Novembre 24th, 2011 Riccardo Fucile
L’EMARGINAZIONE CREA RANCORE E ODIO, L’INTEGRAZIONE COESIONE E IDENTITA’ COLLETTIVA, EVITA MALESSERI SOCIALI E CONFLITTI… IL 4% DELLE ENTRATE DELL’INPS PROVENGONO DA IMMIGRATI CHE CONTRIBUISCONO CON IL 12,1% ALLA RICCHEZZA DEL PAESE
Nel momento in cui molti sono in tensione, aspettando di vedere se e quanto le prossime manovre
toccheranno stipendi, case o pensioni, il Presidente Napolitano ci stimola ad alzare lo sguardo.
Ci invita, finalmente, a pensare anche agli «altri».
Alle minoranze religiose, culturali, e, in particolare, a tutti quei bambini nati in Italia da stranieri che l’Italia si ostina a non voler considerare suoi cittadini.
E così facendo Napolitano ci fa riflettere su cosa significa essere comunità inclusiva, che accoglie, che cresce senza discriminazioni e senza chiusure.
Una riflessione importante non solo per il suo lato profondamente umano e valoriale, ma anche per il suo aspetto sociale ed economico.
Da sempre chiusura e protezionismo, tanto nelle società quanto in economia, portano isolamento e regressione.
L’apertura non solo porta al proprio interno nuove energie, nuove idee e più dinamismo, ma proietta all’esterno l’immagine di una comunità forte, attrattiva, che non teme il confronto e le influenze esterne, ma che le integra e si alimenta di esse.
E’ stata questa, per esempio, la grandissima forza degli Stati Uniti nei due secoli passati.
Un Paese che ha accolto milioni di immigrati, spesso senza che nemmeno conoscessero la lingua inglese.
E questo contributo ha reso gli Stati Uniti non solo un’economia più forte, ma un riferimento per milioni di persone nel resto del mondo. E oggi, anche se molti dei vecchi immigrati parlano ancora i loro dialetti di origine, l’inglese è diventato la lingua passepartout di tutto il mondo.
Una sorta di divertente contrappasso, non avvenuto per caso.
Ma per capire il valore che gli immigrati possono portare in una società non c’è bisogno di guardare alla storia e al passato degli Stati Uniti: basta aprire gli occhi e saper vedere l’Italia di oggi.
Gli immigrati rappresentano ormai una componente fondamentale della nostra economia e della nostra società , molti settori crollerebbero senza di loro.
Come ci dicono i dati dell’Istituto Tagliacarne, che assieme a Unioncamere monitora il contributo degli stranieri alla nostra economia, ci sono settori, come quello delle costruzioni, in cui addirittura un quarto del valore aggiunto prodotto è dovuto agli stranieri.
Sempre secondo le stime del Tagliacarne, il contributo complessivo degli stranieri al valore aggiunto prodotto in Italia è stato, nel 2009, di oltre 165 miliardi di euro, il 12,1% del totale.
Non solo, ma attraverso il loro lavoro gli immigrati contribuiscono anche ai nostri servizi e alle nostre pensioni.
Pochi sanno che i contributi versati dagli immigrati all’Inps ammontano a sette miliardi e mezzo di euro, ovvero il 4% di tutte le entrate dell’Inps, una cifra altissima soprattutto se si considera che sono pochissimi gli immigrati che, invece, beneficiano di pensione dallo Stato italiano.
E sono pochi non solo perchè molti devono ancora maturarla, ma perchè sono tanti quelli che dopo alcuni anni tornano poi nel loro Paese di origine lasciandoci in dote i loro contributi. Questo significa, come ben documenta l’ultimo libro di Walter Passerini e Ignazio Marino («Senza Pensioni», Chiarelettere), che gli immigrati stanno supportando in modo sostanzioso anche il nostro sistema di welfare sociale oltre che economico.
E possiamo immaginare quanto maggiore potrebbe essere tale contributo se riuscissimo finalmente ad affrontare questo tema con meno foga ideologica e meno paure, aiutando molti stranieri ad integrarsi, cominciando dal rendere i loro figli, che di fatto sono italiani, cittadini a tutti gli effetti.
Le conseguenze di un’apertura di questo genere sarebbero molto importanti, e non solo in termini economici.
Pensiamo a cosa possa significare per una famiglia, e soprattutto per dei bambini e dei giovani, sentirsi parte integrante della società in cui vivono e lavorano, sentirsi portatori degli stessi diritti e doveri di chi gli sta intorno.
L’emarginazione genera rancore, odio, rende inevitabilmente arrabbiati contro chi ti esclude. L’integrazione, quella piena e sincera, dà e genera fiducia, coesione, identità collettiva.
E questo aiuta a prevenire malesseri sociali, conflitti, criminalità .
E aiuta a fare fronte comune contro i problemi e le crisi, in nome di un Paese che non è soltanto di quelli che in qualche modo se lo sentono nel sangue, ma di tutti quelli che lo hanno scelto con passione, determinazione e amore.
Irene Tinagli
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Novembre 24th, 2011 Riccardo Fucile
IN TUTTI I PAESI EUROPEI LA NORMATIVA IN VIGORE PERMETTE AI FIGLI DI IMMIGRATI NATI IN ITALIA DI ACQUISIRE LA CITTADINANZA IN TEMPI PIU’ RAPIDI CHE NEL NOSTRO PAESE
Jus soli e ius sanguinis. La maggior parte degli Stati europei adotta lo «ius sanguinis», il diritto di sangue, imperniato sull’elemento della discendenza o della filiazione, seppur con norme spesso più morbide di quelle vigenti in Italia.
Francia
È un’eccezione, lo «ius soli» (il diritto di nascita) vigeva dal 1515 come negli Usa, ma progressivamente, da Chirac in poi, si è attenuato.
Ora la legge prevede che per un bambino nato in Francia da entrambi genitori immigrati questi possano chiedere la cittadinanza per il figlio entro il 13 anno di età .
A sedici anni la può chiedere il ragazzo stesso.
