Settembre 27th, 2011 Riccardo Fucile
IL TRIBUNALE DEL RIESAME SMONTA LA DIFESA DEL PREMIER SUL CASO ESCORT E IPOTIZZA IL REATO DI “INDUZIONE A RENDERE DICHIARAZIONI MENDACI ALLL’AUTORITA’ GIUDIZIARIA”… ”NESSUNA PROVA” DELL’ESTORSIONE E “PIENA CONSAPEVOLEZZA” DEL FATTO CHE LE SUE OSPITI FOSSERO RETRIBUITE PER FARE SESSO
Silvio Berlusconi non è vittima di un’estorsione.
Ha invece indotto un indagato, Gianpaolo Tarantini, a “rendere dichiarazioni mendaci” ai magistrati.
I soldi e le altre utilità passate dell’imprenditore barese non erano, come afferma il premier, un semplice aiuto a un amico in difficoltà economiche, ma un modo per ottenerne il silenzio sulle escort che frequentavano le sue famose “feste”.
E il presidente del consiglio, al contrario di quanto ha sempre affermato, era perfettamente consapevole che di escort si trattasse.
L’ordinanza del Tribunale del Riesame di Napoli sulla detenzione in carcere di Tarantini e del latitante Valter Lavitola smonta pezzo per pezzo la versione del presidente del consiglio sui suoi rapporti con l’imprenditore barese e l’ex direttore dell’Avanti!.
I giudici Angela Paolelli, Rossella Marro e Barbara Mendia ribaltano l’ipotesi accusatoria dei pm Henry John Woodcock, Francesco Curcio e Vincenzo Piscitelli.
E aprono la strada a una possibile nuova disavventura giudiziaria per Berlusconi.
Le elargizioni di denaro e “altre utilità ” concesse a Gianpaolo Tarantini non sono semplici aiuti a un amico in difficoltà economiche, come sostiene Berlusconi nella memoria depositata a Napoli.
Scrivono i giudici del Riesame: “Ritiene il collegio che la suddetta giustificazione appare inevitabilmente smentita non solo da una serie di argomentazioni di ordine logico, ma anche da una pluralità di circostanze di fatto emergenti dagli atti”.
Innanzitutto esiste “un’evidente sproporzione tra l’entità della protezione e il dichiarato spirito di liberalità ”.
E poi, se di regali si fosse davvero trattato, perchè Berlusconi avrebbe dovuto finanziare i coniugi Tarantini “in modo non trasparente”, con telefonate “cifrate” e l’intermediazione di Lavitola?
La “liberalità ” non c’entra, tanto che Berlusconi, a detta dei suoi più stretti collaboratori, mostra “insofferenza” quando deve metter mano al portafogli per placare Tarantini.
Le “pretese liberalità ”, notano ancora i giudici, iniziano “quando Tarantini assume la qualità di indagato a Bari”, con l’individuazione dei difensori forniti dal premier, e “culminano” quando Tarantini prende in considerazione un patteggiamento.
Così facendo potrebbe “contribuire a stendere un velo su notizie e fatti che avrebbero destato un sicuro clamore mediatico, in ragione del coinvolgimento, nella vicenda delle cosiddette escort, del presidente del consiglio, soggetto dal quale provenivano le elargizioni”.
I giudici del Riesame non credono neppure all’estorsione di Tarantini e Lavitola ai danni di Berlusconi, cioè l’ipotesi di reato sollevata dai pm di Napoli.
A parte alcune espressioni riferite al premier dai due indagati, come “metterlo con le spalle al muro” o “in ginocchio”, l’ipotesi di estorsione risulta “sfornita di prova”.
I giudici propendono per un altro scenario, che vedrebbe Berlusconi passare dal ruolo di vittima a quello di potenziale indagato: “A parere del collegio, la condotta posta in essere da Silvio Berlusconi (con il concorso in qualità di intermediario di Valter Lavitola) nei confronti di Tarantini appare perfettamente corrispondente al paradigma legislativo di cui all’articolo 377 bis del codice penale”.
L’articolo in questione punisce, con la reclusione da due a sei anni, l’”induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria”.
Berlusconi, dunque, non avrebbe pagato sotto ricatto, ma si sarebbe mosso di propria iniziativa per evitare che Tarantini raccontasse ai giudici di Bari la verità sulle escort che gli procurava.
Il presidente del consiglio Avrebbe dunque cercato di “inquinare” il processo di Bari.
Berlusconi, secondo il Riesame, era anche perfettamente consapevole che le ragazze portate da Tarantini nelle sue residenze fossero retribuite.
“Tarantini evidenziava oltre ogni ragionevole dubbio la piena consapevolezza del premier della reale natura delle prestazioni che gli venivano offerte dalla stragrande maggioranza delle ospiti delle sue serate”.
Il riferimento è alla telefonata tra l’imprenditore e Patrizia D’Addario dopo che quest’ultima aveva passato la notte a palazzo Grazioli.
“Mi dispace che non hai preso niente”, dice Tarantini, “però guarda che è la prima volta che succede, io avrò portato… cento donne”.
E la D’Addario più avanti rimarca: “Beh, a tutte ha lasciato la busta”.
