Settembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile
“A BERLUSCONI MANCANO GIUDIZIO E RAGIONE”…”LA SUA REAZIONE E’ SEMPLICEMENTE QUELLA DI INVEIRE”…PIOVONO CRITICHE SIA DA DESTRA CHE DA SINISTRA
“Bunga bunga Berlusconi ci farà affondare tutti in un aggravamento della crisi dell’euro? E’il peggior capo di governo d’Europa”.
L’interrogativo e l’accusa, sparate online dal sito della Bild, il quotidiano più letto d’Europa, riassume ed estremizza con efficacia il durissimo giudizio tedesco.
Come Standard&Poor sottolinea il problema dell’Italia è soprattutto politico, ma Berlusconi ancora una volta sembra non saper far nulla di meglio che inveire.
Ecco in sostanza il giudizio a caldo dei massimi media tedeschi, appena uscito nelle loro edizioni online a commento del declassamento dell’Italia da parte della grande agenzia di rating internazionale e soprattutto delle reazioni del presidente del Consiglio.
Un giudizio sparato in apertura o tra i primi titoli dei siti, che unisce trasversalmente media conservatori, liberal e progressisti, testate filogovernative o critiche verso l’esecutivo.
E che fornisce una conferma drammatica del pessimo rating politico di Berlusconi agli occhi dell’establishment della prima potenza europea.
“Standard&Poor ammonisce che l’insufficienza di riforme e la prospettiva di instabilità politica sono problematiche, ma a Berlusconi mancano ravvedimento, giudizio, ragione, per cui la sua reazione è semplicemente quella di inveire contro l’agenzia di rating accusando i media e parlando di decisione fuori dalla realtà e mossa da motivazioni politiche”, sottolinea Spiegel online.
Il quale sottolinea in modo impietoso i dati del debito sovrano italiano e della debole crescita economica.
Non meno duro il giudizio della Sueddeutsche. Il sito del quotidiano liberal di Monaco sottolinea che il downgrading è “un duro colpo al governo Berlusconi e alla sua lotta contro l’alto debito pubblico”, anche se non soprattutto perchè Standard&Poor mette sotto accusa la perdurante incertezza politica a Roma. Berlusconi, commenta la Sueddeutsche, “reagisce sfrenato”.
Di “duro colpo all’Italia” parla la liberalconservatrice Frankfurter Allgemeine.
Il declassamento deciso dall’agenzia, nota, sottolinea l’insufficienza di riforme e le carenze della manovra, e il premier reagisce subito con accuse.
Die Welt, quotidiano conservatore e filogovernativo di qualità dell’editoriale Springer mette in rilievo come “attualmente Silvio Berlusconi non appare in grado di far uscire il paese dalla crisi”.
Spietato, anche con le immagini, Bild online.
Apre la sezione economia con una foto, con un euro spaccato in fotomontaggio al centro del tricolore e un’immagine di Berlusconi colto in una smorfia.
Bunga bunga Berlusconi ci tirerà tutti a fondo?, si chiede l’articolo di Bild online. Ricorda il peso del debito pubblico italiano, cita i sondaggi sul crollo di popolarità del Cavaliere, e sottolinea le critiche italiane e internazionali alla sua politica economica e di bilancio.
Non solo: definisce Berlusconi “il peggior capo di governo d’Europa” e racconta ancora una volta ai lettori gli scandali sessuali, il suo vantarsi (nelle note registrazioni) di aver posseduto otto donne, i processi a suo carico.
Nuovo colpo per l’euro, dice ancora Bild, e citando fonti del partito di maggioranza relativa (la CduCsu della cancelliera Merkel) sottolinea come per motivi politici il caso Italia sia pericoloso per tutta l’Eurozona e per le tasche degli elettori tedeschi.
Il giudizio di Standard&Poor, e la sua sottolineatura delle motivazioni soprattutto politiche del basso rating italiano, sono anche l’apertura dei tg del mattino della Ard, l’autorevole prima rete tv pubblica tedesca 8, e del suo sito.
Insomma, bocciatura da parte dei media della potenza-guida dell’Unione europea, non solo da Standard&Poor.
Bocciatura doppia: per le cifre e le cause del declassamento, e per la reazione tutta invettive del premier.
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Settembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile
FINI HA RESPINTO LA RICHIESTA DEL PDL DI VOTARE CON LE PALLINE…IL TIMORE DEL PDL E’ CHE NON SIA GARANTITA LA SEGRETEZZA DEL VOTO
Non dovrà ripetersi giovedì per Marco Milanese quello che accadde con Alfonso Papa. 
I deputati si esprimeranno con voto elettronico sulla richiesta di arresto del parlamentare del Pdl, braccio destro di Tremonti, ma dal presidente della Camera è arrivato un appello «al senso di responsabilità » di tutti affinchè «sia garantita la segretezza».
