Novembre 20th, 2011 Riccardo Fucile
BLOCCATA DAI FUNZIONARI DEL MINISTERO CHE NON ESEGUONO LE ULTIME DISPOSIZIONI DELLA TITOLARE USCENTE… BOCCIATA LA NUOVA CARICA DA 130.000 EURO L’ANNO PER IL DIRETTORE DELL’ENIT PAOLO RUBINI
Stava diventando un manager pubblico da guinness dei primati. 
Uno capace di raddoppiare le sue entrate in appena due anni, da quasi 190 mila euro a oltre 400 mila, in barba alla crisi e alle promesse del governo di contenere gli emolumenti dei dirigenti.
Paolo Rubini, 49 anni, direttore dell’Ente per il turismo (Enit) non ha raggiunto il traguardo per un soffio.
È stato bloccato in extremis da una specie di fronda interna al ministero del Turismo guidato dal capo del Dipartimento per lo sviluppo, Caterina Cittadino, che non se l’è sentita di dare pedissequamente seguito alle disposizioni del ministro uscente, Michela Vittoria Brambilla, perentoriamente impartite attraverso il capo di gabinetto, Claudio Varrone.
In base a quell’ordine a Rubini e a Mario Resca, amicissimo di vecchia data di Silvio Berlusconi, consigliere Mondadori e direttore dei Beni culturali, dovevano essere versati 130 mila euro all’anno ciascuno per i loro incarichi rispettivamente di consigliere delegato e presidente di Convention Bureau, società voluta a tutti i costi dalla Brambilla ufficialmente per incrementare il turismo dei convegni, ma che in pratica si è rivelata un’inutile costola dell’Enit, una specie di carrozzone in fasce, nato con la bella dotazione di circa 7 milioni, ma capace di accumulare 567 mila euro di passivo in appena 3 mesi di vita.
Se avesse avuto anche i quattrini di Convention Bureau, Rubini avrebbe fatto Bingo cumulando questa somma ai circa 190 mila euro di direttore dell’Ente del turismo, onnicomprensivi secondo il contratto, ma che poi si sono gonfiati con altri 5. 639 euro al mese che lo stesso Rubini si è assegnato per la reggenza della sede turistica di Tokyo, più 2. 639 per quella di Francoforte, più 406 euro per la reggenza della Direzione informatica.
Senza contare i 16. 558 euro disposti e incassati dallo stesso Rubini a titolo di una tantum per la gestione dell’ufficio di Pechino dal 6 maggio al 24 agosto.
Le storie intrecciate di Rubini e Convention Bureau sono esemplari.
Prima di diventare direttore dell’Enit, Rubini era stato uno dei più stretti collaboratori della Brambilla in quell’avventura dei Circoli della Libertà berlusconiani passati come una meteora tra un rifrullo di quattrini e mille polemiche.
Da dirigente dell’ente turistico si è messo in luce, tra l’altro, per l’ambizioso progetto di portare in mostra in giro per il mondo le opere di Michelangelo.
Un tentativo abortito e sostituito da un programma assai più sobrio, basato sull’esposizione dei lavori di un certo Roberto Bertazzon, “pittore, scultore e conceptual design”, un artista nato a Pro-secco a Pieve di Soligo, in provincia di Treviso, che ama dipingere e scolpire rane.
Rubini si è distinto anche per il progetto Magic Italy in Tour, un programma studiato per rilanciare l’immagine dell’Italia in 19 città di 12 paesi europei attraverso una mostra su un camion in cui era presentato il meglio della cucina e della produzione agricola nazionale.
Costo oltre 3 milioni di euro e organizzazione incerta, stando almeno a quel che ha raccontato alcuni giorni fa Laura Garavini del Pd in un’interrogazione alla Brambilla.
Secondo la Garavini, per esempio, a Madrid in pieno luglio il camion è rimasto aperto nelle ore del solleone micidiale e delle piazze deserte, dalle 2 alle 8, per di più nel quartiere periferico di Madrid Rio.
Nelle intenzioni della Brambilla, Rubini avrebbe dovuto essere la colonna portante anche di Convention Bureau.
La nascita di questa società ha seguito un percorso tortuoso.
Il primo atto è una lettera dello stesso ministro Brambilla con cui si stabilisce che la nuova azienda sia finanziata con i soldi del ministero, ma sia formalmente costituita e partecipata da Promuovi Italia, altra società pubblica dipendente da Enit che di fatto, però, si occupa in prevalenza di faccende lontane dal turismo.
Il passaggio chiave è del 26 gennaio e porta la firma del capo di gabinetto del ministro, Varrone, il quale impone in sostanza al Dipartimento del Turismo di derogare ai propri poteri di controllo su Enit e controllate. In questo modo da quel momento in poi sarà la stessa Enit, cioè Rubini, a vigilare sulla gestazione della nuova società relegando in un scomoda posizione subalterna Promuovi Italia.
Quest’ultima, però, prende la cosa seriamente: mette in campo un’ipotesi di piano aziendale e studia la forma societaria più appropriata.
Anche se volesse, del resto, non potrebbe prendere la faccenda sottogamba, visto che per ottemperare alla volontà del ministro è costretta a una variazione di statuto e a un aumento di capitale impegnativo: da 120 mila euro a 1 milione e 120 mila.
L’atteggiamento cauto dei vertici di Promuovi Italia irrita però i vertici del ministero, i quali alla fine impongono lo statuto di Convention Bureau e nominano un consiglio di amministrazione composto in prevalenza da fedelissimi del ministro.
Siamo tra febbraio e marzo di quest’anno e la situazione è già talmente compromessa e pasticciata che il consiglio di amministrazione non resta in carica che per il tempo necessario a insediarsi.
A maggio il vecchio consiglio viene azzerato e in quello nuovo entrano Resca e Severino Lepore, proprietario dell’Harry’s Bar di via Veneto a Roma.
E subito la società comincia a spendere soldi.
Tanto che, siamo in luglio, Resca convoca un’assemblea straordinaria dei soci per un aumento del capitale sociale da 500 mila euro a 1 milione e per chiedere all’azionista Promuovi Italia nuovi soldi per ripianare i debiti.
