord è scoppiato lo strano e imbarazzante caso dei leghisti che denunciano leghisti.
“Noi siamo il partito degli onesti”, aveva risposto il ministro dell’Interno Roberto Maroni a Roberto Saviano, che si era permesso di ricordare in diretta tv che un leghista pavese era in contatto con uomini della ‘ndrangheta.
Ora però un altro esponente del Carroccio, il capogruppo nel consiglio regionale della Lombardia Stefano Galli, ha scoperchiato una brutta storia in cui, se lui è il “Ieghista buono”, altri rivestono gli scomodi panni del “Ieghista cattivo”.
La vicenda, già raccontata su queste pagine, è quella di Teleospedale: un sistema tv da installare negli atrii, nei corridoi, nelle sale d’aspetto degli ospedali lombardi.
Notizie, programmi, informazione e spot pubblicitari, che pagano tutto.
Nei giorni scorsi sono scattate le perquisizioni che hanno svelato che su Teleospedale è in corso un ‘inchiesta per corruzione e turbativa d’asta.
Sì, perchè qualcuno era disposto a pagare, pur di vincere la gara.
Lo ha dichiarato a polizia e magistrati lo stesso Galli, fiero di essere un leghista onesto, che vive del suo stipendio, “pagato con i soldi delle tasse dei cittadini”. Gli avevano offerto 15 mila euro, tanto per cominciare.
E lui, invece di metterseli in tasca, era corso a sporgere denuncia.
Ma chi sono i “cattivi”, in questa storia di corruzione tentata (nel suo caso) e forse riuscita (in altri casi)?
Il conte Alberto Uva, l’imprenditore che ha offerto a Galli i 15 mila verdoni, forse non ha la tessera del Carroccio, ma di certo è interno al mondo leghista, visto che la sua Global Brain aveva ricevuto da Roberto Castelli, allora ministro della Giustizia, un incarico per stabilire l’efficienza e la produttività degli uffici giudiziari, per stilare cioè le cosiddette “pagelle ai magistrati”.
Un incarico affidato senza gara e così fuori dalle procedure, che alla fine la Corte dei conti aveva condannato Castelli a risarcire all’erario 50 mila euro.
Se Uva da questa storia esce con una bella indagine per tentata corruzione e turbativa d’asta, anche l’ex ministro Castelli non ci fa una gran figura: “lo certe persone le denuncio, altri danno a loro le consulenze”, ha buttato lì Galli, intervistato da Luigi Ferrarella sul Corriere.
Non occorre essere dei premi Nobel per capire che “altri” vuol dire nientemeno che Roberto Castelli.
Altro leghista dentro questa storia è Simone Rasetti, capo dell’ufficio stampa dell’assessore regionale lombardo alla Sanità , Luciano Bresciani (anch’egli del Carroccio).
Uva, respinto da Galli, ci ha riprovato con Rasetti.
Questi ha intascato i verdoni promessi? O ha resistito alla tentazione?
Non lo sappiamo.
Ma di certo non ha denunciato il diavolo tentatore, a differenza di Galli.
Ora sarà il pubblico ministero Fabio De Pasquale a dipanare la matassa del caso giudiziario.
Dal punto di vista politico, però, è già fin d’ora chiaro che nel “partito degli onesti” di Maroni ci sono anche quelli che parlano con la ‘ndrangheta, quelli che cedono alle tentazioni e quelli che, invece di denunciare i tentatori, li nominano consulenti ministeriali.
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Dicembre 4th, 2010 Riccardo Fucile
UOMINI E SOCIETA’ COINVOLTE NEL BUSINESS DEI VELENI… UN’INCHIESTA DE “L’ESPRESSO” RIVELA COME ARRIVINO VIA MARE CONTAINER DI RIFIUTI SPECIALI… LA MONNEZZA NON SPORCA MA PULISCE, LAVA QUATTRINI E SUCCHIA FONDI PUBBLICI…. LA FORTE PRESENZA DELLA MALAVITA ITALIANA INSEDIATA A BUCAREST
Il mostro s’è risvegliato. Ruggisce di nuovo “Ochiul Boului”, l’occhio di bue, la discarica
più spaventosa della Romania.
Ruggisce da quando Napoli s’è trovata coperta un’altra volta dai rifiuti.
Qui a Glina temono possa tornare il pericolo italiano, i container di spazzatura campana gestita dalla camorra.
