Aprile 28th, 2013 Riccardo Fucile
IL MAL DI PANCIA DEI MILITANTI: “LIQUIDATA LA TRADIZIONE POST PCI”
I militanti lo scrivono su Facebook senza farsi problema: «Hanno liquidato la tradizione post-comunista del Pd».
E ancora: «Il governo Letta è quasi un monocolore democristiano». I dirigenti masticano amaro, ufficialmente fanno finta di niente, ma tra di loro ne dicono di cotte e di crude.
Per questa ragione Pier Luigi Bersani ieri ha cercato tutto il giorno di «dare una mano» a Enrico Letta «per limitare i problemi».
L’ex segretario del Partito Democratico ha spiegato con chiarezza al presidente del Consiglio i termini della questione: «Non possiamo firmare cambiali in bianco per il governo, sennò facciamo fatica a reggere le spinte che vengono dalla base. E non possiamo lasciare campo libero a Grillo e a Sel».
Dopodichè Pier Luigi Bersani ha cercato di far capire anche ai dirigenti periferici, che «una volta affossato il governo del cambiamento, il governo Letta è l’unica possibilità e per questo va sostenuta con impegno e lealtà ».
Il che non significa che il «partito non debba avere la sua autonomia» e che si possa «instaurare una normale dialettica tra il Pd e il governo».
Gli ex Ds, comunque, fanno fatica ad accettare l’idea che a loro siano riservati anche ministeri importanti, come quello dello Sviluppo, occupati però da personaggi che non hanno una caratura nazionale, come Flavio Zanonato, bersaniano di ferro.
Nè sopportano che l’ex ppi Dario Franceschini abbia soffiato al «giovane turco» Andrea Orlando il ministero per i rapporti con il Parlamento.
Ma lo smacco più grosso riguarda il mancato ingresso di Massimo D’Alema nella compagine governativa guidata da Letta.
L’ex ministro degli Esteri, che avrebbe voluto fare il bis alla Farnesina, è stato fatto fuori con questa motivazione: altrimenti vogliono entrare anche Berlusconi e Monti e il partito non li può reggere.
D’Alema dopo quella spiegazione ha confidato ai suoi: «Tanto avevo capito da giorni il giochino che stavano facendo per tenermi fuori».
Gli ex democratici di sinistra ci sono rimasti male (non tutti, però).
Ma lo storico Beppe Vacca, dalemiano della prima e della seconda ora, ha una sua spiegazione per la scarsa presenza della componente diessina del Pd nel governo.
Secondo lui «dopo D’Alema e Veltroni non c’è in quell’area l’equivalente di un Letta o di un Franceschini». E a proposito di Veltroni, c’è da dire che anche l’ex segretario del Partito democratico non ha nessuno dei suoi nell’esecutivo.
Non conforta gli ex diessini il fatto che anche due ex democristiani come Rosy Bindi e Beppe Fioroni siano rimasti a bocca asciutta: non c’è nessun loro rappresentante nel governo Letta. Matteo Orfini, però, prova a metterci una pezza: «Poteva andare peggio».
Dissapori e malumori potrebbero rovesciarsi ancora sul partito: a tutti i dirigenti continuano ad arrivare email di elettori e militanti sdegnati perchè il Pd ha ceduto al governissimo e le pagine Facebook dei dirigenti di Largo del Nazareno sono piene di lamentele, accuse, e persino insulti
Per questo motivo si sta cercando di correre ai ripari con l’elezione del reggente del partito il 4 maggio.
Sta perciò per prendere piede l’ipotesi di non portare lì Guglielmo Epifani. È un ex socialista: sarebbe quindi l’ennesimo posto che gli ex Ds dovrebbero cedere.
Di conseguenza ora le ipotesi più gettonate sono due
La prima, quella di Stefano Fassina: un nome che rassicura l’elettorato di sinistra, un giovane da poter contrapporre a Matteo Renzi.
La seconda ipotesi riguarda invece un altro ex Ds, il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, avversario del sindaco di Firenze, con cui spesso e volentieri litiga.
Lui, per la verità , anche ieri ha smentito, ma il suo nome continua a circolare insieme a quello di Fassina.
Beppe Vacca però mette in guardia il Partito democratico.
Secondo lo storico bisogna evitare i rigurgiti massimalisti e scendere ai patti con la realtà : «Il futuro è Matteo Renzi».