Da Promuovi Italia esce così un altro milione e 500 mila euro per rimettere in corsa la società .
L’ultima stranezza arriva proprio nei giorni della caduta di Berlusconi.
Poco dopo che il tabellone elettronico della Camera certifica la fine del governo, dal ministero parte la richiesta di aggiungere un altro milione alla dotazione di Convention Bureau, soldi che dovrebbero essere sottratti proprio alla dotazione di funzionamento di Promuovi Italia.
Per i dirigenti di quest’ultima società è la goccia che fa traboccare il vaso, tanto che ora stanno prendendo in considerazione l’ipotesi di liquidare Convention Bureau o di cedere la partecipazione, anche gratis.
Per sottrarsi a un abbraccio non voluto e soffocante.
Fabio Amato e Daniele Martini
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 20th, 2011 Riccardo Fucile
LA SPARTIZIONE E’ IN CORSO, TUTTO SI NEGOZIA: LA BOMBA SCOPPIERA’ A MARZO, QUANDO SCADRANNO IL CONSIGLIO DDI AMMINISTRAZIONE DELLA RAI, I COMMISSARI DELL’AGCOM E IL GARANTE DELLA PRIVACY
Una ventina di poltrone che ne terremoteranno molte di più.
Dirigenti e direttori, consulenze e incarichi: e a decidere “chi va dove” sarà il Parlamento delle larghe intese.
Inutile domandarsi quale sarà il criterio di spartizione: uno a me, uno a te, un altro al Terzo Polo.
In mezzo c’è l’incomodo, che ha già cominciato a battere i piedi.
È l’opposizione, nella persona della Lega Nord.
Se infatti i 7 membri del Cda Rai e il successore di Lorenza Lei, gli 8 commissari dell’autorità garante per le comunicazioni e l’erede di Corrado Calabrò, i quattro garanti dei dati personali con l’aggiunta del sostituto di Francesco Pizzetti resteranno in carica fino a primavera, c’è una poltrona che dovrebbe liberarsi subito, quella del Copasir.
Il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica è composto da dieci parlamentari e controlla i servizi segreti.
Visto il compito delicato, la norma dice che deve essere presieduto da un esponente della minoranza parlamentare e che al suo interno deve essere garantita “la rappresentanza paritaria della maggioranza e delle opposizioni”. Ora a guidarlo c’è Massimo D’Alema (Pd). Ha rimesso il suo mandato ai presidenti di Camera e Senato perchè possano valutare “l’anomalia” del momento.
Dalle parti di via Bellerio sono nervosi. Non hanno preso bene le dichiarazioni del leader Pd che ieri ha detto: “Mi pare che il primo obiettivo della lotta della Lega siano le poltrone, non so quale sarà il secondo”.
Loro sono furibondi e avvertono: “Se non ci danno quello che ci spetta ci mettiamo a fare i cattivi su tutto”.
Cioè la commissione di Vigilanza Rai, le 14 commissioni permanenti di Camera e Senato, le giunte, le commissioni speciali e d’inchiesta.
La Lega (in qualità di partito della ex-maggioranza) ne presiede 5: la commissione Bilancio, la Esteri e quelle sulle Attività produttive, i Lavori pubblici e le Politiche comunitarie.
Per questo nel Pd devono fare i conti con due istinti contrapposti: da un lato evitare di concedere alla Lega di “crogiolarsi nel ruolo dell’opposizione”, perchè quella che sostiene il nuovo esecutivo “non è una maggioranza politica”.
Dall’altro sperare che D’Alema non sia “così sprovveduto da non considerare le conseguenze che comporterebbe tenersi quella poltrona”.
Ancora una volta il mediatore potrebbe farlo il Terzo polo: se Fini, da presidente della Camera, sarà uno degli incaricati di valutare l’affare-Copasir, Casini potrebbe essere la persona giusta per favorire lo “scambio” tra la poltrona di D’Alema e quella della commissione Esteri, ora nelle mani del leghista Stefani.
Pare che la trattativa sia a buon punto, anche se ovviamente i leghisti sbraitano appena gliela nomini. “
Tra i leghisti non c’è accordo su come gestire la partita.
Nè tantomeno sui nomi.
La parte vicina a Umberto Bossi fa il nome di Roberto Maroni: l’ex ministro dell’Interno è il più adatto a quel ruolo.
Ma i parlamentari vicini a “Bobo” sanno che finire al Copasir significherebbe arginare la sua ascesa politica e tenersi Reguzzoni come capogruppo (in teoria “scade” a Natale).
Candidare il braccio destro di Bossi al posto di D’Alema, invece, sarebbe un modo per farlo uscire di scena senza drammi e far cominciare il cammino da leader a Maroni .
Ma sono ipotesi che non fanno i conti con una certezza, che pare assodata, sia tra i maroniani che nel cerchio magico: “D’Alema non se ne andrà mai, dovremo rivolgerci al Capo dello Stato”.
Paola Zanca
( da “Il Fatto Quotidiano“)
(image diksa53a)
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Novembre 20th, 2011 Riccardo Fucile
PREVISTA UNA “FASCIA DI FLESSIBILITA'” TRA 63 E 70 ANNI… NEI PIANI ANCHE IL RITORNO ALLA TASSA SULLA PRIMA CASA… PATRIMONIALE DA DEFINIRE
«Pagherà di più chi finora ha dato meno». E le misure contenenti i sacrifici per rimanere
nell’euro saranno all’interno di un «pacchetto organico», un unico provvedimento dentro al quale albergheranno sia il bastone che la carota.
Così sarà più facile farle approvare.
Lo ha ammesso il presidente del Consiglio Mario Monti durante la conferenza stampa dopo il discorso alla Camera.
Le misure potrebbero arrivare già entro tre giorni in occasione del primo Consiglio dei ministri di lunedì.
Con insistenza si parla del decollo della riforma delle pensioni, secondo il modello da tempo sostenuto dal ministro del Lavoro, Elsa Fornero: contributivo pro rata per tutti (cioè d’ora in poi), sostanziale abolizione delle pensioni di anzianità con aumento dell’età minima a 62-63 anni, fascia di flessibilità fino a 69-70 anni con disincentivi sotto i 65 anni e, oltre questa soglia, bonus automatici e progressivi per invogliare i lavoratori a rimanere. Potrebbe scattare anche un contributo di solidarietà per le pensioni alte oltre i centomila euro netti all’anno.
