Agosto 23rd, 2012 Riccardo Fucile
PREMIO DI MAGGIORANZA DEL 15%… SBARRAMENTO AL 5%, MA CON CLAUSOLA SALVA-LEGA… PARTE DEI PARLAMENTARI NOMINATI DAI PARTITI… UNA RIFORMA FATTA SU MISURA PER ARRIVARE A UNA GRANDE COALIZIONE
L’accordo sulla legge elettorale? Ancora non c’è, ma per il 29 agosto, quando tornerà
a riunirsi la commissione competente in Senato dovrebbe esserci un testo base.
In realtà le questioni sul tavolo non sono di piccolo conto, visto che mai come in questo genere di cose il diavolo è nei dettagli.
Il trio delle meraviglie che gestisce la partita — Denis Verdini per il Pdl, Maurizio Migliavacca per il Pd e Lorenzo Cesa per l’Udc — tornerà a riunirsi lunedì o martedì e quello dovrebbe essere l’incontro in cui i tre alchimisti produrranno la pietra filosofale in grado di tenere in vita i loro committenti, i partiti della maggioranza montiana.
Per alcuni l’esito di questa accelerazione è il voto a novembre, altri — come il costituzionalista Stefano Ceccanti — segnalano che è impossibile andare al voto così presto avendo da ridisegnare i collegi.
Ecco dunque, sempre che non salti il tavolo, una breve rassegna di quanto deciso finora.
COME LA GRECIA.
Il premio di maggioranza andrà al partito e non alla coalizione.
Era una delle richieste del Pdl e anche il Pd alla fine ha capito che gli conviene.
Sarà del 15% visto che questa soglia è stata considerata inprescindibile da Pierluigi Bersani: “Non un punto di meno”, ha avvertito.
Curiosamente l’unico altro paese europeo che ha un sistema del genere è la vituperata Grecia: ad Atene il partito che vince si becca un premio di 50 seggi alla Camera, pari al 16,6% dei posti disponibili.
Similitudine che non pare imbarazzare i proponenti.
L’AMMUCCHIATA.
Il sistema che si profila è largamente proporzionale: se non fosse per il premio di maggioranza saremmo ai bei tempi di Mariano Rumor.
Col bonus al partito anzichè alla coalizione non c’è alcuno spazio per le alleanze pre-elettorali, i governi si decideranno dopo il voto.
Scenario perfetto per quanti — come il presidente della Repubblica — sostengono l’ipotesi di un nuovo governo Monti (o para-Monti) anche dopo le prossime elezioni.
Simile, ma diversa la partita che su questo punto giocano Bersani e Casini: l’accordo per allearsi dopo il voto (col democratico a palazzo Chigi) c’è già — magari tirando dentro anche Vendola e Sel, ma non Di Pietro — solo che non si può dire prima, pena la perdita di pezzi consistenti di elettorato che giudicano questo accordo contro natura (questo è valido in particolare per l’Udc che, dicono i sondaggi, lascerebbe per strada circa la metà dei suoi voti).
LISTE BLOCCATE.
Croce e delizia dei partiti, resteranno anche nella legge elettorale prossima ventura per circa un terzo degli eletti: così i caporioni dei partiti potranno ancora nominare circa 200 deputati e 100 senatori.
Peraltro, faranno finta di non farlo più: restringendo le circoscrizioni, che ad oggi sembra l’orientamento prevalente, nel listino deciso a Roma ci saranno al massimo quattro nomi.
Potrebbero finire persino sulla scheda dando l’illusione di una vicinanza fittizia tra eletto ed elettore.
SALVA-LEGA.
Siccome il Carroccio se la passa male e non è certo di raggiungere la soglia nazionale del 5% alla Camera (al Senato potrebbe essere all’8%), i tre saggi hanno pensato bene di introdurre una sorta di clausola di salvaguardia per gli amici padani.
In Parlamento potranno entrare anche i partiti che non superano il minimo, ma che portano a casa comunque l’8% in almeno tre regioni (in un’altra versione si parla di cinque circoscrizioni elettorali ma il principio è lo stesso).
I leghisti, dunque, potranno allietare la vita anche del prossimo Parlamento, mentre rischiano movimenti della stessa consistenza, al momento, come Sel o Italia dei Valori: avendo più o meno le stesse percentuali in tutta Italia gli sarebbe difficile raggiungere l’8% in tre regioni.
COLLEGI SI’, MA PROPORZIONALI.
Il kamasutra elettorale vero, però, è quello dei collegi uninomali proporzionali, che eleggeranno la maggior parte del prossimo Parlamento. Attenzione all’ultima parola.
Si dice: c’è il collegio, la gente vota il candidato.
Non è vero: i voti di ogni collegio vengono poi raggruppati per circoscrizione (quando grande, ancora non si sa) e i seggi assegnati proporzionalmente ai candidati che hanno preso la percentuale più alta nei singoli collegi. Insomma, non è affatto detto che chi prende più voti in un collegio venga eletto, nè che chi ne prende meno sia escluso.
È quello che potremmo definire “il paradosso di Firenze centro”: il Pd non riuscirà mai ad eleggere nessuno in quel collegio perchè le sue percentuali nel contado sono ancora più alte, anche se i voti assoluti inferiori.
Per di più, questo sistema — già in uso per le province — lascia ampi margini di accordi sottobanco ai leader dei partiti, soprattutto al Sud, dove ancora esistono i pacchetti di voti: mettimi un candidato scarso in quel collegio così eleggo il tizio che mi piace e io farò lo stesso con uno tuo.
Per evitarlo, qualcuno propone il recupero dei “migliori non eletti”
Quel che manca è tantissimo.
Finchè non si sa quali saranno le circoscrizioni per i collegi e quelle per i listini bloccati non è chiaro quali saranno gli esiti: più sono piccoli, più l’effetto maggioritario è più intenso e viceversa.
La partita è tutta lì: tra il ritorno completo al proporzionale (rappresentanza) e una distorsione che privilegi i partiti più grandi (governabilità ) è solo questione di misure.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 23rd, 2012 Riccardo Fucile
L’OCCUPAZIONE AI TEMPI DELLA CRISI: AUMENTA ANCHE IL NUMERO DI CHI PASSA LA NOTTE IN UFFICIO
Evidentemente in Slovacchia ci sarà qualche regola particolare che trasforma i lavoratori in vampiri.