Come premier, perchè quasi sicuramente verrà modificata la norma dello Statuto del Pd che fa coincidere la figura del segretario con quella del candidato presidente del Consiglio.
E Fabrizio Barca è già in piena campagna elettorale per la segreteria…
Maria Teresa Meli
(da “il Corriere della Sera“)
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Aprile 28th, 2013 Riccardo Fucile
RENZI: “IO REGGENTE? NO”… L’AREA DEL DISSENSO PIU’ CONTENUTA DEL PREVISTO
«Certo, con Letta premier e un governo Pd-Pdl, serve tenere il campo della sinistra riformista e una
segreteria affidata a Epifani eviterebbe di spalancare praterie a Vendola e ai grillini», dice uno dei pezzi grossi di nuova generazione, di area dalemian-bersaniana.
Smaltita la pratica delle frasi di incoraggiamento al governo Letta, con Bersani in prima fila impegnato a «lodarne la freschezza e solidità » e ad augurarsi «il sostegno di tutto il Pd», nel Pd si guarda già avanti: a come gestire la ferita con gli elettori che soffrono il governissimo e a mettere al riparo la ditta dalle incursioni a sinistra.
E che ora nel Pd si aprirà uno scontro su chi avrà la leadership fino al congresso è cosa sicura, a sentire cosa dicono i «compagni» di ogni ordine e grado.
E ascoltando Renzi da Fabio Fazio su Rai3, «la lista dei ministri è migliore delle aspettative, questo è un governo che manda in pensione una generazione di big», si capisce che la bussola ormai è il rinnovamento e che anche la scelta di chi guiderà il partito non sarà indolore.
Anche se il rottamatore si tira fuori.
Lei è interessato a diventare il «reggente del Pd?», gli chiede Fazio. «Il reggente, l’autoreggente…», e giù scroscio di risate in sala.
«È un periodo che vengo candidato a tutto. La risposta secca è no, perchè non sono adatto. Voglio stare dentro il Pd, ma mi ci vede a fare l’equilibrista che tiene insieme spifferi e correnti? Sono più adatto a tentare di cambiare le cose nel paese».
Ergo, se colui che viene ormai considerato il futuro leader non vuol essere della partita, è facile prevedere che la grande area trasversale che ormai fa riferimento a lui avrà qualcosa da ridire che a gestire il partito possa salire un ex segretario della Cgil, pur se fosse uno stimato riformista come Epifani.
Non è un mistero che il suo nome sia in cima alle preferenze dello stesso Bersani per la «reggenza» del partito che sarà votata sabato prossimo dall’assemblea plenaria. L’ex leader si è speso nell’ultimo giro di boa per far entrare nel governo ministri a lui vicini, come Zanonato, la Carrozza e la Idem; insieme a Letta ha deciso di stoppare le ultime richieste del Pdl «che stava alzando troppo l’asticella delle pretese», raccontano i bersaniani.
«Ora pure se ha prevalso il killeraggio al governo del cambiamento bisogna dare una mano a questo tentativo di Letta», sono i ragionamenti che fa Bersani con i suoi uomini.
E il successo di questo tentativo «dipenderà dai suoi primi passi, perchè Enrico l’imprinting di quello che doveva essere il nostro governo lo darà ».
Certo, ora è stata fatta la scelta di dar vita ad un esecutivo politico col Pdl e bisogna ridurre i danni.
Un primo sondaggio tra i parlamentari alla vigilia delle assemblee dei gruppi di domani ha rassicurato i capigruppo e l’area del dissenso si prevede più contenuta del previsto.
«Certo il documento critico come l’avevamo pensato ora è superato», ammette uno dei suoi promotori Sandro Gozi.
Anche i «giovani turchi» al di là dell’ingresso nel governo di uno dei loro leader, Orlando, sono più tranquilli.
«Avevamo chiesto a Enrico Letta una foto che guardasse al futuro e non al passato e per questo siamo soddisfatti: molti giovani competenti, molte donne e un generale rinnovamento», dice una «turca» emergente, la vicecapogruppo Silvia Velo.
In ogni caso Bersani darà una mano per far rientrare i maldipancia e per evitare che si scarichino sul partito.
Ed è convinto che dopo un governo di larghe intese ci sia bisogno di «assumere un profilo netto e di sinistra», per dirla col suo portavoce Stefano Di Traglia.
