Destra di Popolo.net

LA LETTERA DI FINI: “NON VOGLIO PRIVILEGI, NUOVE REGOLE PER LA MIA SCORTA, CANCELLIERI INTERVENGA SUBITO”

Agosto 18th, 2012 Riccardo Fucile

LA LETTERA DEL PRESIDENTE DELLA CAMERA A “REPUBBLICA”: “SI CAMBINO LE REGOLE PER LA MIA PROTEZIONE, NON SONO IO CHE L’HO CHIESTA”

Caro direttore,
il bell’articolo “L’estetica della scorta”, di Francesco Merlo, mi dà  l’occasione per qualche considerazione che affido ai lettori di Repubblica.
Il direttore di Libero, Belpietro, fa ciò per cui è lautamente pagato.
Sostituisce il fango all’inchiostro (parole di Merlo) per bastonare l’avversario politico e compiacere il padrone.
Non è il primo e non sarà  di certo l’ultimo giornalista a trasformare in modo volgare e patetico il giornalismo d’inchiesta da indispensabile presupposto della libertà  di stampa a grottesca caricatura della più ottusa faziosità .
Ne risponderà , come tante altre volte, in tribunale.
Ma non è questo l’aspetto che più mi fa riflettere e mi preme sottolineare.
È il silenzio distratto del mondo politico istituzionale, con le sole eccezioni del Presidente Schifani e dell’onorevole Casini.
Intendiamoci bene.
Non chiedo nessuna solidarietà .
Non ne ho alcun bisogno perchè è certo e incontestabile che nella organizzazione del servizio di scorta alla mia persona non ho avuto alcun ruolo dipendendo tutto esclusivamente dagli uffici del Viminale.
È una verità , una regola, che vale per il presidente della Camera come per i tanti esponenti istituzionali e politici per cui si ritiene necessario predisporre, e non è certo l’interessato a farlo, misure più o meno rigide di scorta e di sicurezza.
Non credo che gli onorevoli Alfano, Bersani, Di Pietro, Maroni – solo per citare i segretari di partito – si siano compiaciuti leggendo le falsità  di Libero sul mio conto.
Però mi chiedo: possibile che non abbiano pensato che quando si scrivono falsità  così volgari per mettere qualcuno alla berlina quale “satrapo della casta e sperperatore di pubblico denaro” si alimenta un sentimento giacobino di delegittimazione di tutta la politica?
Oggi è toccato a me, domani potrebbe toccare a loro perchè anch’essi hanno la scorta, più o meno numerosa. Perchè anch’essi rappresentano il Palazzo, con il potere e i privilegi, veri o presunti, propri dello status di ottimati della Repubblica…
Ha scritto Merlo: “Fini non può non accorgersi di essere protagonista di un privilegio (legale). Così degradata, infatti, quella scorta non lo protegge ma lo omaggia. Ed è così che in Italia ogni scorta diventa la corte del potente di turno, non più luogo e mezzo militare per ‘scorgerè il pericolo ma ornamento e abbellimento di ‘cortesia’”.
Non sono d’accordo.
Gli uomini e le donne impegnati ogni giorno nei servizi di scorta non omaggiano proprio nessuno.
Fanno il loro dovere con professionalità  e sacrificio, non certo perchè ben pagati, anzi… Personalmente li considero dei collaboratori preziosi da rispettare, non certo dei famigli.
Non è comunque questo il punto, bensì che è tutto il sistema che va rivisto per limitare costi e sprechi, per impedire abusi, per snellire e razionalizzare i servizi di scorta.
Con una certa sorpresa, perchè colpevolmente non me ne ero accorto in precedenza, ho letto che il ministro Cancellieri ha confidato a Merlo di voler cogliere l’occasione per “rilanciare la battaglia che da tempo vuol condurre a testa alta sull’uso e l’abuso delle scorte”.
Molto bene, lo faccia subito e non solo a parole.
Non dubito nè della sua volontà  nè delle sue capacità .
Dubito che possa riuscirvi se non avrà  il sostegno convinto delle burocrazie ministeriali e soprattutto se il mondo politico non saprà  trarre da questa vicenda agostana l’occasione per uno scatto di reni, per dimostrare concretamente di non essere una casta.
Ha scritto ancora Merlo: “Fini potrebbe dare il suo piccolo-grande contributo rimodulando le proprie vacanze in modo più controllabile, più civile, più gestibile. Spetta a lui rientrare nel principio di uguaglianza e sottrarsi, senza ovviamente compromettere la sicurezza, a un regolamento che rischia di trasformare il suo diritto alle vacanze in un privilegio costoso per lo Stato…”.
Anche se non credo che raggiungere quando posso la famiglia ad Ansedonia (non a Miami) renda necessario rimodulare le mie vacanze in modo più controllabile, più civile, più gestibile… sono comunque d’accordo con Merlo.
Specie quando sostiene che spetta a me rientrare nel principio di uguaglianza e sottrarmi al regolamento del ministero degli Interni.
Per poterlo fare chiedo pubblicamente al ministro Cancellieri di intervenire subito, nelle modalità  che riterrà  più opportune, per consentirmi di non godere più di un “privilegio legale”.
E chiedo ai tanti esponenti politici scortati di far sentire anche la loro voce e di agire.
Non contro Belpietro (che ovviamente ha la scorta) ma contro quel muro di gomma e di ipocrisie che fa sì che in Italia cambiare le cose sia impossibile, a tal punto che perfino per vivere senza essere scortati pur non avendolo mai chiesto, occorre un trattamento di favore, una vera e propria raccomandazione.
Può apparire una piccola questione ma, a ben vedere, non lo è, perchè dietro all’estetica della scorta c’è la credibilità  della nostra democrazia e la sua capacità  di migliorarsi.

