Febbraio 4th, 2013 Riccardo Fucile
PD 31%, SEL 3,5%, CENTRO DEMOCRATICO 0,5%, SCELTA CIVICA 9,5%, UDC 2,5%, FLI 1%, PDL 19,5%, LEGA 4%, LA DESTRA 1%, FRAT. ITALIA 1,5%, RIVOLUZIONE CIVILE 4,5%, M5S 19%, FARE ALL’1,5%
Ultimo sondaggio di Swg in esclusiva per Primocanale con le intenzioni di voto in Liguria.
Il contesto nazionale vede il centrosinistra in calo dal 34,9 al 32,8 per cento.
Il centrodestra in salita, dal 25,3 al 27,8 per cento, il Movimento 5 Stelle in crescita dal 15,9 al 18 per cento, Monti in lieve salita dal 13,8 al 14,2 per cento.
E veniamo alla Liguria.
Alla Camera il centro sinistra scende di mezzo punto rispetto al sondaggio di una settimana attestandosi al 35 per cento (35,5 al Senato).
Il Pd perde mezzo punto e va al 31 per cento, Sel perde mezzo punto a va al 3,5, Centro democratico resta allo 0,5 per cento.
Balzo del centrodestra di 2 punti e mezzo alla Camera e 2 al Senato. Raggiunge il 19,5 per cento alla Camera e il 21 per cento al Senato.
Il Pdl va al 19,5 alla Camera (+2,5) e 21 per cento al Senato (+3), la Lega Nord resta al 4 per cento, la Destra cala di mezzo punto: 1 per cento alla Camera e al Senato, Fratelli d’Italia fermo all’1,5 per cento alla Camera e all’1 per cento al Senato.
I montiani perdono un punto: 13 per cento alla Camera e 12 al Senato.
Scelta civica si attesta al 9,5 per cento, Udc al 2,5 e Fli 1 per cento.
Sempre in salita il Movimento 5 Stelle che va al 19 per cento alla Camera e al 18,5 al Senato.
Rivoluzione civile prende un punto attestandosi al 4,5 e al 4 per cento.
Fare per fermare il declino resta a 1,5 e 2 per cento mentre il Partito comunista del lavoratori tiene l’uno per cento.
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Febbraio 4th, 2013 Riccardo Fucile
“SE ANDIAMO AL 3% NON TENGO PIU’ IL PARTITO”… IL RISCHIO DI DIVENTARE IRRILEVANTI
«Credevamo di arrivare al 5%, ora speriamo nel 4%. Ma con il 3% non tengo il partito, io non ci sto
dormendo la notte…».
L’incubo di Pier Ferdinando Casini ha le sembianze di un flop elettorale.
Il leader centrista accusa Mario Monti di averlo condotto per mano in un vicolo cieco, saccheggiando il consenso dell’Udc a favore della sua lista personale.
I due si sentono poco e da giorni a via dei due Macelli è scattato l’allarme.
I sondaggi, infatti, fotografano un’emorragia di voti che nessuno riesce a tamponare. Uno scenario fosco.
Anche perchè tutti i sondaggi deprimono le sue aspettative.
Sebbene i precedenti in qualche modo lo consolano: «I sondaggisti ci sottostimano sempre».
Ma per reagire all’emergenza, il capo dell’Udc ha deciso di intraprendere una campagna tv che lo porterà a Ballarò, Porta a Porta e Otto e mezzo.
Ora, però, la tensione sta aprendo uno vero e proprio scontro dentro il Listone centrista.
L’Udc, infatti, imputa la discesa verticale dei consensi soprattutto a Monti.
Alla sua lista personale che alla Camera ruba consenso allo Scudocrociato e alla scelta di condurre una campagna elettorale “aggressiva” che mette in ombra gli alleati. Casini l’ha capito bene e sta organizzando le contromosse.
Ha consegnato agli ambasciatori del Professore un messaggio: «Se puntate a rendermi irrilevante, io sono pronto a fare un gruppo autonomo al Senato…».
Certo, lo scenario scissionista è giudicato dai centristi più avveduti solo una provocazione per evitare di «prendere un’altra fregatura dopo il voto».
Non solo perchè i candidati del listone di Palazzo Madama hanno sottoscritto un impegno ad aderire al gruppo unico, ma anche perchè solo se l’area Monti infrangerà la soglia del 18%, allora i “casiniani” avranno la speranza di eleggere 10 senatori, il minimo per formare un gruppo autonomo. Non solo.
L’ex presidente della Camera ha iniziato a prendere le distanze dagli attacchi del Professore al Pd. Lui vuole mantenere aperto il dialogo con Bersani e D’Alema.
E, in caso, anche avviare un dialogo “autonomo” con i Democratici se Monti dovesse arrivare ad una frattura con i futuri alleati e se non dovesse adeguatamente tutelare gli interessi centristi.
