Aprile 10th, 2013 Riccardo Fucile
MASSIMILIANO CARDULLO SI APPELLA ALLA PRESIDENTE DELA CAMERA PERCHE’ TUTELI I LAVORATORI DEI GRUPPI: “MI HANNO LICENZIATO IN TRONCO PERCHE’ AVEVO CRITICATO IL MOVIMENTO”
Le sue competenze professionali non sono bastate a conservargli il posto di lavoro. 
Le sue opinioni personali, espresse su Facebook, hanno avuto un peso maggiore e gli sono costate care.
Così Massimiliano Cardullo, avvocato, è stato cacciato per aver criticato sul social network il Movimento 5 Stelle.
A denunciare l’episodio lo stesso Cardullo, che ha inviato una lettera al presidente della Camera, ai Questori e ai capigruppo, chiedendo che “vigilino a tutela di tutti i lavoratori dei Gruppi parlamentari”.
Nella sua lunga lettera aperta, Cardullo racconta di aver sostenuto un colloquio, che comprendeva l’esame del curriculm e dei titoli ma anche una prova scritta, il 27 marzo scorso al gruppo del M5S.
“Il colloquio, al quale hanno partecipato il capo dell’ufficio legislativo del gruppo, avvocato Emanuele Montini, e i deputati onorevoli Emanuele Cozzolino, Filippo Gallinella e Arianna Spessotto” ha avuto “esito positivo”.
Dal giorno successivo Cardullo ha cominciato a lavorare presso il gruppo parlamentare grillino come responsabile delle Commissioni finanze e politiche della Comunità europea.
“Da quel momento, seppur senza nessun contratto nè rassicurazioni e certezze sul quantum del mio compenso- scrive Cardullo al presidente della Camera- ed evidentemente rinunciando in fiducia ad altre opportunità lavorative, ho cominciato con abnegazione e professionalità a prestare la mia opera, in alcuni giorni dalle 9 alle 20 come può facilmente accertarsi mediante la verifica all’ingresso di via Uffici del vicario 21, lavorando per il gruppo e ricevendo anche attestati di stima che conservo tra le mie mail”.
Poi però, l’8 aprile, gli arrivano prima delle voci informali (“accusato di essere nell’ordine: massone, avvocato colluso con mafiosi e di essere stato candidato in precedenza in una lista civica”).
Nel pomeriggio i deputati Manlio Di Stefano e Filippo Gallinella gli comunicano il licenziamento, motivandolo con le critiche al Movimento che avrebbe pubblicato in passato sulla propria pagina di ‘Facebook’.
“Certamente – osserva nelle lettera – per chi fa della trasparenza e del merito una propria bandiera allontanare un lavoratore con motivazioni assolutamente generiche sulle sue opinioni personali è quantomeno contraddittorio”.
“Io – conclude Cardullo – mi appello a Voi non per un interesse personale di chi ha sbagliato a fidarsi della correttezza di rappresentanti delle istituzioni e che oggi si trova con una figlia di due anni senza un lavoro, ma affinchè il presidente della Camera, i componenti dell’Ufficio di Presidenza e del Collegio dei Questori esercitino con attenzione e rigore una vigilanza ed un controllo sui gruppi parlamentari a tutela di tutti lavoratori, facendosi garanti che nessuno di essi venga discriminato nell’esercizio del proprio lavoro per nessun motivo, così come statuiscono gli articoli 3 e 4 della nostra Carta Costituzionale”.
(da “La Repubblica”)
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Aprile 10th, 2013 Riccardo Fucile
DOPPI INCARICHI: IN 36 NON DECIDONO ANCORA TRA REGIONE E PARLAMENTO … SONO 177 QUELLI CHE SOMMANO POTERE E A VOLTE STIPENDI
I doppi incarichi e i doppi stipendi vanno contro la Costituzione, articolo 122, che vieta di sedere nei consigli regionali e in Parlamento.
E vanno contro un decreto legge — convertito nel settembre del 2011 — che stabilisce che non si possono ricoprire due cariche elettive, e dunque non va bene nemmeno la fascia tricolore da sindaco nè la livrea da presidente provinciale.
Ci sono state proteste bipartisan ma resta il problema per 177 parlamentari, che non si decidono — e quindi eleggeranno il nuovo Capo dello Stato — anche perchè la giunta per le elezioni, in assenza di un governo, non si può nominare.
In realtà , rischiando una mossa spericolata, il Senato ha prorogato la propria Giunta provvisoria. Ma c’è chi al doppio incarico ha già rinunciato, dimostrando che l’assenza della giunta non è di per sè un ostacolo.
