Settembre 10th, 2011 Riccardo Fucile
L’ARTICOLO DEL MAGGIORE QUOTIDIANO REGIONALE LIGURE COMMENTA LA MOBILITAZIONE DEI MILITANTI FUTURISTI CHE RECLAMANO DA DUE MESI LEGALITA’ E TRASPARENZA
Ha invaso la rete e sarà distribuito in questo fine settimana di kermesse futurista a
Mirabello.
E’ il manifestino che segna definitivamente la rottura all’interno del movimento ligure di “Futuro e Libertà “, il partito di Fini che proprio un anno fa e proprio a Mirabello – nel suo punto di maggior splendore – aveva lanciato l’attacco a Berlusconi.
La fronda ligure attacca frontalmente la gestione di Enrico Nan, coordinatore regionale, tirato in ballo nei mesi scorsi per alcuni incontri nella sede di partito definiti inopportuni con personalità coinvolte in inchieste giudiziarie.
Nel mirino anche la stessa “casa” del Fli ligure, come si può leggere sul manifestino: “Caro Fini, questo è un appello degli “indignados” del tuo partito. Restituisci Futuro e Libertà ai militanti liguri. Non vogliamo sedi in regalo, visite di pluri-indagati e circoli sospetti. Vogliamo un partito trasparente. Vogliamo un’Italia pulita nella legalità e nella giustizia sociale”.
Per dare forza all’appello, la fronda allega diversi estratti del manifesto fondativo di Fli e cita Paolo Borsellino.
Quindi la conclusione: “Caro Gianfranco, sciogli e ricostruisci Fli in Liguria”. Un appello che fa il paio con l’insistente voce che arriva da Roma: una stagione di commissariamenti nel partito richiesta a Fini e che coinvolgerebbe, tra le prime sedi, quella ligure.
da “Il Secolo XIX“
argomento: Fini, Futuro e Libertà, Genova | Commenta »
Settembre 10th, 2011 Riccardo Fucile
TRA CRONISTI E DEPUTATI FILTRANO GIUDIZI “INTERCETTATI” DI BERLUSCONI SULLA CANCELLIERA TEDESCA…SI DIFFONDE IL PANICO IN PARLAMENTO: SE ARRIVASSE LA CONFERMA DELLE FRASI REGISTRATE L’ITALIA RISCHIA L’ISOLAMENTO DIPLOMATICO
La calunnia, si sa, è un venticello.
L’ultima indiscrezione sulle intercettazioni tra il Cavaliere e Tarantini, invece, è un uragano. Incontenibile.
Entra di prima mattina in Transatlantico a Montecitorio sotto forma di “pizzino” firmato dalla Jena della Stampa (“ci mancherebbe solo che uscisse un’intercettazione in cui Berlusconi dice volgarità sulla Merkel”) e l’effetto è deflagrante.
“Ma, allora, anche alla Stampa sanno…”. Gli sguardi di alcuni deputati pidiellini di stretta osservanza arcoriana s’incrociano con quelli di un leghista di rito maroniano ed è terrore puro: “Se esce la roba può succedere di tutto; ma te lo immagini — chiede preoccupato il primo del Pdl al leghista — se la Merkel lo viene a sapere???”.
È ormai mezzogiorno quando qualcuno coglie un fitto dialogo tra due cronisti di primo piano nel Palazzo. Che sanno. Cioè, dicono di sapere. Parlano.
E pronunciano un’espressione greve, “culona inchiavabile”.
“Fonte certa”, spacciano.
Si fa anche il nome del cronista che l’ha svelata, nessuno eccepisce.
Qualcuno, che vola alto nella conoscenza delle lingue, la traduce all’impronta “Arsch zu schlieàŸen” (ma, chissà , poi se è letterale) e si chiede, velenoso, se gliela avranno riferita così alla Cancelliera, oppure in italiano.
La storia, in un attimo, si sparge come un’epidemia, al capannello dei cronisti nel cortile della Camera si aggiungono via via anche i deputati che non dubitano — e questo sorprende — che davvero quell’espressione tanto macista e volgare possa averla pronunciata il Cavaliere, parlando con “quella sanguisuga di Tarantini” casomai “in un momento di concitazione” .
Ma “c’è proprio tutto Silvio in quella frase; di sicuro era incazzato…”.
Ci vuol poco a creare una verità dal nulla.
Ieri nessuno ha pensato di aspettare le carte prima di dare per scontato che Berlusconi, parlando con Valter Lavitola dopo averlo invitato a “restare lì”, all’estero, si sia lasciato andare davvero a un simile trivio apostrofando la Merkel come una “culona inchiavabile”.
Casomai — era questa la preoccupazione dei cronisti — chi mai la pubblicherebbe una frase tanto imbarazzante, ma c’è stato subito chi ha buttato lì Dagospia mentre le bacheche Facebook di alcune “firme” della politica hanno cominciato a grondare battute e commenti non meno salaci di quelli di presidenziale lignaggio.
Forse, tra un po’ si saprà la verità . Tanto, non sarà più una notizia.