Sono proprio gli slovacchi, infatti, a guidare con uno scarto davvero anomalo la classifica della percentuale di occupati che lavora abitualmente di notte, con il 18,3 per cento del totale. Distanziando i britannici (11,3%) e i maltesi (11,1%).
I tedeschi, con il loro 9,6%, si collocano decisamente al di sopra della media europea, che è del 7,8 per cento.
Noi italiani, invece siamo pochi decimali al di sopra della media dell’Ue, con l’8,1%.
I più fortunati a quanto pare sono i ciprioti, che con il loro 2,5% di occupati che lavorano di notte sono i recordman assoluti in senso opposto.
Seguono polacchi (3,2%) e portoghesi% (3,3%).
Chissà che ben presto non vengano raggiunti anche loro dai benefici effetti della globalizzazione.
Sì, perchè lavorare di notte, dicono tutti gli esperti, non è naturale, e fa male alla salute.
Anche se lo vogliono i «mercati» – la spiegazione apodittica e definitiva con cui oggigiorno si motiva ogni richiesta di sacrificio a chi lavora o paga le tasse – una montagna di studi certificano che noialtri esseri umani siamo costruiti da migliaia di anni sulla base di processi fisiologici (il metabolismo basale e i cosiddetti ritmi circadiani), psicologici (la memoria a breve termine) e sociali (l’interazione con la famiglia e le altre persone) che prevedono di essere attivi di giorno e inattivi di notte.
Lavorare di notte sconvolge tutto questo: si verificano più infortuni, dicono le statistiche dell’Inail, si moltiplicano le malattie e gli stati di stress, si fa una vita isolata dal resto della compagine sociale.
Un prezzo che molti pagano (volontariamente o meno) pur di sbarcare il lunario. A maggior ragione in questi tempi di crisi.
Probabilmente non fa così male invece lavorare il sabato e la domenica, quando cioè la maggioranza degli italiani si riposa. In questa classifica, secondo i dati elaborati dalla Fondazione Hume, stavolta siamo noi italiani i forzati del sabato su scala europea.
Se in media nell’Unione Europea il 22,4% dei lavoratori occupati lavora abitualmente il sabato, in Italia arriviamo addirittura al 30 per cento, battendo di poco i cugini (poverissimi) della Grecia, con il 29,4%.
Staccati di un bel po’ seguono i francesi, con il 26,6%, e poi i tedeschi, con il 24,5%. Dalla parte opposto della classifica troviamo ancora una volte Portogallo (7,5%) e Polonia (7,9%), dove oltre alla notte anche il sabato festivo è più che mai sacro e intoccabile.
Il sabato lavoriamo; la domenica in Italia si lavora un po’ di meno.
Nel senso che nonostante tutto, evidentemente, i reiterati veti della Chiesa Cattolica Romana in qualche modo hanno frenato le velleità modernizzatrici.
La media di chi lavora abitualmente di domenica nei 27 paesi dell’Unione Europea è del 12,2 per cento; l’Italia è lì, con un ragionevole 11,9%.
In testa alla classifica ritroviamo i poveri slovacchi, che a quanto pare sono costretti a nottate e domeniche in fabbrica e ufficio: il 20,8 per cento.
Dalla parte opposta – e anche questo non può essere un caso, ma un chiaro segnale di un mercato del lavoro diciamo così «tradizionale» – ecco ancora una volta Polonia (3,3 per cento) e Portogallo (4,1 per cento).
In questi paesi notte e weekend non si toccano, l’abbiamo capito ormai.
Viene però da chiedersi: complessivamente, ogni settimana, quanto lavoriamo?
Se guardiamo i numeri che riguardano soltanto i dipendenti a tempo pieno, beh, noi italiani ce la caveremmo abbastanza a buon mercato.
Nel senso che se la media europea è di 40,4 ore settimanali effettivamente lavorate (straordinari compresi), l’Italia è in fondo alla classifica, con sole 38,8 ore.
Peggio (o meglio, a seconda dei punti di vista) di noi fanno solo irlandesi e danesi, mentre gli inglesi addirittura lavorano 42,2 ore.
Il discorso cambia e non poco considerando gli orari di tutti gli occupati: siamo esattamente nella media europea (37,5 ore contro 37,4 di media).
Quelli che lavorano più di tutti sono i valdostani, con 38,4 ore, seguiti di poco da campani e piemontesi; quelli che lavorano meno sono nel giro di pochi decimali (intorno a 36,6 ore) calabresi, sardi, siciliani e laziali.
Tornando all’Europa, non si può non notare che quelli che lavorano più di tutti nell’intero Vecchio Continente sono i greci: 42,1 ore, quasi sette più dei tedeschi.
Sarà per questo che ai poveri ellenici continueranno a tagliare ancora le buste paga e le ferie.
Roberto Giovannini
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Agosto 23rd, 2012 Riccardo Fucile
TRA LE PROFESSIONI PIU’ RICERCATE FISIOTERAPISTI E OTTICI, MA ANCHE GRUISTI E SALDATORI
Esperti in trivellazione di pozzi petroliferi, ottici e fisioterapisti. 
Per queste categorie lavorative l’agognato contratto di assunzione sarebbe cosa fatta. Peccato che non si trovino candidati sufficienti.
Si parla sempre di crisi occupazionale, di giovani in perenne e infruttuosa ricerca di lavoro eppure esistono professioni per le quali le aziende sognerebbero di assumere e non riescono invece a trovare candidati.
L’elenco è vario e copre settori molto diversi tra loro.
A guidare la classifica dei lavori più difficili da reperire troviamo appunto il personale specializzato nella trivellazione di pozzi di petrolio, con il 65,4% di assunzioni considerate dai datori di lavoro impossibili da effettuare a causa della mancanza di candidati.
E, nel caso, sono necessari più di due mesi per trovarne uno.
Stessa situazione per gli ottici che si piazzano al secondo posto (59,1%) e un tempo di ricerca previsto di oltre tre mesi.
Fisioterapisti e riabilitatori sono sul podio con il 36,5% e si dovrebbe riuscire a trovarne uno in un mese e mezzo.
