Agosto 29th, 2011 Riccardo Fucile
IL MERCHANDISING DI FLI E’ AFFIDATO A DUE SOCIETA’, UNA RESPONSABILE DEGLI ORDINI VIA WEB E L’ALTRA CONCESSIONARIA ESCLUSIVA DEL MARCHIO: ENTRAMBE DOMICILIATE AD AVERSA, CITTA’ DI ORIGINE DI ITALO BOCCHINO E DI GIANMARIO MARINIELLO, UNA SEMPLICE COINCIDENZA?
Marketing e politica. Un binomio sempre più attuale nella dimensione della politica moderna. 
Se Berlusconi è stato il pioniere in questo campo con i memorabili kit dell’elettore che fecero la comparsa sulla scena a partire dal 1994, progressivamente tutti i partiti si sono attrezzati ed hanno operato innovazioni in questo campo.
Il modello americano fatto di pins e gadgets personalizzati ha attraversato l’Oceano ed è diventato una realtà anche nel nostro Paese.
I nuovi partiti non sono esenti da questa moda.
Anzi, Futuro e Libertà ha immediatamente puntato con forza su questo fronte per finanziare la propria attività .
Ricorderemo, infatti, il successo di vendite alla convention di Bastia Umbra per la maglietta stile Andy Warhol con l’effige di Fini e la scritta “Che fai mi cacci?”, che immortalava l’immagine del presidente della Camera alla Direzione Nazionale del Pdl.
I futuristi hanno scommesso fin da subito sull’e-marketing, creando siti web dedicati esclusivamente al merchandising dei loro prodotti.
In principio, è stata Generazione Italia a lanciarsi in questa direzione.
Alla vigilia di Mirabello circolavano link con sconti eccezionali per l’acquisto di cappellini e posacenere.
Di lì a breve, con la nascita ufficiale di Futuro e Libertà , anche il “partito dei grandi” si è dotato di un proprio portale per vendere i prodotti del brand finiano.
Collegandosi sul sito web www.futuroelibertashop.it, attraverso un link sul sito ufficiale del partito, è possibile acquistare lo zainetto in nylon, la felpa o un set di penne targato Fini.
Alla stessa pagina reindirizza anche il link www.generazioneitaliashop.it, dove campeggia una invitante tazza in ceramica, indicata come quella “ufficiale di Fli”.
Fin qui nulla di strano, a parte la dissonanza con un partito nato per contrastare il modello edonista berlusconiano.
Ma le sorprese arrivano quando dal sito si viene indirizzati sulle pagine web di due società , l’una responsabile degli ordini, l’altra concessionario esclusivo del marchio Generazione Italia. Cliccando sul sito si scoprirà che la prima corrisponde al nome della Novezeri—Thinking Velocity (www.novezeri.it), società di Pubblicità , editoria e nuovi media con sede ad Aversa, in provincia di Caserta, precisamente in via G. Boccaccio 38.
Sarà una semplice coincidenza, ma si tratta proprio della città di origine del più famoso dei finiani, l’onorevole Italo Bocchino, e del responsabile del movimento giovanile dei futuristi, Gianmario Mariniello, consigliere comunale della città campana.
La seconda, invece, si chiama Ita2020 s.r.l. (www.ita2020.it).
Sul sito non compaiono contatti nè informazioni sulla sede legale, ma da una semplice ricerca è stato possibile verificare che si tratta di una società per attività di commercio elettronico di beni non alimentari, che ha la sede in via Firenze 8, sempre nella città di Aversa.
Semplice coincidenza?
Non conosciamo i termini contrattuali tra le società ed il partito, nè tantomeno secondo quali criteri siano state selezionate.
Si tratta di una scelta di tipo privatistico e non abbiamo motivo di dubitare che il tutto sia corrisposto ai principi di convenienza e trasparenza per tutti i futuristi.
E, tra l’altro, plaudiamo al fatto che la scelta sia caduta su due società meridionali, delle quali avremmo piacere di conoscere il nome dei proprietari per sollevare qualsiasi dubbio su ipotetici conflitti di interesse.
Del resto, sarebbe opportuno dipanare il dubbio che la nascita del nuovo soggetto politico possa aver rappresentato, per alcuni dei futuristi, anche una nuova forma di business.
Lo si deve alle migliaia di militanti ignari, che hanno acquistato in buona fede la bellissima maglietta o l’irrinunciabile bandiera.
Questa vicenda, per quanto paradossale, ha poi un risvolto del tutto politico.
Qualche settimana fa abbiamo delineato un profilo di Italo Bocchino chiudendo la riflessione con un interrogativo, ossia se la sua strategia corrisponda in pieno con quella del suo leader.
In molti casi ci è apparso che Bocchino stesse giocando una partita tutta sua, in virtù di una acquisita visibilità nazionale che gli era preclusa finchè era il vice-capogruppo nella Pdl.
Dalla nascita di Fli si è occupato in prima persona della strutturazione del partito, percorso già avviato con la nascita dei circoli di Generazione Italia, diventati automaticamente le prime cellule di Futuro e Libertà .
E’ lui a detenere le chiavi dell’organizzazione nazionale di Fli e dei contatti con i responsabili territoriali, per la cui nomina ha carta bianca da Fini.
E’ lui a gestire la cassa e i conti di Futuro e Libertà , nonchè a curare gli aspetti legati al marketing.
Fattori non irrilevanti per chi conosce le dinamiche interne ad un partito.
Sabato scorso, poi, ha addirittura rilasciato all’Unità un’intervista in cui ha candidamente dichiarato “il mio leader è Casini”, scaricando il febbricitante Fini assente alla kermesse di Todi.