Sara Nicoli
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Berlusconi, Costume, denuncia, Esteri, governo, PdL, Politica, radici e valori | Commenta »
Settembre 10th, 2011 Riccardo Fucile
IL PREMIER TRA I GIOVANI DEL PDL, TRA QUALCHE VUOTO E CRITICHE LATENTI…POI ARRIVA SULLE ZEPPE GRAZIANA CAPONE, UNA DELLE RAGAZZE FORNITE AL PREMIER DA TARANTINI: ORA CURA L’IMMAGINE DI PALAZZO CHIGI
“Qui va avanti tutto come se niente fosse. Io quella là conosco”. 
“E valla a salutare…”. “No, io le zoccole non le saluto”.
La conversazione va in scena in via Monte del Celio, a Roma, fuori dai cancelli della Festa della Giovane Italia.
Sono le otto e mezza della sera e tra il capannello di carabinieri, guardie del corpo e fan che aspettano l’uscita del presidente del Consiglio c’è chi non si è fatto sfuggire una presenza interessante.
Appollaiata su delle zeppe nere, sventola la coda di cavallo di Graziana Capone,
meglio conosciuta come la Angelina Jolie di Bari.
Cerca un passaggio sulle auto di servizio, non lo trova, poi si si incammina lungo la strada, saluta lo staff del presidente e dice: “Ci vediamo su”.
Il giudizio personale di chi non ha voglia di salutarla è piuttosto chiaro.
Di nostro, sappiamo che fu Graziana stessa a raccontare ai giornali il suo trasloco dalla Puglia a Roma (anzi, ad Arcore): “Gianpi mi disse: ‘Vieni che ti presento Silvio Berlusconi’”.
Inutile aggiungere che Gianpi è quel Tarantini finito in carcere per estorsione ai danni del premier. E da quel giorno da Roma non se n’è più andata: cura l’immagine di Palazzo Chigi.
Così, l’immagine di Graziana Capone fuori da Atreju è la fotografia perfetta del groviglio prodotto dalla vita privata di Silvio Berlusconi con la vita pubblica delle istituzioni italiane.
Mentre tutto trema, lei resta lì, appollaiata sulle zeppe. §
D’altronde, ai ragazzi chiamati a raccolta dal ministro della Gioventù Giorgia Meloni, il presidente del Consiglio ieri è tornato a spiegare che non si sente in difetto per niente.
Ha fatto tre fioretti: non balla, non fuma, non gioca d’azzardo.
“Mi è rimasta una sola cosa che non considero un vizio e che spero mi rimanga per gli anni a venire…”.
I giovani di Atreju gli chiedono quale sia il “giusto rapporto tra la vita privata di un leader e quella pubblica”.
“La gente deve poter stimare una persona”, spiega lui.
Poi (è un fioretto) non gioca d’azzardo: “Io ho una grande considerazione di me stesso”. Che senta che qualcosa con il suo popolo si sia incrinato lo racconta una gaffe: appena arrivato all’incontro, mentre la deputata Anna Grazia Calabria lo ringrazia per “averci salvato dal comunismo”, lui dice al ministro Meloni: “Manda su uno a spostare un po’ di gente di là ”.
Peccato che abbia già il microfono aperto.
Le file in alto, ha ragione, sono letteralmente deserte.
I suoi hanno già provato a camuffare le defezioni: in fretta e furia, pochi minuti prima dell’arrivo del premier, i giovani staccano i i manifesti di Atreju.
“Fate largo all’Italia che avanza” c’è scritto sugli striscioni che adesso servono a coprire le sedie vacanti.
Fate pieno a Berlusconi che arriva, verrebbe da correggere lo slogan.
Chiacchierando con la Giovane Italia, si scopre che tutta questa storia delle ragazze qualche fastidio lo ha dato.
Sulle maglie ufficiali della festa hanno impresso una frase di Gandhi: “Sii il cambiamento che vuoi vedere”.
E si arrampicano sugli specchi per giustificare l’incoerenza dei “valori” con la pratica del presidente del Consiglio: “Sai, lui è sceso in politica tardi, non ha fatto la nostra militanza”.
Ma quando comincia a parlare, si scatena il calore di sempre.
“Silvio ti amo”, si confessa un ragazzo. “Trombale tutte”, lo supporta un altro.
E lui può concedersi di tornare un fiume in piena.
Contro i giudici: “La sovranità non è più del Parlamento, ma dei magistrati di Magistratura democratica”.
Sulle intercettazioni: “Tutti abbiamo degli umani sfoghi che abbiamo il diritto di fare se parliamo al telefono con altre persone. Un Paese senza privacy non è un Paese completamente libero”.
Sul futuro: “Non vedo in giro ‘tecnici’ che abbiano l’autorevolezza personale che ho io”. Sugli eredi: “Angelino Alfano presidente del Consiglio e Gianni Letta presidente della Repubblica”.
Sulla stampa: “Capita la sventura di guardare almeno la prima pagina dei giornali. Vedere voi invece fa bene al cuore e non solo al cuore”.
Fuori a contestarlo ci sono otto studenti con uno striscione: “Berlusconi la m… sei tu. Via da questo Paese” (vengono fermati dai Carabinieri).
Un quindicenne appena entrato nella Giovane Italia dice che hanno ragione, che a lui il premier “fa ridere”, che uno così “non rappresenta il Paese”.
Ma allora che ci fai tra i giovani del Pdl?
“Ero indeciso. Mi hanno detto: ‘Tranquillo, ci sono tanti che la pensano come te’”.