à‰ obbligatorio rinunciare all’indennità in regione ma non ai gettoni per le Commissioni, nè per le province nè per i comuni.
Soltanto ieri il governatore Roberto Cota ha deciso di restare in Piemonte e mollare Roma, mentre Nichi Vendola ancora non ha sciolto la riserva.
La Puglia potrebbe riunire il consiglio regionale nella capitale, tanto sono in undici, e trasversalmente rappresentati, a covare il dubbio: meglio una legislatura cominciata da qualche settimana e un po’ precaria o il rifugio sul territorio che già ha consumato qualche anno?
Oltre al governatore, ci sono Rocco Palese, Massimo Cassano, Pietro Iurlaro, Roberto Marti, Gianfranco Chiarelli e Lucio Tarquinio (tutti Pdl); Antonio Decaro e Michele Pelillo (Pd); Dario Stefano e Antonio Matarrelli (Sel). Anche la Campania potrebbe trasferirsi a Roma: c’è il vicepresidente Giuseppe De Mita, nipote di Ciriaco, Udc; c’è il capogruppo Umberto Del Basso De Caro (Pd); c’è l’assessore all’Urbanistica, Marcello Tagliatella (Pdl) e due consiglieri, sempre berlusconiani, Eva Longo e Domenico De Siano.
Quest’ultimo merita una citazione particolare in quel gruppetto di sette che, in una settimana, riesce a presenziare quattro aule di quattro organismi istituzionali o amministrativi.
De Siano è stato spedito al Senato, ma è anche consigliere regionale , provinciale e comunale a Lacco Ameno, Isola di Ischia. Si sdoppiano anche in Calabria, Sicilia, Marche, Abruzzo, Toscana, Veneto, Emilia-Romagna.
In 36 non rispettano la Costituzione e approfittano dell’incertezza parlamentare: è vero che un lodo di Roberto Calderoli ha riattivato la Giunta di Palazzo Madama, ma non quella di Montecitorio e così non comincia la procedura che comunque è molto buffa.
La Giunta individua il caso da risolvere, si prende trenta giorni per fare un’istruttoria e concede altrettanti giorni all’interessato per scegliere.
Ma siccome la legislatura veleggia in acque agitate, per adesso, in tanti preferiscono non scegliere.
Perchè il pericolo è in agguato: se uno indica Roma e poi si va a rivotare, che succede?
Caterina Perniconi e Carlo Tecce
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 10th, 2013 Riccardo Fucile
“SONO VICINI AL PUNTO DI ROTTURA E CRESCONO DI GIORNO IN GIORNO”
Eurodeputata dell’Idv e paladina dell’antimafia, Sonia Alfano conosce bene il Movimento Cinque Stelle. 
Da settimane è in contatto con l’ala dialogante delle truppe parlamentari di Beppe Grillo. Ed è convinta che molti parlamentari siano vicini al punto di rottura: «Sono quaranta, forse di più. Soprattutto deputati, ma anche senatori.
I numeri crescono. Non vogliono l’inciucio, ma chiedono che il M5S faccia i nomi al Pd per il governo e il Quirinale».
Onorevole Alfano, da siciliana ed ex grillina conosce tanti esponenti del movimento. E’ in contatto con loro?
«Sì, i contatti continuano. Dopo che si è saputo che parlavo con alcuni di loro, mi hanno chiamato anche persone che non mi conoscevano ».
Su cosa le dicono di voler dialogare?
«Sul Quirinale, innanzitutto. E sul premier, sulla squadra di governo».
Quantifichiamo il dissenso parlamentare.
«Quaranta, forse qualcosa in più. La maggior parte deputati».
Fuori i nomi dei dissidenti pronti a sfidare la linea ufficiale.
«No».
Insisto: i nomi. O almeno la provenienza: meridionali?
«Quanto alla provenienza, sono ben spalmati. E’ un fatto che ha stupito anche me. È in atto una discussione, anche dopo l’incontro dell’agriturismo».
Le dicono che usciranno presto allo scoperto?
«Il problema non è il dissenso interno, ma cosa fare all’interno. Più che venire allo scoperto, penso che porranno ancora in modo convinto la questione».
E se non ottenessero risultati concreti?
«Domando io: pensa che queste persone vorranno sentirsi responsabili di dire sempre no?».
Nel Movimento c’è chi dice: Alfano sostiene di avere contatti con noi, ma non è vero.
«E’ il gioco delle parti (ride, ndr). E, d’altra parte, sono loro che contattano me».
Cosa le dicono?