La conferenza dei capigruppo di Montecitorio ha discusso a lungo della questione, dopo che il presidente dei deputati del Pdl, Fabrizio Cicchitto, aveva chiesto che si votasse con le palline.
L’obiettivo era impedire che, come successe il 20 luglio, i deputati potessero usare l’indice della mano sinistra per rendere palese la loro posizione.
Fini non ha accolto la richiesta perchè, ha ricordato, l’articolo 55 del regolamento della Camera stabilisce «che si possa votare con le palline solo in caso di malfunzionamento del dispositivo elettronico» e ha inoltre fatto notare come il voto con sistema elettronico permetta sia la segretezza del voto, ma non vieta a chi lo voglia dire di esprimere la propria preferenza «prima o dopo il voto»
Fini ha anche respinto la tesi del Pdl sul «plenum» e ha affermato che l’aula della Camera è legittimata a votare sul caso Milanese, anche in mancanza di Alfonso Papa, il deputato del pdl agli arresti nel carcere di Poggioreale.
Durante la conferenza dei capigruppo, Fini ha ricordato che la Costituzione riconosce alle Camere il diritto di pronunciarsi sulla restrizione della libertà dei suoi membri, restrizioni che inevitabilmente producono «effetti» sulla composizione dell’assemblea. Secondo quanto hanno riferito alcuni partecipanti alla riunione dei capigruppo, Fini ha rimarcato che , se passasse la tesi che senza Papa non ci sarebbe il plenum dell’aula, «finirebbe per travolgere tutte le votazioni, comprese quelle sulla fiducia al governo e sull’approvazione della manovra».
Critico Cicchitto: «Avevamo chiesto che fosse realmente garantita la segretezza del voto con il ricorso alle palline», ha riferito, «dopo la stupefacente modifica di orientamento dei gruppi che avevano contestato lo scrutinio segreto su Papa. Vogliamo che sia assicurata la segretezza e non si ripeta una votazione teleguidata dalle indicazioni di Franceschini su come collocare il dito nel dispositivo».
Tuttavia, «Fini ha avuto un orientamento diverso che non abbiamo condiviso», ha concluso Cicchitto.
Per Franceschini, si tratta di una polemica senza fondamento. «L’altra volta fu una scelta volontaria dei deputati del Pd per tutelarsi dopo che da giorni venivano sospettati di votare contro l’arresto», ha sottolineato.
Comunque, ha aggiunto, «non darò nessuna indicazione nè in Aula nè al gruppo sulle modalità di voto, mentre è chiaro che voteremo per l’arresto».
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Settembre 22nd, 2011 Riccardo Fucile
LA PROPOSTA-PROVOCAZIONE DE “IL FUTURISTA”: BASTA CON UN USO VERGOGNOSO DELLA TV PUBBLICA, CAMBIATE CANALE…E LA RACCOLTA DI FIRME TROVA GIA’ MIGLIAIA DI ADESIONI SU FACEBOOK
Se non ci fosse una crisi economica di portata epocale, se non ci fosse un governo incapace di intendere e di volere, se non ci fossero scandali quotidiani a base di appalti e di “patonza” (copyright Silvio Berlusconi) e se non ci fosse il rischio di incidenti diplomatici con la maggiore potenza europea all’orizzonte, sicuramente ci indigneremmo molto di più per quello che va in onda – nell’ultimo anno in particolare – sulla televisione pubblica.
Ma non è mai troppo tardi per reagire a quello che è ormai uno scempio quotidiano.
Uno schifo che imbratta la storia della televisione pubblica italiana.
Una vergogna nazionale che l’altra sera, con il combinato disposto Minzolini-Ferrara in difesa del fortino di Palazzo Chigi, andato in scena su Raiuno tra le 20 e le 20.30, ha raggiunto nuovi picchi di indecenza.
Ed è un’indecenza alla quale si può rispondere solo in un modo: con il boicottaggio senza se e senza ma.
Al telegiornale di Augusto Minzolini – quello che censura i “problemini” del premier e li sostituisce con avvncenti reportage sulla toelettatura dei barboncini o sulla dieta dell’avocado – gli italiani si sono ormai abituati: infatti sempre più numerosi migrano su altri canali.
Stesso trattamento per Giuliano Ferrara e per la sua spericolata difesa della vita privata di Berlusconi (anche le consulenze Finmeccanica sono “vita privata”?), omelie serali che – in sostanza – si sono rivelate un flop di ascolti e che il direttore del Foglio ha trasformato, qualche mese, fa in una sorta di “live show” teatrale a base di mutande (ricordate?).