Che nel caso di Casini significa la presidenza del Senato. Insomma il leader Udc non vuole il ruolo del semplice «donatore di sangue».
Sta di fatto che il peso delle tre liste montiane della Camera determinerà a urne chiuse anche gli equilibri dell’area di centro.
Servirà a stabilire le quote del partito che verrà , se davvero si concretizzerà la prospettiva messa nero su bianco davanti al notaio.
In questo senso l’attivismo di Andrea Riccardi rappresenta un ulteriore campanello d’allarme.
Il ministro coltiva da sempre un legame importante con l’associazionismo bianco e con le gerarchie vaticane.
Ha strappato per diversi “cattolici doc” posti utili in lista e nel suo tour in giro per l’Italia non manca mai di fare tappa anche nelle sedi vescovili.
Per gli Udc una temibile calamita dei voti cattolici.
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)
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Febbraio 4th, 2013 Riccardo Fucile
LA SVOLTA DEL PREMIER: “CON IL CAVALIERE L’ITALIA A RISCHIO”
Quando Mario Monti diventò presidente del Consiglio, sperammo tutti che l’Italia avesse trovato il suo Churchill: cioè un salvatore della patria.
E un’affinità fra i due premier, in effetti, saltò subito agli occhi: quello inglese si era presentato al parlamento del suo Paese dicendo di non avere «nulla da offrire se non sangue, fatica, lacrime e sudore»; Monti, al suo parlamento ma soprattutto al Paese, era stato costretto a offrire una nuova ondata di tasse, che se non sangue sono perlomeno fatica, lacrime e sudore.
Oggi scopriamo un’altra affinità tra i due: la sottile perfidia.
Più passa il tempo, più scopriamo che sotto il loden si nasconde un caratterino.
Un Monti «cattivo» come quello di questa mattina, ad esempio, non lo si era mai visto.
Avevamo conosciuto la sua elegante ironia quando aveva citato in un comunicato «gli eventuali lettori de La Padania» per smentire una notizia del quotidiano leghista; lo avevamo visto già abbastanza irritato da Crozza; ma mai lo si era sentito dare del corruttore e dell’usuraio a un suo rivale politico, come ha fatto oggi con Berlusconi.
È stato il suo guru americano a suggerirgli di diventare cattivo?
Cominciamo ad avere il sospetto che il premier stia semplicemente mostrando il suo vero volto, e cioè quello di uno che non sta lì a prenderle, perchè si va à la guerre comme à la guerre.
Certo resta l’aplomb.
Monti, quando deve colpire basso, colpisce basso.
Ma lo fa senza scomporsi, senza alzare la voce, senza cedere al turpiloquio, anzi quasi con gentilezza.
Assomigliando appunto, anche in questo, al suo maestro, il quale chiuse così, con questo svolazzo, la lettera con cui comunicava all’ambasciatore giapponese la dichiarazione di guerra: «Ho l’onore di essere, Signore, con la più alta stima, il Vostro devoto servitore, Winston S. Churchill».
Michele Brambilla
(da “La Stampa“)
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Febbraio 4th, 2013 Riccardo Fucile
STAMANE A LA7 ALTRO SALDO PER GLI EVASORI: COSA NON SI SPARA PER RASTRELLARE DUE VOTI
“Assolutamente d’accordo a fare il condono tombale, io l’ho sempre detto, ma la sinistra è sempre stata
contraria e se ora ci daranno la maggioranza penso dovremmo farlo”.
Lo ha detto Silvio Berlusconi a La7, in risposta allo spunto di una spettatrice.
L’ex premier ha poi aggiunto: “Equitalia è un rullo compressore che ha distrutto il sistema con cui Tremonti l’ha fatta nascere”, e dunque ne vanno rivisti i poteri.
La nuova promessa, annunciata nel programma “L’aria che tira” di Mirta Merlino — opposto oggi come causa di legittimo impedimento al processo Ruby — arriva il giorno dopo la mossa sulla restituzione dell’Imu, accuratamente preparata e messa in scena per cercare di rastrellare gli ultimi voti utili per la “rimonta”.
Prende corpo la tattica di far balenare agli elettori vantaggi economici diretti in caso di vittoria del centrodestra.
Oltre a promuovere la sanatoria fiscale per tutti gli evasori — il condono tombale, appunto — Berlusconi ha aggiunto: “Bisogna vendere a prezzo contenuto tutte le case popolari dello Stato alle famiglie”, è l’altra proposta buttata lì dall’ex premier.
Averci i soldi per comprarle forse per lui è solo un dettaglio.