Per escludere da questa nuova griglia i lavoratori con 40 anni di anzianità , c’è una precisa richiesta della Cgil e del Pd.
Sicuramente verrà anche uniformata verso una aliquota unica del 33% la giungla dei contributi (quella dei parlamentari, per esempio, è dell’8,6%). Monti ieri non ha specificato se saranno decreti o disegni di legge ma di sicuro si entrerà nel vivo dei sacrifici e degli stimoli da varare, finora semplicemente delineati secondo principi generali nei discorsi che il premier ha fatto alla Camera e al Senato.
«Si inizierà a parlare anche dei provvedimenti e non solo dei criteri, poi si entrerà nel dettaglio – ha precisato il ministro Fornero – e su questo bisognerà metterci la faccia, sperando che non ce la massacriate».
Una frase significativa che anticipa più di altre indiscrezioni che i sacrifici chiesti dal governo saranno pesanti.
Lo schema di intervento resta più o meno lo stesso: oltre alle pensioni la reintroduzione della tassa sulla prima casa con aliquote progressive a seconda del numero di appartamenti posseduti, lo spostamento della tassazione da lavoro a imprese verso consumi e proprietà , la riforma degli ammortizzatori sociali per avviare l’introduzione di un nuovo contratto unico, una revisione degli ordini professionali, e una riforma delle authority per aumentare la concorrenza.
Dentro questo perimetro di intervento c’è l’aumento di uno o due punti dell’Iva sui consumi (ogni punto percentuale vale 4,2 miliardi di euro), una patrimoniale sulle ricchezze il cui peso è ancora tutto da definire.
Così come il ritorno dell’Ici che comunque si chiamerà Imu (imposta municipale unica) in ossequio agli ultimi decreti sul federalismo fiscale.
Se l’aliquota di imposta corrisponderà alla vecchia, cioè il 3 per mille, il totale varrà 3,5 miliardi di euro.
Se invece sarà del 6,6 per mille come era stato indicato nella bozza dell’ultimo decreto scritto in ottobre (che comprendeva anche le tasse sui rifiuti e altri balzelli comunali) l’aliquota sale al 6,6 per mille con un incasso di circa 8 miliardi di euro.
Sempre che non vengano rivisti gli estimi catastali fermi da una quindicina d’anni. In questo caso la cifra sarebbe molto superiore.
La Cgia degli artigiani di Mestre, con la consueta solerzia, ha calcolato quanto potrebbero pesare sulle famiglie italiane i primi interventi su Ici e Iva (secondo le diverse ipotesi) stemperati da una riduzione Irpef di un punto percentuale nei primi due scaglioni di reddito (valore 4,2 miliardi di euro, intervento possibile secondo alcune indiscrezioni): si va da un aggravio minimo medio di 97 euro a un massimo di 483 all’anno.
Roberto Bagnoli
(da “Il Corriere della Sera”)
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Novembre 20th, 2011 Riccardo Fucile
IL DIRETTORE LORENZA LEI SPOSA L’UDC E STRINGE UN PATTO CON GARIMBERTI CONTRO MINZOLINI
Il segnale proviene dai bagni maschili di Saxa Rubra. Il 9 novembre tirano raffiche di vento sul Cavaliere, i voltagabbana Rai fermano le ultime (e deboli) resistenze.
Il Tg1 convoca Pier Ferdinando Casini, centro di gravità per il Quirinale, per 4 minuti tondi tondi in diretta.
Il capo Udc rimprovera Minzolini fra i lavandini e i cessi di redazione: “Direttore, sbagli. Non puoi fare l’editoriale stasera. Hai capito? Fai quel cazzo che vuoi”.
L’accento bolognese è inconfondibile, anche lievemente furioso, ma il fedelissimo Augusto dedica il monologo a Berlusconi.
In viale Mazzini c’è confusione, impacciati cambi di ruolo e di posizioni.
Il governo tecnico di Mario Monti crea traffico di ferragosto: tutti rinnegano, tutti giurano, tutti spergiurano.
Addio riunioni e caminetti con l’ex ministro Paolo Romani (Sviluppo Economico), il dg Lorenza Lei, benedetta in Vaticano, cerca disperatamente appigli.
Un po’ a destra, un po’ a sinistra, ovunque.
Manca soltanto un annuncio su Portaportese.
Colpo di genio: il direttore generale si ricorda di un vecchio amico.
Quelli che chiami per l’emergenza. Non bastano un paio di appuntamenti con Lorenzo Cesa, segretario Udc, per riallacciare i rapporti ormai distrutti con Casini.
Era granitica e trionfante in quei giorni di nomina condivisa: “Io nuovo direttore generale, mai in politica, mai Udc”.
Il mandato di Lorenza Lei scade il 28 marzo prossimo assieme al Consiglio di amministrazione, già disperso fra ambizioni politiche e conferme senili.
Antonio Verro, ex deputato di Forza Italia e amico di famiglia di B, inspira le riforme di Monti, e poi espira: “Io non tradisco il Cavaliere. Io non torno a Montecitorio. Io vorrei restare tre anni qui, così andrò in pensione più tardi…”.
E invece Lorenza Lei dovrà convincere il governo Monti, e soprattutto il ministro di riferimento, Corrado Passera. Grossi guai.
Speriamo che Claudio Cappon, ex direttore generale Rai attualmente parcheggiato a Rai World, sia di poche parole con l’amico Passera.
Non sia mai Cappon confidi a Passera i trattamenti di riguardo firmati Lorenza Lei: lunghe anticamere, telefonate respinte, proposte bocciate.
E non sia mai che Mario Marazziti, portavoce di Sant’Egidio, racconti al fondatore e ministro Andrea Riccardi l’interim a Marco Simeon per Rai Vaticano; nonostante Marazziti sia il più esperto dirigente di viale Mazzini per la Chiesa. Non resta che Casini, anzi: non resta che piangere.
Adesso che tornano i moderati come il caschetto di Caterina Caselli, i cacicchi Rai si truccano per un profilo istituzionale: che vuol dire tutto, che può dire niente.