Nonostante i malumori che da più parti si sollevano nei suoi confronti e della linea del partito da lui rappresentata, come testimoniano le parole di ieri di Luca Barbareschi, Italo va diritto per la sua strada e non si scompone, promuovendo una denuncia per abuso d’ufficio nei confronti del ministro degli Esteri Franco Frattini attraverso un anonimo militante di Fli.
Si è trattato di una scelta condivisa da tutto il partito?
Proprio ieri, in un articolo comparso su Libero, Francesco Borgonovo lo apostrofava come “un servitore di tre padroni”.
A questo punto il dubbio sorge spontaneo: caro Fini, ma sei sicuro di poterti fidare di Bocchino?
(da “l’Occidentale”)
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Agosto 29th, 2011 Riccardo Fucile
E INTONANO L’INNO NAZIONALE… L’INCONTRO DI MILANO SI TRASFORMA IN UN CORTEO SPONTANEO E BIPARTISAN: “COSTRETTI A RIDURRE I SERVIZI, DAL GOVERNO UNA RIDUZIONE DELL’11% DEI COSTI”
Dovevano essere solo 500.
Invece, i sindaci che si sono presentati a Milano contro i tagli agli enti locali previsti dalla manovra del governo sono oltre 2000.
E così, da ristretto incontro in un auditorium, si è passati a una vera e propria marcia per le strade del capoluogo lombardo conclusasi a Palazzo Marino, sede dell’amministrazione comunale milanese.
“Va al di là delle nostre aspettative — ha detto il presidente dell’Anci Lombardia e sindaco di Varese, Attilio Fontana, commentando il numero di partecipanti -. L’alta partecipazione dimostra che siamo coesi contro la manovra”.
Una coesione che ha portato gli amministratori a intonare l’inno d’Italia.
”Se i tagli non vanno via, dovremo portare i disabili e le persone delle mense della Caritas davanti a Palazzo Chigi”, ha denunciato il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, che partecipa in prima fila al corteo.
Il primo cittadino della Capitale ha affermato che se le cose restano come ora, i tagli saranno “devastanti”, con 270 milioni in meno per Roma l’anno prossimo, tagli che riguardano “servizi essenziali ai cittadini, la mobilità , i servizi sociali”.
Del resto, uno studio del Sole 24 Ore calcola il danno fiscale dei tagli agli enti locali in mille euro a famiglia in media.
E il governo ha già scelto questa via: nel decreto è prevista per comuni e regioni proprio la possibilità di aumentare le loro addizionali.
A regioni ed enti locali — a regime, cioè nel 2013-2014 — sono stati sottratti in tutto oltre 15 miliardi di euro, l’11% del costo dell’intero sistema delle autonomie: le regioni “normali” avranno 6,1 miliardi in meno, le regioni a statuto speciale tre miliardi, i comuni 4,5 e le province 1,3 miliardi.
All’importo rilevantissimo si somma la velocità dei risparmi previsti: l’ultima manovra, infatti, sottrae già dal prossimo gennaio 1,7 miliardi ai comuni, 0,7 alle province, due miliardi alle regioni speciali e 1,6 a quelle ordinarie (da sommare ai tagli del 2010 ovviamente).
Per sindaci e governatori la strada è obbligata: taglio ai servizi e aumento delle tasse locali.
Ecco perchè, per la manifestazione di oggi a Milano, l’adesione tra gli amministratori locali è altissima e bipartisan.
E infatti insieme ai sindaci del Pdl, sfilano amministratori dell’opposizione.
Il fatto che a Milano ”siano accorsi tanti sindaci dimostra che i tagli sono sbagliati. La protesta è corale”, ha dichiarato il primo cittadino di Torino, Piero Fassino.
“I sindaci sono sempre in mezzo alla gente — ha detto ancora Fassino”, aggiungendo che ora si aspetta di sapere “in concreto” le modifiche alla manovra che presenterà al Governo.
Il sindaco di Verona, Flavio Tosi, ha avanzato la proposta di tagliare allo Stato invece che ai Comuni: “Bisogna tagliare i costi dello Stato centrale — ha detto Tosi — cosa che finora non è mai stata fatta. I Comuni non ce la fanno più, bisogna andare a prelevare laddove ce n’è”.
Non è personalmente a Milano per protestare, ma anche il sindaco di Napoli Luigi de Magistris, rappresentato da un suo assessore alla manifestazione dell’Anci, ha ribadito ‘il no’ del capoluogo partenopeo ai tagli ribadendo che “Napoli c’è, è in piazza, è mobilitata con le altre città a difesa dei diritti dei suoi cittadini”.
“Tagliare a regioni, province e comuni — ha spiegato nel suo sito — significa una crescita delle tasse e delle tariffe oppure una diminuzione dei servizi offerti ai cittadini da questi stessi. Settori come welfare, sanità , trasporti vedranno una contrazione dell’offerta e un danno per l’intera comunità . La domanda che da amministratori ci poniamo è allora la seguente: è possibile che questa sia l’unica strada percorribile per rispondere alla crisi economica in atto? La risposta è no, un’altra via si può costruire e va percorsa: si tratta di una manovra che preveda un vero e drastico abbattimento dei costi della politica e una lotta altrettanto drastica e vera all’evasione fiscale, perchè sia finalmente strutturale e duratura”.
Il presidente della Lombardia, Roberto Formigoni si è detto sicuro che “per il momento non ci sarà un innalzamento dell’età pensionabile per le donne, perchè la Lega Nord è contraria, ma la questione resta all’ordine del giorno del Pdl”.
Si tratta di “una riforma strutturale — ha spiegato — che permette di mettersi in linea con gli altri Paesi europei”.