Paola Zanca
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Berlusconi, Costume, denuncia, emergenza, governo, PdL, radici e valori | Commenta »
Settembre 10th, 2011 Riccardo Fucile
HANNO SOSTITUITO IL SENSO DELLO STATO CON L’ASPIRAZIONE ALL’ORDINE NELLE STRADE, IL LIBERO MERCATO CON L’ARROGANZA PADRONALE… COLONIZZATORI CON SOLO IL CULTO DEL REGIME BERLUSCONIANO
Marco Travaglio va alla festa di Fli a Mirabello per un intervento molto atteso.
Le sue riflessioni sono seguite dal movimento “finiano” non meno che in altre aree politiche, e sarà interessante ascoltarlo a un anno dallo strappo che aveva acceso un po’ le speranze di tutti e restituito una prospettiva alla parola “destra”, demolita dal berlusconismo.
Nel tran tran di questi mesi parte di quella spinta propulsiva si è persa.
Ma il caos di questi ultimi giorni dovrebbe aiutare a ritrovarne le ragioni e i sentimenti.
Metto in fila i fatti, come è costume di questo giornale.
La festa dei ragazzi del Pdl, Atreju, storico appuntamento della destra giovanile sale agli onori delle cronache per una disgustosa metafora del ministro Sacconi che associa la critica alla Cgil a una barzelletta sullo stupro di dieci suore.
La Rai1 di Mauro Mazza, uno dei “ragazzi di via Milano” che rappresentarono il giornalismo di destra negli anni ’80, censura la puntata di una fiction tedesca che mostra la cerimonia per l’unione civile di una coppia gay, sostenendo che non è arbitrio ma “scelta ponderata per evitare qualsiasi tipo di polemica su un tema di grande attualità ”.
Il ministro della Difesa Ignazio La Russa cerca il solito, nostalgico aggancio identitario alla cerimonia per l’8 settembre, con l’elogio di “tutti i caduti per la patria” e del loro ardimento, dimenticando che lui non ha neanche il coraggio di sconfessare il giro della Padania organizzato dal Trota e preferisce prendersela con chi lo contesta.
Ronchi e Urso vengono ricevuti da Berlusconi, immagino in una pausa del risiko in corso con gli staff legali sulle intercettazioni con Tarantini e le olgettine, per rassicurare gli italiani: “Abbiamo fatto un’analisi della situazione politica, si va avanti”.
Immagino il sollievo dei mercati e delle banche europee.
Sono notizie racchiuse in 24 ore, eppure sufficienti a dimostrare come il berlusconismo abbia colonizzato culturalmente, prima che politicamente , la destra italiana fino ad assimilarla totalmente a sè. In questi giorni è in libreria un bel saggio di Giovanni Tarantino (“Da Giovane Europa ai Campi Hobbit”, ed. Controcorrente) che dà la misura di questa degradazione.
Del senso dello Stato non ricordano più nulla, avendolo sostituito con una generica “aspirazione all’ordine” che è sempre e soltanto, come diceva Georges Bernanos, “l’ordine per le strade”.
Del fascismo hanno metabolizzato il peggio, il culto del regime, con nessun interesse per il movimentismo e le fronde che ne erano la parte più interessante.
Del trionfo del libero mercato difendono la parte più oscura, l’arroganza padronale e la cinica gestione dei rapporti di forza.
E l’etica l’hanno trasformata in moralismo clericale, vizi privati e pubbliche virtù.
La possibilità che “dopo Berlusconi” quest’area possa risvegliarsi e trasformarsi in altro, in una destra europea e decente, è pari a zero.
I processi della politica sono come quelli della biologia: si nasce, si cresce, si muore.
Le speranze, per chi non si rassegna alla sparizione della destra, vanno cercate altrove.
Dove le barzellette di Sacconi non fanno ridere.
Dove la censura televisiva disgusta.
Dove il richiamo all’orgoglio nazionale è legato a comportamenti coerenti e non solo al trombonismo.
Il resto è puro inganno, manca solo il verdetto del Paese per sancirlo.
Flavia Perina
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Costume, denuncia, destra, governo, la casta, PdL, Politica, radici e valori | 2 commenti presenti »
Settembre 10th, 2011 Riccardo Fucile
LE ASSOCIAZIONI DENUNCIANO TAGLI TRA I 20 E I 40 MILIARDI IN TRE ANNI …CORTEI A ROMA
Un maxistriscione di 10 metri per 15 sventola su Piazza del Popolo, al centro di Roma. 
A calarlo, giovedì mattina dal balcone del Pincio, un gruppo di persone con disabilità che, sulle loro carrozzine, sfidando ghiaia e gradini, hanno effettuato un blitz a sorpresa per protestare contro i tagli all’assistenza e ai servizi alle persone più fragili.
Un blitz che prepara le grandi manifestazioni con cortei indette dalle associazioni di categoria per sabato 10 e domenica 11 settembre nella capitale.
«Hanno ignorato i nostri appelli e non c’è stata nessuna marcia indietro sull’assistenza — afferma Pietro Barbieri, presidente della Fish, la Federazione italiana superamento handicap, che ha organizzato l’azione dimostrativa – . Nella Manovra di luglio e in quella in via di approvazione è prevista una delega al Governo per la riforma assistenziale e fiscale che deve recuperare tra i 20 e i 40 miliardi di euro in tre anni».