«Hanno a cuore le sorti del Paese. Innanzitutto sui temi della legalità e dell’antimafia. È circolata la foto del pm Di Matteo con la scorta con i mitra spianati: alcuni del movimento mi hanno detto che non vogliono sentirsi responsabili di quello che non vogliono accada di nuovo».
Altri punti di contatto?
«Bersani ha proposto alcuni nomi, gli hanno detto no. Il segretario del Pd ha detto: fate una proposta. E hanno detto no. Discutere dei nomi non significa fare un accordo, ma vincere. Anche per non essere governati di nuovo da Berlusconi».
C’è chi potrebbe gridare all’inciucio tra il Pd e il M5S.
«Ma fare nomi non significa fare un inciucio. Significa portare gli altri sulle posizioni del movimento. Molti di loro temono di perdere la faccia. Come per la storia di Grillo e degli stipendi dei parlamentari».
Aprire al Pd può comportare un prezzo politico alto.
«E io dico: perchè non chiedere ai democratici se sono d’accordo con la legge sul conflitto d’interesse, sulla riforma elettorale, sui diritti civili? Bersani ha mostrato disponibilità , vuole governare con Sel e fare un accordo con il M5S».
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)
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Aprile 10th, 2013 Riccardo Fucile
AUMENTI BLOCCATI, PERSONALE SCESO DI 200.000 UNITA’… POTERE D’ACQUISTO EROSO DEL 7,2%
Per la prima volta dopo 31 anni di crescita continua nel 2011 e nel 2012 sono calate le retribuzioni dei dipendenti pubblici ed è scesa la spesa per gli stipendi nella Pubblica amministrazione: lo annuncia l’Aran, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni, anticipando un’ulteriore diminuzione per il 2013.
Quando si parla di compensi statali si affronta un capitolo consistente della spesa pubblica: 170 miliardi, pari a poco meno dell’11% del Pil.
Per cui anche una riduzione dell’1,6%, come quella registrata per la prima volta nel 2011, significa esibire una spending review di svariati milioni.
E le stime disponibili per il 2012 confermano un ulteriore ribasso (all’incirca dell’1%) con uscite complessive ferme a 165,36 miliardi.
Un dato che arriva dopo anni e anni, soprattutto il decennio 80 – 90, in cui le retribuzioni degli statali si sono moltiplicate di 4-5 volte, salendo anche più dell’inflazione.
In soldoni, un dipendente pubblico percepiva in media circa 34 mila e 500 euro all’anno lordi nel 2011 (28.800 di base per contratto e i restanti 7.000 accessori), cifra che è scesa a 34.137 l’anno dopo, con un calo effettivo delle retribuzioni medie dello 0,8%.
Ma come si è arrivati all’inversione di tendenza?
Non solo con il blocco delle retribuzioni, ma anche «grazie alle misure di contenimento varate negli ultimi anni, in particolare il blocco dei contratti e i vincoli al turnover che stabiliscono che non si può assumere più del 20% del personale uscito e della spesa per questo personale», spiega il presidente dell’Aran, Sergio Gasparrini.
Tant’è vero che il numero di occupati nelle amministrazioni pubbliche è passato da circa 3,6 milioni (nel 2007) a meno di 3,4 milioni nel 2012, con un calo di poco più del 6%.
In particolare, ci sono «265 mila posti di lavoro in meno negli ospedali, nelle scuole materne e in generale nel sistema dei servizi ai cittadini», contestano i sindacati Fp-Cgil, Fp-Cisl, Uil-Fpl e Uil-Pa, per i quali la reale erosione del potere d’acquisto degli statali è «ben più gravosa, al 7,2%».
Valentina Santarpia
(da “il Corriere della Sera“)
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Aprile 10th, 2013 Riccardo Fucile
“BOSSI HA DETTO CHE SIAMO FRATELLI”: MA NEL VENETO CRESCONO I MALUMORI
«La contestazione nei miei confronti è stata microscopica, nemmeno significativa, fatta da quindici
“pistola” che abbiamo identificato».
Il giorno dopo Pontida, Roberto Maroni minimizza.
Ma sottolinea l’identificazione che, con ogni probabilità , aprirà la strada alle espulsioni: «I “pistola”, come noi li chiamiamo in Lombardia, in basso a destra, si sono messi per un po’ a fischiare. Subiranno le conseguenze di questo»
Eppure, il sentiero che il capo leghista si trova di fronte è tutt’altro che agevole.
E se i suoi sostenitori continuano a sollecitarlo a riprendere in mano le ramazze verdi e a cacciare dal partito i contestatori, la questione è tutt’altro che banale e le espulsioni andranno valutate con saggezza: il rischio più immediato è che è che a poche settimane dalle elezioni amministrative per Vicenza e Treviso, il Veneto si trasformi in una polveriera.