Ma che significa: arrivederci Augusto Minzolini.
Il presidente Paolo Garimberti ha stretto un patto con Lorenza Lei: inchiesta carta di credito aziendale, se arriva il rinvio a giudizio per il direttorissimo, l’udienza è prevista il 6 dicembre, un calcio io e un calcio tu, cioè un calcione collettivo, mandiamo fuori l’ex Squalo.
Minzolini finge sicurezza: “Ancora con i miei viaggi, le mie note spese: basta! Il mio destino in Rai va oltre le questioni giudiziarie. Forse ho commesso un errore”.
Silenzio. Errore? “Sì. Ho presentato le ricevute senza specificare chi mangiava con me. Sa perchè?”. Vacanze? “No, erano mie fonti. Non posso svelare fonti riservate”.
Un giorno Minzolini disse: “Quando Berlusconi lascia palazzo Chigi, io vado via”.
E adesso, direttore? “Sono ancora qui. Non mi preoccupa sapere per quanto tempo. Il mio era un discorso profondo: è chiaro che le maggioranze in Parlamento influiscono sul servizio pubblico”.
Lei, però, nei secoli fedele? “Non mi riposiziono. Dice che il Tg1 sembra pluralista?”.
Avete mandato un minuto del commiato di Berlusconi, il discorso registrato a palazzo Chigi: “No, erano due minuti. Forse ha ragione, potevamo fare di più”.
L’episodio descrive bene le identità smarrite al Tg1.
Domenica scorsa, battuto e sbattuto, il Cavaliere registra un video.
Al giornalista Mario Prignano, che bastonava i giornali con la rubrica Media, spetta l’ingrato compito di tagliare il verbo berlusconiano.
Più realista del re, Prignano tosa il discorso di Berlusconi, e Minzolini s’incazza di brutto.
Per rimediare, il direttorissimo ordina ai colleghi di Speciale Tg1 di fare uno sforzo: male, malissimo, Monica Maggioni manda il servizio sui titoli di coda, quando il pubblico notturno di Gigi Marzullo è ormai crollato sul letto. Francesco Rutelli, a distanza di tre anni, ritrova un’inviata del telegiornale: “Ti hanno scongelato?”.
Al Tg1 passano Di Pietro che sotterra il Cavaliere e il pm Ingroia che elogia le intercettazioni: sacrilegio.
Oppure coincidenze, dice Antonio Di Bella (Rai3): “Ho chiesto e ottenuto l’Annunziata ogni sera. Impossibile un anno fa”.
Corradino Mineo (Rainews) si sfoga: “Il Consiglio ha nominato sotto dettatura di Marina Berlusconi”.
E il Cda di centrodestra, a guida Mauro Masi, che sputò sui 350 milioni di Sky, spinge la Lei nell’angolo: “Riprendiamo i contatti con il gruppo di Murdoch”.
Il debito fa paura, la disoccupazione ancora di più.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 20th, 2011 Riccardo Fucile
UNO SCRITTORE AFFRONTA LA GRAMMATICA E LA RETORICA NEI DISCORSI POLITICI DEI LEGHISTI: FINZIONE O REALTA’?
Sono venuto molto volentieri a parlare in questa bella piazza, ma per quanto mi riguarda, sia
chiaro, questa è l’ultima manifestazione senza bastoni.
Cominciamo a dare segnali, e un bel segnale è una scarica di legnate; controlliamoli noi con delle ronde questi posti, e siccome sono luoghi impervi appoggiamoci a sostanziosi bastoni. Servono i bastoni. Duri. Belli duri. Come noi padani.
Noi ce l’abbiamo duro, ed è per questo che qui oggi è pieno di donne!
La Lega non ha bisogno di armarsi, noi siamo sempre armati… di manico!
Si dice che il Paese stia andando a fondo, ma io conosco un solo Paese, che è la Padania. Dell’Italia non me ne frega niente.
Siamo celti e longobardi, non siamo merdaccia levantina o mediterranea, la Padania è bianca e cristiana!
Con le bandiere del cuore crociato! Noi che non diventeremo mai islamici.
Siamo circondati da ruffianeria di Stato, leccaculismo diffuso, bigottismo universale… sono moderati, sì sono moderati… moderati un cazzo!
I partiti sono lo strumento attraverso cui i meridionali gestiscono lo Stato, questo deve essere chiaro.
Il progetto mondialista americano è chiaro: vogliono importare in Europa venti milioni di extracomunitari, vogliono distruggere l’idea stessa di Europa garantendo i propri interessi attraverso l’economia mondialista dei banchieri ebrei e attraverso la società multirazziale.
Ma noi non lo consentiremo.
Il disegno dei venti potenti americani non passerà , anche se usano armi potenti come la droga e la televisione.
Quegli islamici di merda e le loro palandrane del cazzo! Li prenderemo per le barbe e li rispediremo a casa a calci nel culo! Rompono il cazzo nelle scuole e vorrebbero privarci dei nostri simboli! Li prenderemo per le barbe, statene pur certi.
Gli immigrati, ma anche i profughi fora da i ball, bisognerebbe vestirli da leprotti per fare pim pim pim col fucile. Sì, pim, pim, pim, col fucile. Pim, pim, pim!
Per i negri bisognerebbe usare pallottole di gomma e prendergli le impronte dei piedi per risalire ai tracciati particolari delle tribù.
Credo si dovrebbe sul serio rispedire gli immigrati a casa in vagoni piombati.
Uomini della Padania, questi bingo bonghi col cazzo lungo vogliono scoparci le mogli, le nostre donne!
Cosa facciamo degli immigrati che sono rimasti in strada dopo gli sgomberi?
Purtroppo il forno crematorio non è ancora pronto.
E poi se prima c’erano i posti riservati agli invalidi, agli anziani e alle donne incinte, adesso si può pensare a posti o vagoni riservati ai padani. Perchè no?
Noi la proposta l’abbiamo fatta.
Qualcuno si è scandalizzato perchè un nostro militante ha detto che i topi sono più facili da debellare degli zingari.
Niente di più vero, sono più facili da debellare perchè sono più piccoli. Lampante, direi.