Nella classifica naturalmente troviamo gli ingegneri, sia elettrotecnici che meccanici, ma per esempio questi ultimi sono meno richiesti dei più umili carpentieri specializzati (19,6%) e camerieri (19,7%).
A pari merito (23,1%) addetti al confezionamento di maglie e tessuti e gruisti. Difficili da reperire anche i saldatori: 13,4% e in media oltre 4 mesi di attesa.
Nelle parti più alte della classifica troviamo poi le professionalità collegate al settore sanitario: dagli infermieri (31,4%) agli assistenti sanitari a domicilio (28,5%).
Le cifre sono il frutto della rielaborazione della fondazione Hume e si basano sui dati raccolti dal sistema Excelsior di Unioncamere.
Il motivo per cui è difficile reperire il personale adatto è dovuto a due fattori: il ridotto numero di candidati disponibili oppure la loro inadeguatezza.
Il picco massimo in quest’ultimo caso lo raggiungono gli addetti alla pavimentazione (36%) seguiti dai valigiai (22,4%).
Sarà che nel mondo globalizzato è necessario spostarsi e per farlo servono trolley e borsoni, ma i valigiai — oltre a piazzarsi settimi nella classifica dei lavori più difficili da reperire — riservano un’ulteriore sorpresa: per riuscire a trovarne uno il tempo di ricerca è il più alto di tutti (in media nove mesi), seguiti a ruota dai conciatori (sei mesi) e i meccanici (5 mesi).
Nell’ultima rilevazione di Unioncamere, nonostante le assunzioni nel secondo trimestre dell’anno siano in calo e la crisi continui a mordere il mercato del lavoro, per specialisti della formazione e della ricerca, operai specializzati e conduttori di impianti nell’industria alimentare, tecnici della sanità e dei servizi sociali potrebbe profilarsi la rosea prospettiva di un’assunzione.
Per effetto della stagionalità o per specifici processi di riorganizzazione in atto nelle imprese, la richiesta di questi profili professionali risulta infatti in sensibile aumento rispetto al trimestre precedente, consentendo di scalare diversi gradini di un’ipotetica graduatoria delle professioni più richieste dal sistema imprenditoriale per i mesi di luglio-settembre.
In termini assoluti a farla da padrone restano cuochi, camerieri e le altre professioni dei servizi turistici, sebbene anche per queste professioni si profili un rallentamento della domanda rispetto al secondo trimestre di quest’anno.
«Una politica per favorire l’occupazione dei giovani deve puntare innanzitutto a ridurre la distanza tra quello che le imprese cercano e quello che la scuola e l’università offrono» sostiene Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere «formazione e mondo del lavoro devono parlarsi di più. La trappola in cui molti giovani cadono si apre subito dopo la conclusione del ciclo scolastico».
Forse è il caso di imparare a costruire le valigie, invece che farle per cercare lavoro fuori dall’Italia.
Rosaria Talarico
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Agosto 23rd, 2012 Riccardo Fucile
PUBBLICATA L’ANNUALE CLASSIFICA DI “FORBES”: L’ETA MEDIA E’ DI 55 ANNI, LA PIU’ GIOVANE E’ LADY GAGA, MICHELLE OBAMA SOLO SETTIMA
La cancelliera Angela Merkel è la donna più potente del mondo. Al secondo posto il segretario di Stato americano Hillary Clinton.
Il presidente brasiliano Dilma Rousseff si piazza in terza posizione.
È quanto emerge dalla consueta classifica annuale di Forbes nella cui lista annuale compaiono politiche, imprenditrici e personaggi dei media.
Merkel si aggiudica il titolo di più potente del mondo per la quinta volta in sei anni.
TESTA A TESTA
Unica italiana Miuccia Prada al 67esimo posto (alle spalle di Angelina Jolie) migliorando la posizione ottenuta lo scorso anno, quando si piazzò 79esima.
Anche nel 2011 la Prada era l’unica italiana presente nella classifica, dopo l’uscita dalla classifica di Marina Berlusconi, che nel 2010 si era piazzata al 48esimo posto. La stilista milanese è presente anche nella classifica dei miliardari di Forbes, dove compare al 139esimo posto, con un patrimonio di 6,8 miliardi di dollari.
INFLUENZA
«Queste donne di potere esercitano influenza in modi molto diversi e con finalità molto differenti, e tutte con impatti molto diversi sulla comunità globale», dice Moira Forbes, presidente ed editore di ForbesWoman.
La rivista segnala la risolutezza di Merkel nel difendere l’Unione europea e la sua influenza sull’attuale crisi del debito della zona euro.
L’età media delle 100 donne, che provengono da 28 paesi diversi, è di 55 anni.
Tra le prime cinque in classifica, ci sono anche Melinda Gates, co-presidente della Fondazione Bill & Melinda Gates e moglie del fondatore di Microsoft, e Jill Abramson, direttrice del New York Times.
DA MICHELLE A GAGA
Al sesto posto Sonia Ghandi, capo del Partito del Congresso in India, davanti alla First Lady statunitense Michelle Obama (che nel 2010 era al numero 1) e a Christina Lagarde, direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, che guadagna una posizione rispetto allo scorso anno.
Al 14esimo posto si trova Lady Gaga, che con i suoi 26 anni è la più giovane delle donne al top.
La Regina Elisabetta (26esima) è invece la più attempata (86 anni).
(da “il Corriere della Sera“)
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Agosto 23rd, 2012 Riccardo Fucile
IN ARRIVO TAGLI IN TUTTI I PRINCIPALI ISTITUTI DI CREDITO…SI INIZIA CON MPS, UBI E BPM
Oggi ci sarà un nuovo incontro tecnico tra i sindacati e il Montepaschi (probabilmente
altri ne seguiranno a ruota) la prossima settimana partirà il confronto con Bpm e Ubi; da settembre si comincia con Unicredit e Intesa (in entrambe le grandi banche, peraltro, a luglio ci sono già stati scioperi) per trattare su esuberi, riorganizzazioni, chiusure di sportelli.
Il termometro della febbre, negli istituti di credito, segna temperature alte e soprattutto crescenti. “Alla ripresa autunnale mi aspetto che le banche cerchino di trovare il modo per espellere almeno 20.000 lavoratori: a questo progetto folle ci opporremo con ogni nostra forza”, spiega Lando Sileoni, segretario generale della Fabi.