Gianfranco Fini

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FINI E BOCCHINO. SEPARATI IN CASA: SUL CASO SCORTE BOCCHINO ATTACCA LA CANCELLIERI, FINI SI DISSOCIA

Agosto 18th, 2012 Riccardo Fucile

SUL SITO UFFICIALE DI FLI, IN MANO A BOCCHINO, NON E’ STATA PUBBLICATA NEANCHE LA SMENTITA DEL PRESIDENTE DELLA CAMERA CHE SI ERA LIMITATO A DIRE: “NON CONDIVIDO LE PAROLE DELL’ONOREVOLE” (NEANCHE VICE-PRESIDENTE QUINDI)

Aria tesa dentro Futuro e Libertà .
Il leader del partito, Gianfranco Fini, ha preso le distanze dalle dichiarazioni del suo vice Italo Bocchino, che sul tema dei costi delle scorte al presidente della Camera ha tacciato di “inadeguatezza” il ministro dell’interno Anna Maria Cancellieri.
“Ribadisco di avere piena fiducia nei confronti del Ministro – ha detto Fini in una nota – e non solo per la questione delle scorte. Pertanto non condivido quanto dichiarato dall’onorevole Bocchino”.
Una rottura con il vicepresidente di Fli, che aveva utilizzato toni duri nei confronti della titolare del Viminale.
“Sulle polemiche relative alla sicurezza del presidente della Camera   – aveva detto – il ministro dell’Interno Cancellieri ha dimostrato di essere inadeguata al ruolo. Prima il suo dicastero ha diramato un comunicato pasticciato e poi lasciandosi andare ad un futurista paro-liberismo con Francesco Merlo di Repubblica è venuta meno alla doverosa leale collaborazione tra poteri dello Stato”.
Il ministro dell’Interno aveva parlato di “spreco” e di “regole da cambiare” a proposito della scorta della terza carica dello Stato e delle nove camere riservate in un hotel di Orbetello, su cui ha chiesto una relazione 2 lo scorso 12 agosto: “Sono tante le attenuanti quando bisogna garantire la sicurezza e il diritto alle vacanze degli uomini dello Stato, specie nella stagione estiva; ma il regolamento deve cambiare e anche la sensibilità  dei singoli deve entrare in sintonia con la sensibilità  dei tempi, perchè il danaro dei cittadini può e deve essere speso meglio, molto meglio. E se non cambiano le regole, ogni volta la colpa è di nessuno. Ma non esistono le cattive azioni senza autore”
Secondo il deputato, invece, le massime cariche dello Stato vanno tutelate al massimo livello, sempre e ovunque.
La Cancellieri sarebbe quindi colpevole di “aver violato i suoi poteri”, per “seguire le scie dell’antipolitca”.
E ha concluso: “Un funzionario di provincia in pensione non può guidare il Viminale. Monti farebbe bene a prenderne atto e a valutare per quel ministero i profili di veri e leali servitori dello Stato come De Gennaro o Manganelli, lasciando al suo destino chi ha dato pessima prova si sè”.
Insomma a Bocchino vanno bene solo De Gennaro e Maganelli, ma non la Cancellieri (e qui è meglio stendere un velo pietoso).
Ma è evidente che il suo attacco sconsiderato al ministro degli Interni è stato fatto senza consultarsi neanche con l’interessato, ovvero Fini.
Non solo, ma colmo della vicenda, il sito ufficiale di Fli, in mano a Bocchino, non ha neppure pubblicato la smentita-precisazione del leader Fini, neanche fosse uno “scappato di casa” e non il presidente del partito.