Ma l’altra sera i due hanno dato il meglio, trasformando la “finestra informativa” del servizio pubblico in una arringa in difesa del presidente del Consiglio.
«Perchè il premier dovrebbe farsi da parte ora che non c’è stata alcuna scissione nella maggioranza, una maggioranza che ha il merito di aver varato una manovra di dimensioni gigantesche per salvare il paese?», chiede con aria stupita Augusto Minzolini nel suo editoriale.
E il direttore prosegue, leggendo il copione inviato da Arcore: «In fondo ci sarebbe un’unica ragione per disfarsi di questo governo: proprio il diktat della magistratura che non lo vuole e il giudizio della grande stampa a cui non è mai piaciuto. Considerazioni ragionevoli per alcuni ma a mio avviso per nulla convincenti e che hanno ben poco a che fare con le regole della democrazia».
Il giornalista che guida il principale organo di informazione della principale rete televisiva pubblica italiana accusa “la grande stampa” (dalla quale opportunamente si esclude, evidentemente).
E poi ecco arrivare Giuliano Ferrara. Parole diverse, ma il contenuto è lo stesso:
Silvio è una vittima, anzi “un eroe”; i magistrati sono un pericolo; l’unica colpa del premier è “un po’ di sciatteria”.
E poi un consiglio al capo del governo: «La base del contrattacco non può essere che quella di presentarsi dai magistrati. Altro che Palazzo Chigi, deve andare a Napoli dai giudici, da questi ragazzotti in cerca di protagonisti. Che c’entra con il ricatto, il fatto che amici insistenti ti spillano quattrini. Deve dire “Io sono generoso, aiuto gli amici, trovate un reato in questo?”».
Immediata la replica del presidente della Rai: «Fermo restando il diritto di ogni direttore di fare editoriali o commenti, magari senza eccedere in termini di frequenza, l’opinione espressa stasera dal direttore del Tg1 Augusto Minzolini è strettamente personale e non impegna in alcun modo la Rai».
Ma la “presa di distanza” nulla può contro il potere del Cavaliere.
E allora boicottiamoli.
Boicottiamo Raiuno, cambiamo canale.
Per non vedere quella che un tempo era l’ammiraglia trasformarsi, sotto la direzione di Mauro Mazza, in una rabbiosa TeleArcore, ultima ridotta di un premier alla frutta.
(“da “Il Futurista“)
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Settembre 21st, 2011 Riccardo Fucile
LA PROTESTA ERA ORGANIZZATA DAVANTI ALLA CAMERA CONTRO LA MANOVRA PER DENUNCIARE “LA MANCATA ATTENZIONE DEL GOVERNO VERSO LE FORZE DELL’ORDINE E LA SICUREZZA DEI CITTADINI”
“Vergogna, vergogna!”. “Parassiti, parassiti!”. 
A dare vita alla contestazione, davanti a Montecitorio, non ci sono i lavoratori dei Cobas, precari o studenti ma poliziotti iscritti a diverse organizzazioni sindacali.
Quando è arrivato il ministro della difesa Ignazio La Russa davanti all’ingresso principale del palazzo della Camera, dove erano assiepati un centinaio di agenti, sono partiti gli slogan contro la manovra e il governo Berlusconi.
La protesta era organizzata per “denunciare pubblicamente la mancata attenzione del governo nei confronti dei loro diritti e del diritto alla sicurezza dei cittadini”. A promuoverla vari sindacati di categoria sia confederali che autonomi, per “manifestare il dissenso dei poliziotti nei riguardi di un governo che con quest’ultima manovra finanziaria ha saputo prevedere ulteriori tagli alle risorse destinate alla sicurezza del paese piuttosto che investimenti e che ha oltremodo offeso la specificità del loro lavoro non prevedendo a tal riguardo alcun sostegno economico ma tutt’altro”.
“Sappiate che non c’è indifferenza, si fa e si farà tutto ciò che sarà possibile”, ha detto La Russa ad alcuni manifestanti.
Salvo poi non smentirsi e incautamente avanzare dubbi su chi contestava in prima fila: “Secondo me non erano veri poliziotti”.
Per La Russa ovviamente le forze dell’ordine dovrebbero essere contente di un governo che li fa andare in servizio con le pezze al culo, senza pagare gli straordinari e senza benzina e i pezzi di ricambio per le volanti.
E questo dovrebbe essere un governo di centro-destra…
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Settembre 21st, 2011 Riccardo Fucile
IL PREMIER ERA ATTESO ALL’INAUGURAZIONE DELLA MOSTRA “REGINA MARGHERITA” A VILLA REALE A MONZA, MA LA CONTESTAZIONE GLI HA FATTO CAMBIARE IDEA…ALL’ISTITUTO D’ARTE MANCANO LE AULE, MENTRE GIRANO A VUOTO GLI UFFICI DESTINATI AI MINISTERI TAROCCO DELLA LEGA
Avrebbe dovuto essere l’ospite d’onore al taglio del nastro della mostra “Regina Margherita” inaugurata lunedì, in pompa magna, alla Villa Reale di Monza, nelle sale a fianco dei famosi ministeri decentrati voluti dalla Lega Nord.