Di questo avviso anche il presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà , ex coordinatore regionale del Popolo delle Libertà . Secondo Podestà , infatti, considerato che le donne hanno un livello retributivo inferiore agli uomini e vivono di più, “se vanno in pensione prima si condannano ad un ultimo periodo di vita con una pensione da fame”.
Per il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, la manovra finanziaria “per quanto riguarda i tagli agli enti comunali, deve essere completamente ritirata”.
Pisapia ha definito la manifestazione “di protesta”, ma anche “di proposta” e, soprattutto, dimostra il senso di responsabilità degli enti locali che sono i soggetti istituzionali più vicini ai cittadini e che possono dare le risposte di cui i cittadini hanno bisogno”.
Il primo cittadino di Milano ha definito i tagli ai Comuni “l’ultima goccia di un vaso che ormai ha strabordato”.
“Non è più possibile per gli enti comunali accettare ulteriori tagli e, soprattutto, in questo modo e con questo metodo: cioè, senza essere consultati o dopo essere stati consultati, ma senza tenere conto di indicazioni precise, di proposte alternative che sono venute finora da parte dei Comuni” ha concluso.
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Agosto 29th, 2011 Riccardo Fucile
I RITARDI MAGGIORI AL SUD, BENE SOLO FRIULI, MOLISE E BASILICATA
«La debolezza dei consumi a livello pro capite, complice il biennio di crisi 2008-2009, lascia
prevedere un rallentamento generalizzato dell’uscita dalla crisi tanto che, a fine 2011, ben 17 regioni su 20 rischiano di registrare un livello di consumi inferiore a quello del 2000».
È quanto rileva un’indagine della Confcommercio, che evidenzia i ritardi del Sud.
Su 20 Regioni italiane, la dinamica dei consumi pro-capite indica che solo Friuli, Molise e Basilicata segnano livelli di consumi superiori a quelli di 11 anni fa.
Secondo la ricerca della Confcommercio «negli ultimi anni si riduce il contributo del Sud in termini di consumi rispetto al totale nazionale con una quota che è passata dal 27,2% del 2007 al 26,6% del 2011».
Risultano, invece, positive le dinamiche delle regioni settentrionali, «con quote – spiega – in costante aumento sia nel Nord-Est (dal 21,8% al 22,2%) che nel Nord-Ovest (dal 30,1% al 30,6%)».
L’associazione dei commercianti, fa, inoltre, notare, che «alle deboli performance del Mezzogiorno si associano anche gli effetti del calo demografico registrato in quest’area (la quota della popolazione sul totale nazionale è scesa dal 36,4% del 1995 al 34,4% del 2011) che hanno determinato il protrarsi del calo dei consumi anche nel 2010».
A livello di singole regioni, sottolinea la Confcommercio, «nel 2009 tutte fanno registrare una contrazione dei consumi in termini reali con picchi in Calabria (-4,2%), Puglia (-3,6%), Sicilia (-3,2%) e Campania (-3,0%), mentre nel 2010 solo il Nord-Est ha recuperato i livelli di consumo pre-crisi».
Per l’associazione in una prospettiva di più lungo periodo, nel 2017, «il Mezzogiorno avrà acuito il suo ritardo con una continua riduzione della spesa per consumi rispetto al totale nazionale».
In ogni caso, aggiunge, «al di là delle differenti dinamiche dei consumi che evidenziano una maggiore debolezza delle regioni meridionali confermando i divari territoriali presenti nel Paese, a livello generale va segnalato il tentativo delle famiglie di recuperare i livelli di consumo persi nel biennio recessivo anche se le previsioni per il 2011 sull’intero territorio restano modeste con un +0,8%».
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Agosto 29th, 2011 Riccardo Fucile
“POSSONO CAMBIARE I FATTORI, MA NON IL PRODOTTO”… IL RISCHIO CHE LA MANOVRA INIZIALE DI TREMONTI VENGA STRAVOLTA… BRUXELLES E’ CON LUI
L’esame della manovra di ferragosto non è finito.
Anzi, quasi non è cominciato, e ora è certamente sospeso.
«In effetti, l’analisi è ferma da giorni», ammette una fonte europea tirando le somme d’un agosto intenso per i servizi della Commissione Ue, settimane che hanno visto l’Eurozona alla prova della speculazione impazzita, costretta a gestire manovre correttive nazionali spesso confuse e tentativi anche maldestri di calmare i mercati. Sulle polemiche romane le voci ufficiali tacciono, è consolidata l’abitudine di «non intervenire nei dibattiti politici interni agli stati membri».
Nei corridoi le facce sono però preoccupate. «Se saltano gli obiettivi del decreto – si commenta a voce bassa -, è ovvio che bisognerà rinegoziare tutto il pacchetto».
Giulio Tremonti ne è consapevole.
Dal Tesoro l’apprensione per l’equilibrio fragile dei rapporti con Bruxelles è cominciata a filtrare venerdì, ventiquattro ore prima che l’uomo di via XX Settembre l’esprimesse al Meeting di Rimini.
Dicono le fonti europee che i contatti fra gli uomini del commissario Olli Rehn e i tecnici del ministero dell’Economia sono costanti.
C’è persino un tono comprensivo quando nella capitale europea chiedono «e allora?» e in riva al Tevere non riescono ad opporre altro se non «un ci stiamo lavorando» che trasuda incertezza.
Gli uni vorrebbero sapere, gli altri vorrebbero dire.
Chiaro che la battaglia, in queste ore, è altrove ed è pura politica.
Il 14 agosto una dichiarazione del portavoce della Commissione Ue aveva permesso di dire che la manovra bis varata due giorni prima aveva il consenso dell’Europa. Sintesi politica ad uso interno, certamente, perchè Bruxelles «accoglieva con favore» il provvedimento, chiedendo al contempo «di cercare un ampio consenso sulle riforme anche per assicurarne la rapida approvazione del Parlamento».