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Febbraio 4th, 2013 Riccardo Fucile
“BERLUSCONI SUPERA LAURO CHE PROMETTEVA UN CHILO DI PASTA O UN PAIO DI SCARPE: LUI COMPRA I VOTI CON I SOLDI DEGLI STESSI ITALIANI E DEI BUCHI DI BILANCIO CHE LUI HA GENERATO”
“Meraviglioso. Ma non è la prima volta che qualcuno cerca di comprare il voto degli italiani. Un cinquantennio fa Achille Lauro prometteva un chilo di pasta, oppure dando una scarpa e promettendo l’altra a voto avvenuto”.
Usa l’arma dell’ironia Mario Monti per commentare, al microfono di Rtl, la proposta di Berlusconi di rimborsare l’Imu ai contribuenti.
Ieri l’aveva definito incantatore di serpenti e l’aveva sfidato a un duello tv sulle tasse. Oggi torna all’attacco.
“E’ la prima volta- aggiunge monti- che qualcuno cerca di comprare in modo scientifico il voto degli italiani con i soldi degli italiani stessi, con i soldi dei buchi di bilancio lasciati da lui. Del resto Berlusconi è la quarta volta che promette ma io credo che gli italiani abbiano abbastanza memoria”, osserva.
Ma si tratta di un voto di scambio? “sì, se vogliamo è un voto di scambio. Ma anche un tentativo, simpatico, di corruzione”.
Il premier assicura che non si deve ai consigli del guru Usa della comunicazione, Axelrod, il suo nuovo atteggiamento aggressivo in campagna elettorale.
Il fatto di tirare fuori gli artigli, spiega lo stesso Mario Monti da Rtl 102.5, lo si deve a Silvio Berlusconi, perchè “quando sento un simpatico, molto simpatico, signore che dice che lui aveva lasciato i conti in ordine e io ho fatto disastro, un pò, perchè mi sembra uno schiaffo ai sacrifici degli italiani, mi rattristo e a volte mi innervosisco”.
Poi insiste nell’attribuire al suo predecessore Berlusconi la responsabilità del rigore fiscale: “Non mi sono sentito toccato dalle accuse di Berlusconi; del resto, io sono ancora più imbecille perchè ho dato attuazione ad aumenti di tasse in gran parte già decisi da Berlusconi”
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 4th, 2013 Riccardo Fucile
GLI ADERENTI AL “COMITATO FAMIGLIE PARMA” PROTESTANO CONTRO LA DECISIONE DI PIZZAROTTI DI ALZARE LE TARIFFE DI ASILI NIDO E MATERNE
“Asili e materne tariffe alle stelle” questo lo striscione esposto dai rappresentanti del Comitato Famiglie
Parma che, come preannunciato, hanno contestato in piazza la decisione dell’Amministrazione Pizzarotti di alzare le tariffe di asili nido e materne e di cancellare il Quoziente Parma che permetteva sgravi fiscali ai nuclei con più figli.
Una questione che a Parma tiene banco da settimane.
La manifestazione è stata organizata in piazza Garibaldi nel corso della tappa parmigiana dello Tsunami Tour di Beppe Grillo a cui hanno assistito oltre 4mila persone.
Grillo ha risposto ai manifestanti dal palco: “”Hanno aumentato alle famiglie con più alto reddito che sono circa il 20%, per mantenere le rette basse all’80% delle altre famiglie. E’ il momento di fare così: cioè deve donare chi ha di più. Pizzarotti sta facendo dei miracoli, risparmia in tutti i modi, vende le auto blu, va in bicicletta, va nei quartieri, cosa deve fare di più un sindaco?”.
“Ha aumentato le rette ai più ricchi per aiutare le famiglie più povere. In passato invece di aiutare le scuole hanno fatto un ponte del…”.
Alla fine del comizio del leader del M5S c’è stato un confronto tra il Comitato e il sindaco Pizzarotti che ha ricordato loro l’ingente debito che la Giunta si è trovata a gestire e quindi la necessità di ritoccare i costi dei servizi.
Grillo ha assistito e ha chiesto ai manifestanti di “dare tempo” alla nuova Amministrazione in carica dal maggio scorso.
Pizzarotti e l’assessorato alla Scuola ribadiscono che gli aumenti toccano solo le famiglie più ricche ma questo “non è vero” replica Giuliana Marcon, portavoce del Comitato, “una famiglia con reddito Isee di 32mila euro, cioè tutte quelle dove lavorano marito e moglie ed ha un casa di proprietà , dovrà pagare per due figli al nido 1.300 euro al mese. Ci sono delle famiglie numerose che vista poi la cancellazione del quoziente Parma sono già state costrette a togliere uno dei propri figli dal nido perchè non se lo possono più permettere”.
Sul fronte dello stop al Quoziente Parma l’associazione Famiglie numerose contesta invece la Giunta 5 Stelle di mancata coerenza.