Ma il premier Silvio Berlusconi alla fine non si è presentato.
Una mossa astuta, dopo che è rimbalzato il tamtam della protesta che alcuni studenti monzesi avevano preparato davanti ai cancelli per l’occasione.
Troppo ghiotta per i ragazzi dell’Istituto d’arte di Monza si presentava, infatti, l’opportunità di contestare il presidente del Consiglio.
Ma lui è stato più furbo e si è tenuto lontano, evitando di diventare oggetto della loro rabbia.
I giovani, del resto, ce l’hanno con i ministeri perchè “hanno occupato delle aule che potevano essere dedicate alla scuola — spiega il rappresentante degli studenti Paolo Buccino — e così adesso abbiamo degli uffici inutilizzati e all’istituto mancano otto aule».
Gli allievi della famosa scuola d’arte (la stessa in cui ha studiato lo stilista Stefano Gabbana) da settimane protestano perchè nella reggia di Monza i ministri sono stati collocati con tutti gli onori all’ex Cavallerizza, mentre alcune aule del loro istituto, nell’ala retrostante, sono state dichiarate inagibili perchè rischiano di crollare.
Oltre al danno insomma, la beffa, dato che quelle stesse sale dove oggi si riuniscono i padani, un tempo ospitavano proprio una parte dell’istituto stesso.
“Rischiamo di fare lezione in oratorio, gli unici spazi che il Comune ha reperito a Monza per la scuola, oppure alternandoci con i doppi turni perchè non abbiamo aule a sufficienza”, hanno gridato ieri, striscioni alla mano, davanti alla Reggia.
Si aspettavano il premier. “Ci hanno detto che arriva, vogliamo farci ascoltare”, hanno spiegato.
Erano una quarantina a reggere un lungo cartellone: “Più artisti meno ministri”. Hanno guardato dentro ogni auto blu in arrivo, sperando di intercettare Berlusconi, ma alla fine sono rimasti delusi.
Dopo quaranta minuti di attesa, la mostra è stata inaugurata dall’assessore regionale lombardo alla Cultura Massimo Buscemi, presente insieme alla vicepresidente della Commissione cultura della Camera dei deputati Paola Frassinetti e all’eurodeputato Carlo Fidanza.
“Berlusconi non arriverà ”, la notizia rimbalzata nella sfarzosa sala della villa neoclassica.
Eppure Dnart, la fondazione che ha organizzato la mostra, aveva data per certa la sua presenza, comunicandola anche al Comune di Monza.
Non a caso il premier, come noto, si trovava al Tribunale di Milano ieri mattina e invece di tornare subito a Roma si è fermato a Villa San Martino.
Tanto che, intorno a mezzogiorno, ha deciso di fare un giro tra le bancarelle del mercato della «sua» Arcore, dove ha stretto qualche mano, visitato un paio di stand di antiquariato e fatto qualche acquisto.
Un’uscita pubblica filata liscia.
Non gli sarebbe andata così bene se invece si fosse presentato nel pomeriggio in Villa Reale.
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Settembre 21st, 2011 Riccardo Fucile
ALFREDO PEZZOTTI, IL MAGGIORDOMO, AI PM: “LAVITOLA HA MANDATO UN UOMO CON TRE UTENZE CRIPTATE”…BERLUSCONI PRESE I TELEFONI ESTERI DI LAVITOLI E DISSE “ROBA DA MAFIOSI”
Lui quelle donnine sguaiate, tutte abitini corti e neri, senza calze neppure a gennaio, che
affollavano il salone di Palazzo Grazioli proprio non le sopportava.
E gli stava sullo stomaco pure Valter Lavitola.
Quell’uomo pingue dal marcato accento napoletano era untuoso, sudaticcio, chiedeva, importunava, era invadente, metteva le mani dovunque.
E vestiva pure male.
Ma lui, Alfredo Pezzotti, romano di Marino, classe 1963, dal 1991 al servizio di Silvio Berlusconi, era educato con tutti.
La sua professionalità gli imponeva di esserlo anche con la compagnia di giro di papponi e prostitute che circondava la vita del Cavaliere.
La sua abilità era fare buon viso a cattivo gioco. “Signori magistrati, io volevo solo preservare il Presidente”.
E’ il 1 settembre e negli uffici della Procura di Napoli fa un caldo che sembra ferragosto.