Ma per i maggiorenni nati e vissuti per 18 anni su suolo francese c’è l’obbligo di prendere la cittadinanza francese.
Germania
Vige lo ius sanguinis, ma esistono facilitazioni per chi nasce sul suolo nazionale da immigrati residenti: è sufficiente che uno dei due genitori viva legalmente in territorio tedesco ed abbia vissuto lì per almeno 8 anni e sia in possesso di regolare autorizzazione al soggiorno o di permesso di soggiorno illimitato da almeno tre anni, per concedere al figlio il diritto alla cittadinanza al momento della nascita.
Irlanda
I nati nel Paese da genitori immigrati possono ottenere la cittadinanza se uno dei genitori ha un permesso di residenza permanente o ha risieduto regolarmente nel Paese per almeno tre anni prima della nascita del figlio.
Belgio
La cittadinanza è automatica a 18 anni se si è nati nel Paese o entro i 12 se i genitori vi hanno risieduto per 10 anni.
Spagna
Ottiene la cittadinanza chi è nato nel Paese se dimostra di avervi risieduto almeno un anno dal momento della nascita.
Portogallo
È prevista la naturalizzazione alla nascita se uno dei genitori immigrati ha risieduto nel Paese 10 anni o 6 se proveniente da un Paese di lingua portoghese.
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Novembre 24th, 2011 Riccardo Fucile
MENTRE ERA ALLA SANITA’, LA SUA TECNODIM HA FATTO AFFARI D’ORO CON DON VERZE’….IL FATTURATO E’ PASSATO DA 467.000 EURO A 700.000 CON LA TOMOTERAPIA, POCO DIFFUSA IN ITALIA
Nel mondo accademico e scientifico l’ex ministro della salute Ferruccio Fazio è conosciuto come il
pioniere della tomoterapia.
Ovvero una forma di radioterapia che, secondo gli esperti, consente di curare con maggior efficacia alcune forme di tumore.
Per Fazio però la tomoterapia è diventata un’occasione di business personale. E a fargli da spalla, secondo quanto emerge dalle indagini sul dissesto del San Raffaele, c’era don Luigi Verzè, il prete manager (amico di lunga data di Fazio), finito anche lui sotto inchiesta per il buco da 1,5 miliardi euro nei conti del gruppo ospedaliero milanese.
Tutto ruota intorno alla società Tecnodim, un acronimo che sta per “tecnologie diagnostiche in medicina”.
Ebbene, negli anni, a partire dal 2008, in cui Fazio è stato al governo con Silvio Berlusconi, la sua Tecnodim ha fatto affari d’oro con il San Raffaele.
L’azienda fondata dall’ex ministro, che ha sede a Bologna presso il commercialista di fiducia di Fazio, si occupa in particolare della manutenzione delle sofisticate apparecchiature utilizzate per la tomoterapia. Tra il 2008 e il 2010 la Tecnodim ha visto crescere alla grande il suo fatturato. Dai 467 mila euro del 2008 si è arrivati al milione e settecentomila euro dell’esercizio scorso. Un gran balzo, soprattutto se si considera che nel 2006 e nel 2007, quando al governo c’era Romano Prodi, il giro d’affari non ha superato i 60 mila euro.
La crescita è anche spiegabile con la diffusione della tomoterapia in Italia.
Nel 2006 il San Raffaele era l’unico ospedale a offrire questo tipo di cura sperimentata negli Stati Uniti.
Ma con Fazio al ministero la nuova tecnologia ha trovato molti estimatori tra i primari da un capo all’altro della Penisola.
E così adesso sono una quindicina i centri specializzati in cui è disponibile questa terapia.
Come dire che per la Tecnodim le occasioni di affari, almeno in teoria, si sono moltiplicate. Fazio però respinge ogni sospetto di conflitto d’interessi. “Quando sono diventato ministro ho affidato l’azienda a mio figlio”, ha dichiarato l’ex ministro.
Che aggiunge: “Tutti i rapporti d’affari di Tecnodim con le strutture ospedaliere si sono svolti in assoluta trasparenza”.
Fazio rivendica per sè come un grande merito lo sviluppo e l’introduzione in Italia della tomoterapia, che, sostiene, “ha portato enormi benefici ai malati di tumore”.
Sui benefici della nuova cura il dibattito è in realtà ancora aperto in ambito scientifico.
Un fatto è certo però: lo sviluppo della tomoterapia ha portato nuovi affari alla Tecnodim, che ha mantenuto stretti rapporti soprattutto con il San Raffaele.
Del resto Fazio non è esattamente uno sconosciuto nei corridoi dell’ospedale di don Verzè. Prima di approdare al governo, il fondatore della Tecnodim è stato a lungo il primario di medicina nucleare e radioterapia al San Raffaele.
Negli anni scorsi, alcuni tecnici specializzati sono passati dal reparto di medicina nucleare dell’ospedale milanese all’azienda di famiglia di Fazio, dove hanno proseguito il loro lavoro con una casacca diversa.
Per dirla con un termine (tristemente) in voga di questi tempi, il San Raffaele avrebbe fatto un outsorcing a favore dell’azienda del ministro.
C’è di più: tra le carte dell’ospedale spunta una fattura di 240 mila euro, che risale al 2010, per servizi, recita il documento, di “project manager per l’attività di ristrutturazione dei nuovi laboratori di medicina nucleare”.
Va segnalato un altro fatto: le attività di manutenzione di apparecchiature radiologiche venivano pagate dal San Raffaele a multinazionali del calibro di Ge medical Systems (gruppo General Electric) anche se materialmente i lavori erano svolti da tecnici Tecnodim.
L’azienda di Fazio nasce nel 1999 e sin da principio praticamente tutti gli azionisti sono targati San Raffaele, nel senso che lavorano o hanno lavorato nella struttura sanitaria alle porte di Milano. Tra loro Luigi Gianolli, attuale primario di medicina nucleare.