La busta con “a chi dieci, a chi cinque, a chi tre, a chi quindici, a chi venti… a chi gli ha regalato la macchina…”, precisa Tarantini.
I giudici di Napoli sottolineano che Berlusconi abbia fornito i legali a Tarantini per il processo escort, e li abbia retribuiti.
“Deve ritenersi acclarato che fin dall’inizio della vicenda giudiziaria che ha coinvolto Gianpaolo Tarantini a Bari, risalente al giugno 2009, Silvio Berlusconi si è interessato in prima persona di garantire a Tarantini un’adeguata difesa, preoccupandosi di individuare — grazie alle indicazioni del proprio difensore Niccolò Ghedini — professionisti di chiara fama e di sua fiducia”.
Il tutto è confermato dagli interrogatori degli stessi legali di Tarantini, Nico D’Ascola e Giorgio Perroni, e da Tarantini medesimo.
Berlusconi si impegna anche a trovare un lavoro per Tarantini mentre quest’ultimo si trova agli arresti domiciliari: investe del problema gli avvocati Ghedini e D’Ascola, e alla fine salta fuori l’impiego fittizio presso la cooperativa Andromeda, grazie all’intervento di Lavitola.
Le “10 foto” oggetto della telefonata tra Valter Lavitola e la segretaria del premier Marinella Brambilla equivalgono alla consegna di 100 mila euro, affermano i giudici del Riesame, e non di 10 mila come sostenuto dalla Brambilla stessa.
La somma è arrivata ai ai coniugi Tarantini nel giugno di quest’anno, come si evince dalle intercettazioni.
A questa si aggiungono i 500 mila euro di cui Lavitola e Tarantini discutono nelle intercettazioni, il pagamento dell’affitto di un appartamento ai Parioli a Roma e numerosi altri stanziamenti per importi più contenuti.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 27th, 2011 Riccardo Fucile
ALEMANNO: “MAI PIU’ ELEZIONI BLINDATE PER RACCOMANDATE”… IL SEGRETARIO DEL PDL LOMBARDO MANTOVANI “SUA MOGLIE E’ STATA ELETTA COSI'”… MA ISABELLA RAUTI HA UNA STORIA DI MILITANTE, NON DI TENUTARIA DELL’OLGETTINA
Roma attacca. Milano si difende e rilancia. 
Nel Pdl è scoppiata la guerra. E al centro della contesa da una parte c’è Nicole Minetti, dall’altra Isabella Rauti.
Domenica Gianni Alemanno ha parlato della necessità delle primarie: «Dobbiamo dire con chiarezza: mai più Minetti nei Consigli regionali perchè in questo modo offendiamo il Pdl e Silvio Berlusconi».
Anche se non si capisce perchè mai il premier si dovrebbe offendere, dal momento che l’elezione della Minetti l’ha chiesta proprio lui.
Alemanno questo non lo spiega, d’altronde dall’ex sociale è già fin troppo pretendere una presa di distanza dal sultano.
In ogni caso la miccia è stata innescata.
E se Roma punta sull’igienista dentale con un passato da showgirl in gonnellino, Milano risponde rinfacciando al primo cittadino capitolino l’elezione nel listino della sua signora: «Alemanno non è titolato a fare quelle osservazioni – argomenta Mario Mantovani, coordinatore del Pdl lombardo – nel listino della Regione Lazio ha messo sua moglie, Isabella Rauti. Per cui stia zitto».
Intervistato dalla Zanzara, su Radio 24, il dirigente berlusconiano ha difeso la ventiseienne consigliera regionale: «La Minetti – ha continuato – fa bene alla Lombardia ed è una consigliera di tutto rispetto. È laureata con il massimo dei voti al San Raffaele ed è stata scelta in Regione per le sue competenze nelle professioni della sanità ».
Ovvero il diploma da igienista dentale farebbe curriculum.
D’altronde cosa si può pretendere di più da una macchietta come Mantovani: non poteva certo elencare gli altri merito che la Minetti ha acquisito sul campo.
Milano replica, Roma contrattacca.
E all’offensiva di Mantovani reagisce il capogruppo al Senato Maurizio Gasparri: «Nel Pdl ci vuole coesione non polemica. Ma vorrei dire a chi ha criticato Isabella Rauti che dovrebbe prima informarsi. Isabella è nata militante della destra italiana, ha sempre svolto una coraggiosa attività politica e culturale. Se fa parte di un consiglio regionale lo deve a ciò. Con ampio merito. Quando non si conosce la storia delle persone ci vorrebbe molta più prudenza nei giudizi».
Isabella Rauti è infatti la figlia di Pino, tra i fondatori del Movimento Sociale, ha sempre fatto la giornalista ed è stata dirigente del Fronte della Gioventù oltre che dello stesso Msi. E di lauree ne ha due, in Lettere e Psicologia.
Fa sorrridere che a difendere nla moglie di Alemanno sia sceso in campo il suo maggiore antagonista del passato, ovvero “occhio di tigre” Gasparri.
Ma nel casino totale in cui versa il Pdl, ormai ci sta anche questo.
Anche se non condividiamo l’attuale collocazione politica di Isabella, avendo avuto modo di conoscerla in gioventù, ci limitiano a dire che solo un poveretto come Mantovani poteva avvicinare il suo caso a quello della Minetti.