Temono che al di là delle dichiarazioni del governo Berlusconi, che promette di smaltire quella montagna puzzolente distribuendola fra le altre regioni, partano i traffici di navi fantasma stracolme di monnezza.
Perchè i soldi in gioco sono tanti. E i contratti ufficiali con gli smaltitori del Nord non rendono certo alla malavita italiana quanto quelle crociere di veleni. Non sarebbe la prima volta che i cargo scaricano illegalmente qui immondizia destinata altrove. Nè che dietro a un’operazione legale spunti la mano della mafia.
Tanto, una volta che i rifiuti sbarcano in Romania nessuno li trova più. Finiscono sepolti sotto questi mostri che chiamano “groapa”, con il corpo che s’estende per decine di ettari, putrefatto da decenni di accumuli.
Il lago a Glina è sparito. La campagna è contaminata. L’acqua è marrone.
L’immondizia di Bucarest, strato su strato, è diventata alta come le colline a sud-est della capitale fino a risucchiare il paesino.
Gente che respira quel tanfo dal 1976, quando l’ex leader comunista Nicolae Ceausescu decise di stivare qui gli scarti di Bucarest.
Come Glina ci sono una miriade di altre discariche disseminate nel Sud. Legali e illegali. E a gestirle, dietro le società romene di facciata, ci sono gli italiani.
L’ultimo fenomeno che allarma l’Interpol è il fiorire, sotto i Carpazi, di una miriade di aziende campane che si occupano proprio di rifiuti.
Sono quelle che oggi fanno temere che si stia organizzando qui la discarica di Napoli. Il progetto che saltò tre anni fa, quando il business era gestito dai soci di don Vito Ciancimino, che s’erano aggiudicati l’ampliamento di Glina, l’inceneritore di Ploiesti e un paio di grosse discariche a Mures e Baicoi. All’epoca fu un’inchiesta della Procura di Palermo, a caccia dei tesori nascosti del boss, a passare i confini e bloccare le operazioni, costringendo i soci dell’ex sindaco condannato a 13 anni per associazione mafiosa a svuotare le società e sparire nel colabrodo del diritto romeno.
Agenda 21, la capofila fondata da Sergio Pileri e fratelli, è diventata una scatola vuota. Mentre la Ecorec, società che gestisce la discarica di Glina, è stata acquisita dal gruppo molisano Valente, che operava nella ex Jugoslavia dagli anni Ottanta.
Due anni fa si sono decisi a giocare la loro prima partita sui rifiuti attuando un piano di ammodernamento per trasformare Ochiul Boului nella più grande discarica certificata d’Europa. Chiudendo contratti con gran parte dei paesi dell’Unione europea.
Intanto molti dei tentacoli societari dei fratelli Pileri, che gestivano con Gianni Lapis e Romano Tronci il gruppo di imprese incastrate una sull’altra, operano ancora a Bucarest. Nei rifiuti. Nell’immobiliare. Nella moda.
Lo sa la polizia. Sa che alcune sigle sono cambiate, altre sono passate in mani straniere, altre ancora di italiani.
Immerse nel mare delle circa cento società che si occupano di smaltimento da queste parti.
È un sistema dove tutti conoscono tutti: “Ufficialmente non ci sono indagini in questo momento sul traffico di rifiuti dall’Italia alla Romania. Se da voi tutti sospettano tutti, qui ci atteniamo ai fatti”, replicano gli investigatori.
Eppure fuori microfono confermano che il campanello d’allarme è suonato. I container di immondizia arrivano via mare. E passano facilmente le frontiere colabrodo dal porto di Costanza. O addirittura da Odessa e Illichivs’k in Ucraina.
Proprio in questi mesi caldi, sono aumentati i controlli sul confine meridionale e i giornali romeni parlano di “caracatita”, la piovra italiana, la rete di società che in un gioco di scatole cinesi si spartisce la nuova partita dei rifiuti, della green economy e dell’eolico.
È facile giocarla qui, dove mafia e camorra si sono stabilite da tempo. Basti pensare che negli ultimi cinque anni sono stati arrestati almeno dieci superlatitanti italiani in quest’area: da Francesco Schiavone, cugino di Sandokan, al camorrista Mariano Pascale, acciuffato a Dubraveni, a Ignazio Nicodemo che operava tra Pitesti e Costanza e Vincenzo Spoto, uno dei boss della Sacra Corona Unita.