E poi Adelmo Grimaldi, destinato a seguire Fazio come capo della segreteria del ministro. Una piccola quota viene acquistata anche da Mario Cal, il braccio destro di don Verzè morto suicida nel luglio scorso, quando le indagini della procura stavano per entrare nel vivo.
Appena Fazio diventa ministro le sue azioni, oltre il 70 per cento del capitale, vengono prima girate al figlio Alessandro e poi intestate a una finanziaria del suo commercialista, Luigi Recchioni.
Ma adesso che l’ex primario ha lasciato la poltrona di ministro tutto potrebbe tornare come prima.
Compresi, forse, gli affari con il San Raffaele.
Vittorio Malagutti
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 24th, 2011 Riccardo Fucile
L’EPOCA DI TANGENTOPOLI NON SI E’ MAI CHIUSA: AZIENDE PUBBLICHE USATE COME BANCOMAT DA POLITICI E FACCENDIERI
I fatti che stanno emergendo in queste ore ci offrono un quadro sconcertante nel quale le aziende pubbliche sono state utilizzate alla stregua di un bancomat da politici, faccendieri e affaristi senza scrupoli, grazie alla complicità di amministratori che definire spregiudicati sarebbe assai riduttivo.
Prova ulteriore che l’epoca di Tangentopoli non si è mai chiusa e che il cancro della corruzione continua a corrodere le fondamenta morali del Paese, i conti pubblici e la nostra credibilità internazionale.
Le grandi imprese italiane con un ruolo e un peso sullo scenario mondiale si contano sulle dita di una mano.
Finmeccanica è una di queste.
Azionisti del gruppo ancora controllato al 30% dal Tesoro sono alcune fra le principali istituzioni finanziarie planetarie, i fondi d’investimento inglesi e americani, alcuni governi. Il suo capo storico Fabiano Fabiani ne rivendicava già quindici anni fa il primato fra le imprese manifatturiere nazionali.
Ma oggi la Finmeccanica è anche qualcosa di più: per l’industria italiana rappresenta un patrimonio tecnologico unico. Guai a perderla.
Purtroppo la sua situazione, ben al di là dei presunti fondi neri e delle vicende che dovranno chiarire i magistrati, oggi non è facile.
La Finmeccanica ha un indebitamento elevatissimo, causato da alcuni investimenti pagati carissimi. È il caso dell’acquisizione della Drs tech, gruppo statunitense dell’elettronica. Il suo costo, quasi 4 miliardi di euro: cifra che comprende anche una provvigione stratosferica per il «mediatore» Lorenzo Cola.
L’ex consulente della Finmeccanica, che sta ora vuotando il sacco sui fondi neri e le tangenti ai politici, intascò per quell’affare concluso nel 2008 qualcosa come 11 milioni di euro.
Un affare, si capì subito, che presentava molti problemi, al di là del prezzo astronomico pagato, con un premio del 32% sulle quotazioni di borsa.
Dettaglio non trascurabile, alcune divisioni della Drs lavorano per l’intelligence americana.
E il contratto d’acquisto prevede che quelle parti dell’azienda restino «secretate» perfino all’azionista italiano.
Che ci deve mettere i soldi ma non può metterci la bocca.
Ragion per cui il nuovo amministratore delegato Giuseppe Orsi è volato negli Stati Uniti nel tentativo di convincere gli americani ad accettare un divorzio parziale.
Le condizioni finanziarie della Finmeccanica sono rese ancora più pesanti dallo stato di cose in cui versano altre parti del gruppo.
Da anni le perdite dell’Ansaldo Breda viaggiano al ritmo di un centinaio di milioni l’anno: nonostante questo la presidenza del Consiglio avrebbe voluto far acquistare alla Finmeccanica la Firema, azienda privata produttrice di componenti ferroviarie. Un tentativo comunque fallito.
Orsi vorrebbe cedere l’Ansaldo Breda: impresa però difficile, a patto di non mettere sul piatto anche qualche pezzo buono, come l’Ansaldo Sts.
Poi c’è il caso dell’Alenia aeronautica.
Basta dire che è stato necessario accantonare nei bilanci 783 milioni di euro in seguito a una «conciliazione» con la Boeing, che aveva contestato la qualità di alcune forniture provenienti dagli stabilimenti italiani e destinate a equipaggiare gli aerei civili della casa americana.
A questo si aggiungano i problemi di liquidità della Grecia, impossibilitata a far fronte ai pagamenti degli aerei C27J già ordinati all’Alenia, nonchè alcune questioni sorte con la Turchia a proposito di alcuni pattugliatori marini, e il quadro è completo.
A quanto ammonta il buco? Difficile dire, ma c’è chi ipotizza una cifra non inferiore al miliardo 200 milioni.
Pure per ragioni politiche e «sociali», la struttura produttiva dell’Alenia è troppo frammentata e disordinata, il che ha reso necessario un piano di riorganizzazione destinato a lasciare molti segni.
Piano nel quale, tuttavia, ha trovato spazio anche l’incomprensibile trasferimento della sede legale (dovuto a ragioni politiche), da Napoli a Venegono Superiore in provincia di Varese: quartier generale della Lega Nord, partito che ha fortemente sostenuto la nomina di Orsi.
Altrettanto disordinato è il comparto dell’elettronica.
E veniamo alle vicende che più direttamente riguardano la famiglia Guarguaglini. Il gruppo Selex è composto da tre diverse aziende, con produzioni in qualche caso simili e che talvolta si fanno perfino concorrenza fra loro sui mercati internazionali.
Da tempo circola l’idea di fonderle, operazione che avrebbe forse il vantaggio di razionalizzare il tutto ma contemporaneamente lo svantaggio di far sparire la Selex Sistemi integrati, azienda ora al centro delle indagini giudiziarie, e della quale è amministratore delegato Marina Grossi, la moglie di Guarguaglini. Il quale si è sempre opposto all’accorpamento.
Non è quindi un caso che la fusione delle tre Selex sia la ragione dei contrasti fra lo stesso Guarguaglini e Orsi.