La civiltà gay ha trasformato la Padania in un ricettacolo di culattoni.
Qua rischiamo di diventare un popolo di ricchioni!
Gli omosessuali devono smetterla di vedere discriminazioni dappertutto. Dicano quello che vogliono, la loro non è una condizione di normalità .
Se ancora non si è capito essere culattoni è un peccato capitale.
C’è bisogno di iniziare una pulizia etnica contro i culattoni. Devono andare in altri capoluoghi di regione che sono disposti ad accoglierli.
Qui da noi non c’è nessuna possibilità per culattoni e simili. La tolleranza ci può anche essere ma se vengono messi dove sono sempre stati… anche nelle foibe.
E ricordatevi: il cristiano che vota a sinistra si schiera dalla parte del peccato e del demonio.
N.d.A.: Questo testo è frutto di un montaggio con tutte dichiarazioni originali rilasciate nel tempo da esponenti politici della Lega Nord (Miglio, Borghezio, Bossi, Calderoli, Castelli, Gentilini, Boso, Tosi, Salvini, Zaia, Stiffoni, Boni, Schiubola, Moretti, Gidoni, Caparini, Speroni, Aliprandi).
Il mio lavoro è stato solo quello di assemblarli senza mai cambiare il senso delle dichiarazioni, creando un comizio linguisticamente organico, anche se delirante.
Questo testo è uno stralcio di Comizio, contributo dell’autore alla raccolta Sorci verdi. Storie di ordinario leghismo, Edizioni Alegre, pagg. 192, – 14,00 (con testi di Valerio Evangelisti, Valeria Parrella, Stefano Tassinari e altri)
Angelo Ferracuti
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 20th, 2011 Riccardo Fucile
NEL MIRINO ANCHE LA SELEX DELLA MOGLIE DI GUARGUAGLINI…. L’AD GUIDO PUGLIESI FINISCE AI DOMICILIARI, ACCUSATO DI FINANZIAMENTO ILLECITO AI PARTITI IN RELAZIONE A UNA PRESUNTA TANGENTE DI 200.000 EURO
A Roma il sabato di cronaca inizia molto presto.
L’inchiesta sugli appalti Enav, l’Ente nazionale di assistenza al volo, è arrivata a una svolta. In queste ore, infatti, Finanza e carabinieri del Ros stanno eseguendo perquisizioni e arresti.
Nel mirino degli inquirenti c’è l’amministratore delegato Guido Pugliesi. L’ultima accelerazione riguarda anche gli appalti dati alla Selex guidata dall’ingegner Marina Grossi, moglie del presidente di Finmeccanica, Pierfrancesco Guarguaglini.
Lo stesso Pugliesi è finito ai domiciliari.
Per lui l’accusa è quella di finanziamento illecito ai partiti per una presunta tangente da 200mila euro.
In carcere, invece, il commercialista Marco Iannilli e Manlio Fiore, di Selex. Entrambi indagati per frode fiscale.
Sul registro degli indagati finisce anche Lorenzo Borgogni, responsabile delle Relazioni esterne di Finmeccanica, dimissionario.
Per lui era stato richiesto l’arresto, ma il gip non l’ha concesso.
Le perquisizioni in corso riguardano gli uffici dell’Enav e le abitazioni di alcuni dirigenti dell’Ente.
Il sospetto di chi indaga è che i destinatari di questi accertamenti abbiano preso denaro in modo illecito nella gestione di alcuni appalti.
Pugliesi è accusato di illecito finanziamento in relazione a una presunta tangente da 200 mila euro versata dall’imprenditore Tommaso Di Lernia, titolare della Print System, al segretario amministrativo dell’Udc Giuseppe Naro.
Quest’ultimo, a sua volta, è indagato dalla Procura di Roma per illecito finanziamento. Pugliesi avrebbe accompagnamento Di Lernia nell’ufficio di Naro in via Due Macelli, a Roma.
Per la Procura le prove dell’incontro sono dimostrate dal fatto che il telefono cellulare di Di Lernia risultava agganciato alla cella di via Due Macelli e dal passaggio della sua auto nella zona a traffico limitato (Ztl).
Non solo, Di Lernia, che con le sue rivelazioni ha consentito di aprire uno squarcio nel meccanismo degli appalti dell’Enav, avrebbe riconosciuto Naro durante un interrogatorio attraverso una fotografia.
Dalle carte dell’inchiesta emergono almeno dieci appalti assegnati senza gara pubblica da Enav a Selex Sistemi.
In particolare, al vaglio del pm Paolo Ielo sono finiti lavori, sia tecnici sia di opere civili, riguardanti gli aeroporti di Napoli e Palermo.
Secondo l’accusa i lavori assegnati a Selex e subappaltati alle società Print System, Arc Trade, Techno Sky e altre hanno determinato una sovrafatturazione dei costi e la creazione di un surplus, poi redistribuito tra i soggetti coinvolti, compresi esponenti dell’Enav.
Il tutto in un arco di tempo che va dal 2005 al 2010.
Uno dei capitoli di questa indagine ha coinvolto il deputato del Pdl Marco Milanese, in relazione alla compravendita di uno yacht pagato una somma superiore a quella di mercato.
Per la Procura tale maggiore valutazione dell’imbarcazione costituisce una forma di finanziamento illecito di un singolo deputato.
Milanese, ex collaboratore dell’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti, è già stato citato in giudizio.
Per questa vicenda risulta indagato lo stesso Borgogni.
Il responsabile delle relazioni esterne di Finmeccanica, infatti, è indagato per le presunte irregolarità che hanno caratterizzato la compravendita dell’imbarcarcazione del parlamentare Pdl da parte della società Eurotec di Massimo De Cesare.
Stando al capo di imputazione contenuto nell’ordinanza firmata dal gip Anna Maria Fattori, “De Cesare, previo concerto con l’imprenditore Tommaso Di Lernia (che di Eurotec è considerato il ‘dominus’, ndr) e con la mediazione di Fabrizio Testa (ex consigliere Enav, ndr) e in accordo con il commercialista Lorenzo Cola, che agiva assieme a Borgogni, erogava al deputato del Pdl, già consigliere politico dell’ex ministro dell’economia, con riferimento alla cessione dell’imbarcazione Mochi Craft, una utilità non inferiore a 224mila euro, pari al valore della sopravvalutazione del natante”.