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Settembre 27th, 2011 Riccardo Fucile
MARTINELLI E ALCUNI SUOI MINISTRI VENNERO IN ITALIA PER UN INCONTRO CON BERLUSCONI….”QUI CONOSCE MOLTA GENTE, CI AIUTO’ AD AVERE IN DONO SEI NAVI DEL VALORE DI 300 MILIONI DI DOLLARI”
“Quando Berlusconi riunì sei panamensi e sei italiani per un incontro, uno di loro era Lavitola”.
Adesso anche il presidente della Repubblica di Panama sembra scaricare il Cavaliere e il suo amico Valter: “Martinelli prende le distanze da Lavitola”, titola il quotidiano panamense Prensa.
Alla domanda su come abbia conosciuto l’ormai famoso Lavitola, Martinelli punta il dito verso il Cavaliere, parla di un viaggio in Italia.
Il sito del giornale panamense ne dà notizia il 20 agosto 2009, titolando “Sorprendente viaggio presidenziale”.
Di più: “Lavitola era conosciuto da tutti”, aggiunge il leader di Panama.
Nei giorni centrali di agosto i telefoni di Berlusconi e Lavitola squillano di frequente: è il 24 agosto quando il premier consiglia al suo faccendiere di rimanere fuori dall’Italia.
Abbandonato da tutti, a cercarlo pare essere rimasta soltanto la polizia.
Tempi duri per Lavitola, appena un anno fa scendeva con piglio sicuro dalla scaletta dell’aereo della Presidenza del Consiglio.
Divideva la tavo
Oggi è latitante e tutti negano di essere suoi amici, di averlo frequentato. “Non so dove si trovi”, esordisce Martinelli, cercando di superare l’imbarazzo (Lavitola, latitante, è ormai uno dei protagonisti delle cronache locali del paese del Canale, dove si è rifugiato).
Aggiunge il presidente: “Non so nemmeno se sia a Panama”.
Ma quando ha conosciuto l’ex direttore dell’Avanti?
Scrive Prensa: “Martinelli ha detto di aver incontrato Lavitola durante il suo viaggio in Italia (nel 2009, ndr)… Il presidente sostiene che Lavitola era “molto strumentale” per firmare il trattato in materia di sicurezza e di lotta all’evasione tra Italia e Panama nel giugno 2010 (quando l’ex direttore dell’Avanti sbarcò dall’aereo di Stato con Berlusconi, ndr)”.
Non solo: Lavitola “ha contribuito anche a migliorare notevolmente i rapporti tra Italia e Panama”.
Prensa e Martinelli rivelano importantissimi retroscena dell’accordo: “Lavitola ci ha aiutato anche perchè l’Italia ci donasse sei navi”.
Fin qui niente di nuovo. Il “dettaglio” inedito è il valore del “regalo” italiano: “300 milioni di dollari”, cioè 222 milioni di euro, secondo il presidente panamense.
“Lasciamo perdere la politica italiana… non so se Lavitola o altri turisti italiani siano a Panama”, conclude Martinelli, quasi a voler evitare di pronunciarsi.
Ma ormai Berlusconi è stato già chiamato in causa, e proprio dal vecchio amico panamense.
Una presa di distanze che la dice lunga sull’aria che tira: Martinelli ha origini italiane, è imprenditore e politico, insomma si è sempre sentito vicino a Berlusconi, lo ha sempre sostenuto.
Eppure oggi mette in imbarazzo il Premier con le sue dichiarazioni.
Ma Lavitola di questi tempi è un personaggio che scotta, meglio maneggiarlo con le pinze.
Vale anche per il nostro ministro degli Esteri. Appena un anno e mezzo fa, si era nel maggio 2010, il titolare della Farnesina e Lavitola erano insieme a un importante ricevimento a Panama in onore di Frattini.
Le foto inequivocabili mostrano strette di mano, sorrisi, pacche sulle spalle. E, soprattutto, Lavitola che siede al tavolo d’onore insieme appunto con Martinelli e Frattini.
Il presidente della Camera Gianfranco Fini di fronte alle immagini ha commentato: “Quando ci si circonda di personaggi come quelli è evidente che c’è qualcosa di poco trasparente”.
Fini, d’altronde, finì nel mirino di Lavitola per la storia della “casa a Montecarlo”.
E ora parla di “soddisfazione nel vedere che un faccendiere che oggi è salito agli onori delle cronache era ospite dell’aereo presidenziale con Berlusconi e ha partecipato a dei colloqui tra il ministro Frattini e le autorità panamensi”.
Ma anche la Farnesina, nonostante le immagini eloquenti, prende le distanze da Lavitola: Frattini “ha effettuato dal 26 al 28 maggio 2010 una visita in America Latina.
Durante la sosta di circa 24 ore a Panama ha effettuato incontri istituzionali con il Presidente ed il Vice-Presidente, nonchè il Ministro degli esteri panamensi.
Giunto a Panama, il Ministro Frattini ha incontrato il signor Walter Lavitola tra i partecipanti al ricevimento offerto dal Presidente di Panama, Martinelli”.