Del resto, ieri si è manifestato un segnale di cui Maroni dovrà tenere conto.
In visita al Vinitaly, il governatore lombardo avrebbe dovuto incontrare e visitare la fiera in compagnia non soltanto di Flavio Tosi, il segretario veneto destinatario della più robusta razione di fischi a Pontida, ma anche del governatore Luca Zaia.
L’appuntamento non era ufficialmente in agenda, ma nei giorni scorsi la notizia era stata fatta circolare a più riprese.
E invece, nonostante i tre fossero tutti presenti nello stesso momento all’esposizione, Luca Zaia non si è visto.
Il fatto è che Flavio Tosi, il golden boy del movimento in Veneto, sta rapidamente trasformandosi in un serio problema per il segretario leghista.
Che, almeno ai fedelissimi, dice di non aver condiviso gli ultimi provvedimenti del segretario-sindaco.
In particolare, quel commissariamento della Lega veneziana che qualche settimana fa ha visto alcuni leghisti in piazza per impedire fisicamente al commissario, il presidente della Provincia di Treviso, di entrare nei locali della sede veneziana.
La risposta era arrivata in fretta: il segretario di Treviso Giorgio Granello, fedelissimo di Tosi, era stato sfiduciato da 11 componenti su venti della sua segreteria
In più, ci sono le parole di Bossi sul sacro prato: la richiesta di congressi per il Veneto «dato che tanto ormai è tutto commissariato».
L’argomento, per ora, è tabù. L’imminenza delle elezioni sconsiglia anche soltanto di parlarne.
Eppure, si può fin d’ora giurare che la questione tornerà a essere posta con energia.
Lui, Roberto Maroni, ne è consapevole.
E difatti ieri ha parlato a più riprese della necessità di serrare le file: «I problemi interni si risolvono con l’unità . Bossi ha detto che siamo tutti fratelli e questo è fondamentale». Eppure, chi ieri ha visto il fondatore della Lega lo descrive come assai nervoso. Preoccupato della «democrazia» interna al movimento, di cui ha parlato con tutti quelli che erano a tiro, e non particolarmente affettuoso nei confronti del suo successore.
E a chi gli faceva notare che lui stesso, da segretario, avrebbe falciato senza pietà coloro che avessero osato contestazioni a Pontida, ha risposto a muso duro: «Io sono io, Maroni è un’altra cosa».
Un sentimento che il neosegretario forse terrà in considerazione.
Già domani, infatti, per la Lega lombarda si prepara un passaggio delicato.
Al consiglio nazionale potrebbe infatti approdare la richiesta di espulsione nei confronti di Marco Reguzzoni, bossiano di ferro ed ex presidente della Provincia di Varese.
I suoi avversari portano come pezza giustificativa i duri commenti che l’ex capogruppo alla Camera ha pubblicato su Facebook nelle ultime settimane.
Reguzzoni, tuttavia, domenica non era a Pontida. E dunque, Maroni potrebbe decidere con i suoi di non fare un martire dell’antico nemico.
Inoltre, alcuni dei contestatori hanno fatto circolare la notizia che intendono denunciare il gruppetto di Giovani padani con cui si sono fronteggiati sul pratone del giuramento.
Un atteggiamento che trova eco nelle parole dell’ex deputata Paola Goisis, con ogni probabilità in cima alla lista degli epurandi: «C’è una cosa che ha colpito moltissimo me e molte delle persone che mi erano vicine. È stato il comportamento dei Giovani padani che sono arrivati organizzati come una squadra, hanno iniziato a spingere e hanno messo in atto dei comportamenti violenti e minacciosi. Una cosa che in tanti anni di Lega non avevo mai visto».
I primi nodi, in Veneto, verranno al pettine sabato, al consiglio nazionale.
Ma Roberto Maroni nei prossimi giorni avrà bisogno di molta saggezza.
Marco Cremonesi
(da “il Corriere della Sera“)
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Aprile 10th, 2013 Riccardo Fucile
“DOPO IL QUARTO SCRUTINIO POSSIAMO ANCHE VOTARE IL PROFESSORE”… PER GRILLO “MEGLIO LUI DI D’ALEMA E AMATO”… MA LO SPONSOR DI PRODI IN REALTA’ E’ CASALEGGIO
Il nome gira già da qualche giorno.
E a farlo non sono i parlamentari, ma Beppe Grillo in persona.
L’ex comico ha gà una soluzione in tasca per il Quirinale.
Di chi si tratta? Di Romano Prodi.