Francesco Nani
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 4th, 2013 Riccardo Fucile
“HANNO A CAPO PERSINO SOGGETTI INDICATI DALLA MAGISTRATURA COME ANELLI DI CONGIUNZIONE TRA POLITICA E CRIMINALITA’ ORGANIZZATA”…E DENUNCIA L’ASSE SCOPELLITI-BOCCHINO
Onorevole Napoli, dopo cinque legislature lei non viene ricandidata in Parlamento. C’è un problema in Calabria se un simbolo dell’antimafia come lei non viene inserito in lista da nessuna parte?
«Sì, io più che porre un problema di ricandidatura, insisterei molto sulla valutazione che viene fatta dai partiti politici rispetto alle scelte di coloro che andranno ad occupare il Parlamento italiano. Si è tanto parlato di rottamazione, io sono stata sempre del parere che la politica avesse assolutamente necessità di rinnovamento ma non di rottamazione e comunque di valutazione attenta delle scelte. Non è un problema legato al numero di legislature nè, per quanto mi riguarda, un problema legato direttamente alla mia ricandidatura, quanto all’attenzione che i partiti politici e, in particolare, il mio ex partito di appartenenza, Futuro e Libertà , rivolgono sia alla situazione con la quale sono state affrontate determinate battaglie in favore della legalità e contro il crimine organizzato, sia all’attività parlamentare che i singoli deputati e senatori hanno portato avanti durante il percorso della legislatura».
Onorevole Napoli, cos’è successo nel rapporto con Fini?
Più che nel rapporto con Fini, c’è stata la rottura assoluta del rapporto con il vicepresidente del partito, uomo al quale il presidente Fini ha delegato la gestione di Futuro e libertà portandolo dall’8% allo 0,9%».
In Calabria sono note le sue battaglie ed è noto, soprattutto, lo scontro con il governatore Scopelliti. In questo, il supporto di Fini c’è stato o la sua mancata candidatura deve essere letta anche in questa chiave?
«La lettura che do è chiara. Il governatore Scopelliti ha stabilito un patto con il vicepresidente del partito Futuro e libertà , Italo Bocchino. Anche perchè la loro fraterna amicizia non è stata mai sottaciuta, anzi più volte stata evidenziata. Il vicepresidente Bocchino non ha fatto altro che dare esecuzione alle volontà e al desiderio del governatore Scopelliti il quale ha detto più volte, e pubblicamente, che io sarei dovuta scomparire dalla scena politica. Il torto principale che sicuramente mi viene attribuito è proprio quello di avere denunziato particolari rapporti tra il crimine organizzato e il mondo politico e forse di avere iniziato a fare queste denunce guardando all’interno del mio mondo politico. D’altra parte io sono convinta che per poter fare battaglie che richiedono pulizia, questa debba partire dal proprio interno. Sono sicura che ho pagato e sto pagando per questo. Ma vorrei anche evidenziare che la mia lamentela non è legata al numero di legislature, che peraltro ieri ho appreso che il presidente Fini nemmeno conosce se sono cinque o sei. Glielo dico: sono cinque. La mia lamentela è legata alla dimostrazione palese di come questo mio ruolo e queste mie battaglie siano state un condizionamento e un’aggravante per il partito rispetto alla valutazione del lavoro che ho portato avanti».
Lei ha visto le liste in Calabria. Non mi riferisco solo a quella di Fli ma a tutte. Cosa ne pensa?
«Stendiamo un velo pietoso. Stendiamo un velo pietoso perchè sono liste che hanno a capo persino rappresentanti che sono stati indicati dalla magistratura quali anelli di congiunzione tra il mondo politico e la criminalità organizzata. Ma sono liste che pretenderebbero di evidenziare, da una parte e dall’altra magari inserendo determinate figure, che c’è l’intendimento dei partiti politici di combattere effettivamente la criminalità organizzata. Tutto falso, perchè chi veramente lotta e paga sulla propria pelle invece non è presente».
Se avesse davanti Fini, cosa gli direbbe?
«Gli direi “grazie” per l’attenzione che mi ha dato fino all’inizio della legislatura che adesso volge al termine. Gli direi invece “peccato” che non abbia saputo circondarsi o affidare gli incarichi del partito a persone che hanno veramente dimostrato di condividere quel manifesto di valori e hanno dimostrato anche di volergli bene e riporre fiducia in lui».
Ritornando ai temi locali, dalla relazione di accesso al Comune di Reggio sono emersi rapporti palesi tra certa politica e la ‘ndrangheta. Con lo scioglimento per mafia dell’amministrazione di palazzo San Giorgio, evidentemente il ministero dell’Interno è arrivato prima della magistratura a colpire la politica. Perchè?