Aggiungono dalla Farnesina: Lavitola “che peraltro a quel tempo non risultava oggetto di indagini conosciute dal pubblico, non ha in alcun modo fatto parte della delegazione che ha accompagnato il Ministro degli esteri”.
Insomma, Lavitola era solo “tra i partecipanti di un ricevimento” offerto da Martinelli. Peccato soltanto quelle fotografie che mostrano l’allora direttore dell’Avanti sempre accanto al ministro Frattini, le strette di mano, le pacche sulle spalle.
Del resto il Governo italiano negli ultimi due anni ha compiuto più missioni a Panama che in 106 anni di storia della repubblica centroamericana: per ultimo Berlusconi, prima di lui Frattini.
Senza contare Alfredo Urso.
Ma l’allora vice-ministro dell’Economia almeno non ha incontrato Lavitola.
Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 27th, 2011 Riccardo Fucile
LA TESTIMONIANZA DI FEDERICA GAGLIARDI, DALLO STAFF DELLA POLVERINI ALLE MISSIONI IN CENTRO E SUD AMERICA CON IL PREMIER… E CON IL LATITANTE LATIVOLA CHE, SECONDO TREMONTI, SI PRESENTAVA COME RAPPRESENTANTE DEL GOVERNO ITALIANO PER PANAMA E BRASILE
Dice Federica Gagliardi: “Il video l’avete visto tutti, c’era anche Lavitola sull’aereo per Panama.
Siamo partiti da San Paolo. Mi è stato presentato ma non ricordo più con quale ruolo, mi scusi ma è passato un anno e mezzo. Il mio giudizio su di lui? Preferisco tenerlo per me”.
Federica Gagliardi è la dama bianca di B. che ebbe notorietà per un paio di giorni alla fine del giugno 2010.
Era il 26 di quel mese e la Gagliardi spuntò nella delegazione italiana per il G8 di Toronto, in Canada.
Accanto al premier Silvio Berlusconi.
Bionda, bella, nemmeno trentenne, la donna lavora nello staff di Renata Polverini, governatrice del Lazio, che così giustificò la trasferta della sua collaraboratrice: “È in permesso non retribuito”.
Prima ancora, però, aveva detto che era in ferie.
Un altro piccolo mistero.
Dal Canada, la Gagliardi segue il Cavaliere nelle altre due tappe del tour: Brasile e Panama.
L’incontro con Lavitola avviene a San Paolo. Lì Berlusconi partecipa a un seminario del Forum Italia-Brasil, sulle relazioni industriali e commerciali tra i due paesi. Lavitola compare nella foto-ricordo finale, alle spalle del premier.
Mentre la Gagliardi viene ripresa nel ricevimento ufficiale della sera.
Entrambe le immagini sono sul sito del quotidiano Estadao di San Paolo.
È lo stesso giornale che dà notizia della serata organizzata da Lavitola per B. con sei ballerine di lapdance, attirate con il miraggio di un provino per Mediaset, in una suite dell’Hotel Tivoli.
Dice ancora la Gagliardi: “Sì alloggiavamo tutti al Tivoli, ma a quella serata non ero presente”.
In quei giorni, il Cavaliere è particolarmente allegro.
E racconta una barzelletta a luci rosse: “Volevo farmi una ciulatina con una cameriera dell’albergo e lei mi ha risposto: ‘Presidente l’abbiamo fatto un’ora fa’. Vedete che scherzi fa la memoria”.
Ed è in occasione della serata di lapdance che si parla per la prima volta dell’ascesa di Valter Lavitola nella cerchia ristretta di Berlusconi.
Con quale ruolo? Consulente di Finmeccanica?
Il faccendiere amico di Tarantini è pure titolare di una società per il commercio di prodotti ittici con sede a Rio de Janeiro, in Rodovia Amaral Peixoto 117: l’Empresa Pesqueira de Barra de San Joao Ltda.
Anche per questo, all’inizio del luglio scorso, da Palazzo Chigi riferiscono di un duro faccia a faccia tra B. e Giulio Tremonti.
Quest’ultimo avrebbe chiesto: “Ma chi è questo Lavitola che va in giro presentandosi come rappresentante del governo per Panama e Brasile?”.
Panama e Brasile, le tappe finali di quel viaggio memorabile.
Dove c’è B. , c’è Lavitola.
E dove sono entrambi c’è la Gagliardi.
Ma perchè un rappresentante all’ingrosso di prodotti ittici era sull’aereo presidenziale del governo italiano?
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 27th, 2011 Riccardo Fucile
LE DECISIONI DEL TRIBUNALE: IL RIESAME ASSEGNA L’INCHIESTA ALLA PROCURA DI BARI…RIBALTATA LA DECISIONE DEL GIP, CAMBIA IL CAPO DI IMPUTAZIONE… TORNANO LIBERI TARANTINI E LA MOGLIE, CONFERMATO L’ARRESTO PER LAVITOLA
Nè Napoli nè Roma: il tribunale competente a indagare sul presunto ricatto ai danni del premier Silvio Berlusconi è quello di Bari.
Ma soprattutto il tribunale del riesame di Napoli interviene anche sui capi di imputazione di quell’inchiesta, rischiando di coinvolgere anche il presidente del consiglio in qualità di indagato.