La vicenda, che si è sviluppata tra il 2009 e il 2010, è già stata oggetto di accertamento da parte del pm Paolo Ielo che ha ottenuto il processo per Milanese davanti al tribunale monocratico.
Per Fiore e Iannilli l’ordinanza contesta il reato di frode fiscale.
Fiore, si legge nel documento firmato dal giudice, “nella sua qualità di organo apicale di Selex Sistemi Integrati, anche al fine di consentire l’evasione delle imposte dirette e indirette a Selex SI, concorreva con Tommaso Di Lernia, legale rappresentante di Print Sistem, nell’emissione di tre fatture” pari a un milione e 200mila euro circa.
Il reato è aggravato “per essere stato commesso anche al fine di realizzare le provviste per l’erogazione di utilità a pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio, per il compimento di atti contrari ai doveri del loro ufficio”.
Stessa accusa è rivolta a Marco Iannilli che, nella veste di dominus di Arc Trade, “al fine di consentire l’evasione delle imposte dirette e indirette” alla societa’, “concorreva con Sabastiano Giallongo, legale rappresentante di Suiconsulting srl”, a emettere nel 2010 tre fatture per operazioni inesistenti recanti un importo pari a quasi 850mila euro.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 19th, 2011 Riccardo Fucile
IL LEADER DI FLI A VERONA: “SE FALLISCE MONTI, FALLISCE L’ITALIA:
BASTA ALLEANZE PER BATTERE L’AVVERSARIO”… PDL SPACCATO SU MONTI E D’ALEMA ACCUSA LA LEGA: “SONO ATTACCATI ALLE POLTRONE”
«Questo è l’ultimo governo in grado di far uscire l’Italia dalla crisi: se dovesse fallire rischia di
fallire l’Italia intera».
Lo dice Gianfranco Fini che aggiunge: «Siamo in una fase eccezionale, vogliamo una risposta eccezionale».
«Non è la politica che costa sono gli apparati, gli enti e i parlamentari a incidere. In questi 18 mesi accanto alle riforme del Governo le Camere dovranno intervenire per dare l’esempio» ha proseguito Fini annunciando che tra «qualche settimana la Camera abolirà il vitalizio degli ex parlamentari».
«Se vogliamo uscire dalla travagliata storia che abbiamo alle spalle dobbiamo dire basta alle alleanze costruite solo per battere un avversario. I prossimi mesi saranno la cartina al tornasole di questo livello di responsabilità ».
Nel Pdl ora l’interesse è invece puntato sulla questione nomina dei sottosegretari: ll analizzeremo uno per uno e faremo loro gli esami del sangue, e basta bigliettini” afferma l’ex ministro del Pdl Renato Brunetta.
Un riferimento al bigliettino fatto arrivare ieri al neopremier dal vicesegretario del Pd Enrico Letta.
Questione su cui torna anche Maurizio Gasparri: “Invece di mandare patetici pizzini come fanno alcuni esponenti del Pd, come capogruppo Pdl al Senato voglio pubblicamente confermare al professor Monti che i sottosegretari devono essere tecnici, e non politici travestiti da tecnici”.
Il presidente del gruppo Pdl al Senato aggiunge: “Il governo non faccia errori che complicherebbero molto i rapporti con il Parlamento. Le forze politiche si astengano da balletti francamente ridicoli. Se deve essere fase tecnica e di tregua lo sia fino in fondo. Il confronto sarà sui contenuti, non sugli strapuntini”.
Infatti Gasparri è notoriamente ricco di contenuti fin dai tempi della sua militanza nel Msi (n.d.r.)
Diversa la linea del capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto. “Il voto anticipato sarebbe stata una follia, sosterremo senza subalternità il governo
Le due anime del Pdl, però, si riuniscono quando si trata di puntare il dito contro il responsabile della crisi del centro.
Ovvero Giulio Tremonti. “Le cose che non abbiamo fatto sono imputabili a un errore della politica economica del ministro dell’Economia, che purtroppo si è imposto a tutto il governo: dovevamo affiancare agli antibiotici le vitamine, lavorando per il capitale umano e migliori servizi”.
Cicchitto concorda: “I punti deboli sono stati due: i tagli lineari voluti da Tremonti che sono una negazione del riformismo, perchè se tagli tutto rischi di tagliare anche forze dell’ordine e altri settori che non devono essere colpiti, così come la mancata ricerca di una politica per la crescita”.
Dal Pd, intanto, si fa sentire Massimo D’Alema. Anche in questo caso si parla di nomine.
“Il governo dovrà affrontare una situazione molto difficile. So, però, che tutti lo aiuteranno ad affrontare questi problemi. Innanzitutto il partito del presidente uscente: loro hanno non poche responsabilità dei problemi che si sono accumulati e che il governo Monti dovrà affrontare” dice D’Alema che affronta la questione del suo eventuale passo indietro dalla poltrona di presidente del Copasir.
“‘Nulla e’ dovuto. Io sono stato regolarmente eletto, ma penso che si dovrebbe offrire ai presidenti delle Camere l’opportunità di fare una valutazione”.
Sul possibile arrivo di Roberto Maroni al suo posto, aggiunge: “La Lega dispone della presidenza della commissione Bilancio, di quella alle Attività produttive, Ambiente e queste le ha avute in quanto partito di governo. Adesso vuole le presidenze che spettano all’opposizione, ma vuole anche mantenere quelle che spettano alla maggioranza. Mi pare che il primo obiettivo della lotta della Lega sembra essere quello delle poltrone, non so quale sarà il secondo”.
Tra qualche settimana la Camera abolirà il vitalizio degli ex parlamentari”.
Infine Di Pietro. L’ex pm non entra nella diatriba sui cosiddetti poteri forti e preferisce, invece, parlare di “un governo forte” che dovrà pensare e occuparsi dei cittadini deboli.
Casini, invece, si schiera con Monti senza riserve: “Monti va bene e siamo con lui senza se e senza ma. Non può mettere su premier una spada di Damocle.