Che non lesina gli aggettivi sulla figura di Epifani, «solido, di cultura politica, già a capo di una grande organizzazione, insomma uno su cui puntare».
E nel frattempo si vedrà se il governo Letta avrà vita facile.
Aiuterà la coesione del Pd o favorirà la scissione? chiede Fazio a Renzi: «Aiuterà a riflettere e sono ottimista e a quelli che dicono “non votiamo la fiducia” dico di darsi una calmata: guardate prima com’è, e che discorso farà il premier».
Carlo Bertini
(da “La Stampa“)
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Aprile 28th, 2013 Riccardo Fucile
LA RABBIA DI BRUNETTA: “SE NON ARRIVERA’ LA RESTITUZIONE DELL’IMU MI DIMETTO E VOTO CONTRO LA FIDUCIA”
Una drammatica telefonata di Ghedini piomba in vivavoce all’ora di pranzo, mentre Berlusconi e i suoi fidi sono tutti riuniti.
Voce strozzata dall’emozione e dall’incredulità : «Ma come, non vi rendete conto?».
Esplode, l’avvocato del Cavaliere: «La Cancellieri alla Giustizia è quanto di peggio ci poteva capitare. Vi avevo scongiurato in tutti i modi di non farla passare. E invece così voi state firmando l’eutanasia di Berlusconi, le sue future condanne, la sua eliminazione fisica per via giudiziaria…».
Muti i presenti intorno al tavolo di Palazzo Grazioli, gli occhi appuntati su Berlusconi. La cui bocca emette un sospiro: «Questo è il pensiero di Ghedini».
Sottinteso: il suo, non il mio.
Oppure: lo so bene, ma non posso farci nulla, perchè «il governo deve partire».
Deve. E pure in fretta.
Non a caso il primo commento berlusconiano, udita la lista dei ministri, sottolinea quanto egli sia stato disponibile, verrebbe da dire servizievole: «Abbiamo trattato per la formazione del governo senza porre alcun paletto e senza impuntarci su nulla, escludendo persone che fossero già stati ministri».
Brunetta nel governo non va bene in quanto giudicato troppo «incazzoso»?
Via Brunetta, nonostante sia stato l’artefice tra i massimi della sua straordinaria rimonta elettorale.
Alla base Pd non garba uno come Schifani? Via, via anche Schifani.
Gelmini, Fitto, la Biancofiore e la Bernini sarebbero di disturbo? Tutti accantonati senza rimpianti per far nascere un governo nel segno dei tempi attuali, composto da persone giovani o al massimo «pantere grigie», umanamente carine, politicamente corrette, che sappiano stare a tavola (è una metafora).
Anche nel centrodestra, il 27 aprile 2013 segna lo spartiacque, fissa un nuovo standard: il governo d’ora in avanti sarà solo per i «presentabili».
Cioè trionfo totale delle «colombe» berlusconiane.
Basti dire che ben quattro dei cinque neo-ministri Pdl (Alfano, Lorenzin, Lupi e Quagliariello) erano stati sospettati di alto tradimento per aver chiesto in autunno le primarie del partito, addirittura con una manifestazione al Teatro Olimpico (un quinto protagonista, Mauro, ha pure lui ottenuto la poltrona però in quota Monti).
I «falchi» invece restano scornacchiati.
Prima Berlusconi li ha ben spremuti in campagna elettorale, e adesso li chiude sotto chiave nello sgabuzzino, da dove verranno tirati fuori in occasione delle prossime manifestazioni oceaniche, la prossima il 4 maggio a Brescia.
Per cui dentro il Pdl, in queste ore, c’è l’inferno.
Musi lunghi di chi aspirava alla «cadrega» (delusione umanissima), Malox a fiumi per i «pasdaran» che si sentono vittime dell’ingiustizia, per le «amazzoni» abbandonate da Silvio, per gli scudieri più fedeli sconcertati dalla giravolta (tale la considerano) del Grande Capo.
Chi insiste a trovargli una giustifica, scommette che è tutta una finta, «tra due mesi lui manderà all’aria il governo e torneremo a votare».
Altri sono sicuri che l’abbia fatto per la salute delle sue aziende in debito d’ossigeno, ansiose di stabilità politica e di proventi pubblicitari legati alla ripresa.
Qualcuno, come l’impetuosa Daniela Santanchè, ha usato con Berlusconi parole di amicizia ma anche di verità .