Una promozione? Non proprio.
La fonte ufficiale sottolineava di essere «in attesa di conoscere i dettagli del pacchetto approvato e maggiori informazioni sulle singole misure».
Senza questi, impossibile dare una valutazione appropriata.
Nel mezzo del freddo agosto bruxellese, gli uomini di Rehn hanno cominciato a studiare il profilo della strategia varata dal Consiglio dei ministri del 12, sfruttando le informazioni che Roma si è premurata di far loro avere.
Poi, si racconta adesso, «abbiamo molto semplicemente smesso».
Troppo difficile orientarsi, circostanza giustificabile del resto, visto che a poche ore dalla chiusura dei termini per gli emendamenti, a Palazzo Chigi sa prevedere come andrà a finire.
Figuriamoci a Palazzo Berlaymont.
«Riguardate la dichiarazione del 14», è l’invito di un alto funzionario dell’Ue: «E’ un naturale e giusto segnale di incoraggiamento, certo non una promozione che non poteva esserci».
I numeri annunciati in conferenza stampa da Berlusconi, si tiene comunque a precisare, erano più che buoni, a partire dall’obiettivo del pareggio già nel 2013. Segnali che potevano togliere l’Italia dal mirino dei mercati e alleggerire l’euro.
Per questo «l’abbiamo accolta con favore».
Un buon punto per il governo. Anche l’ultimo, per il momento.
Correggere la manovra, è il mantra di Tremonti, «non significa stravolgerla, perchè questo la rispedirebbe in Europa per una nuova valutazione».
A Bruxelles annuiscono, glissando anche sul concetto di «nuova valutazione» di cui comprendono la natura politica.
«L’Italia non è commissariata – assicura una fonte a conoscenza del dossier -. Deve solo rispettare delle regole che lei stessa ha contribuito a definire. Può farlo come ritiene: può cambiare i fattori, ma non il prodotto».
Inevitabili sarebbero le conseguenze di uno sforamento.
Bisognerebbe rifare tutto e non conviene a nessuno.
Così Rehn è i suoi aspettano pronti ad un giudizio rapido.
Sperando, pure loro, che possa anche essere positivo.
L’effetto sui mercati di un rinvio o di una bocciatura potrebbe essere devastante.
Marco Zatterin
(da “La Stampa“)
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Agosto 29th, 2011 Riccardo Fucile
VENTI ANNI FA A PALERMO L’ASSASSINIO DELL’IMPRENDITORE…UN LIBRO RACCOGLIE LE MEMORIE DELLA MOGLIE CON FOTO, POESIE E LETTERE PRIVATE…IL RITRATTO DI UN “CITTADINO ONESTO”
L’uomo che aveva insegnato il coraggio ai siciliani fu ammazzato una mattina di vent’anni fa. 
Davanti al portone di casa, a Palermo, alle 7.45 del 29 agosto 1991, cinque pallottole mafiose uccidevano Libero Grassi, l’imprenditore che non s’era piegato al racket e aveva rivendicato la sua scelta – solitaria e inedita – in tv, sui giornali, nei convegni: dovunque quel suo messaggio di libertà potesse irradiare l’isola.
Era stato un pioniere, Libero Grassi, nel pozzo cupo di quegli anni in cui un giudice, Luigi Russo di Catania, stabiliva in una sentenza che non era reato acquistare la “protezione” dei boss, e il presidente degli industriali di Palermo, Salvatore Cozzo, urlava alla radio, proprio in risposta a Grassi, che “i panni sporchi si lavano in famiglia”.
Vent’anni dopo quell’omicidio – e la lettera aperta al Caro estortore (“Volevo avvertire che non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della Polizia…”) – qualcosa in Sicilia è cambiato.
Oggi, i magistrati indagano gli imprenditori che non denunciano i propri aguzzini, e qualche associazione produttiva ha iniziato a espellere gli iscritti accusati di connivenza.
Ma è soprattutto nella società civile che il messaggio di Grassi ha piantato radici robuste.
Racconta Pina Maisano, vedova dell’imprenditore: “Nel 2004, tredici anni dopo la morte di Libero, vedo sulle strade di Palermo degli adesivi con su scritto ‘Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità ‘.
Scritta nera su fondo bianco, nessuna firma, nessun logo.
Mi chiama una giornalista e mi chiede cosa pensassi di quella frase, e ovviamente se ne conoscessi gli autori.
Rispondo che non li conosco, ma che, se fossero stati dei giovani, li avrei adottati come nipoti miei e di Libero.
Il giorno dopo citofonano al mio studio dei ragazzi e si presentano come miei nipoti”. Con quell'”adozione” particolare nasceva Addiopizzo, l’associazione che raccoglieva il testimone di Grassi e di lì a breve avrebbe lanciato l’iniziativa del consumo critico antimafioso: un bollino per ogni negozio antiracket “certificato”.
E’ a uno dei suoi “nipoti” acquisiti che Pina Maisano ha aperto il cassetto dei ricordi più intimi e l’album di famiglia per il ventennale dell’omicidio del marito.
Libero, l’imprenditore che non si piegò al pizzo, in uscita oggi per Castelvecchi (pp. 126, euro 10), con una prefazione di Marco Travaglio, è il libro-testimonianza, ricco di foto, poesie e lettere private, scritto con Chiara Caprì e che svela il ritratto non di un eroe, come Grassi non volle mai essere considerato, ma di un “cittadino onesto”, le cui battaglie di legalità erano iniziate molto prima del ’91
Il titolare dell’azienda tessile Sigma, la terza italiana del settore, con un fatturato di sette miliardi di lire, era lo stesso che negli anni Sessanta s’era battuto perchè il sacco di Palermo del sindaco Salvo Lima e del suo assessore ai Lavori pubblici Vito Ciancimino non inghiottisse il villino liberty del circolo Roggero di Lauria, a Mondello, e il litorale palermitano.