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MONTI E LA SVIZZERA: VERSO UNA MAXI TASSA SUI CAPITALI ESPORTATI

Agosto 18th, 2012 Riccardo Fucile

STATO DI GUERRA CONTRO L’EVASIONE FISCALE… L’ITALIA POTREBBE RICAVARE 50 MILIARDI DALLA TASSAZIONE SUI CAPITALI ITALIANI TRASFERITI IN SVIZZERA

Casomai dovessimo chiedere salvagenti all’Europa, certo non ci aiuterebbe l’evasione fiscale che abbiamo in Italia.
Perchè altrove, specie in Germania, già  ce lo stanno facendo pesare: prima di invocare aiuti, dovremo sforzarci di far pagare le tasse a chi se ne guarda bene… Monti ha chiara la difficoltà , sa che l’evasione «produce un grosso danno nella percezione del Paese all’estero», addirittura sostiene che contro questo malcostume «siamo in uno stato di guerra».
E quando c’è un’emergenza bellica non si può andare troppo per il sottile.
Per cui il Prof spiega al settimanale ciellino «Tempi» che «certi momenti di visibilità  possono essere antipatici» (chiaro il riferimento ai blitz delle Fiamme Gialle), però «hanno un grande effetto preventivo» e rinunziarvi significherebbe alzare bandiera bianca.
Bene, anzi benissimo se qualcuno se ne spaventa e torna sulla retta via.
Per dimostrare che farà  sul serio, Monti ha colloquiato con la presidente della Confederazione elvetica, nonchè ministro delle Finanze, Eveline Widmer-Schlumpf.
Il nostro premier non ha avuto bisogno di volare in Svizzera, in quanto già  vi si trova per le vacanze, precisamente a Silvaplana in Engadina.
Lì ha avuto luogo l’incontro, il cui nocciolo riguarda proprio il recupero dell’evasione che si rifugia da quelle parti.
Con la Widmer-Schlumpf avevano fatto conoscenza il 12 giugno scorso, ieri si sono limitati a un punto sui lavori della commissione bilaterale (l’idea di massima consiste nell’esigere una tassa salata sui depositi anonimi in Svizzera dei cittadini italiani).
L’agenda prevede che gli esperti consegnino le loro proposte in autunno, per poi firmare un accordo come quello già  raggiunto tra Germania e Confederazione elvetica.
Nelle settimane scorse un po’ tutti i partiti avevano sollecitato Monti a procedere con decisione, nella speranza che lo Stato italiano possa incassare un pacco di miliardi.
Il Professore raccoglie i suggerimenti di Bersani, Alfano, Casini; però sbaglia chi lo immagina posseduto dall’ansia di concludere.
La fretta c’è, assicurano dalle sue parti, ma si accompagna alla preoccupazione di non commettere passi falsi.
Per esempio, il premier vuole evitare che l’operazione si trasformi in un condono mascherato, per effetto del quale chi ha trasferito i soldi in Svizzera se la possa cavare con poco.
L’altro rischio è che, alzando invece troppo il tiro, i capitali fuggano dalle banche elvetiche e vadano a rifugiarsi in qualche paradiso fiscale irraggiungibile: col risultato che l’Erario non incasserebbe un cent.
Insomma, si cammina sul filo.
Il Consiglio federale elvetico intende negoziare con Roma un accordo fiscale sul modello di quello firmato con la Germania.
Secondo le stime della scorsa primavera l’intesa potrebbe portare nelle casse   dello Stato fino a 50 miliardi di euro prelevati dai capitali svizzeri dei   nostri concittadini.
Svizzera e Italia vogliono anche discutere sulla problematica dei frontalieri.
Altri temi sono le liste nere che l’Italia annovera da 20 anni e con le quali intende proteggere i propri mercati.
Le relazioni finanziarie e fiscali tra Berna e Roma hanno così subito una schiarita: all’inizio di maggio il Ticino ha sbloccato 28 milioni di franchi bloccati dall’estate 2011, somma che rappresenta la metà  delle imposte alla fonte trattenuta ai frontalieri italiani e versate a Roma.

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EVASIONE, BLITZ E CONTROLLI A TAPPETO: L’OBIETTIVO SALE A 15 MILIARDI

Agosto 18th, 2012 Riccardo Fucile

IN ITALIA L’EVASIONE E’ PARI AL 18% DEL PIL, SIAMO SECONDI SOLO ALLA GRECIA… IL GOVERNO E’ RIUSCITO A RECUPERARE 12,7 MILIARDI CONTRO GLI 8 PREVISTI