Altri, vedi Brunetta, già preannunciano che non finisce qui; se lunedì non dovesse arrivare perlomeno la restituzione dell’Imu allora nessuno terrebbe più a freno la rivolta, il capogruppo (ma tutti, non solo lui) darebbe le dimissioni per votare contro la fiducia a Letta…
Paradosso dei paradossi, il successo politico berlusconiano, anzi il trionfo del Cavaliere che rientra in circolo, che pretende e ottiene pari dignità , che porta a casa ben cinque posizioni importanti, che riapre il dialogo con Monti (dal quale si è fatto convincere al sì su Saccomanni), che getta le basi del futuro Ppe in salsa tricolore, questo Berlusconi vittorioso va più di moda a sinistra che nel centrodestra.
Dove rare sono le voci pronte a dargli atto del miracolo.
Gasparri è tra quei pochi, e col suo accento romanesco quasi sbotta: «Sei mesi fa eravamo spacciati, nessuno avrebbe mai immaginato di ritrovarci qui in campo che ce la giochiamo alla pari. Altro che piangersi addosso!».
Silvio meriterebbe un busto al Pincio…
Ugo Magri
(da “la Stampa”)
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Aprile 28th, 2013 Riccardo Fucile
ALLE 11.40 HA APERTO IL FUOCO CONTRO DUE CARABINIERI, FERENDOLI: LUIGI PREITI, 49 ANNI, E’ STATO BLOCCATO, FERITA LIEVEMENTE UNA PASSANTE
Sei colpi di pistola contro due carabinieri. E’ quanto accaduto alle 11.40 di fronte a Palazzo Chigi durante il
giuramento del nuovo governo.
Gli esponenti delle forze dell’ordine sono stati feriti uno in maniera grave al collo, l’altro alla gamba, ma entrambi — pur se ricoverati in codice rosso — non sarebbero in pericolo di vita. L’attentatore è stato subito fermato: si tratta di Luigi Preiti, classe ’64, calabrese di Rosarno, ma residente da anni ad Alessandria.
Anche lui è rimasto ferito, ma non a seguito della sparatoria, bensì durante la colluttazione con i carabinieri. Nessun precedente penale alle spalle, è accusato di tentato omicidio, porto e detenzione di armi.
L’uomo, in giacca e cravatta, ha attraversato la piazza e all’improvviso, dopo aver gridato alle forze dell’ordine “Sparatemi, sparatemi!”, ha aperto il fuoco contro i due carabinieri: feriti il brigadiere Giuseppe Giangrande, di 50 anni, e il carabiniere scelto Francesco Negri, di 30, entrambi del Battaglione Toscana.
Il primo è ricoverato in prognosi riservata per una ferita al collo, il secondo è ferito gravemente alla gamba. Lo si apprende da fonti dell’Arma.
Anche una passante, secondo quanto riportano le agenzie, è rimasta ferita in modo lieve: colpita di striscio da una scheggia, è stata soccorsa dal 118 e trasportata in ospedale. Si tratta di una donna incinta.
Dopo aver sparato, Luigi Preiti ha cercato di fuggire, ma è stato bloccato. In un primo momento, si era parlato di lui come di uno squilibrato con seri problemi psichici, ma successivamente la testimonianza del fratello dell’attentatore ha dato una versione diversa sulle condizioni di salute del 49enne di origini calabresi.
Luigi Preiti, infatti, non soffrirebbe di turbe psichiche: “Fino a ieri mattina Luigi era una persona lucida e intraprendente. Lui viveva a Predosa, poco lontano da me — ha detto Arcangelo Preiti – Ha perso il lavoro e si è separato dalla moglie, è padre… Problemi psichici? No, no… Da 49 anni a questa parte no… Sono sconvolto, non lo vedo da agosto: era tornato in Calabria a vivere con i nostri genitori”.
L’attentatore è un muratore, aveva deciso due anni fa di lasciare il Piemonte e tornare nel suo paese d’origine non solo in seguito alla separazione, ma anche a causa della disoccupazione, conseguenza della crisi che ha colpito l’edilizia.
A Rosarno l’uomo aveva trovato solo n impiego saltuario e faceva anche dei lavori in proprio.
“Mio fratello non è uno squilibrato, non ha mai sofferto di patologia psichiatriche — ha poi detto Arcangelo Preiti — Si stanno raccontando tante cose non vere… Siamo allibiti, non sappiamo spiegarci quel che è potuto accadere”.