All’ultimo consiglio, con all’ordine del giorno quella integrazione proposta dall’ostinato Orsi, Guarguaglini non si è nemmeno presentato. E il progetto è passato all’unanimità . Decretando, forse, la fine di un’epoca.
La Finmeccanica è troppo importante perchè interessi personali possano bloccare una svolta radicale.
Si deve fare pulizia e subito, illuminando fino in fondo gli angoli ancora bui ed eliminando tutte le scorie della politica.
Questo è compito del governo, che deve agire senza indugi: nell’interesse della società e del Paese.
A Guarguaglini va dato atto che se la Finmeccanica è diventata, con tutti i suoi difetti, un gruppo di eccellenza tecnologica, questo è anche merito suo.
Ma ciò non può cancellare responsabilità oggettive e pesanti.
E il braccio di ferro privato che ha ingaggiato con il governo, annunciando di voler resistere, a questo punto non può che danneggiare l’azienda.
Dai partiti, invece, ci aspettiamo un sussulto di dignità .
Adesso tirino fuori il disegno di legge anticorruzione dai cassetti nei quali giace.
Il governo di Silvio Berlusconi l’aveva annunciato in pompa magna il primo marzo del 2010 subito dopo lo scoppio di uno dei vari scandali, quello degli appalti dei Grandi eventi della Protezione civile.
Dopo la prima lettura si è incagliato in Parlamento, mentre le Camere sfornavano leggi per regolamentare la commercializzazione dell’insalata in busta o per cambiare il nome al parco del Cilento.
Va approvato in fretta, introducendo norme severissime per gli amministratori infedeli e i politici corrotti, prevedendo, oltre a sanzioni penali durissime senza il beneficio della condizionale, anche la loro radiazione dalla vita pubblica.
Insieme al taglio dei costi insensati della politica è la cosa più urgente da fare se si vuole restituire un minimo di credibilità a un sistema che la sta perdendo del tutto.
Sergio Rizzo
(da “Il Corriere della Sera“)
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Novembre 24th, 2011 Riccardo Fucile
LA DECISIONE DI DEFINIRE “PARTE OFFESE” LE RAGAZZE COINVOLTE APRE LA STRADA AI RISARCIMENTI
Siamo in un processo con Ilda Boccassini, non in un format televisivo. 
Possibile che l’ex premier non se ne renda conto? Il processo Ruby-Silvio è ripreso con un’udienza necessaria a tracciare i limiti del materiale da usare (circa 26mila pagine).
E a fissare il calendario dal prossimo 2 dicembre in avanti, quando la versione di Berlusconi (oggi non dovrebbe esserci) si scontrerà con i ricordi dei detective, che saranno molto probabilmente i primi chiamati a deporre.
Bastano pochi punti per comprendere come la realtà stia per essere catapultata dai magistrati sulle spalle dell’ex premier.
La riforma della legge sulla prostituzione.
Esiste in Italia la legge Merlin e si occupa di prostituzione.
Sarà anche datata (1958), ma è stata riformata di recente e resa ancor più intrusiva. Quando è avvenuto questo abbassamento della soglia di garanzia? L’11 agosto del 2003. E chi ha firmato la legge di riforma 228?
Il ministro leghista Roberto Castelli e il premier Berlusconi.
Per avviare un’indagine non occorrono più i «gravi» indizi di colpevolezza, bastano i «sufficienti indizi».
Anche la lunghezza delle intercettazioni è cresciuta, e c’è stato un giro di vite sul cliente della prostituta minorenne.
Se beccato e condannato, perde i benefici di legge: deve andare in galera se non collabora. E’ punito — dice la legge – con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a euro 5.164».
Perchè sia applicato il concetto di «sesso» con minori basta che un minore sia presente sulla scena sessuale.
«La persona minorenne — dice Berlusconi – nega di aver mai avuto avances nè tantomeno rapporti sessuali e afferma di essersi presentata a tutti come ventiquattrenne».
Se questa è la difesa in aula, ha già perso.
La versione di Ruby va letta per intero.
Il padrone della villa San Martino, dice la giovane invitata, regala alle favorite alcuni anni di case gratis e «tale proposta – rivela Ruby nell’ultimo interrogatorio al pm Antonio Sangermano – viene fatta a me da Berlusconi, che in quell’occasione scoprì che ero minorenne e senza documenti (…) Berlusconi mi propose di farmi passare per nipote del presidente egiziano Hosni Mubarak e di fornirmi documenti comprovanti la mia nuova identità ».
Quella sera Ruby si fermò per la notte e racconta di «ragazze nude», della loro triste competizione «per farsi notare da Berlusconi con atti sessuali sempre più spinti», mentre lei serve all’allora presidente un ormai leggendario Sanbitter.
E, dunque, è «sesso con minori».
«Ad alcune persone è bastato venire una volta a cena a casa mia, la casa del presidente del Consiglio, per avere il proprio cellulare controllato», ha detto l’imputato.
È un’altra menzogna, meglio specificare alcuni fatti.
È stato controllato dai detective il telefonino di Ruby, certo: chi non l’avrebbe fatto?
E’ una mitomane o davvero, come dice, lei era lì, in mezzo a buste di denaro contante? Ed è così che si scopre che Ruby c’era stata giorno e notte, ad Arcore, per un totale di quattordici date, a cominciare dal 14 febbraio e a finire a maggio.
Via via che alcune persone entravano nelle indagini, è stato chiesto ai detective: anche questo telefonino arriva ad Arcore? Molti sì.
Spesso sono bastati pochi giorni d’intercettazione per raccogliere prove sulle «serate eleganti», se l’eleganza è a base del binomio sesso e soldi.
Gli interrogatori di Karima El Mahroug – minorenne marocchina, scappata dalle comunità , autobattezzata Ruby Rubacuori e arrivata ad Arcore – sono stati solo l’input. Dopo di lei, verbale dopo verbale, intercettazione dopo intercettazione, testimone dopo testimone (e ce ne sono…), i detective sono arrivati a inquadrare intorno a Berlusconi – parole dell’accusa – uno «strutturato sistema, organizzato per compiacere» il cliente: si tratta del trio Emilio Fede, Lele Mora e Nicole Minetti, riuniti nell’altro processo.