Nel frattempo sono triplicate le aziende italiane che partecipano a gare d’appalto per le nuove discariche e che si presentano a Romenvirotec, la più grande fiera romena sui rifiuti.
Se nel sud del Paese impera la mafia cinese e i russi si sono organizzati sul confine con la Moldavia per gestire i traffici di rifiuti tossici attraverso le Repubbliche ex sovietiche, i più forti restano comunque gli italiani.
Quelli che controllano il Nord-ovest, la zona di Bucarest e giù fino al Mar Nero. Per loro la monnezza non sporca, ma pulisce.
Lava quattrini e succhia fondi pubblici.
Ammalia l’Unione europea, prodiga di finanziamenti per ammodernare il sistema di smaltimento romeno e riempie i conti della malavita. E così l’emergenza Napoli è una gallina dalle uova d’oro.
Paga il governo, paga Bruxelles, pagano tutti.
Magari si firmano contratti con ditte italiane e, per guadagnarci due o tre volte, la stessa monnezza finisce sulle rotte della camorra. Mescolata a rifiuti che in Italia non si potrebbero nemmeno smaltire.
Non è fantascienza. È la regola sul Mar Nero.
Un business che rende più della droga dopo l’ingresso del Paese nell’Unione europea, quando anche la criminalità ha fatto un salto di qualità e s’è buttata sulle cosiddette imprese ecologiche: “Con il doppio vantaggio che gli investimenti sono a costo zero. E permettono di riciclare fiumi di soldi sporchi della criminalità organizzata in un paese della Ue. E rimetterli in circolo”, spiegano all’Interpol. Il mostro s’è risvegliato.
Qui non rischiano di spostarsi solo i rifiuti, dunque, ma la testa stessa del business.
La base strategica del riciclaggio che guarda a Oriente.
Basta fare un salto sabato notte al Bamboo. È la più grande discoteca dell’Est Europa, un paradiso fatto di musica e belle ragazze disseminato di oligarghi e uomini d’affari. I
proprietari sono due italiani che hanno costruito nella capitale romena un piccolo impero: Giosuè e Ciro Castellano, i nipoti di Pupetta Maresca, compagna del boss Umberto Ammaturo e prima notabile donna della camorra.
Un tavolo nella zona vip te lo devono dare loro di persona. Paghi anche mille euro per bere vodka commerciale. Fuori girano Ferrari, Audi e Bmw nuove di zecca.
Perchè a Bucarest sesso e affari sono una miscela inscindibile.
Su quella pista psichedelica danzano loro e pure i miliardi che dall’Italia transitano nei Balcani.
Ma dove possono stivare illegalmente i rifiuti?
Lo spiega un ingegnere lombardo che, l’anno scorso, s’è sentito parte del gioco e ha cercato di entrare nel giro delle discariche. Con l’unico risultato di trovarsi in ospedale con le ossa rotte: “Qui funziona così: le società romene, dietro alle quali c’è la criminalità organizzata, ottengono dai Comuni le autorizzazioni per le discariche”, racconta a “L’espresso”.
Ne è prevista una a Cumpana, alle foci del Danubio. Altre a Valul lui Traian in Dobrugia e verso Tulcea: “Dovrebbero servire per i rifiuti urbani e le aziende della zona. Invece nella realtà non succede così, perchè il sistema è rudimentale e nella maggior parte dei casi non ci sono nemmeno i bidoni. Il Comune paga, ma il grosso della roba finisce nelle centinaia di discarche abusive che nascono dappertutto. Così alle imprese di smaltimento ufficiali restano milioni di metri cubi fantasma da riempire con quello che vogliono”.
Tommaso Cerno
(da “L’Espresso“)
argomento: criminalità, denuncia, economia, emergenza, governo, mafia, Napoli, Politica, Rifiuti | Commenta »
Dicembre 4th, 2010 Riccardo Fucile
UN’INCHIESTA DI ALTROCONSUMO SULLE TRATTE PIU’ FREQUENTATE ASSEGNA LA MAGLIA NERA ALLA LINEA PIACENZA-MILANO… MONITORATI 1407 PENDOLARI STANDARD SU 25 TRATTE DA NORD A SUD… STAZIONI FANTASMA SENZA BIGLIETTERIA E INDICAZIONI
Quelli che stanno peggio sono al Nord: sulla linea Piacenza-Milano (e viceversa) non c’è una cosa che funzioni. Bagni rotti. Oppure chiusi. Oppure talmente sporchi da essere inavvicinabili. Per non dire della puntualità . Mai che arrivi in orario quel treno.
