Maggio 4th, 2013 Riccardo Fucile
LA SVOLTA: I CINQUESTELLE ORA CHIEDONO IL RISPETTO DELLE DELIBERE DEL CIPE PER LA REALIZZAZIONE DELLA TAV, NON PIU’ LO STOP DEL PROGETTO
Finalmente si fa chiarezza. 
Il M5S vuole il rispetto delle delibere del CIPE per la realizzazione della TAV in Val Susa, non lo stop del progetto e della realizzazione.
Andiamo per ordine.
Notoriamente i Cinquestelle non pubblicano gli atti che presentano (alla faccia della trasparenza) ma si limitano al resoconto delle iniziative parlamentare attraverso un bollettino settimanale.
Leggiamo quindi la scheda “Principali attività parlamentari della settimana” 24 aprile/2 maggio del gruppo M5S alla Camera dei deputati, capitolo “interrogazioni parlamentari”.
Titolo: “Progetto cunicolo esplorativo La Maddalena (Tav): richiesta al Ministero Infrastrutture e Trasporti per il rispetto delle delibere CIPE da parte delle ditte aggiudicatrici”
Quindi non c’è più la contestazione alla gestione del CIPE, alla insostenibilità ambientale (ed economica) dell’opera e tantomeno la denuncia sull’assegnazione dell’incarico fuori da ogni logica di concorrenza alla base di un libero mercato in cui si dovrebbe procedere con gara d’appalto europea e non assegnazione diretta ad una Coop “amica”…
Il M5S chiede solo che le ditte aggiudicatarie rispettino le delibere del CIPE.
E’ evidente che se si vuole bloccare il progetto (e lo si può fare solo in parlamento, non certo nelle piazze) occorre presentare mozioni e interrogazioni/interpellanze per mettere in evidenza che il progetto e le deliberazioni CIPE sono da sospendere.
Come è altrettanto chiaro che se invece chiedi solo il “rispetto” delle deliberazioni CIPE non sei contro alla realizzazione del progetto.
Se vuoi bloccare la TAV devi procedere per l’annullamento, con apposito provvedimento, delle deliberazioni che ne dispongono progettazione, esecuzione, finanziamento.
Se invece chiedi di rispettare quanto disposto dal CIPE non chiedi di bloccare la TAV, chiedi di realizzarla, al massimo con una sospensione per l’approvazione del progetto esecutivo, secondo quanto deliberato dal CIPE.
Dopo aver cavalcato elettoralmente la battaglia No Tav, improvvisamente il gruppo parlamentare Cinquestelle cambia posizione, chissà come mai…
In Val di Susa saranno contenti di essere stati presi per i fondelli: altro che gite in bus organizzate da Grillo e visite di consiglieri regionali Cinquestelle piemontesi con spese di benzina scaricate sui conti della Regione.
La verità comincia a venire a galla …
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Maggio 4th, 2013 Riccardo Fucile
IL BRIGADIERE FERITO RESTA IN PROGNOSI RISERVATA….STRISCIONE DEI COLLEGHI AL POLICLINICO: “GIUSEPPE UNO DI NOI”
Muove leggermente la testa e le spalle il brigadiere dei carabinieri Giuseppe Giangrande, ferito dai colpi di pistola esplosi da Luigi Preiti davanti a Palazzo Chigi e ricoverato al Policlinico Umberto I di Roma.
A quanto riferito da un parente, ci sarebbero piccoli segnali di mobilità anche alle braccia per il carabiniere.
In particolare, a quanto si apprende dai sanitari, la situazione del carabiniere sta avendo «un decorso normale» e non ci sarebbero novità¡ di rilievo da ieri a oggi.
La prognosi, però, resta riservata.
Il prossimo bollettino dell’ospedale sarà diramato lunedì prossimo.
I COLLEGHI
E sabato al Policlinico sono arrivati i colleghi di Giangrande.
«Giuseppe uno di noi»: questa la scritta che campeggia sullo striscione esposto sulla terrazza dell’ingresso dell’Umberto I. .
Ideatori dell’iniziativa sono due carabinieri in congedo, fondatori del gruppo Facebook in onore di Giangrande.