La decisione del tribunale del Riesame di Napoli giunge dopo 14 ore di Camera di Consiglio e cinque minuti prima della mezzanotte quando sarebbero scaduti i termini. E l’esito rappresenta l’ennesimo colpo di scena dell’inchiesta sul presunto ricatto al premier Silvio Berlusconi.
L’inchiesta, originariamente relativa a un presunto ricatto ai danni del premier, ora riguarda un capo di accusa per istigazione a mentire davanti all’autorità giudiziaria.
Il cambio di capo di imputazione riguarda Walter Lavitola, ma vista la nuova ipotesi dovrebbe essere chiamato in causa in qualità di imputato anche Silvio Berlusconi.
I due avrebbero indotto Tarantini a fare false dichiarazioni nella inchiesta di Bari sulle escort, oltre che davanti al gip e al pm di Napoli.
Per tale motivo il riesame ha individuato l’autorità giudiziaria di Bari (dove sono avvenuti i primi interrogatori di Tarantini) come quella competente a procedere, e non più Napoli o tantomeno Roma, come indicato dal gip.
La decisione ribalta quindi sia la tesi dei pm di Napoli, che rivendicavano la competenza sull’indagine, sia la decisione del gip Amalia Primavera, che aveva spostato la competenza dal capoluogo campano alla capitale.
Il Riesame ha anche annullato l’ordinanza cautelare nei confronti di Giampaolo Tarantini.
Libera anche la moglie Angela Devenuto.
Confermato invece il provvedimento restrittivo per Walter Lavitola.
L’imprenditore ha già lasciato il carcere di Poggioreale. All’uscita ha dichiarato: ”Voglio solo andare a casa e abbracciare le mie bambine”.
L’imprenditore è poi salito a bordo dell’auto del suo legale ed è partito alla volta di Roma.
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Settembre 27th, 2011 Riccardo Fucile
DURA REPRIMENDA DEL PRESIDENTE DELLA CEI SUL DETERIORAMENTO DEL TESSUTO SOCIALE ITALIANO:… “IN ITALIA C’E’ UNA QUESTIONE MORALE E I COMPORTAMENTI LICENZIOSI RISCHIANO DI AVVELENARE LE NUOVE GENERAZIONI”
“In Italia bisogna purificare l’aria ammorbata dai comportamenti licenziosi”, “la questione
morale non è un’invenzione mediatica”, “la piovra della corruzione va combattuta al pari dei comitati d’affari”: parole nette e inequivocabili quelle pronunciate dal cardinale Angelo Bagnasco nella prolusione del consiglio permanente dei vescovi.
Si è trattato di un intervento che il mondo cattolico (ma anche quello laico) aspettava da tempo, specie dopo le ultime critiche per i lunghi silenzi della Cei.
E non è un caso che l’uscita allo scoperto sia arrivato a distanza di quattro giorni dalla presa di posizione di Benedetto XVI, che dalla Germania aveva auspicato al più presto un serio “rinnovamento etico”.
Il presidente della Conferenza episcopale italiana non ha nominato direttamente il soggetto a cui era rivolta la sua reprimenda, ma i troppi riferimenti all’attualità hanno un solo significato; Bagnasco, infatti, ha parlato al potere politico e il potere politico, in Italia, ha un nome e un cognome: Silvio Berlusconi.
Un intervento a tutto tondo quello del cardinale, che ha toccato molti temi di questi giorni e li ha legati attraverso un unico, comune denominatore: la necessità di un cambiamento radicale.
A 360 gradi. “I comportamenti licenziosi e le relazioni improprie sono in se stessi negativi e producono un danno sociale a prescindere dalla loro notorietà — ha detto Bagnasco — . Ammorbano l’aria e appesantiscono il cammino comune”.
Poi la stoccata: “C’è da purificare l’aria, perchè le nuove generazioni, crescendo, non restino avvelenate” ha attaccato il presidente della Cei, che poi ha sottolineato come la questione morale non sia “un’invenzione mediatica”, pur segnalando sulle inchieste in atto “l’ingente mole di strumenti di indagine”, “la dovizia delle cronache a ciò dedicate” e la presenza di “strumentalizzazioni”.
Ciò non significa, secondo il cardinale, che ci possano essere equivoci, perchè la questione morale “è un’evenienza grave”.
Partendo da questo dato di fatto, l’alto prelato ha sottolineato il ruolo della storia: “Quando le congiunture si rivelano oggettivamente gravi, e sono rese ancor più complicate da dinamiche e rapporti cristallizzati e insolubili, tanto da inibire seriamente il bene generale — è stato il giudizio di Bagnasco — , allora non ci sono nè vincitori nè vinti: ognuno è chiamato a comportamenti responsabili e nobili. La storia ne darà atto”.
Il cardinale, inoltre, non ha risparmiato considerazioni di tipo politico, sostenendo che “al punto in cui siamo è essenziale drenare tutte le risorse disponibili, intellettuali, economiche e di tempo, verso l’utilità comune: solo per questa via si può salvare dal discredito generalizzato il sistema della rappresentanza, il quale deve dotarsi di anticorpi adeguati contro la ‘piovra’ della corruzione e delle clientele, cominciando a riconoscere ai cittadini la titolarità loro dovuta”.