Nel paese d’origine, dove è rientrato da solo mentre la moglie e il figlio di dieci anni sono rimasti in Piemonte, qualcuno lo ricorda come una persona dedita al lavoro e che, in estate, cantava nei lidi della zona.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 27th, 2013 Riccardo Fucile
IN POCHI MESI BERSANI E GRILLO SONO RIUSCITI NELL’IMPRESA IMPOSSIBILE DI RICONSEGNARE L’ITALIA A BERLUSCONI
Si rallegreranno che per la prima volta c’è un governo dove la presenza femminile è forte, dove c’è anche un ministro di colore all’integrazione (Cecile Kyenge) e dove, alla fine, si è riusciti a mettere due personalità di indubbio peso come Fabrizio Saccomanni ed Emma Bonino rispettivamente all’Economia e agli Esteri.
Ma sono solo alcune luci (poche, pochissime) rispetto alle (molte, troppe) ombre di un esecutivo dove i ministeri chiave sono tutti in mano a tecnici o al Pdl.
Insomma, un governo saldamente nella disponibilità di Berlusconi che potrà decidere, senza grosso rimpianto, di mandarlo all’aria quando più gli converrà .
A breve, forse.
La declinazione del peso specifico delle poltrone, d’altra parte, appare chiaramente sbilanciata verso il centrodestra: Alfano all’Interno (quindi con in mano il controllo della macchina elettorale, dei Servizi e dell’ordine pubblico) ma anche vicepremier, Beatrice Lorenzin alla Salute (una nomina che fa tremare i polsi), Maurizio Lupi alle Infrastrutture e Anna Maria Bernini alle politiche comunitarie.
Ma, soprattutto, Gaetano Quagliariello, uomo di punta di palazzo Grazioli, alle Riforme, dunque anche a quella della giustizia e a quella elettorale, entrambe considerate urgenti, che quindi si può immaginare in quale direzione saranno incardinate.
Ciliegina sulla panna, Nunzia De Girolamo, moglie di Francesco Boccia, fedelissimo di Enrico Letta, ma anche ancella fedele di “Vedrò”, l’altro laboratorio politico del neo premier, all’Agricoltura.
Parlare d’inciucio appare riduttivo: questo è un governo più che ad alta densità politica, ad altissima densità berlusconiana.
E meno male che Letta, in tempi non sospetti, aveva detto “mai al governo con Berlusconi”.
Ai tecnici, si diceva, gli altri ministeri di “trincea” dell’immediato futuro.
E dove s’intravede, più che l’inventiva di Letta, la responsabilità di Napolitano.
La Cancellieri spostata alla Giustizia, per esempio, dopo il rischio — rimasto tale fino all’ultimo minuto — di una possibile investitura di Michele Vietti, vice presidente del Csm, con tutto il suo pesante curriculum politico.
Quindi la Carrozza all’Istruzione, senz’altro una scelta illuminata dopo il rischio (anche questo, schivato di un pelo) di ritrovarsi con la devastante Maria Stella Gelmini in un secondo round che sarebbe stato esiziale per il dicastero di viale Trastevere.
In ultimo, Enrico Giovannini, presidente dell’Istat, al Welfare.
Dove, sicuramente, dovrà rimettere mano ai danni fatti dalla Fornero, ma Napolitano aveva apprezzato il suo lavoro nella commissione dei “saggi”, dunque una nomina con una firma in calce molto chiara.
Il Pd, in questo scenario, appare all’angolo, schiacciato dalla prepotenza del Pdl, dei tecnici e dei montiani, che incassano Mario Mauro alla Difesa, l’ex ministro Patroni Griffi come sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giampiero D’Alia alla Pubblica Amministrazione, Moavero Milanesi agli Affari Europei.
Per non parlare della stessa Cancellieri che può essere tranquillamente collocata anche in quota Monti.
Enrico Letta, insomma, ha asfaltato il suo stesso partito lanciando solo un sindaco vicino a Piero Fassino come Flavio Zanonato (che è un cattocomunista della prima ora) in un ruolo così delicato come quello di ministro dello Sviluppo Economico, sotto la cui egida ricade anche la delicata branca delle Telecomunicazioni (che Berlusconi avrebbe voluto spacchettare, stavolta senza successo).