Già ora, tra stime semi-ufficiali e piani industriali, si prevedono circa 19.000 esuberi e 2.720 sportelli da chiudere entro il 2015, in un settore che attualmente conta 330 mila dipendenti (dopo aver perso dal 2001 ad oggi 35 mila lavoratori con i prepensionamenti volontari e incentivati, un presupposto che ora qualche banca sta cercando di mettere in discussione).
Ci sono anche casi-limite: ad esempio a Cariparma (Credit Agricole) il piano industriale prevedeva 360 pre-pensionamenti e le domande arrivate sono state 700; ora si sta trattando per accoglierne il maggior numero possibile.
Sul versante opposto Bnl (Bnp Paribas) per il momento ha procrastinato l’uscita dei 370 esuberi, già decisi nel 2011, per verificare alla luce dei decreti governativi qual è la sorte di chi va in pensione anzitempo.
Il problema sta complicando ulteriormente la trattativa anche a Intesa, dove le vecchie previsioni di esuberi, 4.500 persone, sono state bloccate per l’entrata in vigore della riforma Fornero (e le trattative che partiranno in settembre riguarderanno appunto le nuove forme di risparmio sul costo del lavoro).
C’è poi chi oltre a chiudere sportelli ne vuole aprire di nuovi (ad esempio Bper ne taglierà 50 ma ne aprirà 25 in altre aree) ma la tendenza è in genere opposta (Ubi oltre alle chiusure – o vendite – prevede la riconversione in mini-sportelli di altre 78 agenzie).
“Abbiamo firmato da pochi mesi un contratto di lavoro collettivo difficile, ora ci aspettiamo che venga rispettato e applicato integralmente, nelle trattative in corso; non servono altri accordi nazionali”, aggiunge Agostino Megale, segretario generale della Fisac-Cgil.
Semmai, i sindacati aspettano di veder pubblicato il decreto attuativo sugli ammortizzatori sociali nel settore del credito (che dovrebbe essere stato firmato dal ministro dell’Economia Vittorio Grilli nei primissimi giorni di agosto), con il nuovo Fondo e i contratti di solidarietà .
Il primo e forse più aspro banco di prova è su Mps.
Dove i sindacati sono fortemente contrari all’esternazionalizzazione di 2.360 lavoratori (e in parte alla chiusura degli sportelli: “Certi banchieri sono come i piromani, bruciano il territorio di appartenenza, chiudendo gli sportelli, e restano impuniti”, dice Sileoni, riferendosi non solo a Mps).
Nel corso degli ultimissimi incontri ci sono state aperture, da domani si ricomincia a discutere.
Vittoria Puledda
(da “La Repubblica”)
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Agosto 23rd, 2012 Riccardo Fucile
LE NUOVE REGOLE SUGLI INGRESSI OMAGGIO ALLO STADIO: SORTEGGIATI META’ DEI 330 TAGLIANDI TRA SCUOLE, CENTRI ANZIANI E DIPENDENTI… RIDOTTI DA 50 A 20 I POSTI VIP
È il primo taglio – ma non ancora quello definitivo – di privilegi ai vip.
Da domenica, data di inizio campionato, a San Siro si cambiano le regole: i biglietti per le partite a disposizione del Comune verranno distribuiti con criteri più rigidi di quanto non sia avvenuto fino a giugno.
Cercando di evitare discrezionalità e “affezionati delle poltroncine”, ma senza toccare ancora i tagliandi gratuiti per assessori, consiglieri e dirigenti di Palazzo Marino.
Il piano di revisione degli ingressi al Meazza è stato messo a punto nelle scorse settimane, e prevede – innanzitutto – che la gestione dei biglietti non sia più in carico al cerimoniale del Comune nè al Gabinetto del sindaco, ma sarà l’assessorato allo Sport a occuparsene.
Seguendo un nuovo schema: 160 dei 330 biglietti per ogni evento sportivo previsti dalla convenzione tra il Comune e il consorzio San Siro 2000 (formato da Milan e Inter) saranno, già da domenica, assegnati in pianta stabile alla “città ”, ovvero a scuole (100 biglietti), centri socioricreativi per anziani (20), dipendenti comunali (30) e polizia penitenziaria (10).
Una novità , questa, perchè finora i biglietti destinati alla città – dalle associazioni agli studenti – erano dati in modo totalmente discrezionale, creando anche qualche gelosia tra fortunati e non.
Sparsi per tutto lo stadio i posti in questione: dieci potranno sedersi nel primo anello rosso, 60 nel primo arancio, 70 nel primo blu/verde e 20 nel terzo anello.
Almeno per i biglietti destinati ai dipendenti comunali la procedura per la distribuzione è già stata comunicata l’altro ieri con una circolare interna a Palazzo Marino, che spiega come la distribuzione di due biglietti a testa avverrà per ogni partita con un sorteggio fatto in modo automatico da un programma informatico.
Le polemiche maggiori, a inizio estate, avevano ovviamente riguardato il privilegio dei biglietti gratis ai politici: difeso, e non considerato tale, da molti di loro, e in modo bipartisan.
Il nuovo regolamento non li cancella, ma li rende nominali: chi li riceverà , quindi, potrà anche regalarli ad amici o parenti, come avviene oggi, ma i nomi dei reali utilizzatori saranno registrati e, di conseguenza, più controllabili.
I 150 ticket, tutti nel primo anello rosso, andranno ai dodici assessori, al direttore generale, alla segreteria generale, ai 48 consiglieri comunali, al direttore centrale del settore Sport, ai 9 presidenti e presidentesse dei consigli di Zona: ognuno avrà diritto a due biglietti a partita, i vigili del fuoco (non in servizio, ovviamente) ne avranno quattro.
Non si sa quanti, in questa categoria, rinunceranno a ritirare i biglietti (per ora l’ha già fatto il capo di Gabinetto, Maurizio Baruffi).
Ultima categoria, ma solo dal punto di vista della quantità , quella dei biglietti di rappresentanza: fino a giugno erano 50, sui 320 totali a partita, i posti riservati al Comune nella tribuna autorità , ma i nuovi accordi studiati dall’assessore Chiara Bisconti con il consorzio San Siro prevede che scendano a 20 (di cui 4 per il sindaco), permettendo così di aumentare da 320 a 330 i biglietti gratis totali recuperandoli in settori meno nobili dello stadio.