Quasi un appello al cambiamento della legge elettorale, quindi, a cui Bagnasco ha fatto seguire un attacco ancor più veemente contro la corruzione, sostenendo come “non si capisce quale legittimazione possano avere in un consorzio democratico i comitati d’affari che si autoimpongono attraverso il reticolo clientelare, andando a intasare la vita pubblica”.
Le conseguenze per Bagnasco sono devastanti: “Il loro maggior costo sta nella capziosità dei condizionamenti, nell’intermediazione appaltistica, nei suggerimenti interessati di nomine e promozioni”.
Proprio il crollo di credibilità della rappresentanza politica ha offerto al presidente della Cei l’occasione per un annuncio che farà molto discutere: ”Sta lievitando una partecipazioneche si farebbe fatica a non registrare, e una nuova consapevolezza che la fede cristiana non danneggia in alcun modo la vita sociale. Anzi. Sembra rapidamente stagliarsi all’orizzonte — ha anticipato — la possibilità di un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica, che, coniugando strettamente l’etica sociale con l’etica della vita, sia promettente grembo di futuro, senza nostalgie nè ingenue illusioni”.
Il quadro, per Bagnasco, è di una gravità assoluta, così come le conseguenze che essa potrà avere: “Se non si riescono a far scaturire, nel breve periodo, le condizioni psicologiche e culturali per siglare un patto intergenerazionale che, considerando anche l’apporto dei nuovi italiani, sia in grado di raccordare fisco, previdenza e pensioni avendo come volano un’efficace politica per la famiglia, l’Italia non potrà invertire il proprio declino: potrà forse aumentare la ricchezza di alcuni, comunque di pochi, ma si prosciugherà il destino di un popolo”.
L’Italia, infatti, per Bagnasco “non si era mai trovata tanto chiaramente dinanzi alla verità della propria situazione”.
E le misure studiate dal governo non sono all’altezza, tanto che i vescovi sono rimasti colpiti dalla “riluttanza a riconoscere l’esatta serietà della situazione al di là di strumentalizzazioni e partigianerie; amareggia il metodo scombinato con cui a tratti si procede, dando l’impressione che il regolamento dei conti personali sia prevalente rispetto ai compiti istituzionali e al portamento richiesto dalla scena pubblica, specialmente in tempi di austerità ”.
Nell’occhio del ciclone, neanche a dirlo, la politica: ”Rattrista il deterioramento del costume e del linguaggio pubblico, nonchè la reciproca, sistematica denigrazione, poichè così è il senso civico a corrompersi, complicando ogni ipotesi di rinascimento anche politico — ha detto Bagnasco — . Mortifica soprattutto dover prendere atto di comportamenti non solo contrari al pubblico decoro ma intrinsecamente tristi e vacui, mentre si rincorrono, con mesta sollecitudine, racconti che, se comprovati, a livelli diversi rilevano stili di vita difficilmente compatibili con la dignità delle persone e il decoro delle istituzioni e della vita pubblica”. In conclusione d’intervento, l’appello del cardinale al ritorno di “misura, sobrietà , disciplina, onore” a cui è tenuto chi “sceglie la militanza politica”.
Un attacco su tutta la linea, quindi, che forse traccia la nuova linea strategica della Cei: stop alla stagione della tolleranza, avanti con l’impegno diretto.
Nella vita sociale e, perchè no, anche in politica.
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Settembre 27th, 2011 Riccardo Fucile
“BASTA CHIEDERE AI CITTADINI CERTIFICATI PER PARTECIPARE AI CONCORSI, BASTA CON IL DURC E QUELLO ANTIMAFIA: SEMPLIFICARE PER CRESCERE”
Il ministro della Pubblica amministrazione elenca le sue “vitamine” per la crescita economica.
Via anche il Durc, che attesta il regolare versamento dei contributi ai lavoratori. Difesa incondizionata, invece, del suo collega di governo sul quale pende una richiesta di rinvio a giudizio coatto per concorso esterno a Cosa nostra.
Sì al ministro Saverio Romano, accusato di mafia, no al certificato antimafia.
E’ il pensiero di Renato Brunetta, ministro della Pubblica amministrazione, distillato durante la presentazione del nuovo logo del dicastero.
“Basta chiedere a imprese e cittadini documentazione per informazioni che la Pubblica amministrazione già possiede”, afferma il ministro.
“Basta certificato antimafia, basta pacchi di certificati per partecipare ai concorsi, basta con il Durc (il certificato unico di regolarità contributiva per le imprese, ndr)”. La semplificazione, aggiunge, è “una delle vitamine per la crescita”.
Deve restare, invece, il ministro Saverio Romano, sul quale pende una richiesta di rinvio a giudizio coatto per concorso esterno in associazione mafiosa, oggetto di una mozione di sfiducia che sarà discussa dopodomani: “Le dimissioni del ministro Romano non sono all’ordine del giorno”, assicura Brunetta.
L’occasione di queste esternazioni è la presentazione del nuovo logo della Pubblica amministrazione, alla fine del quale Brunetta si è lasciato andare con i giornalisti.
Ma l’accenno al certificato antimafia provoca qualche imbarazzo persino tra i membri del suo staff, che già fiutano le polemiche.