E l’altro ieri — attenzione – è stato stabilito che tutte le ragazze invitate, dalle show girl alle «disperate delle favelas» possono essere «vittime».
Quindi eventuali «parti lese»: è la legge, che tutela la dignità delle donne. Ed è stata aperta un’autostrada per le richieste dei possibili risarcimenti.
Se si torna alla notte tra il 27 e il 28 maggio 2010, si sa che Berlusconi ottiene il favore del rilascio di Ruby, fermata per furto, telefonando in questura.
Per i pubblici ministeri si tratta di concussione.
Ma perchè Berlusconi chiama di persona?
Perchè «sono buono di cuore», dice. O perchè ha paura che se Ruby parla, si scopre tutto quanto delle sue notti? E se si scopre tutto, dai soldi allo stile delle notti, non può persino rischiare …la caduta del governo?
Questo, anche questo, è il senso del processo.
Piero Colaprico
(da “La Repubblica“)
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Novembre 23rd, 2011 Riccardo Fucile
CONTRO MAFIE E IPOCRISIE, SOSTENERE LA “CASA DELLA LEGALITA'”
E’ UN DOVERE CIVILE… LA DESTRA SOCIALE DEI VALORI E DELLA LEGALITA’ SABATO SARA’ PRESENTE, IN MEMORIA DI PAOLO
Ci sono nuove e concrete evidenze che il presidente della Casa della Legalità – Onlus (www.casadellalegalita.org), Christian Abbondanza, sia ritenuto in concreto ed effettivo pericolo di vita per possibili attacchi da parte di cosche mafiose operanti sul territorio.
Le Prefetture di Savona e Genova hanno conseguentemente disposto misure di protezione per tutelarne l’incolumità , dando così conferma del fatto che nel 2011 in Liguria un uomo rischia la vita se denuncia le pesanti presenze ed attività mafiose nel territorio e le infiltrazioni nell’economia e nella politica.
Questa notizia dovrebbe imporre a tutta la comunità ligure una profonda riflessione e smuoverne la coscienza.
La Casa della Legalità , tramite i suoi Osservatori su mafie, reati ambientali e pubbliche amministrazioni, ha promosso inchieste ed effettuato denunce che hanno anticipato anche di diversi anni sviluppi giudiziari ed investigativi che hanno poi confermato la Liguria come “colonizzata” in tutte le sue province dalle mafie.
A riconferma di ciò, la recente riunione della Commissione Parlamentare Antimafia a Genova, con le audizioni di Prefetti, Reparti e Magistratura, ha evidenziato, dopo anni, che quanto denunciato dalla Casa della Legalità era fondato.
Con un lavoro costante la Casa ha raccolto segnalazioni e promosso approfondimenti che sono stati poi raccolti dai reparti dello Stato, Prefetture e da diverse Procure.
Questo lavoro ha permesso anche al mondo dell’informazione di aprire gli occhi su questa drammatica realtà , contribuendo fortemente a rompere il muro di silenzi, negazionismi e omertà che per anni ha avvolto ed avvolge tutt’ora mafiosi noti e meno noti, così come anche i rapporti di affari che questi avevano (ed hanno) con imprese, cooperative, società pubbliche e pubbliche amministrazioni.
Con determinazione non hanno lasciato soli coloro che hanno trovato il coraggio di denunciare, così come sono stati stati capaci di mettere in imbarazzo e difficoltà la politica che, da una parte e dall’altra, vede propri esponenti affiancarsi ai boss e diversi Comuni soccombere ad infiltrazioni e condizionamenti, spesso in cambio di una manciata di voti.
Certamente qualcuno potrà dire: “se la sono cercata”.
E’ vero, si sa a cosa si va incontro quando si denunciano certe collusioni e complicità , quando si punta l’indice sul mafioso e sulle attività di riciclaggio che vedono, ad esempio, la Liguria in prima fila con le speculazioni edilizie.
Ma non è così che una società civile può e deve rispondere.
Una “società civile” deve prendere esempio da quanto fatto dalla Casa della Legalità .
Ognuno deve farsi carico di un pezzetto di responsabilità in questa lotta all’illegalità ed alle mafie.
Ognuno deve sostenere questa battaglia.
La Casa della Legalità è una struttura che non riceve alcun contributo pubblico e che non ha sponsor: non li ha proprio perchè ha voluto mantenersi assolutamente indipendente e libera d’azione; l’unica fonte di sostentamento della struttura sono le sottoscrizioni e le donazioni dei singoli cittadini.
Purtroppo alle spese ordinarie (cancelleria, telefono, benzina per gli spostamenti solo per fare alcuni esempi) si aggiungono sempre più sovente (e più a fondo si colpisce) da un lato le spese legali per difendersi dalle querele e dall’altro magari le spese di “manutenzione” per le casuali manomissioni all’auto usata per gli spostamenti o per gli attacchi informatici…
Ed allora ecco che ci sentiamo in dovere, oltre all’esprimere solidarietà al Presidente della Casa della Legalità ed agli altri ragazzi che lo affiancano nelle inchieste, nelle denunce e nelle incursioni sul territorio, di invitare ad un sostegno anche economico della Casa della Legalità , così che possano continuare ad andare avanti nel loro lavoro che si è dimostrato così efficace ed incisivo, sia per l’impatto civile e culturale, sia per il contributo portato anche ad inchieste e provvedimenti giudiziari che hanno condotto ad un’aggressione vera e propria alle cosche ed ai loro capitali illeciti.
Se ognuno di noi si impegnasse a sostenere questa realtà libera, con un piccolo contributo mensile, tutti saremo più liberi.
Questo sostegno, alla luce dei nuovi atti intimidatori che in queste ore stanno colpendo i membri della Casa della Legalità e le persone ad essa vicine, stringendo sempre di più il cerchio attorno al Presidente dell’associazione, è una sorta di “impegno e dovere civile”, a testimonianza del fatto che cedere di un solo passo sarebbe una sconfitta ed una svendita del nostro territorio e patrimonio alla criminalità organizzata.