Non è che le cose migliorino però spostandosi.
Segno nero anche sulla Pavia-Milano, Novara-Milano, Varese-Milano, Como-Milano. E la Bergamo-Carnate-Milano gareggia per il primo posto tra le peggiori tratte pendolari d’Italia.
Ma certo, mica se la passano bene tutti gli altri.
Quelli della Fara Sabina-Roma o della Frosinone-Roma, per esempio, anche loro in coda per soddisfazione (inesistente) del servizio. O quelli della Formia-Napoli o della Orte-Roma. Per non dire poi della Nettuno-Roma, della Avezzano-Roma o della Salerno-Napoli.
Almeno secondo l’inchiesta fatta da Altroconsumo che ha viaggiato sui treni pendolari più trafficati d’Italia, quelli che portano a Milano, a Roma, a Napoli, ed ha ascoltato chi ogni giorno combatte con puntualità , pulizia, affollamento, cioè lavoratori e studenti che si alzano all’alba per riuscire a raggiungere la loro destinazione anche molte ore dopo, causa ritardi cronici.
E già sono stanchi, arrabbiati, stressati.
«Siamo uomini o pendolari?» è la campagna dell’associazione dei consumatori che di pendolari ne ha seguiti 1407 su 25 tratte.
E la maggior parte ha bocciato il servizio ricevuto ogni giorno.
Cento per cento di insoddisfatti i viaggiatori che ogni mattina prendono il treno a Piacenza per arrivare a Milano: il 98% di loro si lamenta della totale mancanza di igiene e dell’affollamento. Il cento per cento della puntualità : che non c’è mai.
E così via sul resto delle altre tratte. Pessime la Bergamo-Carnate-Milano così come la Fara Sabina-Roma e la Frosinone-Roma: treni lerci, sedili strappati, bucati, insozzati da cibo e altro; toilettes impraticabili perchè chiuse o perchè troppo puzzolenti e indecenti per entrarci.
E poi «si viaggia come su carri di bestiame», si lamentano i comitati pendolari di tutta Italia. Perchè se da un lato aumentano i treni Alta Velocità , sugli altri binari diminuiscono quelli per chi non viaggia a trecento ma a 30 all’ora.
Ma il numero delle carrozze resta lo stesso e per entrare (e scendere) bisogna camminarsi l’uno sull’altro.
E quante volte si arriva (o si parte) da stazioni fantasma, dove è impossibile trovare una biglietteria, una indicazione, un pannello (non distrutto) degli arrivi e delle partenze?
«Nessuno ci ascolta, nessuno ci dà risposte, nessuno si preoccupa di avvertirci se il treno non passerà , se arriverà tardi, se non ripartirà mai più».
Che le condizioni di viaggio dei pendolari siano al limite della sopportazione si sa da tempo.
Ma stavolta Altroconsumo offre agli insoddisfatti anche la possibilità di fare causa a chi fornisce (male) il servizio.
Sul sito dell’associazione si può accedere ad una consulenza gratuita e segnalare le situazioni più eclatanti: «I casi di evidente e ripetuta lesione dei diritti di utente del servizio ferroviario si tradurranno in causa di fronte al Giudice di Pace».
E per chi soffre ogni giorno sulle tratte peggiori (Piacenza-Milano, Bergamo-Carnate-Milano) Altroconsumo offre i propri legali per chiedere un risarcimento danni.
E anche Legambiente boccia i treni pendolari.
Nel Lazio ha assegnato per il terzo anno consecutivo il «Trofeo Caronte» alla linea Nettuno-Roma: è la peggiore tra le 8 tratte regionali su cui ogni giorno viaggiano 360mila persone che cercano di raggiungere Roma.
E proprio i pendolari della Nettuno-Roma tempo fa hanno promosso una raccolta di firme per una civil action contro Trenitalia: «Non è più sopportabile viaggiare su quei treni e in quel modo».
argomento: denuncia, emergenza, ferrovie, Lavoro, Politica | Commenta »