«Ragazzi — ripete nelle ultime ore — se per il Colle arriviamo alla quarta votazione, bisogna riflettere!».
Un invito che ha destato sorpresa in molti. E quando il leader del M5S entra nello specifico lascia tutti di stucco.
«Prodi — aveva già spiegato venerdì scorso nel summit “segreto” alle porte di Roma — non è D’Alema o Amato, è una persona con la quale si può ragionare. Vi invito a riflettere su questo punto, perchè altrimenti alla fine rischiamo di trovarci davvero quei due».
Il riferimento è al quarto scrutinio, quando si richiederà solo la maggioranza assoluta e non il quorum dei due terzi per eleggere il successore di Napolitano.
Nella sala del casale alle porte di Roma il Fondatore non ha detto di più, ma tanto è bastato per alimentare un vivace dibattito interno.
Così intenso che fatica a restare sottotraccia, soprattutto ora che la scelta del nuovo inquilino del Colle è a un passo.
Non è la prima volta che il leader saggia il terreno.
Provoca, lancia suggestioni, spiazza.
Il nome del Professore di Bologna, per dire, era stato evocato dal Fondatore un paio di settimane fa, in un post sul suo blog: Pd e Pdl vogliono al Colle «non un Pertini, ma neppure più modestamente un Prodi che cancellerebbe Berlusconi dalle carte geografiche».
Non un’apertura, ma neanche una porta sbattuta in faccia all’ex commissario europeo. Anche perchè in passato lo stesso Grillo e molti dei suoi eletti non hanno nascosto di apprezzare dei governi passati solo quelli presieduti dal Professore.
Davanti a suoi parlamentari Grillo si è però spinto oltre.
Alla vigilia, tra l’altro, del referendum on line che chiamerà gli iscritti al movimento a selezionare già domani una rosa di dieci papabili per il Colle più alto.
Martedì 16 aprile, poi, la top ten espressa dalla galassia grillina sarà sottoposta a nuovo sondaggio della Rete per incoronare il candidato da sostenere in Parlamento.
Almeno per le prime tre votazioni.
Dal quarto scrutinio, infatti, cambia tutto ed è a quel punto che i voti dei cinquestelle possono risultare determinanti. Magari per far prevalere Prodi.
Il risiko del Quirinale non lascia indifferenti deputati e senatori del movimento.
Del nuovo Presidente, non è un mistero, discutono da tempo. Si confrontano soprattutto attraverso mailing list e forum privati.
E la galleria di personalità pronte a scalare il Colle grazie alla spinta dei grillini si arricchisce ogni giorno di nuovi volti. E di suggestioni.
C’è Gino Strada, innanzitutto, sponsorizzato dall’ideologo del M5S Paolo Becchi.
Va fortissimo anche Dario Fo, così stimato da poter contare anche su un pubblico elogio di Grillo: «È un premio Nobel una mente aperta, ha una lucidità fantastica».
«Non ho le possibilità fisiche e psichiche», si è però tirato fuori l’intellettuale.
Nella galassia grillina si guarda anche ai Presidenti emeriti della Consulta, Gustavo Zagrebelsky e Valerio Onida.
E qualcuno, fra i fan del leader, ha anche pensato di lanciare la candidatura del direttore d’orchestra Claudio Abbado.
Se la società civile è il bacino preferito dal movimento, un discorso diverso va fatto per i politici di professione.
Piace, ma potrebbe pagare la lunga militanza radicale Emma Bonino. Raccoglie consensi crescenti nell’ala libertaria dei grillini, ma difficilmente riuscirà a spuntarla.
Quanto a Prodi, non è solo l’attenzione dimostrata dal Fondatore a pesare, spingendo decine di parlamentari a valutare un clamoroso sostegno in caso di “spareggio” per il Colle.
Conta anche la conoscenza tra il guru Gianroberto Casaleggio e il Professore, mediata da Angelo Rovati.
E i due hanno avuto modo di incrociarsi anche di recente a Milano, durante una pausa dei lavori del World Business Forum.
La mossa di Grillo punta anche a evitare che si ripeta quanto già accaduto per l’elezione di Piero Grasso.
Perchè lacerarsi è facile, soprattutto se il voto è segreto e la posta in palio altissima.
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)
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Aprile 10th, 2013 Riccardo Fucile
DOPO TANTE CHIACCHERE I CINQUESTELLE A TUTT’OGGI SI SONO RIDOTTI DEL 50% SOLO LO STIPENDIO BASE: INVECE DI 13.500 EURO NE PRENDONO POCO PIU’ DI 11.000: E’ QUESTA LA RIVOLUZIONE?
Roberto Cotti ha confessato di aver chiesto un prestito in banca. 