Un decennio dopo, come consigliere d’amministrazione dell’azienda locale per l’energia, Grassi si era speso affinchè la città fosse dotata di una rete di distribuzione del gas, mettendosi contro centinaia di “bombolari”.
La sua lungimiranza lo aveva portato a costituire una società , la Solange impiantistica, che avrebbe dovuto fare da battistrada in Italia per l’uso dell’energia solare.
E poi c’era il Grassi impegnato in politica.
Quello che un giorno, in viaggio a Parigi con la moglie, trova sul parabrezza dell’auto il messaggio di un tale Marco, un italiano che si diceva in difficoltà economiche e chiedeva aiuto.
“Era Marco Pannella – ricorda Pina Maisano – tra lui e Libero si creò subito una certa intesa. Discutevano spesso su un punto: i politici, per poter davvero fare politica, non possono partecipare a più di due legislature, perchè sennò perdono il contatto con la realtà di tutti i giorni”.
In breve, Grassi si iscrive al Partito radicale (aveva militato anche con i repubblicani di Ugo La Malfa) col quale dà vita, insieme a pezzi di Democrazia proletaria e al Comitato Impastato, al Comitato opposizione Palermo, dichiaratamente votato all’antimafia, per denunciare “il sistema di potere Dc” come “espressione della ‘borghesia mafiosa’”.
Di quel sistema di potere, tredici anni più tardi, Pina Maisano, eletta senatrice per i Radicali, chiederà conto al suo massimo esponente, Giulio Andreotti.
“Era il giorno in cui la Giunta per le autorizzazioni a procedere doveva esprimersi sull’azione penale contro di lui. Il primo documento a disposizione, 250 pagine, era la relazione dei pentiti: Buscetta, Calderone, Mutolo, Mannoja… Si parlava dei Salvo, di Ciancimino, del maxi processo… Per gli altri senatori, si trattava di fatti lontani. Per me, palermitana, erano ferite aperte sul mio corpo. E allora non potei fare a meno di chiedere ad Andreotti: Onorevole, mi scusi: ma lei, nella sua posizione, non poteva non sapere, visti i suoi rapporti con Lima e Cincimino, quale fosse la situazione a Palermo. Non è così?”.
Andreotti promise che avrebbe risposto a processo chiuso.
Nel 2003, dopo la sentenza di appello che dichiarava prescritti i reati di mafia del senatore a vita fino al 1980, Pina Maisano scrive all’ex presdiente del Consiglio ricordandogli quel vecchio impegno.
E lui risponde a suo modo, mandando in prescrizione la memoria: “Grazie, cara collega, della lettera gentile e dei ricordi di un periodo interessante. Sinceri auguri e saluti”.
Paolo Casicci
(da “La Repubblica”)
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Agosto 29th, 2011 Riccardo Fucile
DUE NUOVI APPALTI DI CAMERA E SENATO PER LA STAMPA DEGLI ATTI LEGISLATIVI MENTRE DA ANNI IL GOVERNO SI VANTA DELLA SVOLTA DIGITALE
Foreste di tutto il mondo, tremate.
Arriva la tempesta perfetta, la passione per la carta dei 630 deputati italiani che, nei prossimi cinque anni, dovranno consultare 3 miliardi 850 milioni di fogli se il prezzo fosse di un centesimo ciascuno.
Una fatica mostruosa, una punizione esemplare che Montecitorio paga con un appalto di 38,437 milioni di euro.
L’impresa fortunata è la Carlo Colombo di Roma: dovrà stampare blocchi interi di atti parlamentari, elaborare pagine per il sito, trascrivere gli interventi in aula.
Al bando potevano partecipare anche le aziende europee, ma soltanto in due (e italiane) hanno risposto al richiamo dei 38,437 milioni di euro in cinque anni.
E la Carlo Colombo ha vinto di nuovo.
Ma gran parte dei 3 miliardi e 850 milioni di fogli andrà al macero.
La Camera taglia a mano chiusa e aggiunge a mano aperta: a luglio staccava un assegno di quasi 40 milioni di euro per la stampa, ad agosto il questore e deputato Francesco Colucci (Pdl) annunciava risparmi per 50 milioni di euro.
Forse i fannulloni con la memoria corta dimenticano, eppure il ministro Renato Brunetta, ormai tre anni fa, condannava a morte la burocrazia: eliminiamo la carta nella pubblica amministrazione entro 18 mesi, anche le pagelle scolastiche saranno consultabili solo in rete. Sono trascorsi 36 mesi, ancora niente.
Sfidando la canicola agostana di Roma, combattivi nel coinvolgere la Casta nel forcone chiamato manovra, due senatori dell’Udc declamavano la rivoluzione di Palazzo Madama: “Dobbiamo fermare il retaggio dei documenti cartacei, così avremo una riduzione non inferiore al 50 per cento nel capitolo di uscita ‘Comunicazione istituzionale’, per un importo effettivo di 5,1 milioni di euro”. Giusto.
Non sapevano, però, che il Senato ha pubblicato un bando di gara per fare l’esatto contrario: “Procedura ristretta per l’affidamento in appalto dei lavori di stampa degli atti parlamentari e del servizio di riproduzione di documenti per il Senato della Repubblica”.
Al costo di 6,5 milioni di euro più Iva per tre anni.