L’iter legislativo è ancora nebuloso.
«Di certo — ragiona Barbieri — la mannaia si abbatterà , a scelta, su invalidità civile, pensioni di reversibilità , detrazioni fiscali: una di queste tre prestazioni andrà persa».
Ci sono poi i tagli agli enti locali. «Incidono pesantemente sui servizi erogati ai cittadini — continua il presidente della Fish – . Significa, quindi, meno assistenza domiciliare, centri diurni, RSA (Residenze sanitarie assistenziali), progetti per la vita indipendente».
Altro che servizi di qualità e vita il più possibile autonoma.
«Si cancellano d’un colpo diritti acquisiti — incalza Barbieri -. Si fa ricadere tutta la spesa dell’assistenza sulle famiglie che, non essendo in grado di sostenerla, dovranno mandare i loro figli in Istituto».
Ma c’è anche il rischio di «ricoveri impropri che faranno lievitare i costi sanitari».
E forse nessuna Regione, ancor più quelle con un piano di rientro, potrebbe permetterselo.
«Siamo i primi a dire che ci vuole una riforma assistenziale — chiarisce Barbieri – . Ma servono servizi migliori, più efficienti, che rispondano ai reali bisogni delle persone, che favoriscano l’inclusione e non la segregazione. E serve una riforma che sostenga le persone e le famiglie, che fissi dei livelli essenziali di assistenza. Non con l’accetta, col vincolo immediato di recuperare tra i 20 e i 40 miliardi. Non sarebbe più una riforma».
La discussione sulla Riforma dell’assistenza fiscale e assistenziale dovrebbe cominciare la prossima settimana alla Camera.
Prevede tagli di spesa di 4 miliardi nel 2012, 16 nel 2013, 20 nel 2014.
«Oltre alla revisione di molti supporti economici (invalidità , reversibilità , indennità di accompagnamento) e al taglio di servizi sociali, manca ogni riferimento ai livelli essenziali delle prestazioni. Ma l’assistenza non si può ridurre a carità », chiosa il presidente della Fish, che annuncia altre azioni di protesta nei prossimi giorni.
Intanto, di ora in ora, aumentano le adesioni alla petizione lanciata nei giorni scorsi dalla FISH insieme alla FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità ), l’altra principale associazione che riunisce persone con disabilità .
All’insegna dello slogan “No al taglio dell’assistenza! Fermiamoli con una firma!”, le persone con disabilità rivolgono un appello al Presidente del Consiglio, ai Ministri dell’Economia, del Lavoro e delle Politiche Sociali, ai capigruppo parlamentari del Senato e ai segretari dei partiti politici perchè « la Riforma assistenziale sia sganciata da ogni automatico vincolo di cassa».
Grazie a un vero e proprio tam tam attraverso la rete, in meno di una settimana sono state raccolte oltre 17 mila firme.
argomento: Berlusconi, Bossi, Costume, denuncia, economia, governo, Politica, radici e valori | Commenta »
Settembre 10th, 2011 Riccardo Fucile
E SULLE TELEFONATE DI BARI: “PER SILVIO SONO UN RUBY-BIS”…I VERBALI DELL’INTERROGATORIO DI TARANTINI
«Presidente, non riusciamo a sistemare anche qualcosa di mio sui problemi che ho tra Procura, fallimento, indagini, cose…?».
Arcore, marzo 2011.
Giampaolo Tarantini rivede il premier Silvio Berlusconi. Sono trascorsi due anni dallo scandalo di Bari e nuovi atti sono in arrivo dal capoluogo pugliese.
Un’inchiesta esplosiva che, a suo dire, diventerà «il caso Ruby 2».
«Devo dire di Berlusconi, sì, ci sono cose (a Bari, ndr) che lo compromettono. Perchè vederlo uscire sui giornali con ragazze che… Punto e accapo, Ruby 2, certo che non è piacevole per lui, la causa sono stato io».
Novantacinque pagine.
L’imprenditore travolto dal caso escort racconta molte cose nell’interrogatorio sostenuto sabato nel carcere di Poggioreale. Il verbale è stato depositato agli atti dell’inchiesta che vede Tarantini, la moglie Angela Devenuto detta Nicla e il faccendiere Valter Lavitola indagati di estorsione ai danni del premier.
Tesi che i coniugi Tarantini, alle domande dei magistrati, escludono.
Non altrettanto possono dire dell’ex amico. «Lavitola sì, forse lui usava me per ricattare Berlusconi», sostiene Gianpi.
È una dichiarazione importante per lo sviluppo dell’indagine. È lo stesso Lavitola che Tarantini bolla come «un pazzo», «uno psicopatico», «folle e spregiudicato», «invadente, prepotente».
Ancora: uno che «dice fesserie», ma anche «di avere rapporti con la Cia».
Persino con Berlusconi, Lavitola «era prepotente, pressante, perchè si rivolgeva in maniera… diretta».
Per esempio, così: «Senta, dottore, a Tarantini servono 500mila euro per un’attività ». Eppure, di Lavitola il Cavaliere diceva ai Tarantini: «Fidatevi di lui, chiedete quello che volete. Rivolgetevi a Valter per qualsiasi problema e starete tranquilli».
Durante il colloquio con Berlusconi, Gianpi assicura che intende riprendere a lavorare nel settore delle protesi sanitarie.