«La nostra vuole essere la risposta a chi inneggia ad un gesto folle come quello di domenica – dicono il pisano Alberto Bertolini ed il romano Gabriele Nicoletti -. Vogliamo dimostrare che c’è un’Italia buona, bella, che è sempre al fianco di eroi come Giuseppe».
FORZA MARTINA
Loro Giangrande non lo hanno mai conosciuto, ma da «uomini di Stato, seppur in congedo» non ci stanno alle pagine inneggianti a Preiti comparse sui social network.«La vera Italia è questa – sottolineano -, dove esistono ancora i valori veri».
I due colleghi di Giangrande lasciano il Policlinico lanciando un messaggio di solidarietà alla famiglia, ma soprattutto alla figlia del brigadiere: «Forza Martina».
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Maggio 4th, 2013 Riccardo Fucile
NONOSTANTE I RIPETUTI INSUCCESSI ELETTORALI, L’EX VICERE’ DI BERLUSCONI IN SICILIA CONQUISTA LA GHIOTTA DELEGA ALLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE… BLOCCA IL RIVALE PDL CASCIO E RINGRAZIA L’EX SENATORE IMPUTATO
Sembrava spacciato, scomparso, evaporato. 
E invece Gianfranco Miccichè, l’ex vicerè di Sicilia, l’uomo di Silvio Berlusconi sull’isola, frontman della lunga stagione di successi di Forza Italia, è tornato: sottosegretario alla presidenza del consiglio nel governo Letta, con delega alla pubblica amministrazione e alla semplificazione.
Grazie, soprattutto, ai buoni uffici dell’ex senatore Marcello Dell’Utri, tuttora sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa.
Non male per l’uomo che dopo aver spaccato il Pdl in Sicilia, ha fondato un partito fai da te, Grande Sud, al quale però le urne hanno regalato alterne fortune.
Solo negli ultimi dodici mesi Miccichè ha straperso le amministrative a Palermo, è arrivato quarto nella corsa alla presidenza della Regione e ha raggranellato appena lo 0,3 per cento alle ultime politiche, rimanendo fuori da Palazzo Madama.
Ma c’è di più: quel posto di sottosegretario Miccichè lo ha “scippato” a Francesco Cascio, l’ex presidente dell’Assemblea regionale siciliana, leader della corrente lealista del Pdl, con cui l’ex manager di Publitalia si è spesso scontrato aspramente. Cascio a quel posto di governo ci ha sperato parecchio.
Ma alla fine, nonostante la fedeltà assoluta a B, è stato “stracciato” dal ribelle Miccichè, che si è preso una bella rivincita dopo che proprio la corrente di Cascio aveva stoppato la sua candidatura a governatore della Sicilia, preferendogli invece il più presentabile Nello Musumeci.
Tutto merito di Marcello Dell’Utri, sussurrano le alte sfere siciliane del Pdl.
L’ex senatore condannato in appello a sette anni per mafia in appello si sarebbe infatti speso molto con Berlusconi per assicurare a Miccichè una poltrona nel governo Letta. E infatti subito dopo l’elezione il primo pensiero l’ex manager di Publitalia lo dedica a lui: “Ringrazio Dell’Utri”, chiarisce in un’intervista al Corriere della Sera, perchè come ha ripetuto più volte in passato “gli voglio bene come a un fratello”.
Quella condanna in appello per mafia, rimediata recentemente dall’ex senatore, però ha fatto storcere il naso a qualcuno.
“Quando scoprirò che è veramente mafioso non lo saluterò, ma io non ci credo” assicura Miccichè, che non si fa convincere neanche dalla sentenza della cassazione, che ordinando un nuovo processo per Dell’Utri considerava comunque provata la sua vicinanza a Cosa Nostra fino al 1977.
Perchè a legare Miccichè a quello che per la procura di Palermo è “l’uomo cerniera” tra Berlusconi e Cosa Nostra c’è un rapporto antico e al tempo stesso strettissimo.
Un legame personale, nato quando Dell’Utri dirigeva Publitalia e Miccichè divenne uno dei manager di punta della concessionaria pubblicitaria berlusconiana.
Poi arriva la politica, nasce Forza Italia e per guidare i partito in Sicilia, il Cavaliere e Dell’Utri scelgono proprio lui, il rampollo ribelle dell’aristocrazia palermitana che da giovane aveva addirittura militato in Lotta Continua.