Alfredo il maggiordomo si trova a disagio davanti ai pm. Sa che deve dire la verità , tutta la verità . Anche su quello strano giro di telefoni che Valter Lavitola portava a Palazzo Grazioli.
“Verso l’inizio di luglio conosco Rafael Chavez (l’uomo che la segretaria Marinella chiamava amabilmente Giuanin, ndr), mandato da Lavitola per consegnarmi tre telefoni con utenze straniere che avrei dovuto dare, come poi ho dato, al Presidente Berlusconi”.
Schede criptate, non intercettabili, il faccendiere Lavitola era il fornitore ufficiale di B.
Ad Alfredo, maggiordomo fin nel midollo, toccava solo obbedire. “Mi incontrai con Rafael a Palazzo Grazioli, presi in consegna i telefoni e due o tre giorni dopo , alla presenza del Presidente Berlusconi, composi il numero dell’utenza straniera di Lavitola e passai la comunicazione al Presidente Berlusconi che iniziò a parlare con Lavitola”.
Era luglio, secondo la testimonianza del maggiordomo Alfredo, il 24 agosto, dopo che il settimanale di famiglia “Panorama” pubblica lo scoop sull’inchiesta di Napoli e sui presunti ricatti al Cavaliere, c’è la famosa telefonata nella quale Berlusconi consiglia a Lavitola di non muoversi da Sofia. “Resta lì, vi scagionerò tutti”.
Ma torniamo alla deposizione di Alfredo Pezzotti e alla storia dei telefoni con le utenze straniere, forse argentine, forse panamensi, dice il maggiordomo, “insomma in quei paesi lì”. “Il presidente mi parve abbastanza seccato da questa modalità di comunicazione. Ma guarda un po’ — disse — queste cose le fanno i mafiosi”.
Appunto!
Fa caldo negli uffici della procura napoletana, si suda, ma ad emozionare il maggiordomo Alfredo sono i ricordi.
“Signori magistrati, io cercavo di salvaguardare il Presidente, evitandogli di avere eccessivi contatti con queste persone, che non sanno comportarsi e ne approfittano”. Quante cose ha visto Alfredo Pezzotti, quanti comportamenti strani, quanti segreti è costretto a custodire..
E quante ne ha dovute sopportare. “Lo chiamavamo la mummia, perchè non parlava mai”, lo sfotte Michelle Conceicao dos Santos, nel raccontare una delle innumerevoli seratine allegre. La colpa di quello che è successo, dice tra le righe dell’interrogatorio, è di Tarantini.
“Il noto Tarantini”, lo chiama, che frequentava Palazzo Grazioli “con una certa assiduità dal 2009. Diciamo fino a quando non è assurto agli onori della cronaca giudiziaria”.
E’ Tarantini al centro di quello che Alfredo chiama lo “scandalo giornalistico”.
Come l’ultimo giapponese nella jungla, non ammetterebbe mai che invece quello che ha ridotto la credibilità internazionale dell’Italia a zero, è lo scandalo del suo Berlusconi.
Il maggiordomo è assillato dalle richieste di Nicla, la moglie di Tarantini.
Lei gli consegna una lettera nella quale chiede 5mila euro.
“Il Presidente mi autorizzò a prelevarli dalla cassa che io gestisco per le spese domestiche”.
Poi tornò alla carica altre quattro volte. E a quel punto il fido maggiordomo, si prese “la libertà di non comunicare al Presidente nell’immediatezza, ma solo a cose fatte, di queste richieste, proprio nell’interesse di Berlusconi che cercavo di tutelare. Ce l’avevo anche con Tarantini, perchè ho a cuore il Presidente”.
L’odio per Gianpi, il maggiordomo lo mostra anche in alcune telefonate.
Che vengono intercettate.
Ma chi lo informò che quegli sfoghi erano stati ascoltati?
“Il senatore Quagliariello”, è la risposta del maggiordomo.
Enrico Fierro
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 21st, 2011 Riccardo Fucile
DOPO LE PAROLE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA A COMMENTO DELLE FARNETICAZIONI DI BOSSI, STAMANE REGUZZONI, CHE GIA’ NON CONTA UNA MAZZA ALL’INTERNO DEL GRUPPO LEGHISTA ALLA CAMERA, BACCHETTA NAPOLITANO IN NOME DEL “POPOLO SOVRANO”… CHI INVOCA LA SECESSIONE E’ UN EVERSORE E COME TALE ANDREBBE ARRESTATO IN FLAGRANZA DI REATO: SOLO BERLUSCONI POTEVA PORTARE DEI RAZZISTI AL GOVERNO
Il capogruppo della Lega alla Camera Marco Reguzzoni è intervenuto stamane alla trasmissione di Maurizio Belpietro su Canale 5 e a Sky tg 24: “Le parole di Bossi (sulla secessione) erano dirette a rivendicare il diritto di potersi esprimere”.