Quindici miliardi di euro in cassa, e un obiettivo politico che forse ne vale anche di più.
Mario Monti rinfresca i proclami di guerra contro l’evasione fiscale e va oltre, alzando l’asticella della posta in gioco.
In ballo non c’è solo il gettito della lotta contro i furbi delle tasse, che quest’anno potrebbe toccare il livello record di 15 miliardi di euro.
La partita è ben più grossa perchè vale la stessa credibilità  dell’Italia sul piano internazionale, dice il premier, quasi volesse sgombrare fin da ora, dal terreno della campagna elettorale della prossima primavera, un argomento delicatissimo.
I termini del problema li aveva esposti crudamente, non più di un mesetto e mezzo fa, il presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino. «La dimensione dell’evasione fiscale in Italia – ha spiegato in Parlamento – è pari al 18% del prodotto interno lordo, che ci pone al secondo posto nella graduatoria internazionale, che è guidata dalla Grecia».
La Grecia. È questo il rischio da evitare.
Intensificando gli sforzi per recuperare il maltolto, ma anche cercando di spingere le forze politiche, e soprattutto il centrodestra, a prendere una posizione netta.
L’eco delle campagne della Lega e di parte del Pdl contro l’Imu, gli inviti alla disubbidienza fiscale, sono ancora freschi.
E se è vero che le prime misure «forti» contro l’evasione fiscale sono state varate dal governo di centrodestra, è altrettanto vero che queste sono arrivate solo all’apice della crisi del 2011, e che fin lì l’atteggiamento di Silvio Berlusconi nei confronti dei doveri fiscali era stato, quanto meno, un po’ ambiguo.
VERSO IL NUOVO RECORD
Ad ogni buon conto, Monti è deciso a tenere alta la pressione su questo fronte.
Anche perchè sa bene che dal recupero strutturale dell’evasione fiscale può arrivare anche parte delle risorse per ridurre la pressione fiscale. I risultati, per ora, sembrano soddisfacenti.
Nel 2011, a fronte di un obiettivo concordato con il governo di 8 miliardi di euro, l’Agenzia delle Entrate ed Equitalia hanno sottratto all’evasione la cifra record di 12,7 miliardi di euro.
E per il 2012, a fronte di un obiettivo «ufficiale» di gettito dagli accertamenti fiscali di 10 miliardi di euro, la prospettiva è di segnare un nuovo primato: «tredici sicuri, quindici possibili» dicono gli esperti.
Per raggiungere l’obiettivo non serviranno altre misure legislative: tra il decreto d’agosto del 2011, l’ultimo del governo Berlusconi, e il decreto salva Italia di dicembre, il primo del governo Monti, l’armamentario a disposizione degli agenti del fisco è completo.
E insidiosissimo.
IL PIANO DEI CONTROLLI
Si tratta di mandare a regime le nuove norme, e poi tirare la rete.
Solo quest’anno sono previste 380 mila verifiche fiscali, 130 mila delle quali su piccole imprese, professionisti e autonomi.
Tutte le grandi imprese sono ormai affiancate dall’Agenzia delle Entrate nella gestione degli aspetti fiscali.
I controlli fatti con il redditometro arriveranno a 35 mila per la fine dell’anno, e a questi si aggiungeranno altri 11 mila verifiche innescate da movimenti sospetti, comunque non giustificabili a prima vista, sui conti correnti bancari che da quest’anno vengono tutti monitorati costantemente.
In più ci sono le liste, undici sono quelle già  attive, dei contribuenti da sottoporre a controlli specifici.
E poi ci sono i continui blitz della Guardia di finanza e degli uomini dell’Agenzia delle Entrate nelle località  di vacanza e nelle zone commerciali più esclusive delle grandi città , a caccia di scontrini non emessi, auto e barche di lusso.
Sono stati centinaia dall’inizio dell’anno e hanno portato multe salate e anche alla chiusura temporanea di qualche esercizio, ma questo è solo l’inizio, perchè nei confronti dei commercianti «distratti» scatteranno anche accertamenti fiscali articolati ed approfonditi.
DELEGA E SEMPLIFICAZIONE
Non sarà , però, solo repressione.
Un sistema fiscale più semplice è una delle condizioni per ricostruire il difficilissimo rapporto tra gli italiani e le tasse.
Così, per l’autunno, si annuncia una nuova ondata di misure di semplificazione fiscale. Il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, attende per fine settembre dai suoi uffici un’analisi costi-benefici di tutti gli adempimenti fiscali.
Quelli inutili, o che non portano valore aggiunto all’amministrazione addetta ai controlli fiscali, saranno eliminati.
Direttamente dall’Agenzia quando sarà  possibile agire per via amministrativa, con la legge di Stabilità  del 2013 se dovesse essere necessaria una modifica normativa.
Contemporaneamente decollerà  l’attuazione della delega fiscale, con la regolamentazione dell’abuso del diritto, la revisione della tassazione d’impresa, il riordino e la riduzione delle centinaia di agevolazioni e sconti fiscali previsti dall’ordinamento.
Dalla pulizia delle cosiddette «tax expenditures» dovrebbero uscir fuori almeno 6 miliardi di risparmio strutturale l’anno.
Serviranno per scongiurare definitivamente l’aumento dell’Iva, che il governo è per ora riuscito solo a far slittare al mese di luglio dell’anno prossimo.
Già  evitare l’aumento delle tasse, per il governo Monti, sarebbe un grandissimo risultato.
Certo, come dice il premier, un fisco più leggero è un’esigenza «sacrosanta per i contribuenti onesti», ma prima bisogna mettere i conti pubblici in assoluta sicurezza.
Anche con l’aiuto delle somme recuperate agli evasori fiscali: compresi quelli che hanno portato di nascosto i soldi in Svizzera e che non si sono fidati degli scudi fiscali del governo Berlusconi.
Per siglare l’accordo con Berna sulla tassazione dei non residenti serviranno ancora mesi, ma anche nell’incontro di ieri tra Monti e il presidente elvetico si sono fatti passi avanti, e l’intesa si avvicina.
Insieme a una ventina di miliardi di euro: il frutto dell’imposta una tantum che, fatto l’accordo, potrebbe scattare sui capitali italiani detenuti in Svizzera.