Al gip Amelia Primavera e ai pm Francesco Curcio, Henry John Woodcock e Vincenzo Piscitelli, Tarantini rivela un particolare: provò a chiedere aiuto al premier perfino sulle sue grane giudiziarie.
Ma il premier sbottò: «”Giampaolo, un mese fa sono stato rinviato a giudizio, io presidente del consiglio, per prostituzione minorile, sto per avere mille processi tra Mills, Fininvest, Mondadori, e vieni a chiedere a me?”».
Pm: «Non ho capito. Lei chiese a Berlusconi di sistemarle qualche processo»?
Tarantini: «Chiesi se era possibile intervenire, visto che era il capo del governo, sui miei procedimenti. E lui mi rispose in questo modo: “Giampaolo, ma con tutti i problemi che ho io?”».
Gip: «Non è una richiesta proprio lecita».
Tarantini: «Certo».
Pm: «Come parlare di corda in casa dell’impiccato».
Tarantini: «E disse: “la mia più grossa opposizione non è la sinistra, che non vale niente. Quanto la magistratura”».
Tarantini ai magistrati svela un altro dettaglio: prima di entrare ad Arcore tolse le batterie dal cellulare per non essere intercettato nè individuato dalle celle.
«È una domenica di marzo e credo che dalle intercettazioni telefoniche si possa vedere. Atterriamo a Orio al Serio alle nove, stacchiamo la batteria, lui (Lavitola, ndr).
Lui non so se stacca la batteria, arriviamo a Arcore, dopo una mezz’oretta, lui ci riceve».
Pm: «No perchè lei, ha fatto l’imprenditore, sa che ci sono anche dei problemi fiscali, dei problemi legati alla normativa antiriciclaggio. Questi 500mila lei si è fatto un’idea di come sono transitati dalle casse di Berlusconi a quelle di Lavitola
Tarantini: «No, non me ne fregava niente, mi scusi»
Pm: «Ma lui le ha confermato la storia del conto cifrato in Uruguay?».
T: «Sì»
Pm: «Anche al cospetto di Berlusconi»?
T: «Sì sì, a Berlusconi ha detto che ce li aveva su un conto estero…. Valter inizia lui il discorso e dice “Presidente i soldi ce li ho io, li ho messi lì perchè lei si ricorda mi aveva detto”, e a quello non gliene poteva fregare di meno. Berlusconi non ci pensava proprio, in quel momento, erano le undici di sera».
Pm: «Ma stiamo parlando di 500mila euro… «
T.: «Dottore, stiamo parlando di uno che ha credo 20 miliardi di euro. Quindi, per me 500mila euro in questo momento sono come il Paradiso, per Berlusconi probabilmente…
«Insomma, dico a Berlusconi: “Presidente guardi gradirei una cosa, siccome c’è stato questo equivoco, Valter mi dice che lei non me li può sbloccare finchè io non trovo una attività , ma mi sono adoperato affinchè trovassi un’opportunità di lavoro, non voglio più fare il mantenuto.
Lui gli dice: “Va bene, allora Valter girali”.
E Valter mi dice: “Sì, te li do entro il primo ottobre”.
Ho la certezza che i soldi non ci sono più, perchè se uno ce li ha perchè te li da il primo ottobre se stiamo al 3 agosto?».
Gianpi aggiunge inoltre: «Si chiude il rapporto con Lavitola, e il giorno dopo mi dà i soldi per partire in vacanza ed è finita lì».
Pm: «Cioè, Lavitola le ha dato i soldi per partire in vacanza?».
T: «Non a me, ma come famiglia… Ventimila euro, credo, o quindici o ventimila. Spesso erano in tagli da cinquecento»
I magistrati chiedono poi se Tarantini avesse problemi a cambiare quelle banconote. E Tarantini conferma.
T: «Se tu vai in casa perchè non hai un centesimo e hai 3500 euro in taglio da cinquecento devi andare a fare pure, che ne so, la spesa al supermercato da trenta euro, vai con la (banconota) da cinquecento, hai difficoltà che ti viene il resto… «.
Dall’indagine è già emerso che Lavitola riceveva il denaro da Berlusconi attraverso la segretaria personale del premier, Marinella Brambilla, già sentita come teste dai pm.
«Coinvolto con Berlusconi? Sei finito»
Parlando dei 500mila euro che Lavitola aveva appena chiesto per lui al premier, l’imprenditore racconta: «Il presidente, senza neanche pensarci mezzo secondo, non gliene fregava assolutamente niente, disse: “Gianpaolo, per te non c’è problema, io ti auguro di poterti riprendere economicamente. Io sono dispiaciuto, comprendo che la tua situazione è avvenuta per cause indirette, per cause mie, perchè sono coinvolto con te. Il senso – afferma Tarantini – era quello: ogni volta che qualcuno è coinvolto con Berlusconi è finito».
Nell’interrogatorio si affronta anche il filone degli affari di Lavitola con società dello Stato, tra cui Finemccanica ed Eni. E delle ambizioni di Gianpi di entrare nell’orbita di Eni.