Che infatti arrivano subito, per primo dal Partito democratico. “Brunetta, rischia così di indebolire i presidi antimafia di cui ci siamo dotati in questi anni (qui la procedura richiesta per ottenere il certificato antimafia, ndr). La penetrazione delle mafie in ogni tipo di gara o di appalto per opere pubbliche è un dato crescente ed è noto a tutti. Di certo — continua la nota — non potrà essere accettata una misura che rende più fragile il sistema di controllo dello Stato”.
Rapidissima e tranciante la reazione del Procuratore nazionale antimafia Piero Grasso: “Il ministro Brunetta è sempre molto originale. Stop ai certificati antimafia? Faccia una proposta di legge, la valuteremo… E’ stato da poco approvato il Codice antimafia”, continua il Procuratore, “che tra l’altro disciplina in modo molto rigoroso tutta la certificazione antimafia. Se il ministro aveva qualche osservazione da fare poteva farla in sede di Consiglio dei ministri”.
Comunque, conclude Grasso, “non è mia abitudine prendere posizione su cose campate in aria”.
Grasso fa riferimento al Testo unico antimafia predisposto dal governo e approvato dal parlamento meno di due mesi fa, che all’articolo 99 conferma la necessità del certificato antimafia per gli imprenditori che vogliono lavorare per la pubblica amministrazione o esercitare determinate attività private sottoposte ad autorizzazione.
Ce n’è abbastanza per la precisazione di rito, che arriva per bocca del portavoce del ministro (ma in perfetto Brunetta style): “I conservatori della sinistra non riescono a capire che accadrà esattamente il contrario, in quanto la certezza dei dati non diminuirà ma verrà semmai rafforzata: invece di chiedere al singolo imprenditore di fare il fattorino tra le amministrazioni, saranno infatti queste ultime a procurarsi direttamente presso gli uffici competenti la documentazione richiesta”.
Come no, immaginiamo come se li procurerà …
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Settembre 27th, 2011 Riccardo Fucile
LA PROVOCAZIONE FUTURISTA DI FILIPPO ROSSI SULLA FORMA PARTITO E SU QUELLA MOVIMENTO
Volete scoprire quali sono le differenze tra un partito e un movimento d’opinione? 
È presto detto.
Un partito è una struttura chiusa, un movimento d’opinione è una stanza aperta.
Un partito è un paesaggio senza orizzonte, un movimento d’opinione una spiaggia sull’oceano.
Un partito difende interessi, un movimento accarezza sogni.
Un partito ha bisogno di una burocrazia, un movimento ha bisogno dell’intelligenza. In un partito si contano le tessere, in un movimento d’opinione si contano le idee.
In un partito quelle tessere si comprano, in un movimento le tessere non ci sono.
In un partito fanno carriera i signorsì, i caporali e i colonnelli. In un movimento d’opinione non esistono carriere.
Il partito è roba da zerbini, il movimento è roba di eroi.
In un partito vince chi obbedisce, in un movimento vince chi ha più cose da dire.
In un partito in meno siamo e meglio siamo, in un movimento più siamo e meglio è. Un partito gioca in difesa, un movimento gioca in attacco. Sempre e comunque. Un movimento fa le barricate.
Un partito nasce vecchio, e non c’è cerone che basti a coprirne le rughe. Un movimento cresce giovane.
Un partito rimane nel palazzo, un movimento scende in piazza.
Un partito ha paura di sbagliare, pesa le parole, smussa, ammorbidisce, tratta e contratta. Un movimento non ha mai paura. Di niente e di nessuno.
Un partito salvaguardia posti e stipendi, un movimento salvaguardia ciò che è giusto. Un partito pensa alla pensione.
Un partito chiede con chi stai, da dove vieni, “di chi sei”.
Un movimento chiede cosa pensi, dove vai, cosa sogni.
Un partito è conservatore, un movimento è rivoluzionario.
Un partito è lento, un movimento è veloce. È rock.
Un partito è egoista, un movimento è altruista.
Un partito è centrista, un movimento è centrale.
Un partito rimane a casa, o alla finestra. Un movimento è interventista.
Un partito sfrutta i militanti, un movimento è dei militanti.
Un partito vive alla giornata, un movimento fa la storia. O almeno ci prova.
Un partito cerca compromessi, un movimento cerca il cambiamento.
Un partito pensa a quel che conviene, un movimento a quel che serve.
Un partito non s’incazza mai, un movimento nasce incazzato.
Un partito è triste, un movimento è allegro.
Un partito è in giacca e cravatta, un movimento in jeans e camicia.
Un partito è in bianco e nero (e spesso in girgio), un movimento è a colori.
Un partito ha bisogno di nemici per cacciarli, un movimento ha bisogno di amici a cui unirsi.
Un partito è Polifemo nella grotta, un movimento è Ulisse sul mare.
Un partito resta, un movimento parte.
Un partito è solido, un movimento è liquido.
Un partito uccide le eccellenze, un movimento le coltiva.
Un partito è finto, il movimento è vero.
Un partito fa i congressi, un movimento fa politica.
Un partito si parla addosso, un movimento parla a tutti.
Un partito parla sottovoce, il movimento urla.
Un partito dice quel che è “opportuno”, un movimento dice quel che sente.