La sperimentazione durerà fino alla fine del campionato, e solo allora si deciderà se dare un altro giro di vite alla convenzione, cosa che chiede da tempo Marco Cappato, il consigliere dei Radicali che – come pochi altri colleghi, vedi il pd Carlo Monguzzi – organizza riffe gratuite e iniziative simili su Facebook per regalare i biglietti a sua disposizione.
E proprio Cappato commenta su Twitter: «Appurato che 30 biglietti su 320 andranno a dipendenti del Comune, resta da capire quanti ne saranno distribuiti attraverso lotteria. Dopo 13 mesi di restituzione biglietti, proprio attraverso una mia personale lotteria gratuita su Internet, attendo fiducioso».
Oriana Liso
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Agosto 23rd, 2012 Riccardo Fucile
DAGLI AEROPORTI ALLE CITTA’ E ALL’AGENDA DIGITALE: IL PIANO PER RILANCIARE L’ECONOMIA: ECCO GLI INTERVENTI PRINCIPALI
Un Consiglio dei ministri dedicato alla crescita. Il primo dopo la breve pausa estiva,
avrà domani sul tavolo i dossier dei ministri per rilanciare l’economia italiana.
A partire dal secondo pacchetto “sviluppo” che il ministro Passera ha già preparato.
E che prevede sei importanti Piani, da realizzare entro la fine dell’anno: aeroporti, città , energia, digitale, infrastrutture, imprese.
Sullo sfondo, avanza con forza l’emergenza giovani, la “generazione perduta”, come l’ha definita il premier Monti.
E l’esigenza di fare un primo check up alla riforma del lavoro.
Intanto, il viceministro allo Sviluppo, Mario Ciaccia, ha annunciato ieri l’esenzione dall’Iva sulle nuove opere 1infrastrutturali.
Una proposta che sarà valutata, come ha promesso il sottosegretario Catricalà , anche per “la sua compatibilità finanziaria ed europea”.
Ma che per ora riceve il plauso di Confindustria, Ance (costruttori), Autostrade per l’Italia e Cassa depositi e prestiti.
“Calcolando un fabbisogno di infrastrutture pari a 300 miliardi, da qui al 2020 – spiega Ciaccia – la sterilizzazione dell’Iva potrebbe valere 5-6 punti di Pil, ovvero 80 miliardi”, tra investimenti di privati e indotto.
“In pratica, è come sottrarre a quei 300 miliardi i 50 dell’Iva, in media del 18% nel settore delle costruzioni, ma senza togliere un euro all’Erario che poi recupererà in abbondanza dall’opera stessa, generatrice di altra Iva, e dagli stipendi creati”. Il governo punta così a rilanciare le “grandi opere”: autostrade, porti, interporti, rigassificatori.
Il piano città : 2 miliardi per riqualificare i quartieri
Il Piano città da due miliardi per riqualificare le aree urbane degradate è ai blocchi di partenza.
Nei giorni scorsi è stato firmato il decreto attuativo che indica i criteri di scelta dei progetti e sposta al 5 ottobre la scadenza per la loro presentazione da parte dei Comuni interessati. In realtà , molti enti sono già pronti.
Da sole, le proposte delle 16 grandi città valgono 1 miliardo e 250 milioni.
Tra queste, Roma con il piano per Pietralata. Milano con Bovisa Gasometri e Porto di Mare. Napoli per l’area a ridosso del porto. Firenze per una parte della Leopolda. Bologna per una nuova edilizia sociale. E Genova per scuole e zone industriali.
E così via, con asili nido, parcheggi, scuole, ma anche aree di pregio.
I progetti arrivati sinora all’Anci sono 50, ma si potrebbe salire a 100. Il ministero dello Sviluppo intanto ha stanziato i primi 224 milioni.
Altre risorse arriveranno dal programma di risanamento energetico delle scuole (100 milioni) e dal Fia, il Fondo per l’abitare della Cassa depositi e prestiti che ha in dote 1,6 miliardi.
La cabina di regia del Piano, istituita dal decreto, si riunirà per la prima volta il 7 settembre. Ne fanno parte rappresentanti di enti locali, ministeri, Cdp e Demanio e dovranno votare i progetti pubblico-privati.
Agenda digitale. Bonus fiscali per la moneta elettronica
Molto attesa da imprese e cittadini, nonchè spesso annunciata e poi dimenticata, l’Agenda digitale sembra in dirittura d’arrivo.
Il progetto ha bisogno, per partire, tra i 300 e 400 milioni di euro che saranno recuperati dal ministero dello Sviluppo tra fondi regionali e comunitari riprogrammati. L’obiettivo è portare il Paese a velocità digitali compatibili con l’analoga Agenda europea: 2 mega al secondo per il 2013, 30 mega entro il 2020.
Non solo banda larga, però.
Il Piano prevede il rilancio di moneta e commercio elettronico, agevolando gli acquisti su Internet con sconti fiscali, la digitalizzazione di scuole, tribunali, ospedali e di tutta la pubblica amministrazione, l’alfabetizzazione digitale degli italiani.
E ricomprende pure i due progetti sul fascicolo sanitario elettronico e l’anagrafe centralizzata.
Le risorse pubbliche, anche qui, dovranno essere in grado di attirare corposi investimenti privati, stimati dal dicastero di Passera in 3 miliardi.
Parte del Piano è anche la predisposizione di potenti Data center, collocati nel Mezzogiorno a partire dalla Sardegna e finanziati da fondi Ue, che metteranno in comunicazione 7-8 mila server delle amministrazioni statali, per tagliare i costi e accrescere l’efficienza.
I trasporti. Fusioni per bus e treni locali
La novità più interessante del nuovo pacchetto crescita è arrivata ieri dal Meeting di Rimini, dove il viceministro allo Sviluppo, Ciaccia, ha annunciato l’esenzione totale dall’Iva per tutte le nuove opere infrastrutturali.
