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“I CASALESI COLPITI SOLO GRAZIE ALLE INTERCETTAZIONI”

Ottobre 5th, 2011 Riccardo Fucile

IL PM DEL POOL ANTICAMORRA DI NAPOLI: “SOLO METTENDO SOTTO CONTROLLO I TELEFONI ABBIAMO PRESO LATITANTI E KILLER”…”FAR CONOSCERE ATTRAVERSO I MEDIA LA CRUDELTA’ DEI LORO CRIMINI, FA MATURARE LA COSCIENZA CIVILE”

Casal di Principe, 17 novembre 2010.
Nel cuore di Gomorra, in una villetta appena ristrutturata, c’è una famiglia che aspetta visite.
L’ospite che sta per arrivare si chiama Antonio Iovine, è soprannominato il “Ninno” e le forze dell’ordine gli danno la caccia invano da quattordici anni.
All’interno di quella abitazione Iovine si sente al sicuro. Quella sera però le cose vanno diversamente.
Mentre su Casal di Principe piove a dirotto, la casa viene circondata dalla polizia che aveva sotto controllo i telefoni del cerchio più ristretto di fiancheggiatori del “Ninno”.
E la fuga del padrino, quattordici anni dopo, finisce lì.
“La cattura di un latitante è sempre fondata prevalentemente sulle intercettazioni ambientali e telefoniche – spiega Antonello Ardituro, pm del pool anticamorra a Napoli e vice presidente nazionale dell’Anm che coordinò personalmente quell’operazione – ma forse la cattura di Antonio Iovine rappresenta l’episodio più emblematico”.
Come andarono le cose quel giorno?
“Insieme alla polizia giudiziaria stavano lavorando da tempo, e con grandi sacrifici, alle ricerche di un esponente apicale del clan camorristico dei Casalesi come Antonio Iovine. Avevano utilizzato tutti gli strumenti, comprese una serie di intercettazioni. Come spesso accade, le conversazioni apparivano in molti casi insignificanti. Si parlava di episodi di vita comune che sembrano inutili per le nostre indagini. Invece, nelle ore precedenti la cattura, qualcosa cominciò a muoversi”.
Perchè?
“Si discuteva di una cena da preparare, di un panettone da acquistare. Di una stanza da letto che doveva essere sistemata. Quello spunto si rivelò determinante per collegare gli altri elementi che avevamo acquisito dalle investigazioni condotte sul territorio con i metodi più tradizionali. Ci rendemmo conto che in quella casa si doveva ospitare una persona estranea al nucleo familiare. Una persona importante che non si poteva nominare. Capimmo di non avere più tempo da perdere. Ed entrammo in azione”.
Senza le intercettazioni come sarebbe andata?
“Forse avremmo individuato ugualmente quell’abitazione. Ma di sicuro saremmo arrivati tardi e Iovine sarebbe scappato ancora una volta”.
Le vengono in mente altri episodi dai quali si può desumere l’importanza delle intercettazioni nella lotta alla criminalità  organizzata?
“Stiamo parlando dello strumento investigativo più importante di cui dispone il pubblico ministero insieme alle dichiarazioni del collaboratori di giustizia. Tutte le indagini di maggior rilievo, non solo quelle di mafia o camorra, si muovono in un contesto omertoso dove è difficile acquisire elementi di prova. Penso alla corruzione, agli omicidi, le violenze sessuali e a tutti gli altri reati di allarme sociale, omicidi compresi. Si potrebbero citare tanti episodi, dunque. Anche nelle indagini sul clan dei Casalesi”.
Ad esempio?
“Senza le intercettazioni non saremmo riusciti a porre fine tempestivamente alla stagione di omicidi scatenata nel 2008 dal gruppo del clan guidato da Giuseppe Setola che si macchiò, fra gli altri episodi, anche della strage di Castel Volturno costata la vita a sei inermi immigrati ghanesi. E anche la cattura di Setola sarebbe stata impossibile senza le intercettazioni”.
La riforma potrebbe colpire non solo lo strumento investigativo ma anche la pubblicazione delle intercettazioni da parte dei mezzi di comunicazione.
“La nostra posizione su questo punto è chiara: ci deve essere un’udienza di filtro che consenta di verificare quali intercettazioni siano rilevanti e quali debbano invece essere distrutte. Ma ciò che poi rimane nel processo può e deve essere pubblicato. Venire a conoscenza di quanto accade, ad esempio della crudeltà  con la quale vengono commessi alcuni reati, contribuisce a far maturare la coscienza sociale e civica dell’opinione pubblica”.