“Il popolo è sempre sovrano e quindi è l’unica figura che è sempre sopra il Capo dello Stato”. Ospite di Maurizio Belpietro su Canale 5, Reguzzoni interviene nelle polemiche relative alla secessione dopo le parole pronunciate ieri dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Visitando una mostra all’Eur, nella Capitale, Giorgio Napolitano aveva infatti detto: “Agitare ancora la bandiera della secessione significa porsi fuori dalla storia e dalla realtà ”.
Il Presidente della Repubblica aveva poi ricordato di aver messo “molto l’accento sulla necessità di un cemento nazionale unitario per generare la massima mobilitazione delle energie e delle risorse allo scopo di superare questa fase molto critica per l’Europa e in modo speciale per l’Italia”.
Un punto che caratterizza il mandato di Napolitano è sempre stato quello che fa leva sulle “radici dello stare insieme”.
E chi non lo accetta, ha detto il presidente, “si autoesclude dalla realtà e dalla storia”.
Stamane la replica di Reguzzoni: ” Bossi a Venezia ha fatto riferimento alla necessità che si possa esprimere il popolo, il popolo è sempre sovrano e quindi è l’unica figura che è sempre sopra il Capo dello Stato. Il popolo ha sempre diritto di dire la sua”.
Sarebbe opportuno ricordare a questo soggetto che già non conta nulla nel gruppo parlamentare che dovrebbe rappresentare (volevano infatti destituirlo) e che ieri è riuscito a votare contro una proposta del governo presentata dal leghista Alessandri, che l’articolo uno della Costituzione, impropriamente richiamato dal capogruppo leghista afferma che ‘la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione’.
L’unità nazionale è fondamento delo Stato italiano e non soggetto a referendum che sarebbe pertanto “incostituzionale” fin dalle premesse.
Se poi qualcuno vuole la secessione e mina l’ordine costituzionale esiste il codice penale che basterebbe una buona volta applicare e che prevede l’arresto per eversione in flagranza di reato.
Quanto alla sovranità popolare, concordiamo: infatti il 90 % degli italiani non vuole avere nulla a che spartire con la Lega e persino la maggioranza degli elettori leghisti non vuole alcuna secessione.
Quindi non resta per gli irriducibili che la lotta armata: siamo ovviamente ansiosi di vederli scendere dalle loro Mercedes per assaltare i palazzi del governo.
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Settembre 21st, 2011 Riccardo Fucile
ERA IL CAPODANNO DEL 2009 E NOEMI ERA ANCORA MINORENNE: IL PREMIER SOSTENNE CHE AL PARTY SI ERA SOLO BALLATO E CANTATO: ORA SAPPAMO CHE MENTIVA
Villa La Certosa, estate 2002. Villa La Certosa Capodanno del 2009. 
Sette anni, due storie emblematiche. Partiamo dalla coda.
L’Espresso rivela: nella telefonata in cui Berlusconi si vanta con Tarantini “ieri sera avevo la fila fuori dalla porta della camera… erano in undici… io me ne son fatto solo otto”, è la notte del primo dell’anno.
La notte di Noemi Letizia e dell’amica Roberta Oronzo, tutte e due minorenni. Ancora non si sa chi fossero le undici prescelte, certo la chiacchierata con Gianpi racconta ore totalmente opposte rispetto alla versione ufficiale, quella che spendeva l’dea di un party dove si era solo ballato e cantato.
Passo indietro. Torniamo al 2002.
Il geniale Massimo Sestini, fotografo di razza, viene ingaggiato dal direttore del Corriere della sera Ferruccio De Bortoli.
La villa sarda del Cavaliere, come è noto è blindata, ma Sestini è un mastino. Riesce a scattare una foto emblematica con il teleobiettivo: nel parco tutto verde, Silvio Berlusconi cammina, con maglietta e pantaloncini immacolati, tenendo per mano una graziosa e formosa fanciullina boccoluta.
Anche lei biancovestita.
L’immagine non ha nulla di peccaminoso, è curiosa, d’estate spesso non ci sono grandi notizie, il direttore del Corriere spara la foto in prima pagina.
La mattina dopo, mentre mezza Italia si interroga su quel volto giovane e incantevole, malgrado la sgranatura dell’ingrandimento: su questo dubbio innocente sta per esplodere una bomba atomica, con una intricata trama che pare partorita a penna di Alexandre Dumas. Interrogazioni, polemiche, minacce di divorzio, nessuno immagina che quella foto sia l’annozero di tutte le papi-girl, la profezia iconografica delle mille ragazze che verranno.