La proposta, che presto potrebbe diventare provvedimento, ha ricevuto subito il plauso di Confindustria (“Le nuove misure vanno nella giusta direzione”, ha commentato il presidente Squinzi), ma anche dei costruttori dell’Ance, di Autostrade per l’Italia e del presidente della Cassa depositi e prestiti, Bassanini che ha auspicato una sua estensione anche alle tlc.
L’idea è quella di “sterilizzare” l’Iva – in fase di costruzione dell’opera e in una prima fase di gestione – alle imprese che investiranno in “strade, autostrade, porti, interporti, alta velocità , energia, termovalorizzatori”, spiega Ciaccia.
E il tutto “senza sottrarre un euro all’Erario” perchè quelle opere, prive dell’incentivo, non partirebbero proprio. E perchè le entrate successive, “da stipendi e indotto e dall’opera stessa generatrice di Iva”, più che compenserebbero lo “sconto” fiscale.
Allo studio del dicastero, infine, c’è anche un piano sulle società del Trasporto pubblico locale, oltre 600 in Italia, che il ministro Passera vorrebbe concentrare.
I giovani. Sostegno ai tanti senza lavoro
La “generazione perduta” che “paga un conto salatissimo” per “la scarsa lungimiranza” di tanti governi nel passato – così come ha ripetuto il premier Monti, domenica scorsa a Rimini – dovrebbe tornare d’attualità , già a partire dal prossimo Consiglio dei ministri di venerdì.
Ufficialmente non esiste un Piano giovani, ma è chiaro che il governo pensa a qualche misura di sostegno ai tanti senza lavoro.
Così come a migliorare la formazione, valorizzando il merito e aprendo sempre più scuole e università italiane a esperienze all’estero.
Si partirà , a breve, da una prima verifica sulla riforma Fornero del lavoro. E sul suo strumento principe, l’apprendistato.
Il monitoraggio, previsto dalla riforma stessa, è ai blocchi di partenza. Ieri intanto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Catricalà , ha affidato a Twitter un annuncio importante: “È finalmente possibile per i giovani fino a 35 anni costituire una Srl con solo un euro di capitale. Non ci sono spese notarili. Un’opportunità “. Ricordando, così, la pubblicazione nei giorni scorsi sulla Gazzetta ufficiale del modello standard di atto costitutivo e statuto della Srl, che costerà ad un under 35 solo i 168 euro dell’imposta di registro.
Sconto possibile anche per gli over (ma il notaio non è gratis).
L’energia. Petrolio made in Italy e hub del gas
Tempi più lunghi per il Piano energia, il cui debutto è atteso solo a fine anno, al pari del progetto sugli aeroporti.
Il Piano, messo a punto dal ministero dello Sviluppo, poggia su quattro pilastri: efficienza energetica, trasformazione dell’Italia in hub europeo del gas proveniente dall’Africa del Nord e dall’Asia centrale, sviluppo “sostenibile” delle rinnovabili e rilancio della produzione nazionale di idrocarburi, destinata a raddoppiare in pochi anni e assicurare così il 20 per cento dei consumi interni.
A questo scopo, però, la normativa restrittiva sulle trivellazioni, prevista dal primo decreto Sviluppo (limite posto a 12 miglia della costa, lasciato inalterato), potrebbe essere rivista.
La Strategia energetica nazionale, da sottoporre poi al Cipe, conta di aumentare il Pil di mezzo punto e ridurre di 6 miliardi la bolletta energetica degli italiani, spingendo l’occupazione con 25 mila nuovi posti di lavoro, “stabili e addizionali”.
Il governo intende sostenere i progetti di metanodotti dall’Algeria e il “corridoio Sud” nell’Adriatico, oltre ai piani per quattro rigassificatori (approvati o in costruzione). Infine, i permessi per le perforazioni petrolifere saranno più semplici. Mentre gli incentivi sulle rinnovabili subiranno ancora altre potature.
Le aziende. Corsia preferenziale per le start-up
Il pacchetto dedicato alle imprese, uno dei primi a decollare in autunno, ruota attorno a un secondo round di semplificazioni, con il taglio degli adempimenti “extra” rispetto alle direttive comunitarie, e al lancio del Fondo per incentivare nuove start- up.
Il primo obiettivo – su cui lavorano due dicasteri, Sviluppo economico e Funzione Pubblica – mira a tagliare i costi (e i tempi) delle burocrazia.
Solo per fare un esempio, le imprese italiane spendono, per le autorizzazioni ambientali, un miliardo e 300 milioni l’anno.
Intanto, nelle prossime settimane, saranno finalmente operative le misure previste dal Semplifica-Italia che daranno un po’ di fiato alle aziende.
A partire dallo sportello unico per l’edilizia e, appunto, dall’autorizzazione unica ambientale per le pmi (ma sono 80 le norme da semplificare, per le associazioni di impresa).
Per quanto riguarda le start-up, nascerà un Fondo ad hoc con regìa unica che raccoglierà le risorse esistenti, disperse in altri 3 o 4 fondi, e agirà da volano per il venture capital, denari di privati disposti a investire su idee e progetti freschi e redditizi.
Sarà infine attivato uno “sportello” unico per le aziende estere che vogliono investire in Italia, con l’obiettivo anche qui di semplificare e attrarre.
Valentina Conte
(da “La Repubblica“)
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Agosto 23rd, 2012 Riccardo Fucile
PARLA L’EX NUMERO UNO GUARGUAGLINI: “MAZZETTE PER QUALSIASI COSA”… “NON SOLO AL PDL MARCO MILANESE, MA ANCHE A ESPONENTI DEL CENTROSINISTRA E A SINDACATI”
Pierfrancesco Guarguaglini, 75 anni di cui cinquanta nell’industria di Stato, poi un’uscita di scena tra i fischi.
In questa calda estate da pensionato nella sua Castagneto Carducci, come si sente?
“Come uno che è sempre stato onesto e qualche volta bischero”.
Bischero come rafforzativo di onesto?
“No, bischero come rafforzativo di bischero”.
Partiamo dalla fine. Lei viene messo alla porta il primo dicembre scorso dopo un anno e mezzo di bufera sulla Finmeccanica. Perchè non ha mollato prima?
Non avevo fatto niente.
La Finmeccanica stava tutti i giorni sui giornali, con sua moglie Marina Grossi, manager della controllata Selex Sistemi Integrati, indagata. L’azienda non ne soffriva.