«Perchè la politica è fortemente collusa con la ‘ndrangheta e mantiene la sua forza in questo. Ho l’impressione che parte della magistratura non intenda proprio andare fino in fondo nel toccare la politica. Io ho un’esperienza diretta: due anni fa ho ricevuto due lettere da parte di un collaboratore di giustizia ritenuto attendibile (perchè occorre anche fare questa premessa), nelle quali mi si diceva che per disposizioni di un uomo politico della mia stessa coalizione politica era stato dato mandato alle cosche della ‘ndrangheta di Rosarno di farmi fuori. Si dà il caso che in quello stesso periodo sia stata individuata una macchina “obiettivo” sotto la mia residenza di Roma. Però tutto è stato messo a tacere. L’unica cosa che nella lettera non veniva indicato era proprio il nome del politico. Ecco io avrei sperato che la magistratura e le forze inquirenti individuassero questo politico».
Invece cosa è successo?
«E invece è stato chiuso il tutto dicendo che non era stata individuata questa grande personalità e quindi il caso si chiudeva e rientrava nelle comuni minacce alle quali viene sottoposto (e quindi dovrebbero essere accettate) chi fa battaglie come le mie».
Come continuerà la sua attività politica d’ora in poi?
«Magari essendo ancora più presente sul territorio. Continuerà tranquillamente. Forse l’unica cosa che non potrò fare saranno le interrogazioni parlamentari, quelle che, secondo i boss, le cui dichiarazioni sono state intercettate, li hanno mandati in galera. Non importa, continuerò con le mie denunce che sono state sempre fatte con nomi e cognomi. Forse potrò essere anche più vicina ai problemi dei tanti cittadini calabresi che sovrastano quotidianamente le loro giornate».
Lucio Musolino
(da “il Corriere della Calabria“)
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Febbraio 4th, 2013 Riccardo Fucile
SECONDO IL CAVALIERE L’ ACCORDO FISCALE CON LA SVIZZERA DOVREBBE GARANTIRE 4 MILIARDI, MA LE STIME PARLANO DI POCHE DECINE DI MILIONI.. LA RIDUZIONE DEI COSTI DELLA POLITICA SAREBBE IRRILEVANTE SUI GRANDE NUMERI DELLA SPESA PUBBLICA CHE SOTTO IL SUO GOVERNO E’ PURE AUMENTATA
Ormai in campagna elettorale promettere di tagliare le tasse non basta più, per questo Silvio Berlusconi
giura addirittura di restituire quelle già pagate: in un mese il Cavaliere promette di poter rimettere nelle tasche degli italiani (in contanti) i quattro miliardi di Imu sulla prima casa pagati nel 2012 compensando quella spesa con il concordato fiscale con la Svizzera sui capitali esportati in nero e a un provvidenziale anticipo della Cassa depositi e prestiti.
Per i più pazienti, poi, entro la legislatura sparirà anche l’Irap, diminuiranno le accise e chissà quante altre imposte grazie ad un taglio della spesa pubblica da 80 miliardi (sedici l’anno per cinque anni).
Prima di entrare nel merito del racconto del Cavaliere, è appena il caso di ricordare un paio di cose: durante l’ultima esperienza a palazzo Chigi, per dire, la spesa pubblica invece di diminuire (come anche allora il nostro aveva promesso in campagna elettorale) aumentò di circa due punti rispetto al Pil e lo stesso accadde al livello della tassazione.
Solo che di quest’ultimo regalo del predellino, i cittadini cominciano ad accorgersi solo oggi visto che gran parte delle tasse e delle imposte escogitate dall’ex premier e da Tremonti — dal taglio delle deduzioni fiscali da 20 miliardi all’aumento dell’Iva, dall’imposta di bollo ad un aumento degli studi di settore — sarebbe scattata nel 2012 e 2013.
Il risultato — ci raccontano i documenti ufficiali di quel governo — sarebbe stato un aumento di due punti, dal 42,5 al 44,5%, della pressione fiscale rispetto al Pil che oggi allegramente il Pdl carica interamente sulle spalle di Mario Monti (che, peraltro, ci ha messo del suo).
Veniamo alla proposta choc: restituire l’Imu sulla prima casa.
La prima domanda è: si può fare?
La risposta: quasi tutto si può fare, ma di certo non entro un mese dal primo Consiglio dei ministri.
Ci vuole tempo per organizzare la cosa visto che la Cassa depositi e prestiti dovrebbe tirare fuori ben 4 miliardi — non milioni — e anche il rimborso fisico sul conto corrente o in contanti potrebbe essere meno semplice di quanto sostiene Silvio Berlusconi.
Quanto alla copertura vera di questa spesa e della cancellazione definitiva dell’Imu sulla prima casa — che sarebbe poi il famoso concordato fiscale con la Svizzera — forse l’ex premier esagera un po’ nei numeri: 25-30 miliardi una tantum per condonare il pregresso e cinque miliardi l’anno strutturali dalla tassazione sui guadagni.