T.: «Allora l’unica mia ansia era quella di cercare un’attività seria. Ho questo caro amico, che è Pino Settanni (non indagato), leader a livello nazionale delle discariche o delle bonifiche in Italia, aveva chiesto, visto che non era mai entrato, di essere inserito tra le grandi aziende con cui l’Eni faceva bonifiche (…). Siccome sono amico di questo imprenditore, egli mi avrebbe poi dato la possibilità di gestire queste bonifiche direttamente con dei compensi abbastanza alti. E lui: “Giampaolo, guarda, se Eni mi inserisce tra le aziende partner per poter fare queste bonifiche, ben venga”».
Pm: «C’è un albo?».
T: «Sì c’è un albo. Lavitola mi diceva sempre. “Sì ho parlato con Scaroni, lo stiamo facendo, lo stiamo facendo”. Questo Pino che non è uno scemo, mi diceva: “Vedi che ti stanno prendendo in giro: perchè se Scaroni (estraneo all’inchiesta, ndr) che è il presidente dell’Eni chiama questa subsocietà e dice “guarda, accredita!”, quindi niente di anomalo o illegale, dice «accredita e fallo lavorare». Pino mi diceva: “Se ti danno quello te lo gestisci tu, ti faccio un contratto da direttore commerciale, facciamo due conti, ti prendi il compenso più alto, e tu diventi completamente autonomo. Parliamo che potevo gestire cifre di 30, 40, 50 mila euro al mese. E finalmente potevo levarmi… «.
Pm. «Dalla tutela di Lavitola».
T: «Di Berlusconi! Sì, perchè io ero legato a Lavitola».
Dario del Porto e Conchita Sannino
(da “La Repubblica“)
argomento: Berlusconi, Costume, denuncia, Giustizia, governo, PdL, Politica | Commenta »
Settembre 10th, 2011 Riccardo Fucile
“SAREBBE LA BOMBA ATOMICA UN SACCO DI GENTE DOVREBBE ANDARE A CASA”… L’INTERVISTA AL PADRE NOBILE DI SINISTRA E LIBERTA’
Vicenda dolorosa, come dice Pier Luigi Bersani?
Certamente sì. Dolorosissima.
Sconvolgente, come dice Massimo D’Alema?
No. Io non sono sorpreso.
Fabio Mussi, 63 anni, padre nobile di Sinistra e Libertà dopo una vita da fratello siamese di Massimo D’Alema ai vertici del Pci prima e nei Ds poi, vive lo scandalo Penati come un dramma collettivo.
“Dico subito che prescindo dal dato giudiziario e dall’esito dell’inchiesta. C’è una grande questione politica. Bersani, con cui ho lavorato a lungo e che stimo, deve affrontare di petto la vicenda, guardare alle sue radici, dare un segno forte a tutta la sinistra, che deve riflettere sulla direzione di marcia”.
Più che direzione di marcia qui si parla di autostrade.
Prego il Signore che non ci sia connessione tra l’acquisto delle azioni della Milano-Serravalle fatta da Penati nel 2005 e la scalata alla Banca nazionale del lavoro lanciata negli stessi mesi dall’Unipol di Gianni Consorte.
E se il Signore non la esaudisce? Verrebbero coinvolti i vertici dei Ds e del Pd?
È un’ipotesi che non contemplo. Sarebbe la bomba atomica. Un sacco di gente dovrebbe andare a casa.
Penati è un mariuolo? O è un pezzo del sistema?
Non è un mariuolo. Karl Schmitt, grande filosofo della destra, disse in un’intervista degli anni ’50 che quando c’è un potere costituito la vera lotta è per la conquista dell’anticamera del sovrano. Eletto Bersani segretario, Penati ha conquistato l’anticamera. Dobbiamo chiederci come sia arrivato così in alto.
Portando tangenti?
Non lo so e non è questo il punto. Questa vicenda ci racconta una dolorosa verità sul neo-riformismo, e sulla deriva culturale che ci ha portato dal Pci ai Ds e al Pd. Mi ha colpito che di fronte allo scandalo dirigenti lombardi del Pd hanno detto con rimpianto che Penati era un modernizzatore. Lui che con i soldi della Provincia di Milano finanziava le ronde e non si vergognava di essere chiamato leghista. Io invece me ne vergognerei, e per questo quando mi propose di fare un comizio con lui per le Regionali del 2010 mi sono chiesto che cosa avessimo in comune e gli ho detto di no.
Penati è anche l’uomo che nel 2001 lascia il Comune di Sesto e diventa segretario della federazione di Milano mentre si infiamma il congresso Ds che porterà Piero Fassino alla segreteria mettendo in minoranza l’anima di sinistra che lei guidava.
Me lo ricordo bene. Ho visto che Bersani ha parlato di una class action degli iscritti contro i giornali ostili. Se per caso viene fuori che in quel congresso sono girati dei soldi per condizionarne l’esito giuro che la class action la faccio io a loro.
Scherza?
Un po’.
C’è un nesso tra lo spostamento a destra che lei ha denunciato per anni, fino ad andarsene alla nascita del Pd, e la questione morale?
Certo che c’è. E non perchè gli uomini di sinistra abbiano un Dna migliore, che è una sciocchezza: le persone non possono vantare un Dna diverso, i partiti devono. È una certa visione della politica che ti vieta comportamenti disonesti.
Una visione dei contenuti o dello stile?