Mario Sensini
(da “Il Corriere della Sera”)

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LA VENDETTA DEL PATRIARCA IMBARAZZA PUTIN: L’OPPOSIZIONE IN RUSSIA VESTE IL COLORE FUCSIA

Agosto 18th, 2012 Riccardo Fucile

NELLA VICENDA DELLE PUSSY RIOT PER IL CREMLINO QUALUNQUE MOSSA PEGGIORA SOLO LA SITUAZIONE… IL RICATTO DELLA CHIESA ORTODOSSA E UNO ZAR IN DIFFICOLTA’

Una condanna esemplare a tre giovani ragazze, esibite per mesi alle telecamere di tutto il mondo nella gabbia di un tribunale, ammanettate come assassine pericolose, incarcerate nonostante figli piccoli per una performance in una chiesa, avrebbe confermato agli occhi dell’opinione pubblica occidentale – e della sempre più cospicua componente critica interna – l’immagine del potere di Putin come autoritario e repressivo.
Un’assoluzione, sotto la pressione delle rock star di fama mondiale e delle Ong come Amnesty che dichiara Maria, Nadezhda ed Ekaterina prigioniere di coscienza, avrebbe rovinato l’immagine dello zar come uomo forte che non si piega alle pressioni dell’Occidente, e tolto sicurezza al suo sistema di potere, dalla giustizia che non rilascia mai le sue vittime alla chiesa che si propone, riprendendo le tradizioni zariste, come ingranaggio del meccanismo statale.
Di solito, in situazioni analoghe – come nel caso Khodorkovsky – Putin finora ha sempre scelto la linea dura.
Stavolta, la riduzione della pena di un anno rispetto a quanto richiesto dall’accusa, dopo che il presidente aveva detto di sperare in una condanna «non troppo severa», fa pensare a un’improvvisa sensibilità  nei confronti delle critiche.
A Mosca gira voce che la punizione esemplare delle Pussy Riot fosse stata chiesta al Cremlino dal patriarca Kirill, come una ricompensa per l’appoggio elettorale di Putin e balsamo sulle ferite dopo una serie di polemiche sul lusso in cui abitava il primate della chiesa ortodossa russa.
Una versione che punterebbe a discolpare il potere secolare, un «favore» concesso a un fedele alleato.
Questo spiegherebbe perchè la giudice Syrova ieri aveva insistito tanto sul carattere «non politico» del verdetto, arrivando a dichiarare che nella esibizione incriminata nella cattedrale di Mosca «non venivano menzionati nomi di politici» (la «punk-preghiera» si intitolava «Madre di dio, caccia Putin). E anche l’improvvisa richiesta di «clemenza» fatta allo Stato, a sentenza pronunciata, dall’Alto consiglio della chiesa russa.
E si parla già  di un rinvio della pena, almeno per le due Pussy giovani mamme.
Un tentativo di compromesso insolito per le tradizioni del potere russo.
Il 43% dei russi che avrebbe voluto le punk in galera per almeno 7 anni resta comunque deluso.
Nel frattempo le tre ragazze sono diventate oggetto di attenzione di rockstar e cancellerie internazionali.
Al mondo è stato proposto un processo che di fatto si è trasformato in un giudizio sulla blasfemia, e da una chiesa i cui alti esponenti invocavano invece del perdono cristiano le peggiori pene dell’inferno per le tre punk. L’opposizione, all’inizio piuttosto scettica sulla performance in chiesa, si è ricompattata attorno alle Pussy Riot.
Il dissenso in Russia, oggi, indossa un passamontagna fucsia.