Ammesso che in questi anni i cittadini italiani non abbiano mosso i loro soldi dalla Confederazione Elvetica (cosa che invece, dicono gli esperti, è avvenuta), il nostro “tesoro nero” potrebbe arrivare a 120 miliardi di euro.
Il governo tedesco — che aveva firmato un concordato con Berna poi bocciato dal Parlamento — non dava per scontata l’automatica emersione di questi capitali e quindi stimava prudenzialmente di poter incassare quattro miliardi ogni 100 dalla sanatoria sui capitali clandestini: così fosse, noi potremmo contare su circa cinque o sei miliardi una tantum mentre la stima di Berlusconi si basa sull’emersione completa.
È sui proventi da tassazione, però, che le previsioni del leader del Pdl sono false a tutti gli effetti: le aliquote si applicherebbero ovviamente alle rendite finanziarie e non all’intero capitale e difficilmente — anche ammesso che vengano “dichiarati” tutti i famosi 120 miliardi in nero — il gettito supererebbe i 500 milioni l’anno (più verosimilmente poche decine di milioni).
Da ultimo, si potrebbe chiedere all’ex premier il motivo di questo suo cambio di rotta visto che il governo Berlusconi-Tremonti, come testimoniano gli atti parlamentari, fu pervicacemente contrario alla stipula di un concordato con la Svizzera.
Infine c’è il tema degli 80 miliardi di spesa pubblica da tagliare in cinque anni.
Ovviamente il Cavaliere non dice come: parla di ridurre i costi della politica — che però sono spiccioli su cifre di questa entità — ed evita accuratamente di dire altro.
Il problema è capire se una simile diminuzione, cinque punti di Pil, sia davvero desiderabile visto che l’incidenza della spesa pubblica (che ha un fondamentale compito di redistribuzione del reddito) in Italia è già oggi, al netto degli interessi sul debito, al di sotto della media europea.
Per di più, per oltre metà le uscite dello Stato risultano difficilmente comprimibili (pensioni e gestioni del debito): in sostanza, tagliare 80 miliardi vuol dire tagliare ancora servizi, ospedali, sostegno alla disabilità o al disagio sociale più di quanto non si sia già fatto.
Non dovrebbe essere una cosa di cui vantarsi in campagna elettorale, ma ormai all’ombra dei Fiorito sul denaro pubblico si può dire qualunque cosa.
Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 4th, 2013 Riccardo Fucile
FU PRESENTATO L’8 MAGGIO 2001 DA VESPA A “PORTA A PORTA”
1.Meno tasse per tutti
«Abbattimento della pressione fiscale
— con l’esenzione totale dei redditi fino a 22 milioni di lire annui [11.362 euro, nda];
— con la riduzione al 23% dell’aliquota per i redditi fino a 200 milioni [103.291 euro, nda];
— con la riduzione al 33% dall’aliquota per i redditi sopra i 200 milioni;
— con l’abolizione della tassa di successione e della tassa sulle donazioni.»
È l’8 maggio del 2001, mancano cinque giorni alle elezioni, quando Silvio Berlusconi, sulla scrivania di ciliegio offerta da Bruno Vespa a «Porta a Porta», mette la riduzione delle imposte al primo posto del suo «Contratto con gli italiani».
Cinque anni dopo, la promessa non è stata mantenuta.
Le due aliquote non sono entrate in vigore. La pressione fiscale complessiva è rimasta sostanzialmente immutata. Secondo il documento di programmazione economico e finanziaria del governo Berlusconi per il 2006-2009, era pari al 42,2% del prodotto interno lordo nel 2001; ed è scesa ad appena il 41,7% nel 2004.
Secondo altre stime più attendibili, è anzi complessivamente aumentata con le tasse degli enti locali e le ondate di rincari delle tariffe.
L’unico obiettivo centrato è l’abolizione della tassa di successione e di quella sulle donazioni.
Nel primo Consiglio dei ministri del Berlusconi-2, è stata approvata la riforma dell’imposta di successione. Una legge per super-ricchi. L’Ulivo aveva già abbattuto la tassa fino ai 350 milioni di lire per ogni erede con un’aliquota del 4%.
Il 90% dei cittadini italiani era al di sotto della franchigia. A Berlusconi, però, non bastava. Mentre Bill Gates si batteva per mantenere la tassa in America, il nostro premier l’aboliva. Permettendo così ai suoi eredi di risparmiare in futuro, secondo una stima dello stesso Berlusconi, almeno 58 miliardi di lire.
2. Città più sicure
«Attuazione del “Piano per la difesa dei cittadini e la prevenzione dei crimini” che prevede tra l’altro l’introduzione dell’istituto del “poliziotto, carabiniere o vigile di quartiere” nelle città con il risultato di una forte riduzione del numero dei reati rispetto agli attuali 3 milioni.»