Quindi il sociologo dalemiano Bray alla Cultura, Andrea Orlando all’Ambiente, l’olimpionica Josefa Idem alle Pari Opportunità e Graziano Delrio dall’Anci (dove adesso andrà sicuramente Matteo Renzi) agli Affari Regionali.
Al povero Franceschini la gatta da pelare dei rapporti con il Parlamento.
Che in questa fase saranno più turbolenti del solito, con grillini e Sel schierati su una linea di opposizione decisamente dura.
E ora forse anche di più.
Insomma, un governo in mano a Berlusconi, che rappresenta una scommessa ad alto rischio ma che, nell’ottica del presunto rinnovamento del sistema, lascia libere anche un sacco di altre poltrone che andranno poi ripartite secondo il nuovo manuale del neo inciucio Pd-Pdl.
Enrico Giovannini lascia infatti la presidenza dell’Istat, Saccomanni quella di direttore generale di Bankitalia, Zanonato quella di sindaco di Padova (un assist alla Lega per farsi votare la fiducia?), Lupi la vicepresidenza della Camera, Mauro la poltrona di capogruppo montiano al Senato.
Ci sarà di più, nei prossimi giorni, quando saranno piazzati anche i nomi del sottogoverno, sottosegretari e viceministri che in molti casi andranno a blindare posizioni politiche già conquistate con questa divisione sbilanciata dei ministeri.
In totale, alla fine, il corpo governativo arriverà a circa 100 persone (21 sono i ministri, tra sottosegretari e vice ci saranno almeno altre 70 nomine da fare) e di sicuro anche sul fronte del risparmio ai costi della politica, il governo Letta non ha dato un grande segnale.
Ma questo è certo il minor male. Di peggio c’è il resto.
Che Berlusconi è il premier ombra di un governo presieduto dal nipote del suo migliore scudiero e con i ministeri chiave sotto il suo stretto controllo.
Insomma, benvenuti nel quinto governo del Cavaliere, che da vero gattopardo è riuscito a restare al potere facendo finta di lasciarlo ad altri.
E quali altri…
Sara Nicoli
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 27th, 2013 Riccardo Fucile
LA MACCHIETTA LEGHISTA, NOTO PER CANTARE CHE I NAPOLETANI PUZZANO, DOVREBBE ESSERE SEMMAI SOLIDALE CON LA NEOMINISTRA DEL CONGO: E’ NATA ALL’ESTERO COME LUI
Il rappresentante del becerume legista Matteo Salvini, esponente di rilievo (figuratevi gli altri…) della
Lega, non ha perso tempo a indignarsi per la nomina di una persona per bene a “ministro all’integrazione” invece che “agli affogamenti” a lui cari.
Obiettivo dei suoi rutti politici è Cècile Kyenge, neo ministra del governo Letta, che, leggiamo su “Repubblica”, per Salvini non “è italiana”.
Come al solito Salvini non ne azzecca una: sposata con un italiano e madre di due figlie, nata a Kambove nel Congo-Kinshasa, Cècile è in Italia dal 1983 e ha la cittadinanza italiana.
A differenza del diplomato Salvini, ha una laurea in medicina e chirurgia conseguita all’Università Cattolica di Roma, è specializzata in oculistica ed esercita la professione di medico oculista.
A differenza di qualcun altro, insomma, non è mai stata mantenuta da alcun partito, non si è mai ubriacata, non rutta e non è razzista.
Semmai è stata oggetto di minacce di morte.
Caso strano da un segretario leghista che, commentando la sua elezione a deputata aveva scritto: “Dovremmo fare i kamikaze giapponesi — proponeva infatti Francesco Bellentani, segretario comunale della Lega Nord di Nonantola, nel modenese — prima del gesto estremo, ucciderne minimo 20 di loro”.
Al messaggio un secondo leghista aveva risposto: “Basta far fuori loro, perchè poi ammazzarsi, non ne vale la pena”.
Non risulta che Salvini in quella occasione propose l’espulsione del segretario razzista di Nonantola, forse non era un bossiano…
Ricordiamo che, come coordinatrice della Rete Primo Marzo, Cècile denunciò il caso di Andrea e Senad, i due fratelli bosniaci di 23 e 24 anni, improvvisamente detenuti nel Cie di Modena perchè i loro genitori avevano perso il lavoro e il permesso di soggiorno, facendoli diventare per il nostro ordinamento giuridico meno che apolidi.