Anna   Zafesova
(da “La Stampa“)

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IL 53% DEI PENSIONATI SONO DONNE MA PERCEPISCONO SOLO IL 44% DEI 258 MILIARDI EROGATI

Agosto 18th, 2012 Riccardo Fucile

L’IMPORTO MEDIO ANNUO DELLE PRESTAZIONI DI TITOLARITA’ MASCHILE AMMONTA A 14.001 EURO, IL 65,3% IN PIU’ DI QUELLA FEMMINILE, FERMA A 8.469 EURO

Nel 2010, dei 23.763.023 trattamenti pensionistici il 56,5% è stato erogato a donne e il 43,5% a uomini.
Le donne, pur rappresentando il 53% dei pensionati (8,8 milioni su 16,7 milioni) e più della meta’ delle pensioni, percepiscono solo il 44% degli oltre 258 miliardi di euro erogati, mentre il 56% è destinata agli uomini.
L’importo medio annuo delle prestazioni di titolarità  maschile ammonta a 14.001 euro, il 65,3% in più di quello delle pensioni di titolarità  femminile, che si attesta a 8.469 euro.
Lo rileva una indagine Istat-Inps.
La crescente prevalenza del genere femminile all’aumentare del numero di trattamenti percepiti fa sì che il divario tra uomini e donne si riduca al 43,6% se calcolato sul reddito pensionistico medio, pari a 18.435 euro per gli uomini e 12.840 per le donne. Tra il 2000 e il 2010, i differenziali degli importi medi delle pensioni e dei redditi pensionistici tra uomini e donne sono cresciuti, rispettivamente, di 5,4 e 2,3 punti percentuali.
Oltre la metà  (54,8%) delle donne percepisce meno di mille euro, contro un terzo (34,9%) degli uomini.
Il numero degli uomini (597 mila) che percepiscono un reddito pensionistico mensile pari o superiore ai 3000 euro è di oltre tre volte più elevato di quello delle donne (180 mila).
Le disuguaglianze più marcate — prosegue l’indagine Istat-Inps — si osservano tra le regioni del Nord, sia con riferimento agli importi medi delle singole prestazioni sia in relazione al reddito pensionistico dei beneficiari.
Il rapporto tra il numero di pensionati e quello della popolazione occupata — rapporto di dipendenza — è a svantaggio delle donne: 93,3 pensionate ogni 100 lavoratrici, a fronte di 55,9 pensionati ogni 100 lavoratori.
Nel 2010, le donne rappresentano il 53% dei titolari di pensioni (8.849.780) ma agli uomini spetta la quota maggioritaria della spesa complessiva (56%, pari a 144,8 miliardi di euro).
La differenza tra uomini e donne in termini di importo medio delle pensioni — 14.001 euro per gli uomini e 8.469 euro per le donne — si riflette anche nella distribuzione del reddito pensionistico medio, pari a 18.435 euro per gli uomini e a 12.840 euro per le donne.
La spesa per pensioni erogate a uomini è, nel 2010, pari al 9,33% del Pil ed è ovviamente maggiore di quella per i trattamenti erogati alle donne (7,32%).
Nel tempo, all’andamento crescente della spesa complessiva si è inoltre accompagnata una crescita del divario tra uomini e donne (con la sola eccezione dell’anno 2008): per gli uomini dall’8,08% del 2000 si e’, infatti, passati al 9,33% del 2010, per le donne dal 6,52% al 7,32%.
La distribuzione dei pensionati per numero di prestazioni evidenzia una prevalenza del genere femminile crescente all’aumentare del numero di trattamenti percepiti.
Tra i percettori di una sola pensione (che rappresentano il 67,3% del totale) la quota femminile è leggermente più bassa della maschile (48,3% sono donne e il 51,7% uomini); tra i titolari di due pensioni le donne sono il 59,8%, la quota sale al 70,9% tra i percettori di tre pensioni e arriva al 74,1% tra i titolari di quattro o più trattamenti. La maggior presenza femminile tra i percettori di due o più pensioni fa sì che, nell’analisi degli ammontare percepiti, la diseguaglianza tra uomini e donne sia minore se calcolata sui redditi pensionistici (quello percepito dagli uomini eccede del 43,6% quello percepito dalle donne) piuttosto che sugli importi medi delle pensioni (pari al 65,3%, sempre a favore degli uomini): in altre parole, il cumulo di trattamenti pensionistici sulla stessa persona, più frequente per le pensionate, compensa — seppur solo parzialmente — il piu’ basso importo medio dei singoli trattamenti.
Nel periodo 2000-2010 la forbice reddituale tra pensionati e pensionate, già  rilevante, si è ulteriormente allargata: il differenziale degli importi medi delle pensioni è cresciuto di 5,4 punti percentuali, mentre quello degli importi medi dei redditi pensionistici di 2,3 punti percentuali.