Nel 2001, quando Berlusconi mette nero su bianco la sua seconda promessa, i reati commessi ogni anno in Italia non sono 3 milioni, ma 2.163.826, contro i 2.205.782 del 2000 (fonte Istat). Negli anni seguenti non solo non diminuiscono, ma aumentano.
Dal rapporto Censis, reso pubblico il 3 dicembre 2004, si evince che nei primi 24 mesi di governo Berlusconi la criminalità ha ripreso a correre: tra il 2001 e il 2003 si verifica un incremento del 6,7% e il numero dei reati toccherà quota 2.456.826.
All’inaugurazione dell’anno giudiziario 2005 il procuratore generale Francesco Favara segnala un’ulteriore crescita: tra il luglio 2003 e l’agosto 2004, i reati denunciati per i quali è stata iniziata l’azione penale sono il 3,7% in più dello stesso periodo del 2002-2003.
Dunque i reati sono aumentati nonostante l’introduzione del poliziotto di quartiere.
Secondo il premier (a «Porta a Porta», 19 dicembre 2005), gli agenti e i militari impiegati in questo specifico servizio sarebbero 3701.
A metà agosto del 2004, secondo il ministero dell’Interno, erano 1900 e operavano in 433 quartieri o zone da circa 10 mila abitanti.
A ferragosto dell’anno successivo il Viminale assicurava che il loro numero era salito a 2200.
In ogni caso, per garantire un poliziotto di quartiere ogni 10 mila abitanti in tutto il Paese servirebbero almeno 5900 uomini, che diventerebbero più di 16 mila volendo alternarli in turni di otto ore.
Lo stesso Berlusconi sembra rendersene conto. Infatti, in caso di rielezione, ha promesso di aumentarli fino a 10 mila.
Nell’attesa, ha mancato anche il secondo obiettivo del Contratto.
3. Pensioni più dignitose
«Innalzamento delle pensioni minime ad almeno 1 milione di lire al mese.»
Il terzo punto del «Contratto con gli italiani» non ammette repliche.
Già nella finanziaria 2001 il governo stanzia 2 miliardi e 169 milioni di euro per cercare di mantenere l’obiettivo. I soldi però non bastano.
È lo stesso governo, in una relazione tecnica, a stimare che quel denaro è sufficiente a «coprire» solo 2 milioni e 200 mila pensionati.
Alla fine però solo un milione e 800 mila incasseranno effettivamente l’aumento.
Ma gli aventi diritto, stando alla lettera della promessa, sono appunto il quadruplo.
La Uil infatti calcola che gli anziani che nel 2001 ricevono ogni mese meno di 516 euro (pari a un milione di lire) sono 5.901.244.
Secondo l’economista Tito Boeri, alla fine del 2002 sono addirittura saliti a 8 milioni.
Insomma, per il 75% dei pensionati con meno di un milione di lire al mese l’impegno di Berlusconi non vale. Il perchè è presto detto.
Per mantenere la parola servirebbero ogni anno dagli 11,5 ai 17 miliardi di euro.
Fino a un punto e mezzo del Pil. Una soluzione possibile sarebbe quella di aumentare le pensioni minime a tutti coloro che hanno compiuto 65 anni.
Ma anche in questo caso il piatto piange: servirebbero 8,67 miliardi euro.
Per questo si decide di aumentare solo la pensione minima a chi ha più di 70 anni, semprechè non cumuli un reddito di coppia superiore ai 6800 euro annui.
In barba al Contratto con gli italiani, che non faceva alcuna distinzione. «Fatto l’annuncio, gabbato l’anziano», commenterà nel gennaio 2004 Dario Di Vico sul Corriere della Sera.
Il risultato è particolarmente odioso.
Nei primi mesi del nuovo governo, centinaia di pensionati telefonano all’Inps reclamando inutilmente l’aumento. E alla fine qualcuno decide di passare alle vie legali.
Nel 2006 Berlusconi viene citato in giudizio da una pensionata, Ida Severini, che gli contesta l’inottemperanza del Contratto.
Il presidente del Consiglio dovrà presentarsi, accompagnato dai testimoni Bruno Vespa e Roberto Maroni (ministro del Welfare), il 28 febbraio davanti al giudice di pace di Roma.
La Severini, 78 anni, nata a Recanati e residente a San Cesareo (Roma), lamenta la mancanza di 138 euro sulla sua pensione e rivela di aver votato Berlusconi alle Politiche del 2001: «Ho deciso di votarlo — spiega — proprio dopo averlo sentito annunciare il terzo punto del Contratto: l’innalzamento delle pensioni minime ad almeno 1 milione di lire al mese».
Ha atteso quasi cinque anni invano. Poi ha deciso, appoggiata dall’Italia dei Valori e dalla Lista Consumatori, di trascinare il premier in tribunale per il mancato adempimento di una «promessa al pubblico», secondo quanto previsto dal Codice civile.