È così che Miccichè diventa il luogotenente dell’ex premier sull’isola, vero e proprio fortino forzista per venti lunghi anni.
Dal 1994 al 2008 B in Sicilia è imbattibile: storiche le politiche del 2001 quando Forza Italia conquista tutti i 61 collegi dell’isola.
“Vincemmo anche dove sembrava impossibile, anche dove dovevamo perdere” raccontano ancora oggi i militanti forzisti di allora.
Miccichè è il frontman di quei successi, l’uomo che decide volti, slogan e candidature. Sua l’invenzione dell’allora sconosciuto Diego Cammarata a sindaco di Palermo.
Il giorno dell’annuncio della candidatura, dopo aver “posato” l’altro nemico storico Ciccio Musotto, sui muri del centro comparve una scritta profetica: “Cammarata ma cu è? U sciacquino di Miccichè?”.
Ciò nonostante i palermitani votarono Cammarata in massa per dieci lunghi anni.
Nel frattempo però iniziava a spuntare nel Pdl siciliano una nuova generazione di fedelissimi che mal digeriva gli atteggiamenti del vicerè berlusconiano.
Una lunga lotta intestina che ha visto vari “prodotti” dell’epoca miccicheiana schierarsi col tempo su direzioni diametralmente opposte a quelle del capo.
“Angelino Alfano? L’ho inventato io. Quando l’ho conosciuto non era nessuno. So di essere la persona più odiata da Alfano.
Cosa peraltro ricambiata” dichiarava alla vigilia delle ultime elezioni regionali Miccichè , quando i mal di pancia dei vari Alfano,
Cascio e Giuseppe Castiglione (anche lui nominato sottosegretario) avevano stroncato la sua candidatura a presidente per tutto il centrodestra.
Lui, forte del sostegno di Dell’Utri, aveva deciso di correre lo stesso, con il suo partito fai da te prendendo anche meno voti del Movimento Cinque Stelle e agevolando di fatto la vittoria di Rosario Crocetta.
Poi però è tornato da Berlusconi, e in vista delle politiche si era parlato della possibilità di utilizzare Grande Sud come “traghetto” per imbarcare gli impresentabili Cosentino e Dell’Utri.
Ipotesi ventilata alla vigilia del voto e poi abbandonata dall’ex premier che aveva deciso di non ricandidare nè l’uno nè l’altro.
L’ex senatore però adesso è andato a battere cassa.
E Miccichè ringrazia.
Giuseppe Pipitone
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 4th, 2013 Riccardo Fucile
SINDACO DI ARCONATE, ELETTO IN PARLAMENTO E IN REGIONE HA PRESENTATO RICHIESTA AL PREFETTO PER RESTARE IN CONSIGLIO
Domandare è lecito, dice la saggezza popolare.
E Mario Mantovani, senatore Pdl, assessore in regione Lombardia e sindaco di un comune in provincia di Milano, deve avere pensato questo quando ha inviato al Prefetto una richiesta per sapere se “la decadenza dalla carica di sindaco (dovuta all’incompatibilità tra i suoi tre incarichi, ndr) comportasse anche quella da consigliere comunale”.
Una domanda inviata prima che gli organi competenti (la giunta per le elezioni di regione Lombardia e quella del Senato), arrivino a fargli abbandonare due dei tre posti che occupa.
Ci vorranno ancora mesi.
Intanto Mantovani è andato a Roma a eleggere il presidente della Repubblica e a votare la fiducia al governo Letta, mentre continua a convocare il consiglio comunale: “Resterò in carica finchè la legge me lo permette”, dice.
A differenza di altri ‘colleghi’ che hanno già lasciato il Parlamento (come il leghista Roberto Cota e il leader di Sel Nichi Vendola), Mantovani ha scelto il Pirellone (dove ricopre l’assessorato di maggior peso, la Sanità , oltre che la vice-presidenza), continua a svolgere le altre due funzioni e con la richiesta di rimanere (anche) consigliere comunale ha provato a scrivere una nuova pagina nel romanzo dei doppi-tripli incarichi nel nostro Paese.
Troppo duro lasciare un paesino di 6mila anime, con il bilancio in attivo e la costruzione di una residenza per anziani (Rsa) agli sgoccioli, settore in cui la famiglia Mantovani è in prima linea.