L’azienda funzionava. Nel 2010 abbiamo preso ordini per 21 miliardi di euro.
Ma alla fine se n’è andato.
Mi hanno tolto la delega sulle strategie. Giuseppe Orsi, il mio successore alla presidenza, lavorava da mesi per questo obiettivo. Quando si è insediato il governo tecnico, sono andato a parlare con il sottosegretario Catricalà . Ho detto: “Mettetemi per iscritto che me ne devo andare e me ne vado”. Lui ha detto che sentiva il premier, poi mi richiama e mi dice: “Fai quello che vuoi”.
E lei ha trattato la buonuscita da 5 milioni di euro.
Erano 4 milioni, ma non ho trattato niente, quei soldi mi erano dovuti per contratto. Poi c’era un milione e mezzo per il patto di non concorrenza di un anno, e quelli era meglio se non li prendevo, guadagnavo di più con le consulenze che ho dovuto rifiutare.
Ha ancora mercato?
Come ingegnere sono bravino.
Laureato a Pisa.
Al collegio Pacinotti, stava in piazza dei Cavalieri, di fronte alla Scuola Normale.
Piazza ben frequentata.
Mi ricordo Giuliano Amato, i fratelli Cassese, Tiziano Terzani, il matematico Giorgio Letta, padre di Enrico, Remo Bodei. Si studiava. Per vedere un po’ di ragazze andavamo a sorbirci le lezioni d’italiano di Luigi Russo. Dopo la laurea presi il Phd all’University of Pennsylvania. Poi sono andato alla Selenia.
Mai aziende private.
Ma ho sempre difeso la mia autonomia di pensiero continuando a studiare, a tenermi aggiornato. Quando alla Selenia è arrivato Michele Principe non ho accettato che si dicesse “quelli non si fanno lavorare perchè sono comunisti”.
Lei è, o era, di sinistra?
No, ma ho fatto tutti gli scioperi dell’autunno caldo.
Perchè lasciò la Selenia?
Le ho detto, non mi piacevano le interferenze politiche. Ricordo bene, 15 novembre 1983, mi dimisi da direttore generale. C’era Marisa Bellisario che doveva sbaraccare uno stabilimento Italtel dell’Aquila, e decisero con Gianni De Michelis di portare lì per compensazione una produzione di nostri missili Aspide. Era un’assurdità . Tutti gli altri dirigenti Selenia abbassavano la testa. Io no.
Disoccupato per tre mesi.
Poi direttore generale alla Galileo, mille persone contro 8 mila di Selenia.
All’Efim, carrozzone peggio dell’Iri. E non c’erano interferenze politiche?
Certo, ma si fermavano al capo, Sergio Ricci. Ci faceva da scudo. Anche quando ero alla Oto Melara, dentro Finmeccanica, il capo, Fabiano Fabiani, ci diceva “con i politici parlo io”. Ho sbagliato a non farlo finora, ma adesso lo ringrazio per avermi creduto nei momenti difficili.
Mentre Fabiani parlava con i politici lei parlava con Chicchi Pacini Battaglia.
Mi propose affari con il Kuwait. Ma per vendere armi in un Paese devi conoscerlo profondamente, non basta essere amico dell’ambasciatore.
Già , lei nel frattempo era diventato venditore di armi.
Difficile, con clienti che temono che a metà dell’opera scatti l’embargo. Durante la guerra del Golfo bloccammo una fornitura a Dubai, schierato contro Saddam, perchè la legge italiana vieta di armare un Paese belligerante. Anche se è tuo alleato. A Dubai non ci credevano.
Per vendere armi si pagano tangenti?
Può accadere, come per qualsiasi prodotto. Io non l’ho mai fatto, mi piace essere corretto.
Un mondo di onesti?
No. Ci sono le mediazioni pagate in modo ufficiale: a volte i mediatori chiedono percentuali alte, non so poi che cosa ne facciano.
Ci sono anche i manager che chiedono indietro al mediatore, estero su estero, una parte della provvigione.
Hai voglia. La mia più grande preoccupazione è proprio che i mediatori offrano soldi indietro a chi glieli dà .
E con Pacini Battaglia che cosa avete combinato?
Nulla, nè in Kuwait nè altrove. In compenso finii per dieci giorni ai domiciliari per traffico d’armi. Nulla a che fare con tangenti o simile. Mi hanno intercettato che parlavo di “blindati per la Bosnia” e “navi irachene”. Gli ho spiegato che parlavo dei blindati per l’esercito italiano che operava in Bosnia, e delle famose navi vendute all’Iraq, ma già bloccate.
E Pacini Battaglia?
Mi chiamava per dirmi “si va dalla Susanna”, nel senso di Agnelli, che era ministro degli Esteri. Diceva di volermi mettere al posto di Fabiani alla Finmeccanica. Chiacchiere.
E com’è arrivato al vertice Finmeccanica?
Diversi anni dopo, mi telefonò il direttore generale del Tesoro, Domenico Siniscalco. Per essere chiaro, allora non conoscevo Gianni Letta, e neppure il livornese Altero Matteoli.
Ma lei era in quota socialista.
Battezzato socialista negli anni 80, perchè ero uscito dalla Selenia, in mano ai democristiani.
In Finmeccanica c’è un gran casino o sono invenzioni dei giornali?
La verità è che la holding sta troppo in alto per vedere tutto. Con centinaia di società in giro per il mondo, per tenere tutto sotto controllo devi fidarti della squadra di manager.
E lei s’è fidato troppo?
Qualcuno mi ha detto, dopo, che si pente di non avermi raccontato certe cose. Ma con Cola sono stato bischero.
Lorenzo Cola, il faccendiere al centro delle inchieste.
Faceva il puro, mi metteva in guardia. Due volte è venuto ad accusare miei manager, con aria scandalizzata. Nulla di vero. Però lui passava per l’onestissimo. E io bischero a cascarci.
Marco Milanese, braccio destro di Tremonti, è accusato di essersi venduto le poltrone nei vostri consigli d’amministrazione.
Funzionava così: se, per esempio, i membri erano sette, quattro li nominavamo noi tra gli uomini Finmeccanica, ed esisteva un iter interno che garantiva la gestione secondo le linee concordate con la holding. Gli altri tre posti li decideva la politica.