Le due cose non si distinguono più. Lo ha scritto Anthony Giddens, teorico del blairismo: se vuoi capire un’evoluzione politica, guarda allo stile di vita dei leader. Qui, grazie a Berlusconi e a chi ne ha subito il fascino, è passata l’idea che la ricchezza dimostra la tua bravura. Così con lo slogan della modernizzazione ci hanno riportati al Medioevo. Un moderno capitalismo dovrebbe essere l’opposto: per diventare ricco devi dimostrarti bravo. Qui tutt’al più devi dimostrarti furbo.
Anche tra i dirigenti della sinistra?
Bè, io sono convinto che quando Enrico Berlinguer denunciò la questione morale nella famosa intervista a Scalfari del 1981, accusava i partiti di governo, ma cominciava a percepire che qualcosa succedeva anche a casa sua. Berlinguer vedeva il futuro quando diceva che la questione morale si pone quando i partiti diventano macchine di potere. Testuale.
Molti continuano a negare che ci sia una questione morale a sinistra.
Non io. Nel 2005 ho fatto una dura battaglia interna sulla vicenda delle scalate bancarie. Ricordo che Fassino non riusciva a scrivere una mozione su quel caso che ci andasse bene. Alla fine mi disse: scrivila tu. Non volevano il nostro voto contrario. In quei mesi feci anche, con Cesare Salvi, una mozione sulla questione morale dentro il partito, in seguito alle Regionali della Campania. Giorgio Napolitano la lesse e volle essere il terzo firmatario.
Qual è il problema?
Sono tre. Primo, l’idea che per vincere bisogna convergere su tutto e con tutti. Infatti le hanno perse tutte e Milano l’ha riconquistata Pisapia, non Penati. Secondo: il cedimento a un pensiero dominante secondo il quale il capitalismo è ineluttabile, che tutto è inevitabile, che devi subire e adattarti per mostrarti uomo di mondo. Da tutto questo consegue il terzo problema, quello doloroso davvero.
Quale?
La politica, quando non vede la crisi del capitalismo e non se ne occupa, abbassa lo sguardo verso terra e si mischia con gli affari. Non riesce a stare dignitosamente al di sopra, stabilendo le regole del gioco, ma entra in partita, scegliendosi l’imprenditore amico da aiutare e per cui tifare. La chiamano modernità .
Faccia degli esempi a sinistra.
Aspetti, dobbiamo chiarire una cosa. Nella destra vediamo cose molto più gravi, perchè certe distorsioni sono connaturate a quel mondo. Insomma, le differenze ci sono. Però… scalata a Telecom Italia dei ‘capitani coraggiosi’ di Colaninno. Scalata Unipol alla Bnl. E uno stile in costante discesa. Telefonate, incontri segreti, sussurri, strizzate d’occhio. Ma che cosa gli è preso nel cervello a questi qui?
A questi chi?
Ai dirigenti politici che vivono così. Ma anche a tanti militanti che mostrano simpatia per chi non è moralista, per chi sa come va il mondo, per chi sa godersi la vita e fa i soldi, pur rimanendo un leader di sinistra. A quelli che vedono un dirigente cooperativo come Consorte che ha messo da parte 50 miliardi di lire, per consulenze… e non gli si accenda la lampadina.
Quale lampadina?
Quella che si accende in me che ripenso a mio zio dirigente cooperativo per una vita e morto con una pensione da operaio. Io di fronte ai soldi di Consorte mi sento personalmente ingiuriato. Li sento come un’offesa alla storia della mia famiglia, alla memoria della nonna di mia moglie che nel ’44 a Piombino ha fondato con altre donne la cooperativa La Proletaria per resistere al mercato nero. La base del Pd è fatta da milioni di persone ammodo. Meritano molto di più.
Giorgio Meletti
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Costume, denuncia, Fassino, Giustizia, PD, Politica, radici e valori | Commenta »
Settembre 10th, 2011 Riccardo Fucile
L’ACCUSA E’ CORRUZIONE PER LA COMPRAVENDITA DELLE AZIONI DELL’AUTOSTRADA… AL CENTRO DELL’INDAGINE UNA VENDITA DI 238 MILIONI DI EURO E UN GUADAGNO NETTO DI 179
Ora è ufficiale: Filippo Penati è indagato per corruzione anche a proposito dell’acquisto, nell’estate 2005, della Milano-Serravalle.
È dal luglio scorso, quando l’indagine di Monza sul “sistema Sesto” finisce sui giornali, che la compravendita delle azioni dell’autostrada per Genova resta sospesa come un punto interrogativo, un buco nero.
Da subito la scena mediatica èconquistata dai maneggi urbanistici sull’area Falck, con le mega-tangenti che due imprenditori, Giuseppe Pasini e Piero Di Caterina, dicono di aver pagato agli uomini di Penati, ex sindaco di Sesto San Giovanni, ex presidente della Provincia di Milano, ex capo della segreteria politica del leader del Pd Pier Luigi Bersani.
Ma poi le domande su quella strana compravendita di azioni si sono fatte pressanti: Penati, che ha deciso l’operazione in una notte di luglio, ha avuto un contraccambio?
Il gruppo Gavio, che con quella vendita ha incassato 238 milioni di euro e realizzato una plusvalenza di 179 milioni, lo ha in qualche modo “ringraziato”?