Nel mirino, ora, ci sono loro.
Le adesioni all’inziativa di sabato 26 novembre
Rosario Crocetta – Europarlamentare ed ex sindaco antimafia di Gela
Giuseppe Lumia – Senatore – Commissione Parlamentare Antimafia già Presidente della commissione
Angela Napoli – Deputato – Commissione Parlamentare Antimafia
Andrea Orlando – Deputato – Commissione Parlamentare Antimafia
Enrico Musso – Senatore – Commissione Parlamentare Antimafia
Giulio Cavalli – Attore, scrittore e consigliere regionale in Lombardia
Piero Ricca e Qui Milano Libera – Attivista, blogger e giornalista freelance italiano
Alfredo Galasso – Avvocato, politico e docente italiano
Lirio Abbate – Giornalista
Dario Fo – Drammaturgo, attore teatrale, scrittore, regista, scenografo, attore cinematografico comico e blogger italiano. Vincitore del Premio Nobel per la letteratura
Franca Rame – Attrice teatrale, drammaturga e politica italiana
Valerio Gennaro – Medico Oncologo Epidemiologo ISDE
Patrizia Gentilini – Oncologo, ISDE
Daniele Biacchessi – Giornalista, scrittore, autore e interprete di teatro civile
Roberto Galullo – Giornalista
oSKAr Giammarinaro e gli Statuto
Marino Severini e The Gang
Ivan Cicconi – esperto ti appalti pubblici
Luigi Marra e comitato di redazione della rivista “Medicina Democratica”
Maurizio Bardi e la cooperativa “La Liberazione” di Milano
Paolo Franceschi – Pneumologo – Medici Per l’Ambiente
Vittorio Malagutti – Giornalista
Valentina Petrini – Giornalista
Ezio Orzes – Assessore Ponte nelle Alpi
Claudio Porchia – Centro Impastato di Sanremo
Pino Maniaci – Giornalista Telejato
Rosita Rosa – Giornalista
Mario Molinari e savonanews.it
Paolo Rabbitti – ingegnere e urbanista
Francesco Saverio Alessio – giornalista scrittore
Enrico Bini – Presidente camera di commercio Reggio Emilia
Michelangelo Bolognini – medico, Medicina Democratica
Antonio Signorile con uominiliberi.eu e truciolisavonesi.it
Le Vie del Canto – associazione-coro
nuove adesioni:
Sabina Provenzani – giornalista
Antonio Amorosi – giornalista e scrittore
Maria Teresa Falbo – giornalista
Rodingo Usberti – veterinario Cesana
Cesare Manachino – Medicina Democratica
Anna Prandina
Gianluigi Salvador – WWF Veneto referente energia e rifiuti – Membro fondatore MDF
Walter Fossati
Rosa Stano
Paola Nugnes
Giuseppe Cristoforoni
Laura Valsecchi
Luigi Bergantino – Napoli
Sonia Toni – Dir. Rep. “La Scienza Verde” Mensile on line di ecologia, salute, politiche del territorio – www.scienzaverde.it
Adriana Pagliai
Bernardo Piemonte – Verona
Marcella Corò – Mogliano Veneto
Luca Tittoni – vice presidente Associazione Differenziati Castelli Romani
Claudia Massa
Stefano Palmisano – Avvocato Bari
Luigi Gasparini – Ferrara
Margherita Piastrelloni
Ruggero Ridolfi – Medico Oncologo – Forlì
Doriana Sarli
Lino Balza
Luigi Gasparini – Medico igienista preoccupato per la Salute Pubblica e Referente per la Provincia di Ferrara dell’Associazione Medici per l’Ambiente ISDE Italia (International Society of Doctors for the Environment) Gasparini Luigi, presso la CASA DELL’AMBIENTE E DELLA SALUTE
Silvia Franzini – Chimica Pistoia
Società Futura Vercelli
Dario Roasio
Margherita Piastrelloni – Medico – Cesena
Iolanda Faraioca
Gianluca Garetti
Angelo Baracca – Prof. Fisica Università di Firenze
Mario Frusiì
Sergio Benvenuti – Comitato Ambientale di Casale (Prato)
Giorgio Forti
Valentino Tavolazzi – MD Ferrara
Giovanni Ghirga – Civitavecchia
Riccardo Fucile e destradipopolo.net
Luca Rinaldi – Giornalista e blogger
Stefano Milano – Libreria UBIK Savona
Alessandro Braggio – ricercatore CNR-SPIN
Carla Cavagna
Movimento 5 Stelle Milano
Movimento 5 Stelle Bologna
Movimento 5 Stelle Reggio Emilia
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Novembre 23rd, 2011 Riccardo Fucile
QUANDO PER L’ONOREVOLE L’ITALIANO E’ UN OPTIONAL
«A scuola, allora, si cominciava con le aste, centinaia di aste su quaderni a quadretti con la matita,
non ancora col pennino e l’inchiostro. Poi, si passava alle vocali; poi, alle consonanti; poi, all’assemblaggio di una consonante e di una vocale; quindi, si congiungevano le sillabe per formare parole. E si copiavano parole dal sillabario e si facevano schede d’esercizi. Esercizi che duravano dei mesi…».
Ecco, l’onorevole ripetente Michaela Biancofiore dovrebbe ricominciare da quell’ultima intervista data da Leonardo Sciascia a Le Monde prima di morire.
Riparta dalle aste.
O almeno dalle vocali: a-i-u-o-l-e.
Perchè una cosa deve mettersela in testa: deve piantarla di difendere l’italianità dell’Alto Adige commettendo strafalcioni mostruosi non solo per un deputato ma per un somaro della seconda elementare.
Si è schiantata sugli accenti («dò», «stà », «pò»), ha detto che gli avversari la vogliono «distrutta, annientata, denigrata, scanzonata» (voce dello sconosciuto verbo michaeliano «scanzonare»), ha inventato «l’amantide religiosa».