Con un governo precario e un Parlamento spesso in vacanza, i tecnici di Palazzo Madama prevedono una pioggia di carta istituzionale, caterve di volumi per rendere immortale il lavoro dei senatori: “Produzione di un numero base annuo di 67 milioni di pagine stampate o riprodotte. Circa 40 milioni in bianco e nero”.
Quasi 7 centesimi di euro per un foglio formato A4, il più piccino e nemmeno a colori.
Qui non rischia il diritto allo studio dei parlamentari, così ansiosi di rivedere su carta le leggi in discussione o già approvate, ma la credibilità di chi illustra sacrifici e poi raddoppia gli sprechi. Perchè deputati e senatori, uno a uno, vantano già un’imponente dotazione di carta e stampanti negli uffici (che si riferisce a un’altra voce di spesa).
I due appalti di Montecitorio e Madama valgono insieme 45 milioni di euro, prevedono miliardi di fogli che andranno nel cestino o verranno dimenticati nei vari palazzi che lo Stato affitta per il Parlamento: poca utilità pratica, semplice da sostituire con il digitale.
Il deputato Roberto Marmo del Pdl ha stupito i colleghi in Commissione, soprattutto quelli del suo partito.
Ex presidente della Provincia di Asti, Marmo è tornato a Montecitorio tre mesi fa e, per la prima volta, è intervenuto con un ordine del giorno: “Nel progetto di bilancio sono previsti ancora 800mila euro per rimborsi spese per deputati cessati dal mandato; le spese previste per le locazioni di immobili ammontano a oltre 35 milioni di euro; nonostante l’affermarsi delle nuove tecnologie, la diffusione dei più moderni strumenti informatici e l’introduzione della posta elettronica certificata, le spese relative per servizi di stampa degli atti parlamentari e di atti vari ammontano a oltre 8 milioni di euro; un migliore utilizzo delle tecnologie digitali non solo potrebbe determinare una maggiore produttività dell’apparato amministrativo, ma dei benefici economici”.
Troppo tardi, la Camera ha appena stipulato un contratto di cinque anni e di 38,5 milioni di euro per dichiarare guerra alle foreste di tutto il mondo.
Tremate.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 29th, 2011 Riccardo Fucile
NERVI TESI ALL’APERTURA DELLA KERMESSE DEMOCRATICA A PESARO… MILITANTI POCHI E STUFI: PER LORO PENATI ANDREBBE CACCIATO
Ore 18.30. Pier Luigi Bersani arriva a inaugurare la Festa Democratica nazionale a
Pesaro. Ad attenderlo poche persone se si escludono i dirigenti regionali e provinciali, i deputati e i senatori, gli assessori e i giornalisti.
Circondato dalle telecamere in spalla agli operatori e dagli uomini della scorta è impossibile avvicinarlo.
Quando si muove per raggiungere il nastro da tagliare, gli chiediamo se possiamo porgli qualche domanda. La risposta è: “Basta domande”.
Però, mentre si incammina per passare in rassegna gli stand alle domande risponde, ma sono quelle del collega de La Stampa che — tenuti lontani dalla sicurezza — non ci è dato ascoltare.
Non ci diamo per vinti.
Al termine del breve tour di una Festa Democratica che nulla ha a che vedere con le gloriose Feste dell’Unità , mentre si sottopone al test che misura il grado alcolico nello stand sulla sicurezza stradale, riproviamo ad avvicinarlo. Niente da fare.
Un dirigente dice: “Fa bene a non rispondere a voi che state bene ad Arcore”.
Voi chi? Chiediamo facendo finta di non aver capito. “Voi chi? Voi del Fatto Quotidiano”. Parole che rimbalzano sul volto indifferente e sulla bocca che non fa una piega del segretario regionale del Pd Palmiro Ucchielli.
Accanto a lui l’assessore regionale alla Sanità Almerino Mezzolani che invece un certo imbarazzo lo fa trasparire con un’alzata di ciglio.
Questa la domanda che avremmo voluto fare al segretario Bersani: “Non crede che a Filippo Penati il partito debba chiedere di rinunciare alla prescrizione per evitare di essere espulso? In fondo per molto meno avete cacciato Villari che non voleva dimettersi dalla commissione di Vigilanza Rai…”.
In verità Bersani aveva già risposto, si fa per dire, al Fatto Quotidiano che in mattinata per bocca del collega Stefano Feltri al meeting di Comunione e Liberazione di Rimini gli aveva chiesto se Penati doveva rinunciare alla prescrizione: “Sono scelte individuali, dal partito si è già dimesso e il Pd si augura che non restino zone d’ombra”.
E ancora: ma lei, Bersani, al suo posto rinuncerebbe alla prescrizione per farsi assolvere nel merito? “Non lo so, non so giudicare”.
Qui alla Festa ha detto ai tg che si tratta di una questione personale che Penati dovrà affrontare e risolvere con i suoi avvocati, mentre il partito nel frattempo aprirà una commissione d’inchiesta interna.
Neppure una parola sul fatto che Penati si sia autosospeso dal Pd e dalla carica di vicepresidente del Consiglio regionale della Lombardia ma non da quella di consigliere continuando così a percepire l’indennità prevista.
Un tema comprensibilmente troppo imbarazzante visto che Penati non è una delle ultime file del partito, ma è stato il capo della segreteria politica del segretario, il braccio destro di Bersani.
Eppure la base, donne e uomini in carne e ossa che al Pci prima, al Pds e ai Ds poi, hanno dato l’anima e ora sono nel Pd, chiede di “eliminare” senza indugi chi sbagliando infanga una storia onorata.
“Ci stanno facendo calare le braghe ma noi non ci stiamo. Qui bisogna tirare fuori gli attributi altrochè” è la convinzione di Clara, 55 anni che per l’occasione ha indossato il vestito della festa che mostra con fierezza.