Ma torniamo a quella mattina. Il primo a innescare la deflagrazione è Beppe Giulietti. Il parlamentare del Pd, responsabile per i temi dell’emittenza , riconosce nelle fattezze della fanciullina bianca i lineamenti dell’ex segretaria di Berlusconi, Deborah Bergamini.
Ma siccome in quella prima estate di governo la Bergamini è diventata la direttrice del marketing della Rai, Giuilietti firma una interrogazione parlamentare: “Cosa ci fa una dirigente del servizio pubblico nella residenza privata del premier?”. Il deputato del Pd ipotizza un ennesimo conflitto di interessi sul delicato fronte della comunicazione.
Non immagina che – invece – il conflitto di interessi si determinerà sul piano degli affetti.
Ma siccome in quei giorni si discuteva (incredibile ma vero) di comunicazione, il portavoce di Palazzo Chigi, Paolo Bonaiuti precisa “non si tratta di Deborah Bergamini”.
A questo punto sul Corriere della sera, che avendo innescato la polemica giustamente la cavalca, prende corpo il dubbio: “Ma allora chi è la dama bianca, e cosa ci fa alla Certosa?”.
Ci vorranno altre 24 ore perchè il giallo della (prima) madamigella del Cavaliere si risolva.
Quando tutta l’Italia apprende che la ragazza ha 23 anni e si chiama Francesca Romana Impiglia.
A questo punto il nuovo dubbio innesca una nuova telenovela: cosa ci fa, in quella villa, una ragazza di 23 anni e da dove viene?
Anche dentro Forza Italia solo pochi conoscono la verità .
Uno di loro è il leader dei giovani azzurrini, e si chiama Simone Baldelli. Baldelli è un dirigente abile, esperto, e si è trovato testimone di un scena indimenticabile, due anni prima , durante la campagna elettorale delle regionali duemila.
Ad Ancona, quando la nave Azzurra attracca, una ragazza bionda si aggiudica un abbraccio del leader di Forza Italia.
È figlia di un dirigente locale, ha un decoltè mozzafiato. Il premier dice a Baldelli, che lo accompagna: “Prendi il suo numero!”.
Indovinate il nome della ragazza? Francesca Romana.
E finirà di li a pochi giorni a lavorare nella direzione dei giovani azzurri.
Ma la presenza della ragazza nella villa adesso diventa un problema.
Perchè è la prima prova fotografica della presenza al fianco del premier, di una donna che non sia, nell’iconografia ufficiale, Veronica Lario.
Essendo la prima, Francesca Romana ha un rilievo mediatico oggi impensabile.
Nella settimana successiva Oggi pubblica nuove foto di Sestini.
Quella di copertina vede in barca il Cavaliere (che all’epoca era ancora calvo) e la impiglia a mezzobusto, di nuovo in t-shirt. Le conseguenze arrivano, imprevedibili. Veronica Lario annulla il suo viaggio in Sardegna.
Dopo pochi mesi, il duetto con il povero premier Rassmussen, certificherà il romanzo pubblico del dissidio di Berlusconi.
Dopo quel’annozero arriveranno altre foto delle damine bianche della Certosa.
Anche perchè adesso si moltiplicano, sedute sulle gambe del premier. Poi arrivano due inchieste di Vallettopoli, con il corollario di intercettazioni fra Saccà¡ e Berlusconi.
Poi, nell’estate del 2009, nella festa di Casoria arriva l’altra bomba atomica, quella di Noemi, il battesimo onomastico di Papi.
Non c’è festa berbera che tenga, stavolta.
Le conseguenze sono il divorzio e la celebre lettera della Lario a la Repubblica: “Mio marito è malato… Le vergini si offrono al drago…”
Poi si scopre il caso di Virginia Teulada di Saint Just, poi esplode l’arma finale di Patrizia D’Addario la cui presenza viene certificata.
Fa scandalo solo perchè nessuno ancora sa che ne arriveranno altre trenta. L’iceberg è enorme, il sistema Tarantini e quello dell’Olgettina disegnano il quadro agghiacciante di un welfare erotico il cui epicentro è ancora una volta una minorenne: Ruby Rubacuori.
Il pedigree di Ruby con photo book di lap dancer fa impallidire quello di Noemi.
Il tappo è saltato. La satiriasi, come una nemesi, porta a fondo il premier. Questa storia ha un sottofinale.
Nel 2006 una giovane giornalista del tg4 sale all’altare. H
a per testimone il presidente del consiglio. à‰ sempre Francesca Romana.
C’è un lieto fine, dunque.
Ma solo per lei.