«Non sarei arrivato alla fine del mese…», ha spiegato a Un giorno da pecora su Radio2.
Ma un prestito va restituito, e se lo stipendio è davvero di 2.500 euro netti al mese, per il senatore grillino che difficilmente da Roma potrà continuare a mandare avanti la sua ditta «di servizi turistici» Sardegna Piccoli Eventi, i sacrifici sono destinati a continuare.
Almeno fino a quando Cotti, come gli altri suoi 161 colleghi, non avranno preso le misure alla famigerata «diaria».
Sono i 3.503 euro al mese che spettano ai parlamentari, oltre all’indennità , come rimborso delle spese di vitto e alloggio nella capitale.
Fino al 27 luglio del 2010 era di 4.003 euro.
Persino insufficienti, secondo qualcuno, a mettere al riparo gli onorevoli dalle tentazioni romane. Ricordate l’ex deputato dell’Udc Cosimo Mele?
Reduce da un festino a luci rosse e droga in un albergo di via Veneto si dimise dal partito, mentre il segretario udc Lorenzo Cesa avanzava una proposta scioccante: dare più soldi ai deputati per consentirgli di ospitare le mogli a Roma.
Già , la diaria. Quando la pronunciano, quella parola, è come se dovessero maneggiare nitroglicerina.
Perchè guai a dare l’impressione che si possa essere omologati ai parlamentari di altri partiti: anche se il problema dell’uso di quei soldi esiste, eccome.
Un mese fa la giornalista dell’Ansa Francesca Chiri aveva raccolto gli sfoghi di alcuni deputati grillini: «Nessuno vuole arricchirsi ma attenti, non possiamo neanche rimetterci. Non dobbiamo tornare a vivere come quando eravamo all’Università fuori sede…».
Sfoghi rigorosamente anonimi, e si capisce perchè
La linea è quella che arriva dal blog di Beppe Grillo, che due giorni fa ha spedito un missile terra-aria a Repubblica, giornale reo di aver titolato: «La retromarcia dei grillini: non bastano 2.500 euro. E Beppe: “Vanno bene seimila”».
Cioè la somma fra l’indennità e la diaria, appunto seimila euro. «Una balla gigantesca», per Grillo. Anche se poi l’Ansa pubblica il testo del codice sottoscritto dai cittadini dove c’è scritto: «L’indennità dovrà essere di 5 mila euro lordi mensili (…) i parlamentari avranno comunque diritto a ogni altra voce di rimborso tra cui la diaria…».
La linea è quella di cui si fanno tramite diligenti i capigruppo Roberta Lombardi e Vito Crimi.
Il quale spiega in conferenza stampa: «Abbiamo deciso di rimandare la rendicontazione della diaria a quando avremo in mano le prime buste paga…».
Logico: come si fa a rendicontare prima ancora di sapere quanto si spende?
Ma non può non venire l’idea che tutto questo nasconda il terrore di essere sia pure soltanto sfiorati dal sospetto di essere sedotti dai vituperati privilegi.
Anche quando la faccenda assume contorni grotteschi.
Prova ne sia l’autodafè di Adriano Zaccagnini, pizzicato a mangiare al ristorante della Camera. «Ammetto il mio errore e sono pronto a restituire la parte eccedente del conto che non ho pagato», è stata la sua confessione…
L’indennità , dunque, sarà dimezzata.
Ma gli eletti del Movimento 5 Stelle hanno deciso che rinunceranno anche alla liquidazione.
Per la diaria, invece, vedremo a fine mese.
Come per il contributo di 3.690 euro mensili che dovrebbe essere destinata ai collaboratori.
E per altre voci, quali il fondo per le bollette telefoniche (3.098 euro l’anno) e le spese di trasporto (fino a 3.995 euro ogni 3 mesi).
Non che non restino aperti altri interrogativi.
Per esempio, la diaria di chi vive a Roma? Per esempio, la pensione? Per esempio, i finanziamenti ai gruppi parlamentari?
Ai grillini di Camera e Senato toccherebbero 8.974.100 euro.
Soldi del finanziamento pubblico di cui il M5S vuole l’abolizione.
Impensabile che finiscano nelle casse grilline, o che a finanziare il Movimento siano gli stessi cittadini con parte delle proprie competenze, come fanno gli onorevoli di qualche partito.
Del resto, Grillo non ha sempre detto che «è possibile fare politica senza soldi pubblici» e comunque con pochissime risorse?
La campagna di finanziamento delle elezioni si intitolava: «Obiettivo un milione».
È arrivato molto meno: 571.645 euro, a ieri.