Creatura che, con l’apostrofo lì, è ignota in natura.
Insomma: un disastro.
Prendiamo la sua ultima battaglia, contro la rimozione, dalla parete del Palazzo degli Uffici finanziari di Bolzano di un altorilievo che raffigura il Duce a cavallo.
Ricordate?
Berlusconi fece con Durnwalder nell’autunno 2010 un accordo scellerato: la Svp s’impegnava a non votare, in quel momento delicato, la sfiducia a Bondi e in cambio Roma dava ciò che nessun esecutivo, di destra o sinistra, aveva mai concesso: lo stop ai restauri del monumento alla Vittoria, la rimozione dell’altorilievo e lo spostamento del monumento all’Alpino di Brunico.
Tre simboli dell’italianità vissuti dalla Svp come ferite.
Bene: mentre scoppiava la rivolta, la ripetente «pasionaria» pidiellina se ne restò muta: «Invito tutti alla calma. Il governo ha già abbastanza problemi».
Entrata tardi in battaglia per amore berlusconiano, la Biancofiore ha però ragione: non c’è senso a rimuovere l’altorilievo.
Come ricorda nel libro Non siamo l’ombelico del mondo Toni Visentini, che certo non è un italianista fanatico, «la piazza non è mai stata vissuta (ed è opportuno che non si cominci ora) come “fascista”» anche perchè «il bassorilievo – splendido – è opera di un grande scultore bolzanino di lingua tedesca, Hans Piffrader».
Cosa resterebbe se i posteri avessero distrutto tutti i ritratti di Giulio Cesare e Luigi XIV, papa Borgia o Ezzelino da Romano?
Ormai è lì, ci mettano una targa che spieghi la scelta di non distruggere l’arte nonostante le infamie del Duce e fine.
Ma in nome dell’Italia, dell’italianità e della lingua italiana la Biancofiore la smetta di scrivere, come ha fatto su carta intestata spingendo Emiliano Fittipaldi a riderne su l’ Espresso , che si trattò di un accordo preso «senza sentire n’è i dirigenti del Pdl n’è verificare la sensibilità dei nostri elettori…».
Ma chi l’ha promossa in terza elementare?
Pensa di avere, come deputata, l’immunità ortografica?
Gian Antonio Stella
(da “Il Corriere della Sera“)
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Novembre 23rd, 2011 Riccardo Fucile
IL CONTRATTO UNICO PUNTA AD ELIMINARE ALMENO IN PARTE L’ENORME MASSA DEI LAVORATORI PRECARI
È una delle poche idee che siamo riusciti anche ad esportare all’estero.
Da tempo economisti come Pierre Cahuc, Francis Kamarz, Samuel Bentolila e Juan Dolado propongono il «contratto unico» inventato da Tito Boeri e Pietro Garibaldi anche in Francia e Spagna.
Ma da noi il dibattito incontra sin dal 2002, quando è stato proposto dai due economisti del lavoro un totem insormontabile: l’articolo 18.
Il fatto è che da quando quella norma dello Statuto dei Lavoratori è stato al centro di uno scontro al calor bianco tra il governo Berlusconi bis e la Cgil di Sergio Cofferati – con l’epilogo dei tre milioni a Circo Massimo – è complicato parlare di diritto del lavoro senza scivolare sul terreno dello scontro ideologico.
Elsa Fornero, neo ministro del Lavoro ha già detto cosa ne pensa: il contratto unico è «in grado di conciliare la flessibilità in ingresso richiesta dalle imprese con l’aspirazione alla stabilità rivendicata dai lavoratori».
Sarà un tassello importante dell’agenda di governo dell’economista torinese. Ma è anche uno dei motivi per cui la Cgil continua a rimarcare la diffidenza nei confronti del governo Monti.
Il contratto unico tenta di rispondere a un mondo del lavoro che si è fortemente precarizzato e dove si è creato un dualismo crescente tra chi è tutelato dal contratto a tempo indeterminato e le miriadi di atipici che hanno spesso livelli salariali infimi, non sono garantiti da contratti nazionali e sono quasi senza tutele.
Soprattutto, avendo una data scritta sul contratto, gli ormai milioni di lavoratori precari non sanno neanche cos’è, l’articolo 18.
Stiamo parlando del 90 per cento di chi comincia oggi un lavoro: ormai solo un giovane su dieci inizia una professione o un mestiere con un contratto a tempo indeterminato.
Gli altri nove entrano con contratti a termine, interinali, co.co.pro, eccetera.
Fuori dal perimetro dello Statuto dei lavoratori.
E, molto spesso, dall’ombrello dei sindacati.
Anni fa al «contratto unico di ingresso», in breve Cui, se n’è affiancato uno analogo del giuslavorista e senatore Pd Pietro Ichino che ne riprende l’idea di fondo ma differisce su alcuni punti.
Nella versione Boeri-Garibaldi è un contratto a tempo indeterminato e la difesa dal licenziamento senza giusta causa è prevista dal primo giorno.
Solo che per i primi tre anni «il licenziamento può avvenire solo dietro compensazione monetaria», (un’indennità pari a 5 giorni di retribuzione per ogni mese di anzianità ), insomma viene sospeso l’obbligo di reintegro previsto dall’articolo 18.
Diventa una sorta di lungo apprendistato durante il quale anche il datore di lavoro può capire se il dipendente corrisponde alle sue aspettative.
Allo scadere dei tre anni vengono riconosciute tutte le tutele del tempo indeterminato.
Il ricorso a forme di contratti flessibili viene scoraggiato con delle restrizioni. Infine, dettaglio rilevantissimo, il Cui non sostituisce gli attuali contratti nazionali, ma garantisce in più tutele minime a chi non ce l’ha – cosa che quelli flessibili oggi non fanno.
A partire da un salario minimo.
Nella testa di Boeri e Garibaldi, il contratto unico dovrebbe essere affiancato da una seria riforma degli ammortizzatori che garantisca un sussidio di disoccupazione a tutti.