Dario del Porto

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SORPRESA, CALANO I BOCCIATI: COSI’ LA GELMINI HA NASCOSTO IL FLOP DELLA LINEA DURA

Ottobre 5th, 2011 Riccardo Fucile

SMENTITI I COMUNICATI DEL MINISTERO: DAL 2008 SEMPRE IN FLESSIONE… SUL SITO DEL MIUR POCHE NOTE STRINGATE INVECE DEI RISULTATI INTEGRALI DEGLI SCRUTINI

Calano i respinti alle scuole superiori: dal giugno 2008 al giugno 2011 sono scesi quasi del due per cento.
La “linea della severità ” annunciata da Mariastella Gelmini esce ridimensionata dalle scelte dei professori, lo si scopre leggendo i dati dell’ultima stagione approdati in viale Trastevere, mai resi pubblici e ora consultati da Repubblica.
È dal 2008 che il Miur non ha più pubblicato ufficialmente, ovvero sul sito del ministero, i risultati integrali degli scrutini di fine anno limitandosi a stringati comunicati stampa. Adesso si scopre che negli anni del Governo Berlusconi non c’è mai stata alcuna crescita dei bocciati alle medie superiori: niente pugno di ferro dei professori contro gli studenti riottosi e pelandroni.
È una storia travagliata e piena di censure quella degli scrutini di fine anno ai tempi della Gelmini.
L’ultima pubblicazione completa e senza errori sugli esiti di fine anno risale al luglio del 2007, quando a Palazzo della Minerva sedeva Giuseppe Fioroni.
L’anno dopo, con il cambio del ministro, arriva la prima sorpresa: un clamoroso refuso aritmetico fa schizzare in alto il numero complessivo dei bocciati.
Il 13 settembre del 2008, quattro mesi dopo l’insediamento della Gelmini, il ministero comunica infatti che “dopo le verifiche di fine agosto il totale degli studenti non promossi per l’anno 2007-2008 si attesta al 16,2 per cento del totale, mentre nell’anno scolastico 2006-2007 i bocciati furono il 14,2 per cento”.
Nel conteggio, già  allora, c’era qualcosa che non quadrava.
“A giugno – spiegava il comunicato ufficiale – gli studenti promossi sono stati il 59,4 per cento del totale, i non ammessi sono stati il 13,8 per cento e quelli con giudizio sospeso il 26,8 per cento”.
Proseguiva la nota: “Circa il 6 per cento degli studenti che hanno effettuato le prove di verifica a fine agosto sono stati bocciati portando la percentuale dei non ammessi al 16,2 per cento”.
Però il 5,9 per cento – che è quel “circa il 6 per cento” – di bocciati a settembre sul 26,8 di rimandati a giugno determina l’1,6 per cento di respinti.
Se si somma questa quota al 13,8 dei bocciati a giugno la percentuale complessiva di respinti arriva al 15,4 per cento. E non al 16,2.
In quella stagione di partenza, ecco, i dati già  non tornavano e, comunque, erano inferiori di uno 0,8 per cento a quelli dichiarati.
L’anno successivo, il 23 giugno 2009, il ministero lancia un comunicato che riporta i dati delle bocciature di fine stagione nelle prime quattro classi delle superiori: 13,6 per cento. E nel 2010, il 12 giugno, si torna a parlare dell’argomento.
“Scuola, Miur: primi dati su esito scrutini, più severità “, recita una nota ministeriale.
Si legge: “Per quanto riguarda i risultati degli scrutini relativamente alle prime quattro classi delle scuole superiori, i dati disponibili segnalano un incremento significativo dei non ammessi. Rispetto all’11,7 per cento dei non ammessi alla classe successiva del precedente anno scolastico, quest’anno nelle stesse scuole la percentuale sale al 13,1 per cento”.
Ma l’anno prima, in verità , si parlava di un 13,6 per cento.
Errore anche questo?
Infine, il dato dei bocciati di giugno del 2010-2011 nelle prime quattro classi delle medie superiori, mai reso pubblico da viale Trastevere.
Parla dell’11,9 per cento di non promossi a giugno.
Sono quasi due punti percentuali (1,9%) in meno rispetto al 2007-2008, il primo anno di insediamento della Gelmini.
E da allora i dati dei bocciati a giugno sono sempre stati in calo progressivo.