Una vicenda kafkiana che si risolse dopo 50 giorni di detenzione con una sentenza del giudice di pace che li rese giustamente liberi.
Cècile ha sempre usato parole moderate: “poter dire ‘io esisto per questa società ‘ anche se la strada per diventare cittadini è lunga, può cambiare sensibilmente la vita di chi già abita in questo paese. Significa sentirsi parte di quella comunità in cui si lavora, in cui si crescono i propri figli, in cui si compra casa e si mette su famiglia”.
Ma sono frasi difficilmente comprensibili per chi è uso cantare: ” senti come puzzano, scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani…”
In ogni caso, comunque la si pensi, che ad accusare Cècile di “non essere italiana” sia proprio chi rivendica di non appartenere alla nostra nazione (come da foto) ma alla “padagna del magna magna” (quanti inquisiti leghisti in Regione nella scorsa legislatura, quanti miliardi gestiti da Belsito senza che Salvini si accorgesse di nulla..) è davvero il massimo dell’umorismo involontario.
Capita solo ai grandi attori.
O agli emeriti cretini.
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Aprile 27th, 2013 Riccardo Fucile
MAURO ALLA DIFESA. BONINO AGLI ESTERI, ZANONATO ALLO SVILUPPO, QUAGLIARELLO ALLE RIFORME, LUPI ALLE INFRASTRUTTURE, DI GIROLAMO ALL’AGRICOLTURA, CARROZZA ALL’ISTRUZIONE, LORENZIN ALLA SALUTE… OTTIMA SCELTA ALL’INTEGRAZIONE CON CECILE KIENGE
Ecco i nomi e gli incarichi dei ministri che fanno parte del governo guidato dal presidente del Consiglio Enrico Letta.
Interni e Vicepremier- Angelino Alfano
Difesa – Mario Mauro
Esteri – Emma Bonino
Giustizia – Anna Maria Cancellieri
Economia – Fabrizio Saccomanni
Riforme istituzionali – Gaetano Quagliariello
Sviluppo – Flavio Zanonato
Infrastrutture – Maurizio Lupi
Poliche Agricole – Nunzia Di Girolamo
Istruzione, Università e ricerca- Maria Chiara Carrozza
Salute – Beatrice Lorenzin
Lavoro e Politiche sociali – Enrico Giovannini
Ambiente – Andrea Orlando
Beni culturali e Turismo- Massimo Brai
Coesione territoriale – Carlo Trigilia
Politiche comunitarie – Anna Maria Bernini
Affari regionali, sport e turismo – Graziano Delrio
Pari opportunità , sport, politiche giovanili – Iosefa Idem
Rapporti con il Parlamento – Dario Franceschini
Integrazione – Cecile Kyenge
Pubblica Amministrazione- Giampiero D’Alia
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Aprile 27th, 2013 Riccardo Fucile
“DOVEVI PROPORRE UNA ROSA DI NOMI AL PD E NON AVREBBERO POTUTO DIRTI DI NO”… “L’INCAPONIRSI SUL DISCUTIBILE NOME DI RODOTA’ HA FATTO SOLO IL GIOCO DI BERLUSCONI”
Bel colpo, Beppe. 
L’incaponirsi su Rodotà ha portato ai seguenti risultati.
1) Un bis di Napolitano che ha tollerato senza fiatare tutte le nefandezze di Berlusconi (non per nulla lo chiamavi ‘Morfeo’), ha firmato le leggi ad personam e ogni volta che l’energumeno, nelle vesti di premier, faceva dichiarazioni eversive, tipo “la magistratura è il cancro della democrazia”, si limitava a dei generici “abbassare i toni” validi erga omnes.
2) Il governo di ‘larghe intese’ (chiamarlo inciucio è proibito) fra Pdl e Pd che per 18 anni si sono alternati al potere portando il Paese alla bancarotta economica e sociale (oltre che morale), che ora tentano di addebitare, col mantra della ‘responsabilità ‘, a 5Stelle che nel Parlamento è appena entrato.
Hanno avuto 18 anni per dimostrare ‘responsabilità ‘ verso il Paese. La scoprono solo ora, perchè temono che la casa che hanno distrutto gli caschi addosso.
3) Berlusconi, che pareva finito, è uscito enormemente rafforzato da questo giro di valzer e ora detta legge.
