LA VENDETTA DEL PATRIARCA IMBARAZZA PUTIN: L’OPPOSIZIONE IN RUSSIA VESTE IL COLORE FUCSIA
NELLA VICENDA DELLE PUSSY RIOT PER IL CREMLINO QUALUNQUE MOSSA PEGGIORA SOLO LA SITUAZIONE… IL RICATTO DELLA CHIESA ORTODOSSA E UNO ZAR IN DIFFICOLTA’
Una condanna esemplare a tre giovani ragazze, esibite per mesi alle telecamere di tutto il mondo nella gabbia di un tribunale, ammanettate come assassine pericolose, incarcerate nonostante figli piccoli per una performance in una chiesa, avrebbe confermato agli occhi dell’opinione pubblica occidentale – e della sempre più cospicua componente critica interna – l’immagine del potere di Putin come autoritario e repressivo.
Un’assoluzione, sotto la pressione delle rock star di fama mondiale e delle Ong come Amnesty che dichiara Maria, Nadezhda ed Ekaterina prigioniere di coscienza, avrebbe rovinato l’immagine dello zar come uomo forte che non si piega alle pressioni dell’Occidente, e tolto sicurezza al suo sistema di potere, dalla giustizia che non rilascia mai le sue vittime alla chiesa che si propone, riprendendo le tradizioni zariste, come ingranaggio del meccanismo statale.
Di solito, in situazioni analoghe – come nel caso Khodorkovsky – Putin finora ha sempre scelto la linea dura.
Stavolta, la riduzione della pena di un anno rispetto a quanto richiesto dall’accusa, dopo che il presidente aveva detto di sperare in una condanna «non troppo severa», fa pensare a un’improvvisa sensibilità nei confronti delle critiche.
A Mosca gira voce che la punizione esemplare delle Pussy Riot fosse stata chiesta al Cremlino dal patriarca Kirill, come una ricompensa per l’appoggio elettorale di Putin e balsamo sulle ferite dopo una serie di polemiche sul lusso in cui abitava il primate della chiesa ortodossa russa.
Una versione che punterebbe a discolpare il potere secolare, un «favore» concesso a un fedele alleato.
Questo spiegherebbe perchè la giudice Syrova ieri aveva insistito tanto sul carattere «non politico» del verdetto, arrivando a dichiarare che nella esibizione incriminata nella cattedrale di Mosca «non venivano menzionati nomi di politici» (la «punk-preghiera» si intitolava «Madre di dio, caccia Putin). E anche l’improvvisa richiesta di «clemenza» fatta allo Stato, a sentenza pronunciata, dall’Alto consiglio della chiesa russa.
E si parla già di un rinvio della pena, almeno per le due Pussy giovani mamme.
Un tentativo di compromesso insolito per le tradizioni del potere russo.
Il 43% dei russi che avrebbe voluto le punk in galera per almeno 7 anni resta comunque deluso.
Nel frattempo le tre ragazze sono diventate oggetto di attenzione di rockstar e cancellerie internazionali.
Al mondo è stato proposto un processo che di fatto si è trasformato in un giudizio sulla blasfemia, e da una chiesa i cui alti esponenti invocavano invece del perdono cristiano le peggiori pene dell’inferno per le tre punk. L’opposizione, all’inizio piuttosto scettica sulla performance in chiesa, si è ricompattata attorno alle Pussy Riot.
Il dissenso in Russia, oggi, indossa un passamontagna fucsia.
Anna Zafesova
(da “La Stampa“)
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