Salvo Intravaia
(da “La Repubblica”)

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“MALPENSA E’ UN DISASTRO AMBIENTALE”: L’EUROPA METTE SOTTO INCHIESTA L’ITALIA

Ottobre 5th, 2011 Riccardo Fucile

APERTA UNA ISTRUTTORIA SULLE CONSEGUENZE ECOLOGICHE PRODOTTE DALL’AEROPORTO SUL PARCO NATURALE DELLA VALLE DEL TICINO

Si addensano nuove nubi su Malpensa.
L’Europa ha un’istruttoria in corso sul “disastro ecologico” prodotto dall’aeroporto sul Parco naturale della Valle del Ticino.
“File status: file open”, si legge nell’archivio telematico della Commissione europea che ha acceso un faro sulle conseguenze che l’espansione di Malpensa ha avuto negli anni sull’area protetta dalle stesse direttive comunitarie (leggi il documento Pilot uno e due).
Per ora è una spia rossa perchè l’Italia è chiamata a fornire spiegazioni e illustrare se e quali misure di tutela del sito di interesse comunitario Brughiera del Dosso e Boschi del Ticino ha intrapreso per limitare il danno.
Ma se le risposte non saranno ritenute sufficienti, Bruxelles avvierà  una procedura di infrazione con la messa in mora dell’Italia obbligandola a far fronte al “devasto ambientale” .
E un’altra incognita grava quindi sul futuro dello scalo varesino, già  alle prese con diversi problemi: continua infatti la fuga dei grandi vettori, gli altri aeroporti del Nord si girano dall’altra parte e fanno network ovunque ma non a Varese, i comuni di sedime (nell’area occupata dall’aeroporto, ndr) sono in causa col gestore per danni ambientali e rivendicano il pagamento della tassa di imbarco dribblato dalla Sea. Ciliegina sulla torta, le previsioni di traffico sono in calo e vanno nella direzione contraria rispetto al piano industriale da 1,6 milioni di euro e al progetto di potenziamento della Terza Pista appena approvato (sulla carta, ora la palla passa a Tremonti).
Così, a un passo dalla quotazione — si è parlato di fine ottobre come prima finestra utile — la Lombardia mette le ali alla sua Parmalat: Sea non produce latte, sposta persone, ma al pari della società  di Collecchio sarà  messa sul mercato borsistico stando ben attenti a non pubblicizzare i rischi per gli investitori e le perturbazioni che potranno scatenarsi a decollo del titolo ormai avvenuto.
Con l’aggravante che a promuovere e gestire il collocamento del titolo non sono manager e finanziarie senza scrupoli ma un ente pubblico che sta in via Marino 1 e possiede l’84,6% delle quote, il Comune di Milano.
Una mossa suicida per la giunta di Giuliano Pisapia, se non fosse che il missile è stato piazzato sulla rampa di decollo dall’amministrazione di Letizia Moratti e che il carburante scarseggia ovunque.
Dall’appuntamento con Piazza Affari, infatti, le casse vuote del capoluogo dovrebbero ricavare 160 milioni di euro.
Su questo fronte l’orientamento dell’assessore al Bilancio Bruno Tabacci sembra quello di proseguire con la fase istruttoria ben oltre ottobre e fino al nuovo anno, con l’ipotesi concreta di spostare al ribasso l’asticella del collocamento, abbassando la quota dal 35 al 25% così da mantenere il controllo della società  (51%).
Se tutto questo è fonte di incertezza si può anche aggiungere l’ipotesi ventilata nell’ultima settimana di bandire una gara per diluire la partecipazione azionaria pubblica e far salire il valore delle azioni.
Per ora all’orizzonte c’è solo un’ipotesi di scalata da parte di Vito Gamberale che nel settore aeroportuale controlla Capodichino e ha apertamente espresso il desiderio di mettere la targa del fondo F21 sui due gioielli della cassaforte del Comune, la Milano-Serravalle e, appunto, la Sea.
Tempo utile anche a sondare la possibilità  di procedere a una Valutazione ambientale strategica (Vas) sul progetto di espansione con Terza Pista, come chiesto in un recente incontro dai comuni sorvolati (Cuv) al Comune.