Un partito abbassa la testa, un movimento alza il dito.
Un partito si riunisce, elegge, delibera, approva con riserva. Un movimento decide. Un partito non dà fastidio a nessuno, un movimento dà fastidio al potere.
Un partito? Dove siamo, chi siamo, perchè siamo.
Un movimento? Ecco cosa pensiamo, ecco cosa vogliamo.
Un partito? Armiamoci e partite. Un movimento? Amiamoci e partiamo.
Un partito perde, un movimento vince.
Filippo Rossi
(da “Il Futurista“)
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Settembre 27th, 2011 Riccardo Fucile
DOSSIER DEL COISP: TRE MILIARDI DI TAGLI E ORA ALTRA DECURTAZIONE DI 600 MILIONI NELLA MANOVRA…”USIAMO POCHE VOLANTI, NON ABBIAMO NEANCHE PIU’ LE DIVISE”
Carta, inchiostro, benzina per le volanti e vestiti per gli agenti.
Alla Polizia italiana manca tutto. E sul comparto sicurezza il governo continua a tagliare.
Così il Coisp, il sindacato indipendente del corpo, ha deciso di raccogliere le denunce che riceve ormai quotidianamente da ogni parte d’Italia.
Un dossier che il sindacato consegnerà al premier Silvio Berlusconi nel giorno di San Michele Arcangelo, patrono della Polizia.
“Non sappiamo più a che santo votarci”, scherza amaramente il segretario nazionale del Coisp, Franco Maccari, che tra una settimana consegnerà il dossier nelle mani del premier e al Capo della Polizia Antonio Manganelli.
“Ai tre miliardi di tagli lineari previsti dal governo entro il 2013, la manovra anti crisi aggiunge altri 600 milioni”, spiega Maccari, che avverte: “Non possiamo più garantire la sicurezza dei cittadini, siamo al collasso”.
Un giudizio che trova conferma nelle denunce del sindacato, che oltre alla mancanza di risorse descrive un sistema fatto di sprechi e inefficienze.
“Taglio dopo taglio, per risparmiare alla fine si spende di più”, nota Maccari, che racconta: “A Roma il benzinaio convenzionato si trova sul raccordo anulare. Tra andata e ritorno se ne sono già andati 20 euro”.
Alle segnalazioni del segretario nazionale del Coisp si aggiungono quelle dei segretari regionali e provinciali.
Ed è allarme in tutta Italia.
A Genova le volanti operative sono appena quattro su ventuno. Le altre? Ferme per manutenzione.
“A volte sono i poliziotti a pagare le riparazioni”, spiega il sindacato, “ma di questo passo le ventiquattro ore del pronto intervento sono a rischio”.
Lo stesso accade a Padova, dove in caso di incidente si fatica ad eseguire i rilievi necessari perchè non ci sono vetture da inviare.
Mentre ad Asti la stradale ha già annunciato di non essere più in grado di garantire il servizio notturno.
E se dalla strada si passa agli uffici, la situazione non cambia.
A Oristano, dove la mancanza di benzina sta lasciando a secco le imbarcazioni della squadra nautica della Questura, Salvatore Meloni del Coisp segnala che per le spese di cancelleria e di altro materiale nelle casse ci sono appena mille euro per l’intero anno.
“Basti sapere”, scrive Meloni sulle pagine dell’Unione Sarda, “che per la derattizzazione abbiamo chiesto aiuto a Comune e Provincia”.
Così in tutto il Paese ci si affida all’autotassazione o al buon cuore della gente.
Come a Napoli, dove la segreteria provinciale del Coisp lancia l’allarme carta. “Gli utenti sono costretti a portarsela da casa”, scrive il sindacato in una nota del 14 settembre scorso, “sperando di trovare almeno l’inchiostro per le stampanti”.
Pure le divise sono un problema.
“Quando va bene si è fortunati a trovare misure più grandi”, afferma Paolo Valenti, segretario regionale del Coisp calabrese, “Poi ci si rivolge al sarto, a proprie spese”.
I magazzini Veca di Napoli e Aversa, uffici preposti dal dipartimento di pubblica sicurezza alla fornitura di uniformi e equipaggiamenti, sono in crisi.
E se non mancano le taglie, mancano i distintivi.
“In nessun punto Veca distribuiscono più i distintivi di qualifica”, denuncia il sindacato, “così, per non incorrere in sanzioni disciplinari, gli agenti devono provvedere altrove e di tasca propria”.
Secondo il Coisp, i tagli del governo mettono direttamente a repentaglio la stessa incolumità dei poliziotti.
Una delle tante conferme arriva da Sassari, dove il sindacato ha scoperto che nel primo semestre del 2011 il 68% degli agenti non ha effettuato nemmeno una esercitazione al poligono di tiro.
Le normative vigenti prevedono che un poliziotto si addestri almeno tre volte l’anno.
Ma le risorse non ci sono, e sono in molti a non aver sparato un solo colpo nemmeno nell’anno precedente.
E questo doveva essere un sedicente “governo di centrodestra?
argomento: Berlusconi, Bossi, Costume, criminalità, denuncia, emergenza, Giustizia, governo, LegaNord, PdL, Politica, radici e valori, Sicurezza | Commenta »