Luca Telese blog
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Settembre 21st, 2011 Riccardo Fucile
IL SENATUR ALL’ANGOLO DISERTA IL DIRETTORIO POLITICO CHE LO ATTENDEVA CON LA TORTA DI COMPLEANNO…E MARONI ASPETTA IL VOTO SU MILANESE
“Sono finito”. Il sindaco di Varese, Attilio Fontana, è l’unico ad ammetterlo, ma nel Carroccio sono in molti ad avere lo stesso timore: l’esercito armato di Roberto Maroni domenica si è presentato a Venezia certo che il generale portasse avanti la battaglia interna contro Umberto Bossi e il famigerato cerchio magico.
Invece, l’esercito si è ritrovato schierato in prima linea su Riva degli Schiavoni ma il nuovo capo ha suonato la ritirata.
Meglio aspettare: “Il Capo sarà travolto dalla caduta di Berlusconi, sarebbe una battaglia inutile”, confida un deputato maroniano.
Che con occhi quasi lucidi sussurra: “C’è Milanese”.
Marco Milanese, ex consulente di Giulio Tremonti, su cui giovedì a Montecitorio si voterà sulla richiesta di arresto, già bocciata dalla giunta per le Autorizzazioni, avanzata dalla magistratura campana. Il voto sarà segreto.
Quindi al sì che sembra ormai scontato della Lega, che a Montecitorio ormai risponde solo a Maroni, potrebbe accodarsi anche una parte del Pdl.
Dando così vita a quella “scossa” che invoca (anche) Flavio Tosi.
Perchè, ha spiegato, “vivacchiare un anno e mezzo è impensabile. Da un po’ di mesi il premier, non dico che non ne azzecca una, ma poco ci manca”, aggiunge il sindaco di Verona.
E se Berlusconi non ne azzecca una, Bossi non mostra risultati migliori.
Domenica è dovuto intervenire Calderoli per interromperlo.
Il leader del Carroccio, visibilmente stanco (ha impiegato due minuti per scendere i quattro gradini del palco, sostenuto dal figlio Renzo il trota), non aveva un discorso scritto e ha seguito gli umori dei pochi militanti arrivati fino a Venezia.
E a forza di sentir invocare la secessione, Bossi ha lanciato lì un “anche con il referendum, ma serve una via democratica”.
Una frase talmente buttata lì che persino Luca Zaia, a pochi passi da Bossi, non ha capito bene. “Non ho sentito parlare di referendum, mi è sembrato che il nostro segretario volesse dire che c’è il pericolo della secessione”, ha detto il governatore del Veneto.
Il fatto che Zaia pensi che Bossi consideri la secessione un pericolo mostra con evidenza la confusione che c’è nel partito.
La base invoca Padania libera, il Capo bofonchia un incomprensibile referendum, uno degli astri nascenti del partito interpreta liberamente.
Ma ormai il Carroccio è sfilacciato.
Ieri è andato deserto il consueto direttivo politico del lunedì in via Bellerio.
Nel quartier generale milanese, infatti, alle 16 era atteso, come ogni settimana, l’arrivo del Capo.
C’era anche una torta di compleanno, una piccola festa in occasione del suo 70esimo anno. Calderoli ha atteso qualche ora, poi è volato a Roma.
Roberto Cota, Rosi Mauro, Marco Reguzzoni e Federico Bricolo, sono rimasti più a lungo. Ma di Bossi nessuna notizia.
E’ il ministro per la semplificazione a tenere a bada i giornalisti.
Gli stessi che dal palco di Venezia domenica ha accusato di scrivere “cazzate: noi siamo uniti, le divisioni sono solo invenzioni, siete degli Iago”, ha tuonato. Per poi scagliarsi contro i sindaci leghisti (Tosi in primis) cui i giornali hanno dato voce. Li definisce “fratelli coltelli”, gli ricorda che “senza Bossi non sareste niente”.
E ieri, davanti alla sede della Lega, cerca di evitare le domande e si limita a una battuta sul compleanno del Capo: “Non li compie da 30 anni”.
Ma l’ha già detto Bossi a Venezia il giorno prima.
Ci si attacca dunque a quel che rimane.
E la secessione sembra essere diventato l’ultimo appiglio per salvare una parte della base. Così la Padania oggi in edicola tenta di legittimare la sparata: “Referendum per la libertà , le vie democratiche”.
Anche l’opposizione prende sul serio il ministro delle Riforme che invoca la secessione. Antonio Di Pietro invoca l’intervento del Capo dello Stato, mentre Giorgio Stracquadanio tenta di sminuire: “Non penso che al nord molti siano disposti a fare una guerra” per ottenere la secessione.
Maroni aspetta giovedì. E assiste in silenzio a quello che sembra essere l’ultimo vagito del Capo.
Uno che ha festeggiato due volte una laurea mai presa, può serenamente gridare alla secessione sapendo che non si realizzerà mai.
Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Bossi, governo, LegaNord | Commenta »