Nel frattempo il premier va avanti: “Anche oggi sarà una giornata intensa e impegnativa”.
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Novembre 19th, 2011 Riccardo Fucile
VOLTAGABBANA E INDAGATI, L’AULA DIVENTA UNA MACCHINA DEL TEMPO
Dice il presidente del Consiglio di aver accettato l’incarico con “profondo rispetto nei confronti del Parlamento”.
Il che, in un dialogo istituzionale corretto, è legittimo e anzi dovuto.
Problemino: li ha guardati un po’ in faccia, il professor Monti, i membri delle nostre malandatissime Camere, eletti con una legge elettorale soavemente definita porcata?
La fauna è alquanto variopinta, un circo in cui manca solo la donna che mangia il fuoco.
Ci sono le papi girl, quelle che il giorno del crollo si son vestite di nero (per molte, dopo questo giro di giostra, è presumibile quanto augurabile che l’esperienza politica finisca).
Ci sono i falchi e le colombe — l’Italia non si smentisce mai — e un’orda di voltagabbana, nelle Camere più scambiste della storia.
Simbolo indiscusso il pignorato Domenico Scilipoti, icona del mercatino del 14 dicembre 2010, il Natale ricco dei Responsabili che salvarono l’agonizzante B, atteso al voto di fiducia dopo la scissione dei finiani.
Con mister Predellino si schierarono Massimo Calearo (ex Pd), Bruno Cesario (ex un
sacco di cose: Margherita, Pd, Api), Antonio Razzi (pure lui eletto con Di Pietro, poi pentito), Silvano Moffa, ex Fli, Paolo Guzzanti e l’ex Mpa Elio Belcastro.
Come dimenticare poi Aurelio Misiti eletto con l’Italia dei Valori, poi sottosegretario, vice ministro ai trasporti per circa un quarto d’ora, dal 24 ottobre?
È davvero la legislatura delle mutazioni genetiche, tipo quelle di Santo Versace (ex Pdl, dal 29 settembre nel gruppo Misto) e miss Cepu Catia Polidori (prima Pdl, poi Fli, poi Responsabile, oggi Popolo e Territorio).
Sono i giorni del grande riposizionamento: la bandiera del trasloco di potere (questa volta in fuga dal Pdl) è la ex soubrette del Biscione Gabriella Carlucci, folgorata sulla via di Casini.
Del resto il presidente della Camera ha parlato chiaro, indicando senatori e deputati comprati e venduti in un’asta dominata “dal potere finanziario e mediatico del premier”: conversioni più o meno disinteressate.
Gli onorevoli di Fli Di Biagio e Muro hanno raccontato al Fatto esplicite profferte da parte del coordinatore del Pdl Denis Verdini.
Ma non ci sono solo i pentiti, ci sono anche (e sono tantissimi) quelli inguaiati con la giustizia, a partire dallo stesso Verdini: indagato per violazione della legge Anselmi, associazione per delinquere e corruzione, nell’ambito dell’inchiesta sulla P3.
Per i finanziamenti pubblici intascati da il Giornale di Toscana Verdini è invece accusato di truffa aggravata ai danni dello Stato.
Per la gestione del Credito cooperativo fiorentino, poi, Verdini è indagato per associazione per delinquere finalizzata all’appropriazione indebita.
L’ex ministro Aldo Brancher (Pdl), condannato in primo grado e appello per falso in bilancio e finanziamento illecito al Psi, è stato condannato, nello scandalo Antonveneta, per ricettazione e appropriazione indebita.
Tra le vecchie glorie c’è Giuseppe Ciarrapico (senatore Pdl), collezionista di condanne (dalla ricettazione fallimentare alla bancarotta fraudolenta).
Nicola Cosentino (Pdl): indagato per concorso esterno in associazione camorristica — parliamo dei Casalesi — il Parlamento l’ha salvato dalla richiesta di arresto.
Marcello De Angelis (deputato del Pdl), condannato in via definitiva a 5 anni per banda armata e associazione sovversiva.
Antonio del Pennino (oggi Gruppo Misto a Palazzo Madama): ha patteggiato 2 anni per finanziamento illecito ai partiti durante tangentopoli, quando militava nel Pri.
L’onorevolissimo Pdl Renato Farina, nome in codice “Betulla”, nel 2007 patteggia 6 mesi per favoreggiamento nel rapimento dell’imam Abu Omar. Incassò dal Sismi 30 mila euro che, a suo dire, furono poi versati a un santuario.
Raffaele Fitto, ex ministro, è sotto processo a Bari per abuso d’ufficio, corruzione e finanziamento illecito ai partiti.
L’ex ministro a sua insaputa Claudio Scajola, indagato a Roma, con l’accusa di finanziamento illecito, per la ormai famosa casa con vista Colosseo.
Non può mancare dal memorandum Francesco Saverio Romano, ministro indagato per concorso esterno in associazione mafiosa.
Stesso reato per il senatore Marcello Dell’Utri, amicone di B e del mafioso-stalliere Mangano, già condannato in secondo grado.
Sempre in tema di mafia, c’è anche Renato Schifani, presidente del Senato indagato per concorso esterno in associazione mafiosa.
Su Alfonso Papa (sotto processo, prima in carcere e poi ai domiciliari, per l’inchiesta sulla P4) si faceva conto negli ultimi giorni dentro il bunker per un possibile rientro a Montecitorio con conseguente voto in più.
Marco Milanese è indagato a Roma e a Napoli per reati che spaziano dalla corruzione al finanziamento illecito e alla falsa fatturazione.
D’altra parte Massimo D’Alema è indagato a Roma per finanziamento illecito ai partiti: 5 voli privati offerti gratuitamente dalla Rothkopf Aviation.
Alberto Tedesco (Pd): il Parlamento pochi mesi fa l’ha salvato dall’arresto, chiesto dalla procura di Bari, per vari reati di corruzione nella gestione della sanità pugliese.
Antonino Papania (Pd): nel 2002 patteggia 2 anni per abuso d’ufficio.
Lo spazio, come il tempo è tiranno. Gli esclusi sono molti.
Ce ne scusiamo con gli interessati, sapendo che loro non hanno nessuna intenzione di scusarsi con gli italiani.