4) Il premier incaricato è Enrico Letta, nipote di Gianni il ‘consigliori’ del Cavaliere. Ma si è anche rischiato l’incarico al pupillo di Napolitano, Giuliano Amato. Che non è solo il premier che nottetempo, fra il 10 e l’11 luglio del ’92, ha messo le mani sui conti correnti degli italiani (altro che Monti), ma è stato il principale sodale di Craxi. Ha detto la figlia di Bettino, Stefania: “Papà era il capo di un partito di ladri? E allora Amato era il vice ladrone”.
Ma forse sarebbe stato preferibile che la protervia della ‘nomenklatura’ si spingesse fino a questo punto, fino ad Amato.
Perchè sarebbe stato un tale schiaffo in faccia agli italiani, da fargli drizzare finalmente il loro membro floscio. Anche se ci credo poco.
Hai sbagliato i tempi, Beppe.
Se tu avessi proposto fin da subito, prima che iniziasse la sarabanda, i nomi di Zagrebelsky, di Caselli, di Prodi e anche di Rodotà visto che piace tanto ai tuoi attivisti (che probabilmente non conoscono a fondo il personaggio, ben incistato sia nella Prima che nella Seconda Repubblica), Bersani non avrebbe potuto dirti di no perchè quei nomi li aveva ventilati anche lui.
E Berlusconi sarebbe finito fuori gioco.
Invece cincischiando con la Gabanelli e con Strada hai perso due giorni dando il tempo a Pdl e Pd di organizzare il ‘grande inciucio’ su Marini, che poi è fallito non tanto per merito vostro, ma per il disfacimento del Partito democratico.
Il resto è venuto di conseguenza.
Bersani non poteva più accettare Rodotà dopo che, con i suoi sponsor, gli si era messo di traverso. Sarebbe stato come consegnare le chiavi di casa propria a un altro inquilino.
Caro Beppe so bene, quanto te, che la nostra è una parodia di democrazia, ma se tu intendi, come mi pare, rovesciare il tavolo rimanendone all’interno, devi imparare meglio la sua grammatica e la sua sintassi.
Altrimenti i farabutti che giocano questo sporco gioco da decenni ti buggereranno ogni volta.
Massimo Fini
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 27th, 2013 Riccardo Fucile
SI DANNO PER CERTI I NOMI DI ALFANO, QUAGLIARELLO, LORENZIN, LUPI E DE GIROLAMO PER IL PDL, MAURO, MOAVERO, CANCELLIERI PER LISTA CIVICA, ORLANDO E FRANCESCHINI PER IL PD
Dovrebbe essere il giorno buono per la nascita del governo Letta che è salito al Quirinale per riferire al Presidente della Repubblica sull’esito delle consultazioni.
Il presidente del Consiglio incaricato va al Colle con un buon lavoro già fatto, ma non ancora è certo l’esito della riserva.
Da parte sua il leader del Pdl, Silvio Berlusconi, si è mostrato fiducioso a termine del lungo incontro che ha avuto con il premier in pectore: «Penso che Letta giurerà oggi stesso».
Prima della delegazione del Pdl, della quale facevano parte anche Angelino Alfano e Gianni Letta, il premier incaricato aveva incontrato anche il segretario dimissionario del Pd Pier Luigi Bersani.
In tasca Letta avrebbe anche una lista di 14 possibili ministri.
E fioccano già le indiscrezioni.
Da quel che filtra il Pdl avrà 5 ministeri: sembrano sicure le presenze di Angelino Alfano, Gaetano Quagliariello, Beatrice Lorenzin, Maurizio Lupi .
Se dovesse permanere il veto all’ingresso di ex ministri la Bernini potrebbe essere sostituitoa dalla collega di partito De Girolamo.
Per quanto riguarda i ministri in quota Scelta Civica sarebbero tre: Mario Mauro, Enzo Moavero, Annamaria Cancellieri.
Ancora incerta invece la lista dei ministri del Pd, ma si fanno con insistenza i nomi di Andrea Orlando e dell’ex segretario Dario Franceschini.
Nel tam tam delle ultime ore è finito persino il nome di Pier Luigi Bersani. Una voce anche alimentata dal fatto che il segretario dimissionario del Pd ha incontrato stamattina alla Camera il premier incaricato, Enrico Letta. Ma lo staff di Bersani stoppa i rumors: «Non è così».
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