Cause simili vengono intentate anche da pensionati di Udine e Bolzano.
4. Più lavoro per tutti
«Dimezzamento dell’attuale tasso di disoccupazione con la creazione di almeno 1 milione e mezzo di nuovi posti di lavoro».
Nei cinque anni di governo Berlusconi, i disoccupati sono diminuiti, ma di poco.
Non certo dimezzati.
Secondo Eurostat, nel gennaio 2001 il tasso dei senza lavoro era pari al 9,9%. Cinque anni dopo è sceso al 7,1%.
Per dimezzarlo bisognerebbe toccare quota 4,95, obiettivo ormai irraggiungibile.
Anche guardando i dati numerici, il milione e mezzo di nuovi posti è ben lontano dall’essere realizzato.
Secondo i dati del Sole-24 Ore dell’8 gennaio 2006, l’incremento totale degli occupati tra il 2001 e il 2005 è stato in tutto di 1 milione e 74 mila unità .
A questa cifra, già lontana dalla promessa iniziale, vanno oltretutto detratti gli immigrati clandestini che un lavoro l’avevano già prima del 2001 e che Berlusconi infila tra i «nuovi occupati» solo perchè hanno regolarizzato la loro posizione uscendo dal sommerso: 343 mila persone sulle oltre 650 mila ammesse alla sanatoria.
I nuovi posti scendono così a 731 mila: meno della metà di quelli promessi.
Comunque la si guardi, insomma, la clausola del contratto non è stata rispettata, anche se il ministro del Welfare Maroni assicura che sono stati creati «circa 2 milioni di posti di lavoro», senza peraltro specificare che nello stesso periodo ne sono andati perduti centinaia di migliaia. Ma non è tutto.
Anche l’apparente crollo della percentuale dei disoccupati ha una spiegazione tutt’altro che incoraggiante: visto che il lavoro non si trova, molti iscritti alle liste di collocamento smettono di cercare un impiego e si cancellano dagli elenchi.
Lo dice a chiare lettere proprio l’Istat nella sua relazione sulla disoccupazione: «Il motivo principale del calo è lo scoraggiamento dal cercare lavoro».
5. Più cantieri per tutti
«Apertura dei cantieri per almeno il 40% degli investimenti previsti dal “Piano decennale per le Grandi Opere” considerate di emergenza e comprendente strade, autostrade, metropolitane, ferrovie, reti idriche e opere idro-geologiche per la difesa dalle alluvioni.»
Secondo Il Sole-24 Ore del 6 gennaio 2006, nemmeno questo obiettivo — peraltro generico (aprire i cantieri non è la stessa cosa che costruire le opere) — è stato raggiunto.
Alla luce dei dati disponibili forniti dal ministero delle Infrastrutture, si è raggiunto appena il 21,4% degli investimenti previsti dalla legge.Infatti sono stati appaltati cantieri per 51,2 miliardi su un totale di 173. E se anche nel giugno 2006 ci si arriverà , come garantito dal ministro Pietro Lunardi nel suo «bilancio sulla legge obiettivo a quattro anni dalla sua approvazione», si toccherebbe al massimo quota 25,4%.
Ben lontana dal traguardo del 40%.
Il ministero però sostiene che a giugno l’obiettivo sarà raggiunto e superato, arrivando al 45% delle opere «affidate e/o cantierate». Ma l’affidamento di un’opera, pur rappresentando per molti versi un punto di non ritorno, è qualcosa di molto diverso dall’apertura di un cantiere. Esempio: l’appalto per la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina.
Il 24 novembre 2005 la realizzazione dell’opera è stata assegnata a Impregilo, ma prima che le ruspe si mettano al lavoro passerà molto tempo: si arriverà a fine 2006, secondo le stime della stessa impresa appaltatrice, o forse molto più tardi se ci saranno intoppi nella progettazione definitiva e/o esecutiva, nella verifica di impatto ambientale, nella successiva approvazione del Cipe, previo consulto con le regioni. In ogni caso, anche se il governo Berlusconi ha fatto qualcosina in più degli esecutivi precedenti, non si può certo sostenere che abbia mantenuto la quinta promessa.
6. Se non mantengo vado a casa
«Nel caso in cui al termine dei 5 anni di governo almeno 4 su 5 di questi traguardi non fossero stati raggiunti, Silvio Berlusconi si impegna formalmente a non ripresentare la propria candidatura alle successive elezioni politiche.»
Pur avendo mancato tutti e cinque i traguardi, Silvio Berlusconi si ricandida.
Così non mantiene nemmeno il sesto e ultimo impegno.
(da “Le Mille balle blu” (edizioni Bur) di Peter Gomez e Marco Travaglio)
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