Antonio Massari e Silvia Truzzi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Costume, denuncia, Giustizia, la casta, Parlamento, radici e valori | Commenta »
Novembre 19th, 2011 Riccardo Fucile
GIANNI ELOGIATO DA MONTI COME SALVATORE DELLA PATRIA BENEDICE LA CAMERA, IL NIPOTE ENRICO SI OFFRE AL PREMIER
Vedendoli tutti e due protagonisti, alla Camera, proprio ieri, uno morigeratamente
calvo, e l’altro soavemente cotonato.
Vedendoli entrambi in scena, uno in tribuna e l’altro in platea, era impossibile non osservare il cambio di epoca che stiamo vivendo: si passa dal governo del Bunga Bunga al governo del Letta-Letta.
Quello che sta accendendo i motori è un governo che gira con un hardware tecnocratico (il programma di tagli e riforme ancora parzialmente coperto) e con un software postdemocristiano (il sapere antico e raffinatissimo, che ha permesso lo sbullonamento della vecchia maggioranza grazie al risveglio dei guerrieri di terracotta dello scudocrociato in sonno nel Pdl).
Sta di fatto che il governo Monti fonda la sua solidità sull’inchiavardatura bipartisan fornita dai due padrini e garanti, a destra e a sinistra: da un lato il delegato all’amministrazione delle cose di governo di Bersani, Enrico, e dall’altro quello di Berlusconi , Gianni.
Oppure: il Letta-di-sopra (in questo caso Gianni) e il Letta-di-sotto (Enrico) così denominati per la geometria che hanno disegnato in Aula ieri: il primo sul loggione, l’altro sotto il livello degli scranni ministeriali, immortalato dalla salvifica perizia del fotografo che ci ha restituito il testo integrale del cruciale bigliettino inviato al premier.
Le sedute parlamentari hanno questo di bello: prima o poi ti restituiscono sempre una immagine-verità .
Ieri, il cortocircuito simbolico che ha fotografato l’alchimia costitutiva del nuovo governo, era racchiuso da questa iconografia quasi euclidea (un triangolo isoscele Letta-Monti-Letta) e da due problemi politici: il primo è quello che quel bigliettino del Letta-di-sotto a Monti ha documentato demolendo le barriere architettoniche del “retroscena”.
Il secondo è quello che le parole mielose del presidente incaricato dedicate all’eminenza azzurrina hanno rivelato, rendendo intuibili le ragioni di un salamelecco così solenne.
Da un lato le apprensioni del Pd, dall’altro le necessità di rassicurazione del Pdl.
Così occorre partire dal testo, quasi poetico, del Letta-di sotto nel suo pizzino a Monti: “Mario
quando vuoi, dimmi forme e modi con cui posso esserti utile dall’esterno. Sia ufficialmente (Bersani mi chiede per es. di interagire sulla questione dei vice), sia riservatamente. Per ora mi sembra tutto un miracolo! E allora i miracoli esistono! Enrico”.
Enrico Letta è una persona civile, perbene, e anche simpatica.
Quindi l’entusiasmo di questo messaggio neofitico non è una finzione, ma un sentimento di autentico trasporto.
Mentre la rassicurazione richiesta a Monti è insieme la spia di un malessere e del limite strutturale del nuovo esecutivo: nel cielo iperuranio ci sono i ministri tecnici, con il loro modo di fare “marziano” e la loro autonomia (anche troppa vista la gaffe del neoministro Clini sul nucleare).
Nelle stive della nave, invece, c’è il corpaccione dei parlamentari commissariati, che devono assicurare il consenso pressochè unanime, ma che vanno coinvolti.
In mezzo non c’è ancora nulla.
Così il problema di queste ore, è questo: l’asse Letta-Letta deve garantire la solidità dei corpi celesti intermedi, sottosegretari e viceministri, i “Vice”, appunto.
Ovvero gli unici che possono impedire il distacco fra il cielo iperuranio del governo, e il girone infernale dei peones e dei politici di rango, declassati a portatori d’acqua.
Il secondo problema politico è il coinvolgimento del Pdl.
Ed era fin troppo evidente nelle parole dedicate da Monti al Letta-di-sopra: “Sia ieri che oggi una persona che so essere molto rispettata da tutti mi ha usato la cortesia di essere presente in tribuna. Mi riferisco al dottor Gianni Letta”.
L’aula applaude a lungo, più di quanto abbia fatto sul ringraziamento a Berlusconi.
Monti fa addirittura un cenno di saluto verso la tribuna: “Letta ha ricevuto in questi giorni apprezzamenti più elevati del mio, ma mi permetto di associarmi a queste espressioni”.
Se l’impalpabile atmosfera pre-inciucista aveva bisogno di un segno di distensione fra gli eserciti, quel gesto lo era.
Il secondo, poi, è stato clamoroso. Appena inizia il voto Berlusconi si alza. Si avvicina quasi di soppiatto ai banchi di governo. Stringe la mano al primo ministro della fila. Poi al secondo. Al terzo. Quindi a Passera, subito dopo a tutti quelli della seconda fila. E infine a Monti.
Era lo stesso Berlusconi che diceva: “Stacco la spina quando voglio?”.
Ieri Letta ha cambiato l’umore del leader, e Monti lo ha risarcito dell’ombra dell’inchiesta dei farmaci Menarini che forse lo ha fermato sulla soglia dell’esecutivo.
Un supporter del governissimo, Bruno Tabacci, ricorda la chicca di un precedente storico dimenticato: “Nel 1982 doveva iniziare il cammino del governo-mai-nato di Marcora. Il governo ‘modernizzatore’, un altro parto di origine varesina.
Lo sai chi erano i giovani sostegni di quel governo? Baldassarri. Poi il sottoscritto. E quindi un giovane di sicuro avvenire: Monti”.
Poco distante, in un altro capannello, uno dei più lucidi analisti del Transatlantico, il piddino (ma anche lui ex Dc) Gigi Meduri, cesella una ipotesi: “Pensateci: se il Gianni-di sopra — dice alzando gli occhi al cielo — fosse il prossimo senatore a vita nominato, il governo avrebbe vita più facile”.
Luca Telese
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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