E anche lì, per il dettaglio delle spese, ancora ignoto, bisognerà attendere l’esito della «meticolosa rendicontazione» in atto.
Vero è che il seguitissimo sito di Beppe Grillo, e questo ha fatto storcere la bocca a qualche integralista, è zeppo di pubblicità .
C’è anche Cubovision, che fa capo a Telecom Italia, azienda in passato finita ripetutamente nel mirino del comico genovese.
L’ultima volta il 29 aprile del 2010, quando c’era già l’attuale gestione di Franco Bernabè. All’assemblea Grillo si presentò con un poco amichevole lutto al braccio: «Qui si celebra un funerale. Telecom è morta ma forse si possono espiantare degli organi. Sia venduta a Telefonica prima che la spolpino».
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera“)
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Aprile 10th, 2013 Riccardo Fucile
“L’INDIRIZZO POLITICO SPETTA AL GOVERNO”
Su questa storia delle commissioni che non decollano, i grillini ne fanno una bandiera, ma gli addetti ai lavori la pensano in maniera diversa.
«Da un punto di vista teorico – spiega il costituzionalista Stefano Ceccanti, ex parlamentare Pd – non si può confondere un sistema presidenziale da uno parlamentare. Nel primo si può ancora ricorrere alla tripartizione classica tra poteri Esecutivo, Legislativo e Giudiziario. Nel secondo, no. Con il voto di fiducia la maggioranza parlamentare si fonde indissolubilmente con il governo, cui spetta l’indirizzo politico».
Secondo Ceccanti nel nostro sistema non c’è alcuna separazione tra Esecutivo e Legislativo. «La maggioranza politica è l’asse in comune. E infatti è espressamente previsto che in alcune particolarissime commissioni, tipo quella di controllo sui servizi segreti, il presidente dev’essere di opposizione».
Per essere ancor più chiaro, il costituzionalista fa l’esempio delle leggi di spesa: compete al governo stabilire le forme della copertura finanziaria e di conseguenza non è affatto indifferente chi sia il presidente della commissione Bilancio di Camera e Senato.
«È naturale che la maggioranza voti il “proprio” presidente della commissione Bilancio, che opererà in stretto contatto con il governo. È inimmaginabile che il presidente di una commissione così importante, come anche quella degli Affari costituzionali, non sia della maggioranza. Ma se non si passa attraverso il voto di fiducia al governo, come si fa a definire chi è in maggioranza e chi all’opposizione? ».
La pensa esattamente come Ceccanti anche uno che è dalla parte opposta. Giuseppe Calderisi, ex parlamentare Pdl, grande esperto di norme parlamentari, dice di essere stupito di un dibattito «che è surreale: chi, come i grillini, dice che la nostra Costituzione è la più bella del mondo, è tenuto almeno a leggerla e rispettarla. Non si può mica passare surrettiziamente da un sistema parlamentare a uno assembleare senza modificare la Costituzione. Anche i regolamenti parlamentari: troppo facile leggere solo alcuni articoli. Il nostro sistema è chiarissimo. Occorre un governo anche per fare le leggi».
Si ascolti anche Rocco Buttiglione, Udc, che ieri alla Camera ha improvvisato una piccola lezione ai giovani colleghi del M5S: «La nostra è una Costituzione parlamentare, non assembleare: parlamentare vuol dire che c’è un governo e che la responsabilità politica complessiva dell’indirizzo della legislazione tocca al governo».
A sentire i tecnici di area, insomma, di destra come di sinistra o di centro, non c’è modo di uscirne.
Con buona pace del professor Paolo Becchi, che spinge sull’acceleratore della protesta. «Occupare il parlamento e occupare la piazza per difendere la democrazia dall’ultimo colpo di coda della partitocrazia», era il suo slogan di ieri.
La partitocrazia, per stare alle parole di Grillo, è a un passo dal golpe? Becchi ne è convinto. «Il golpe lo sta facendo chi impedisce al Parlamento di lavorare».
Ma lo spirito movimentista del professor Becchi è agli antipodi della governabilità cara a Ceccanti.
«Se vogliamo uscire dal piano teorico e passare al pratico – dice il costituzionalista – ricordo che tra qualche giorno i parlamentari saranno impegnati mattina e sera per votare il nuovo Capo dello Stato. Subito dopo ci sarà l’insediamento al Quirinale e le nuove consultazioni. Nel giro di pochissimi giorni la situazione si chiarirà . Tutta questa retorica sul Parlamento che non lavora, insomma, è destinata a finire presto».