(da “Il Fatto Quotidiano“)

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ADDIO GERMANIA FELIX, I TEDESCHI ORA SONO PESSIMISTI SUL LORO FUTURO

Agosto 18th, 2012 Riccardo Fucile

PIU’ DISOCCUPATI, VENDITE IN CALO…. SCATTA L’INVIDIA PER LA SVIZZERA

Molti tedeschi, oggi, si sentono come una quarantina di anni fa: alla fine di un grande e imprevisto boom, prima di un profondo e temuto precipizio.
Non è detto che abbiano ragione, ma la sensazione esiste.
Dal 1945 – l’anno zero della Germania postbellica – ai primi anni Settanta la parte Ovest del Paese era riuscita a trasformarsi in un peso massimo dell’economia mondiale.
Le politiche del cancelliere Konrad Adenauer e del ministro dell’Economia Ludwig Erhard, il marco e il lavoro duro avevano fatto il miracolo.
Poi arrivò la crisi del petrolio, l’insicurezza e la fine della crescita.
Oggi, quarant’anni più tardi – e dopo un altro exploit economico che ha visto la Germania crescere, e tanto, mentre la crisi mordeva una buona parte del mondo – le nubi tornano ad addensarsi sui cieli di Berlino, Monaco e Amburgo.
Lo dicono i tedeschi stessi, in un sondaggio «pessimista» sul futuro con tanto di percentuale bulgara.
Innanzitutto, la quota di chi pensa che l’anno prossimo le cose peggioreranno per l’economia nazionale è passata dal 32 al 56 per cento in soli tre mesi.
Poi – nella rilevazione di Infratest Dimap, anticipata da Die Welt e Ard – la percentuale sale addirittura all’84% se entra in gioco la crisi dell’euro: tanti sono i tedeschi che pensano che il peggio debba ancora arrivare.
Eppure – ribattono all’estero – se solo la Germania fosse un po’ meno rigorosa, forse l’eurocrisi passerebbe prima per tutti.
Indipendentemente da chi ha ragione, resta comunque il fatto che la «Germania felix» di solo qualche mese fa rischia ora di perdere il fortunato aggettivo.
Ci sono poi i dati dell’economia: la disoccupazione di nuovo in salita, il mercato dell’auto in calo e gli indici manifatturieri in contrazione.
Certo, il Pil continua comunque a crescere e i tassi – qui – sono bassissimi.
Ma a inizio anno il quadro era ben più roseo, da boom.
Per capire meglio la situazione, basta dare un’occhiata allo sguardo che i tedeschi rivolgono a Sud.
Non a noi italiani, e non per questioni legate al debito.
Ma, senza valicare le Alpi, agli svizzeri.
Come quelli di lingua tedesca, spesso considerati in passato alla stregua dei cugini «più piccoli»: parlano una lingua lontana dai purismi di Goethe e Schiller – sentenziavano con un certo snobismo non pochi tedeschi metropolitani – e non hanno la potenza industriale del «made in Germany».
Eppure, adesso, la musica è cambiata.
Solo due giorni fa la ferrovia elvetica del monte Jungfrau ha compiuto 100 anni.
Qui in Germania i giornali hanno dedicato intere pagine all’anniversario.
Piene di stima.
Con i suoi 3.454 metri sul livello del mare, il punto più alto della ferrovia svizzera surclassa perfino la montagna più alta di tutta la Germania, la Zugspitze, 2.962 metri; nessuno lo ha scritto, ma in molti per strada lo hanno pensato.
Così il grande Paese dell’industria high tech si è «inchinato» alla tecnica del piccolo vicino d’oltre Reno.
Dallo snobismo all’ammirazione.
Come succede anche nella finanza, nonostante le tensioni sui conti elvetici dei paperoni tedeschi.
La banca centrale svizzera è diventata un peso massimo del mercato monetario internazionale, con una riserva di valuta estera che è ormai la sesta al mondo, capace di muovere i cambi di tante divise che un tempo ruotavano intorno alla Germania. Certo, per la Confederazione questo può anche svelare un problema (la difesa del cambio da apprezzamenti) e la Germania, grazie all’euro, è più competitiva e si finanzia a costo zero.
Ma ciò non ha impedito a molti commentatori tedeschi di parlare di «modello svizzero».
Non tanto per l’indipendenza valutaria, ma perchè, nonostante il franco forte e l’euro debole, l’export procapite di Berna supera dell’80% quello della superpotenza industriale tedesca.
Che, magari, è sempre lo stesso gigante di ieri.
Ma, adesso, meno fiducioso nel futuro.