Ma costa circa 15 miliardi di euro ed è difficile che veda la luce nel prossimo anno e mezzo.
Anche nella proposta di Ichino non c’è una data sul contratto ma viene introdotto il licenziamento «per motivi economici e organizzativi» e non ci sono i tre anni di prova. L’articolo 18 viene depotenziato.
Ma dal 20esimo anno di anzianità «l’onere della prova circa il giustificato motivo economico tecnico o organizzativo è a carico del datore di lavoro».
Per chi perde il lavoro viene introdotto un sistema che ricalca a quello danese della «flessicurezza».
Il datore di lavoro si impegna a ricollocare il lavoratore attraverso la riqualificazione professionale.
Tonia Mastrobuoni
(da “La Stampa“)
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Novembre 23rd, 2011 Riccardo Fucile
VIA ANCHE LA “VERITA’ SVELATA DAL TEMPO” DI TIEPOLO CHE BERLUSCONI FECE COPRIRE CON UN REGGISENO… MONTI FINORA HA EVITATO DI FARSI VEDERE IN UNO DEI LUOGHI SIMBOLO DEL CAVALIERE
Al presidente Monti, che del riserbo suo e dei ministri ha fatto una specie di religione governativa, la
sala stampa di Palazzo Chigi non piace proprio; ma anche al netto della più radicata diffidenza nei confronti dei giornalisti, il professore non è il solo a pensarla così.
Era il 16 dicembre del 2002 quando nell’inaugurare questo luogo ricavato dalle scuderie dei principi Chigi e già sottoposto nel corso del tempo ad almeno un paio di ristrutturazioni, l’allora presidente del Consiglio entrò con aria soddisfatta e rivolto ai cronisti stanziali con la sicurezza del più sperimentato venditore di casa classicamente domandò: «Vi piace?». Imprevisto, ma univoco si levò tuttavia un coro: «Nooooh!». «Bene – replicò Berlusconi senza fare una piega al suo celebre sorriso – allora buttiamo giù e rifacciamo tutto».
Era ovviamente uno scherzo, perchè da allora la sala stampa è rimasta quella sulla quale il Cavaliere e i suoi provetti consiglieri di estetica televisiva, in primis il temerario architetto Catalano, avevano apposto la loro firma.
Ora, è chiaro che dieci anni fa il professor Monti aveva ben altre cose più serie a cui pensare; con il che senz’altro ignora che fra gli addetti ai lavori dell’informazione si aprì una animata disputa per cercare di capire che diavolo d’ispirazione architettonica fosse prevalsa nell’allestimento.
Chi diceva stile corinzio e chi Star Trek; chi discoteca tardi anni ottanta, chi «barocco brianzolo» (copy Dagospia) e chi esuberante «imperial trash».
Alla fine le varie opinioni più o meno si riconobbero in un avanzato compromesso che individuava il modello primigenio in un casinò di Las Vegas, ma non un casinò qualsiasi, quello di stile antico romano del «Caesar Palace», in modo da accontentare il partito classicista.
Sennonchè la politica, come Monti sta scoprendo in questi giorni, è fatta anche di piccole faccende logistiche, ma di impatto simbolico investendo il rapporto fra il potere e la realtà , fra le decisioni da prendere e lo scenario, mai come in questi anni intenso e artificiale, dinanzi a cui presentarle ai cittadini.
Per cui finora il professore non solo ha evitato di farsi vedere lì dentro, ma come da dispaccio dell’AdnKronos avrebbe pure deciso di mutare aspetto ai locali.
C’è da dire che Berlusconi era troppo sicuro di sè e a tal punto persuaso della prevalenza delle forme sui contenuti, per preoccuparsi della confezione.
Basti pensare che proprio il giorno dell’inaugurazione mostrò per la prima volta alle telecamere e ai 63 giornalisti seduti sulle poltroncine in platea la figura – invero destinata all’evanescenza – del poliziotto di quartiere, un maschio e una femmina con le loro belle divise.
Quindi, passando ai terremoti, dopo aver scambiato San Giuliano di Puglia con San Giuliano Milanese, allegramente ignaro della gaffe ebbe giusto lì il primo dei suoi roboanti battibecchi con un giornalista dell’Unità , «Abbia vergogna, lei mistifica la realtà !».
Inutile dire che quelle telecamere ne videro poi di tutti i colori.
Per restare alle colluttazioni si ricorda l’ardore manesco con cui il ministro della Difesa La Russa si scagliò una volta contro un preteso «disturbatore» e la poco commendevole scenetta imbastita un’altra volta dal regista del Cavaliere, il pur pacifico Gasparotti, ai danni di un onorevole dipietrista deciso a guastare l’epifania del presidentissimo.
Questi, d’altra parte, approfittò della location anche per ostentare segni ed emblemi del potere, per esempio un enorme padellone con su scritto «Consiglio dei ministri» e sotto più visibile: «Il presidente».
Si dotò quindi di molteplici ingegni di scena, pedane, podietti, cuscini, per risultare più alto quando arrivava qualche Tony Blair.
Grande attenzione – si regoli il professor Monti – suscitò lo sfondo alle spalle del presidente.
Nel secondo governo del Cavaliere l’architetto Catalano scelse un frammento de «La gloria di Sant’Ignazio nel mondo».
Il fatto che fosse l’opera di un gesuita, Andrea Pozzo, e per giunta maestro dell’illusionismo prospettico, sembrò per diversi motivi abbastanza naturale.
Quando venne Prodi lo tolse, preferendo figurare con un mesto fondo azzurro alle spalle. Ritornato Berlusconi a Palazzo Chigi, si scelse «La Verità svelata dal Tempo» del Tiepolo.
Ma siccome la Verità era appunto «svelata», quindi mezza nuda, nell’agosto del 2008 parve giusto dotarla di un reggipetto per non turbare i telespettatori.
Sulla vana scelta non s’infierisce, avendo il suddetto Tempo proceduto per conto suo.
Filippo Ceccarelli
(da “La Repubblica“)
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