Francesco Grignetti
(da “La Stampa“)
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Aprile 10th, 2013 Riccardo Fucile
LA SUA CANDIDATURA CONSIDERATA PIU’ BIPARTISAN DI ALTRE…. IN GARA ANCHE LA BOLDRINI
«È il momento del cambiamento e di una donna al Quirinale? Mah, i leader politici italiani dicono di
volere il cambiamento, dire è una cosa, volere davvero è un’altra… quella che temo prevalga è la volontà di sopravvivere nello stesso modo di sempre». Emma Bonino non molla mai, per carattere, però è realista.
Del resto, basta vedere com’è andata nell’assemblea dei deputati del Pd, ieri.
Una cronaca che merita di restare agli atti.
Bersani ha usato una formula un po’ contorta per dire che al Colle potrebbe andarci una donna.
Tra i requisiti del candidato — ha detto il segretario — ci sono «il profilo internazionale, la parità di genere…».
E qui, Beppe Fioroni (fan di Franco Marini) ha osservato prontamente se si stava per caso parlando di un ermafrodito, essendo la presidenza della Repubblica una carica monocratica…
Molti hanno riso, il toscano Antonello Giacomelli l’ha buttata in caciara. «Sì, si è allentata la tensione — giustifica Pippo Civati — comunque abbiamo pensato tutti che nella rosa dei nomi per il Colle proporremo delle donne e che una donna avrà buone chance».
I fatti si fermano qui.
I nomi di donna circolano. Innanzitutto è nato il comitato “Bonino presidente”, fondato tra gli altri dal costituzionalista Alessandro Pace, da Renzo Arbore, Anna Fendi.
Perchè Bonino — leader radicale, una donna che ha fatto la storia della modernità e dei diritti civili in Italia, europeista, ex commissario Ue alle emergenze umanitarie, ex vice presidente del Senato eletta nelle file del Pd — è la più gettonata.
Già lo fu nel 1999, però allora era popolare nella società e ignorata dalle forze politiche, tanto che le Camere riunite le regalarono una manciata di voti.
Questa volta qualcosa si muove.
Riccardo Nencini, il leader del Psi, che fa da ufficiale di collegamento con Bersani, l’ha incontrata ieri nella sede dei Radicali per dire che è lei il candidato per cui si batterà .
Si parla pure del ministro dell’Interno, ex prefetto, Annamaria Cancellieri.
Paola Severino, il Guardasigilli del governo Monti, avvocato, è della partita.
I Democratici segnalano una di loro, Anna Finocchiaro, ex presidente dei senatori, una salda cultura giuridica, stimata da molti nel Pdl e nella Lega.
Non è sfuggito che, proprio ieri, Bobo Maroni, il governatore lumbà rd, abbia parlato dell’idea di una donna al Colle.
È sembrato l’endorsement per Finocchiaro.
Il tam-tam sulla candidata donna rilancia pure Laura Boldrini, la neo eletta presidente della Camera, ex rappresentante Onu per i Rifugiati, amatissima a sinistra.
In ribasso le quotazioni di Rosy Bindi, la presidente del Pd, ritenuta troppo “divisiva”.
L’altra caratteristica del candidato per il Quirinale dovrà essere infatti la “condivisione” tra le forze politiche.
Per dirla con il vice segretario Pd, Enrico Letta, alla fine dell’incontro tra Bersani e Berlusconi, il prossimo presidente della Repubblica dovrà essere «di unità nazionale». Una donna che unisce? Qui c’è un malinteso da dissipare, e riguarda la “quota rosa”. Spiega sempre Bonino che l’universalismo della democrazia non prevede quote, nè etniche nè di genere.
Ma una democrazia che funziona, richiede cambiamenti, svolte per essere all’altezza delle sfide.
Forse che Obama è andato alla Casa Bianca perchè afroamericano?
Per i suoi sostenitori bipartisan, Bonino è la figura di cambiamento: laica, con una spiccata autonomia politica, una cultura istituzionale salda (il suo motto è quello di Jean Monnet “Gli uomini passano, le istituzioni restano”).
«Rappresenterà con dignità l’unità nazionale», scrive in un appello Pace.
Una persona «valorosa come Pertini», dice Arbore, se il patrimonio di esperienza politica, idealità , battaglie — inclusa la disobbedienza civile che l’ha portata in carcere — valgono qualcosa.
Per i suoi detrattori invece non è nuova, ha attraversato I e II Repubblica, ha 65 anni. Tenuto conto della media di 80 anni dei capi di Stato italiani, è però una giovincella. Soprattutto, ha appoggiato Forza Italia nel 1994: è l’accusa.
Bonino ne ha reso conto, e per il Pdl è la carta in più.
Giovanna Casadio
(da “La Repubblica“)
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