Giovanni Stringa
(da “il Corriere della Sera”)

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“E ORA A MOSCA C’E’ LA FILA PER ENTRARE NELLA BAND DELLA PUSSY RIOT”

Agosto 18th, 2012 Riccardo Fucile

PARLA UNA DELLE MILITANTI DEL GRUPPO SFUGGITA ALL’ARRESTO…. PROTESTE IN TUTTO IL MONDO PER LA STUPIDA CONDANNA

E adesso a Mosca per diventare Pussy Riot, c’è la fila. Altro che veline.
Le teenager sognano di entrare nella punk band più scandalosa dell’anno. Anche dopo la condanna.
E a quanto si mormora, tra le fan del gruppo ci sono anche le figlie di alcuni funzionari del Cremlino.
Tutte pronte a infilare passamontagna colorato, abitini e calze fluo.
«Ci scrivono ogni giorno per candidarsi, sempre di più, sul nostro indirizzo mail che è quello dove anche Bjork ha mandato la sua lettera. Sono tutte colte e istruite, di solito universitarie».
A rivelarlo è «Shumaher», «rumorista» in russo, una delle Pussy della prima leva, il gruppo originario che contava 10 persone.
La incontriamo in un luogo di arte frequentato dai moscoviti trendy.
Il nomignolo per coprire l’anonimato, una delle regole del gruppo, per sfuggire agli arresti.
Non può dire a quale delle azioni della band ha partecipato, ma in uno dei video mostrati al processo si distingue anche la sua voce.
Si dice atea e uno dei suoi soprannomi, «ikonoklast», la dice lunga.
È una delle più «anziane», 32 anni, e ha incontrato Madonna nel backstage prima del concerto in cui la star ha sostenuto le Pussy in carcere: «Un’idea sua, non nostra».
Ora il gruppo si è allargato a una ventina, inclusi volti seminoti della piazza, insospettabili.
Molte vengono dalla prestigiosa Università  Lomonosov o dalla Scuola d’arti visuali Rodchenko della capitale, hanno partecipato alle proteste dello scorso inverno, fanno attività  politica varia, anche nel giro Lgbt.
C’è anche una fisica che crede in Dio, traduttrici e artiste.
Modelli di riferimento: band punk e attiviste come le Bikini Kill, Riot Girrlls, Guerrilla Girls.
«Tutte possono essere Pussy Riot, anche tu», questo è il messaggio.
Basta il passamontagna? «No, devi essere pronta a partecipare alle nostre azioni, anche le più rischiose»: ce ne saranno di nuove presto, promette, si danno ogni volta il cambio. «E ovviamente condividere le nostre idee».
Quali? Il femminismo, dice Shumaher, che in Russia è quasi una parolaccia, o un peccato mortale come si è sentito in aula.
Putin macho e machista, la Russia «patriarcale», «sessisti» anche Lenin e Stalin, ma non solo: «Il fulcro è la lotta contro l’autoritarismo. La Russia è avviata su una strada catastrofica. Non abbiamo una società  con uno sguardo progressista, il potere si regge sulle vittime della propria attività  e la gente in prigione… bisogna lottare contro questo».
Obiettivo: allargare le proteste.
Due delle sei partecipanti al blitz nella cattedrale, sfuggite all’arresto, si nascondono da febbraio, una sarebbe all’estero.
Ma secondo Shumaher, «i servizi sanno perfettamente chi sono, e chi siamo noi, le altre del gruppo. Ci controllano i telefoni, leggono la nostra posta, un sistema classico del Kgb».
Perchè non le arrestano? «Non vogliono gonfiare ancor più il caso. Cinque ragazze belle e in gamba in gabbia, sarebbe troppo».
Diverse Pussy nei giorni del processo girellavano indisturbate intorno al tribunale.
Ma Nadia, Katia e Masha, perdendo l’anonimato ormai «sono fuori dal gruppo».
Nel frattempo si sono trasformate in un fenomeno mondiale, con imitatori dalla Finlandia a New York.
A occuparsi delle pr, incontrando decine di giornalisti ogni giorno, e parlando in inglese alla Cnn, è Piotr Verzilov, giovane marito di Nadia Tolokonnikova e attivista con lei dal 2007 del discusso gruppo Voina.
Si aspettava che sua moglie divenisse un’icona dissidente ricercata da Playboy?
Intanto una galleria moscovita apre una mostra dal titolo «Arte sulle barricate» con tanto di libro: le Pussy vi fanno la parte del leone.
«Sono artiste-attiviste, e devi essere pronto a tutto», dice Verzilov.
Nemmeno una lacrima per la moglie in gabbia, la performance nella cattedrale è un successo: «Ha provocato enorme dibattito, che può accelerare il cambiamento, ecco il nostro scopo, questo è un momento cruciale per la Russia. E ormai anche le nonne di provincia conoscono le Pussy Riot».
La rivoluzione passa anche per il pop.

Lucia Sgueglia
(da “La Stampa”)

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