Codice civile alla mano, dovevate nominarli tutti voi.
Ma la prassi era questa. La quota di minoranza dei consigli era lottizzata, e io nemmeno me ne occupavo, era il lavoro di Lorenzo Borgogni che si sobbarcava una laboriosa mediazione. Non c’era mica solo Milanese, c’era l’opposizione, i sindacati… Ma i manager chiave li ho sempre scelti io, senza interferenze.
E le sono rimasti grati?
Tutta la squadra aveva la maglietta “Guarguaglini”. Qualcuno ci ha messo sopra il nome del mio successore, ed è comprensibile. Qualcuno si è sfilato la mia maglietta, l’ha gettata a terra e l’ha calpestata. Debolezze.
Lei è indagato per utilizzo di false fatturazioni.
I magistrati non mi hanno mai chiamato, so solo il nome del reato. Nessuno mi ha mai contestato un fatto, non so di quali fatture si parli. Tutto quello che so l’ho letto sui giornali. Il mio avvocato ha chiesto l’archiviazione. Ho fiducia nella magistratura e aspetto.
Giorgio Meletti
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 23rd, 2012 Riccardo Fucile
40 UOMINI E 2 AUTO BLINDATE: L’EX PREMIER, GRAZIE A PROVVEDIMENTI VARATI DAL SUO GOVERNO, CONSERVA LA PROTEZIONE PIENA DI PRIMA… OLTRE AL DISPIEGAMENTO DI CARABINIERI A PRESIDIO DELLE SUE ABITAZIONI
Una quarantina di uomini divisi in due squadre di 20 ciascuna e due auto blindate per
una spesa superiore ai 200mila euro al mese.
Vale a dire due milioni e mezzo l’anno.
Tanto costano gli uomini dei servizi di sicurezza che ancora oggi stanno appresso all’ex premier Silvio Berlusconi.
Senza contare i carabinieri dispiegati dal Ministero degli Interni per servizi ordinari presso le ville di famiglia.
Un’eredità che lo stesso Berlusconi si è costruito da solo, a più riprese, con provvedimenti ad hoc e che è riuscito a mantenere anche oggi che è un deputato come altri, solo molto molto costoso.
Tanto che gli 80mila euro per la scorta balneare di Fini, da settimane oggetto di furiose polemiche, diventano briciole.
Gli uomini al seguito del Cavaliere, spiegano fonti molto qualificate, hanno trattamenti economici doppi rispetto ai colleghi che svolgono servizi di sicurezza ordinari.
Hanno stipendi e prerogative equiparati a quelli dei colleghi dello spionaggio e controspionaggio senza esserlo.
Siamo, per essere chiari, intorno ai cinquemila euro al mese. E sono appunto quaranta. I conti sono presto fatti.
Nei suoi mandati, a più riprese, il Cavaliere è riuscito a cambiare le regole sulla sicurezza e imporre uomini di fiducia provenienti dalla sua azienda.
Lo si scoprirà anni più tardi, quando i magistrati baresi cercheranno risposte all’andirivieni incontrollato di persone dalle ville del Cavaliere: possibile che nessuno della sicurezza controllasse chi entra e chi esce?
Si, perchè il premier, proprio per tutelare la sua “privacy”, già dal primo mandato era riuscito a sostituire gli uomini dello Stato con quelli della security di Fininvest e Standa (da quel giorno in poi a libro paga degli italiani).
Un’impresa non semplice.
Prima di allora, infatti, nessuno poteva entrare in polizia, carabinieri o finanza senza un regolare concorso pubblico.
Per garantirsi la “sua” scorta — che obbedisca a personalissimi criteri di fedeltà privata e discrezione pubblica — Berlusconi ricorre allora a un escamotage senza precedenti: grazie alle sue prerogative di Presidente del Consiglio, s’inventa una nuova competenza ad hoc presso i Servizi, gli unici cui la legge consente di assumere personale a chiamata diretta.
Nasce così un nucleo per la scorta del presidente che fa capo al Cesis (oggi Aisi, Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna) anzichè al Viminale, anche se con l’attività di intelligence vera e propria nulla ha a che fare.
Gli uomini d’azienda vestiranno la divisa sotto la guida dell’uomo che, alla fine degli anni Ottanta, faceva la security alla Standa.
E che di punto in bianco si trova capo-scorta del presidente del Consiglio con la qualifica di capo-divisione dei servizi.
E si porta dietro almeno altre cinque ex body-guard Fininvest. Col tempo la struttura è cresciuta a ventiquattro unità , poi 31 e infine 40 che stavolta vengono in parte attinte dalle Forze dell’Ordine, ma sempre su indicazione di quel primo nucleo.
Che tornerà regolarmente ad ogni successivo mandato.
Anzi, non smetterà più di prestare servizio.
Quegli stessi uomini, infatti, sono lì ancora oggi che il Cavaliere è tornato ad essere un deputato. Perchè? Perchè ha deciso così.
E’ il 27 aprile del 2006. Berlusconi ha perso le elezioni e si appresta a fare le valigie e cedere la poltrona e la “campanella” del Consiglio dei Ministri a Romano Prodi.
Ma non ha alcuna intenzione di cedere anche quella struttura che i magistrati baresi tre anni dopo definiranno quantomeno “anomala” e che in fin dei conti è una sua creatura.
Così, giusto 17 giorni dopo il voto, poco prima di lasciare il Palazzo, Berlusconi vara un altro provvedimento ad hoc che oggi giorno potrebbe chiamarsi a buon diritto “salva-scorta”, nella migliore tradizione delle leggi ad personam.
Se ne accorgono, in ottobre, Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo sul Corriere, che raccontano come, non fidandosi del professore, la scorta per il futuro Berlusconi abbia provveduto a farsela da solo stabilendo che i capi di governo “cessati dalle funzioni” abbiano diritto a conservare la scorta su tutto il territorio nazionale nel massimo dispiegamento.
Così facendo riesce a portarsela via come fosse un’eredità personale, anche se era (e continua a essere) un servizio di sicurezza privato pagato con soldi pubblici.
Al costo, ancora oggi, di due milioni e mezzo l’anno.
Thomas Mackinson
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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