Le fa eco Mario che di anni ne ha pochi di più: “Noi non siamo come quello lì, hai capito di chi parlo, no?, e siccome non siamo tutti uguali glielo dobbiamo dimostrare. Chi prende soldi in questo partito non ci deve stare, l’ho detto anche un’ora fa al circolo agli altri compagni”.
Ma se i soldi li ha presi per il partito? “Allora che paghi il tesoriere, devono rispondere tutti quelli che hanno sbagliato. Che c’è di difficile da capire? Le mele marce fanno marcire il cesto: bisogna buttarle via” .
Insomma loro vorrebbero che il segretario Bersani pronunciasse le stesse parole inequivocabili del governatore della Toscana Enrico Rossi: “Penati farebbe bene a dimettersi anche da consigliere e a stare zitto e rispondere solo nei Tribunali”.
Ma il segretario prende tempo, vuole capire, non ha letto le carte, non sa giudicare, e intanto se la cava riducendola a una questione giudiziaria personale.
E intanto il suo popolo, quello a cui si rivolge quando parla dalla Festa di Pesaro definendolo “perbene, capace di portare il Paese a una svolta”, chiede che la questione morale diventi una priorità come fortemente auspicava trent’anni fa Enrico Berlinguer.
“La nostra forza è anche quella di organizzare una Festa in cui si discuterà dei problemi reali delle nostre proposte per uscire dalla crisi, sono i giovani che sono qui”.
Pochi per la verità , se si escludono i ragazzi della band che suona jazz che lo hanno accolto.
Prima di arrivare a Pesaro Bersani ha pranzato a Jesi con alcuni industriali marchigiani, tra questi Gennaro Pieralisi area Pdl, ex presidente della Quadrilatero, società nata per la realizzazione di infrastrutture viarie tra Marche e Umbria, ai quali, ci racconta un dirigente del partito, ha anche chiesto un contributo per la Festa.
Una Festa quella Democratica che ha smarrito la sua anima: centinaia e centinaia di donne e uomini che per giorni donavano il loro sudore dietro ai fornelli pensando di contribuire a costruire un mondo migliore per i loro figli.
Oggi i loro figli, lo dice bene Clara “sono tutti a spasso: i nostri li abbiamo fatti studiare a forza di sacrifici, mentre quelli dei ricchi, dei politici, dei potenti stanno tutti con il sedere al caldo”.
Sandra Amurri
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 29th, 2011 Riccardo Fucile
I MAGISTRATI CREDONO ALLA TESI DEL “DOPPIO BINARIO DI FINANZIAMENTO”, LOCALE E NAZIONALE… IL CASO PENATI PREOCCUPA SERIAMENTE IL PD
I magistrati di Monza stanno cercando di capire se l’ampia e reiterata attività corruttiva ipotizzata a carico di Filippo Penati sia da ricondurre all’arricchimento personale o anche al finanziamento del partito (prima i Ds, poi il Pd).
E se i soldi si fermavano alla federazione di Milano o proseguivano il loro cammino fino a Roma.
Quest’ultimo è il punto più delicato dell’inchiesta, quello su cui i pm Walter Mapelli e Franca Macchia stanno cercando le prove.
Finora ci sono solo forti indizi, basati sui fatti e sulla logica.
Primo indizio.
Il 28 aprile scorso i magistrati convocano Raffaella Agape, ex segretaria di Giordano Vimercati, braccio destro di Penati. Lei avverte della convocazione il portavoce di Penati Franco Maggi.
Poi, intercettata al telefono con il marito prima della deposizione, dice: “Quello che so non glielo dico, faccio finta di non sa… io, io non so niente”.
Va e in effetti non dice niente.
Maggi rassicura Penati con un sms.
La Agape, parlando con una persona amica, confida: “Ieri sera a casa mia è venuto Vimercati, chiaramente la cosa si è ripercossa su Roma, cioè, è un casino”.
E aggiunge: “Hanno tutti i telefoni sotto controllo”. Anche lei.
Commentano i pm, nella richiesta di arresto per Penati respinta dal gip: “Proprio il riferimento alle preoccupazioni romane dà spessore alla tesi del doppio binario di finanziamento per il piano di lottizzazione Falck: un primo flusso a Penati e (all’epoca) a Vimercati per le esigenze della federazione milanese, un secondo flusso alle persone indicate da Omer Degli Esposti e alle cooperative emiliane per il livello nazionale”.
Chi è Omer Degli Esposti?
È il vicepresidente della Ccc di Bologna, big delle coop rosse del mattone.
Ha raccontato ai magistrati Luca Pasini, figlio di Giuseppe, il costruttore che doveva edificare le ex aree Falck di Sesto San Giovanni, e che per l’operazione si vide chiedere 20 miliardi di lire da Penati: “Durante la trattativa conobbi Omer Degli Esposti e un certo Salami, come rappresentanti delle cooperative emiliane; ci venne infatti detto, mi pare da Vimercati, che le cooperative avrebbero garantito la parte romana del partito”.
Notano i pm: “A dieci anni di distanza Vimercati e Degli Esposti sono ancora coinvolti nell’operazione non più come compagni di avventura di Pasini bensì di Bizzi”.
Bizzi è l’imprenditore che ha recentemente acquistato l’area Falck da Luigi Zunino che l’aveva rilevata nel 2005 da Pasini.
Ed ecco Diego Cotti, all’epoca genero di Pasini, imprenditore ma militante del Pds, interessato alla carriera politica.
È lui a mettere in contatto Penati con Pasini.
Penati, secondo Cotti, vuole che siano imprenditori di Sesto a condurre il recupero dell’area Falck, perchè più “controllabili”.