Dopo sei anni di denunce politiche e giudiziarie, di indagini senza risultati e di polemiche sottotraccia, i magistrati di Monza che conducono l’inchiesta sul “sistema Sesto”, Walter Mapelli e Franca Macchia, scoprono, grazie alle rivelazioni di Di Caterina, un assegno della Banca Popolare di Novara di 2 milioni di euro, datato 28 novembre 2008.
La caparra per l’acquisto di un immobile di Di Caterina, versata da una società del gruppo Gavio, la Codelfa.
Una falsa caparra, spiega l’imprenditore, perchè la vendita dell’immobile non è mai stata conclusa e i patti erano che, in questo caso, la caparra restasse al venditore, Di Caterina, che incassava per conto di Penati.
La tesi della corruzione è avvalorata dal lungo messaggio e-mail che Di Caterina manda il 26 aprile 2010 a Penati e a Bruno Binasco, uomo forte del gruppo Gavio, sui soldi di cui chiede la restituzione: “Penati ha promesso di restituire, dopo estenuanti mie pressioni e discussioni, proponendo, nel tempo, varie opzioni che si sono sempre rivelate inconcludenti fino a quando ha proposto l’intervento del gruppo Gavio…”.
Eccolo, l’intervento: l’assegno di 2 milioni staccato nel 2008.
Aggiunge Di Caterina, in un interrogatorio davanti a Mapelli del 21 giugno 2010: “Mi sono incontrato con Penati un giorno , credo quello precedente alla notizia dell’acquisto della quota di Serravalle da parte della Provincia di Milano, e Penati mi ha parlato di questa operazione dicendomi che gli avrebbe consentito la restituzione dei soldi che mi doveva”.
L’imprenditore prosegue: “Sugli affari più importanti ai quali partecipavano gli enti che Penati ha diretto, lui e Vimercati avrebbero chiesto e ottenuto delle tangenti. Mi fu detto proprio da Penati, per convincermi ad aspettare, che di là a poco sarebbero arrivate delle somme consistenti. Mi riferisco all’affare Serravalle”.
Giordano Vimercati era allora il capo di gabinetto di Penati. “All’epoca della trattativa, i rapporti tra me e Penati e Vimercati erano tesi e così loro non parlavano in mia presenza. Io però avevo sempre buoni rapporti e intense frequentazioni con Antonio Princiotta, all’epoca segretario generale in Provincia, che mi riferì che si stavano svolgendo trattative riservate”.
Per definire il sovrapprezzo da pagare al gruppo Gavio: “Princiotta, che partecipava alle trattative”, continua Di Caterina, “mi disse che in quegli incontri stavano trattando l’importo che sarebbe stato retrocesso a Penati e Vimercati… Ho saputo da Vimercati che Penati sulla Serravalle lo avrebbe fregato e che avrebbe ricevuto il suo guadagno dall’operazione a Montecarlo, Dubai e Sudafrica”.
A gestire i flussi finanziari, afferma Di Caterina, è Banca Intesa: “Princiotta mi ha detto che agli incontri partecipavano lui, Vimercati, Binasco e un rappresentante di Banca Intesa, tale Pagani, e che si è anche parlato di un ‘sovrapprezzo’ da pagare a favore di Penati e Vimercati, una percentuale del sovrapprezzo che la Provincia avrebbe pagato per ogni azione. Princiotta mi disse che nella riunione si è discusso sia dei profili palesi che di quelli riservati”.
Risultato: Mapelli indaga Maurizio Pagani, manager di Intesa. E ora anche Penati.
C’è una data chiave della vicenda Serravalle: è il 29 luglio 2005.
Quel giorno Penati fa il suo capolavoro.
Prende la Asa spa (Azienda servizi acqua), la trasforma in Asam (aggiungendo la m di mobilità ), azzera il suo consiglio d’amministrazione, sostituito da un cda di tre persone: Antonino Princiotta (presidente), Giordano Vimercati e Giancarlo Saporito (consiglieri).
Non è quasi ancora nata, e la Asam ha già le idee chiare: decide di comprare da Gavio, senza apparente ragione imprenditoriale, il pacchetto del 15 per cento della Serravalle, facendo arrivare al 53 la quota della Provincia.
Paga 8,9 euro per azione, con un esborso di 238 milioni, facendo guadagnare 176 milioni a Gavio, che quelle azioni le aveva pagate da 2,9 a 6 euro.
Non solo, la neonata holding della mobilità ha già portato a casa, con trattativa fulminante, un impegno di Banca Intesa a finanziare l’operazione.
Tutto nella calura estiva, deciso nelle riunioni riservate dei fedelissimi di Penati e poi ratificato dalla Giunta provinciale.
Il Consiglio lo viene a sapere alla prima riunione dopo l’estate, l’8 settembre 2005. L’opposizione, guidata dal consigliere del Pdl Bruno Dapei, fa fuoco e fiamme.
Ma è troppo tardi. È fatta.
Risultati? La Provincia ha dovuto rinegoziare il suo debito ed è indebitata ancora oggi. E il Comune di Milano, che insieme con la Provincia aveva già la maggioranza della Serravalle, ora ha un pacchetto di azioni (il 18 per cento) che sul mercato vale zero: ha tentato di venderlo per fare cassa, ma l’asta indetta nei giorni scorsi dal sindaco Giuliano Pisapia è andata deserta.
Gianni Barbacetto
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Costume, denuncia, PD | Commenta »