Perchè l’unica verifica d’impatto attivata è una procedura di Via (il 29 settembre si chiude la raccolta delle osservazioni presso l’apposita commissione ministeriale che è anche chiamata a dare una risposta di merito) che non entrerà  nel merito della reale compatibilità  tra il territorio e il nuovo ampliamento disegnato dal Master Plan Sea. Ai sindaci è sembrato già  un miracolo essere ricevuti a palazzo dopo i niet dell’era Moratti, ma le reali chance di poter condizionare la partita e gli interessi in gioco sono poche.
Così nel microcosmo della politica locale. Perchè allargando lo sguardo oltre il perimetro di palazzo Marino non tira davvero buona aria.
Gli amministratori di Milano, tutti, hanno dimenticato quella questione del danno ambientale che è costato alla Sea una condanna a risarcire 4 milioni di euro (sentenza n. 11169/08 del 22/9/2008) al signor Umberto Quintavalle, proprietario di un’area 220 ettari nel comune di Somma Lombardo, nel Varesotto.
Il Tribunale, per arrivare a sentenza, ha fatto eseguire una perizia che certifica un progressivo degrado dell’area boschiva, protetta da due direttive europee (Habitat/Uccelli), e riconduce il “devasto” proprio all’attività  di sorvolo degli aerei in decollo e atterraggio nel vicino aeroporto di Malpensa.
Sea ha fatto ricorso in appello ma Quintavalle, assistito dall’avvocato Elisabetta Cicigoi che sta anche supportando legalmente diversi comuni di sedime, ha deciso, sempre con l’assistenza della Cicigoi, di fare reclamo a Bruxelles per la violazione delle Direttive Habitat e Uccelli, la cui osservanza avrebbe imposto l’adozione di misure di tutela per evitare il degrado delle aree naturali protette causato da “inquinamento acustico, luminoso e da idrocarburi dovuto anche al sorvolo degli aerei in bassa quota, al mancato rispetto delle quote e delle procedure antirumore”.
E oggi proprio la strada che sembrava più lunga sarà  quella giusta per imporre al gestore aeroportuale l’obbligo di fare i conti con l’ambiente.
Di questa vicenda per ora si sa che il settore Valutazioni del Danno Ambientale dell’Ispra (Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha confezionato per lo Stato italiano un documento (ISPRA) utile alla definizione della questione ambientale.
La relazione riconosce il danno e semmai ne amplia la portata ma esclude la possibilità  che il Ministero per l’Ambiente proceda a una richiesta risarcitoria che sarebbe difficile quantificare.
Piuttosto indica come valida altrenativa quella di imporre “oltre a misure difensive come le barriere acustiche, di ripristino come la ricostruzione delle zone boschive compromesse dall’inquinamento, misure inibitorie come la riduzione del numero dei sorvoli o modifiche alle zone di sorvolo degli aeromobili”.
In pratica Malpensa andrebbe ridotta, non potenziata.
Ma il Comune di Milano e Sea sembrano voler tirare dritto e ignorare tutto questo per andare nella direzione esattamente opposta alla sentenza del Tribunale, alle perizie del Corpo Forestale e ora dall’Ispra e da Bruxelles.
Così Milano sfida l’Europa ed espone l’Italia all’ennesima infrazione.
Chi in Europa ci sta davvero, come le compagnie aeree internazionali, ha capito che qui tira brutta aria.
Le previsioni del piano di espansione Sea si scontrano con i numeri: il piano di potenziamento si basa sulla previsione di 50 milioni di passeggeri l’anno entro il 2030 ma i movimenti nell’ultimo anno sono stati appena 18 milioni quando lo scalo, con le due piste attuali, ha una capacità  pari a 30.
Le compagnie lo sanno e sanno che su di loro graverà  parte del costo di un allargamento dai ritorni incerti se non improbabili. E puntano i loro velivoli altrove. Dopo l’addio clamoroso di Lufhansa anche Air France prepara armi e bagagli e lascia Malpensa per Linate (trascinandosi dietro anche l’olandese Klm).
Alitalia praticamente non c’è più da un pezzo, fa decollare 148 voli settimanali contro i 1.238 del 2007.
Così, senza il francese, l’italiano e il tedesco sarà  più difficile raccontare ai mercati e all’Europa la barzelletta del grande Hub del Nord.

(da “Il Fatto Quotidiano“)

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