Dice Cotti ai magistrati: “Vimercati mi fece altresì presente che noi (nel senso del partito, ndr) eravamo decisi a indurre Falck a vendere l’area a soggetti di nostra scelta e che lui avrebbe accettato perchè a sua volta interessato a entrare nella compagine degli Aeroporti di Roma (in via di privatizzazione, ndr).
Secondo Cotti, Penati “fece altresì presente da subito che nell’affare avrebbero dovuto entrare anche le cooperative emiliane, più strutturate e più vicine al partito, non quelle locali che sarebbero eventualmente entrate in un secondo momento”.
Pasini avrebbe preferito lavorare con le coop locali, che conosceva e stimava.
Ma non c’è niente da fare.
“L’inferiorità del privato”, commentano i pm, è accentuata dalle dimensioni dell’operazione, tali da superare l’ambito locale e da imporre l’esigenza di rapportarsi, tramite le cooperative, al livello centrale del partito”.
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Agosto 29th, 2011 Riccardo Fucile
LEI DECISE DI VENDERE LE AZIONI A GAVIO E IL MARITO EBBE UNA CONSULENZA DA LUI
La moglie, Marta Vincenzi, allora presidente della Provincia di Genova (nel 1999),
vendette quote dell’autostrada Milano-Serra-valle al gruppo di Marcellino Gavio.
Nello stesso periodo, il marito, l’ingegner Bruno Marchese, ottiene appalti proprio da una società dal gruppo Gavio.
A Genova, a meno di un anno dalle amministrative scoppia la polemica, sollevata per prima dall’associazione “Casa della legalità di Genova” in un periodo difficile per Vincenzi.
Isolata all’interno del Pd, ha dovuto abbozzare alle primarie e sa che il suo partito non vorrebbe la riconferma.
A complicare la situazione l’inchiesta della procura di Monza su Filippo Penati che ha portato il nucleo tributario della Guardia di Finanza di Milano a cominciare l’esame anche dei documenti sulle diverse compra-vendite delle azioni della Milano-Serravalle al gruppo Gavio.
La Provincia di Genova dodici anni fa ha venduto al gruppo piemontese le sue azioni a 1,6 euro ciascuna.
Nel 2005 la Provincia di Milano, guidata da Penati, le ha comprate da Gavio a 8,93.
Finora non è emersa alcuna illegalità , è bene precisarlo.
Ma la critiche politiche stanno imperversando perchè il marito dell’attuale sindaco lavora con la sua IGM Engeenering Impianti srl, per la Sinelec s.p.a. del gruppo Gavio anche nell’anno della vendita delle azioni dell’autostrada, come risulta da alcuni documenti.
Si tratta di opere che riguardano “Il sistema di Telecontrollo per S.A.L.T (società autostrade liguri-toscane, ndr)”.
Dopo una perizia e un progetto dettagliato, datato settembre 1999, Sinelec e IGM perfezionano l’accordo nel maggio-giugno 2001.
Tra i vari lavori eseguiti “Fornitura e posa in opera Sistema Automazione Caselli“, “Quadri elettrici di consegna e distribuzione” e “Gruppo elettrogeno”.
Nella fattura inviata “L’11 luglio 2002” l’IGM, per i lavori che si riferiscono “all’ordine del 10-12-01”, indica come compenso (compreso di Iva) “99.160,07”.
Il 12 agosto 2002 la società di Marchese, ottiene un altro appalto sempre dalla Sinelec: “Protezione riguardante le scariche elettriche”. “Totale iva esclusa 39.780,00”.
A proposito della Milano-Serravalle, tra i capitoli più contestati c’è proprio quello della cessione operata dalla Provincia di Genova, che deteneva oltre il 10% delle azioni.
Una scelta che sollevò le proteste della Provincia di Milano.
L’amministrazione lombarda non era ancora governata da Penati, ma voleva già acquistare una parte della quota ligure (il 40 per cento, pari al 4,3 per cento del totale).
Ma la Provincia di Genova, guidata allora da Vincenzi, preferì i privati: il diritto di prelazione dei milanesi non poteva essere fatto valere solo su una fetta della quota: o si comprava tutto oppure niente. E così finì.
Marta Vincenzi, al Fatto quotidiano rivendica quell’operazione: “Ho venduto le azioni molto bene, a 1,6. Due anni prima, nel 1997 il sindaco di Genova Adriano Sansa le aveva vendute a 1,19. Poi le venderà anche il successore, Beppe Pericu. Sono ben felice di quella mia decisione. Il capitale ricavato è servito per lavori pubblici”.
E gli appalti del gruppo Gavio a suo marito?
Per il sindaco nessun conflitto di interesse: “Non ha mai partecipato a una gara con aziende riconducibili alla pubblica amministrazione”.
Accetta di rispondere al Fatto anche l’ingegner Marchese: “Niente di inopportuno. Ho lavorato per società del gruppo Gavio anche prima del ’99 (la IGM è stata costituita nel 1996, ndr) e un anno e mezzo fa ho fatto il blind-trust. Ora opero solo come consulente tecnico, ma da quando mia moglie ha incarichi istituzionali non lavoro per società di cui sia azionista oggi il Comune di Genova e prima la Provincia. Ed è una regola di famiglia che semmai mi ha penalizzato. Per esempio non ho partecipato alla gara da 900 mila euro per la gronda autostradale”.
Tra i clienti segnalati dal sito dell’IGM c’è la Sina s.p.a. di Milano (“Global service per le infrastrutture”), azionista della Civ (collegamenti integrati veloci).
La Civ trai suoi azionisti ha anche l’aeroporto di Genova, la banca ligure Carige e la Milano Serravalle-Milano tangenziali s.p.a.
Antonella Mascali e Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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