Arconate è “comune d’Europa”, come si legge nel cartello di benvenuto tra gli ultimi campi del nord-ovest milanese e i capannoni delle zone industriali.
Vanta un gemellaggio ventennale con una città belga (Lennik), che ogni anno viene visitata dagli studenti arconatesi insieme a Bruxelles, dove spesso a fare da guida è lo stesso Mantovani che dal 1999 al 2008 è stato anche parlamentare europeo.
Ma l’ascesa politica dell’uomo e quella istituzionale del ‘suo’ comune è legata anche a un’altra figura: ‘mamma Rosa’, la madre di Silvio Berlusconi cui nel 2007 concede la cittadinanza onoraria per lo stile di “sobrietà e dolcezza” che la caratterizzava.
Il suo mandato, oltre che per la rielezione tre volte consecutive alla carica di sindaco, si caratterizza anche per una gestione estremamente diretta delle vicende cittadine.
Mai un sindaco fu più premuroso, tanto da accollarsi colloqui individuali con chi deve rinnovare la carta d’identità : succede soprattutto con i cittadini stranieri, che prima di recarsi all’Anagrafe devono ‘superare’ le sue domande.
Il coordinatore lombardo del Pdl si vanta anche di non essere stato un costo per il suo comune: essendo obbligato dalla legge a scegliere un compenso, ha preferito negli ultimi 12 anni rinunciare a quello da sindaco (circa 800 euro mensili), optando per una più corposa indennità parlamentare.
La popolarità sul territorio se l’è guadagnata sia con lo sblocco di fondi statali alle scuole, al tempo in cui era sottosegretario alle Infrastrutture del governo Berlusconi, sia con la presenza capillare di Rsa, centri disabili e hospice che dal ’96 sono il core business di famiglia.
La Lombardia, alle ultime regionali, lo ha ripagato con quasi 13mila preferenze.
Intanto, visto che Mantovani temporeggia, i consiglieri comunali di opposizione hanno richiesto la convocazione di un consiglio comunale urgente per discutere della sua incompatibilità .
Entro un mese la sua carica passerà quindi al vice-sindaco, mentre il Prefetto di Milano ha rimandato al mittente la sua richiesta di potere rimanere nell’assemblea consiliare.
Come spiega il ministero dell’Interno “in nessun caso il sindaco dichiarato decaduto può chiedere di rimanere a far parte del consiglio comunale in qualità di consigliere, non essendo titolare della relativa carica. Sull’eventuale mancato esercizio dell’opzione, non sussistono margini d’intervento da parte del ministero dell’Interno”.
Più lunghi i tempi della giunta per le Elezioni in Parlamento, dove si è ancora fermi a quella provvisoria presieduta dal senatore Luigi Casson (Pd): ”Sarebbe importante che il presidente del Senato invitasse pubblicamente gli interessati a rispettare le norme costituzionali risolvendo al più presto le cause della loro posizione di incompatibilità ”.
Sull’argomento erano intervenuti anche i dieci saggi di Napolitano, proponendo di modificare l’articolo 66 della Costituzione in modo da attribuire ”a un giudice indipendente e imparziale” la decisione su legittimità dell’elezione, ineleggibilità e incompatibilità , togliendo questo potere al Parlamento.
C’è il rischio che “prevalgano logiche politiche” e si ripetano episodi visti nella precedente legislatura con i senatori-sindaci Pdl Azzolini e Nespoli.
Sarà più veloce invece la macchina burocratica in regione Lombardia, dove sono 11 i sindaci eletti: “Entro il 9 giugno la giunta per le elezioni si pronuncerà sull’incompatibilità dei consiglieri e degli assessori — spiega il presidente della commissione Roberto Bruni — Poi il consiglio avrà 30 giorni per dichiarare l’incompatibilità ”.
Leggermente più rapidi i tempi per gli assessori esterni, come i leghisti Massimo Garavaglia (senatore e assessore al Bilancio) e Gianni Fava (deputato e assessore all’Agricoltura).
La guerra al doppio incarico, annunciata dal governatore lombardo Roberto Maroni in campagna elettorale, dovrà aspettare ancora un po’.
Francesca Martelli
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Maggio 4th, 2013 Riccardo Fucile
VERDINI: “IL PORCELLUM FUNZIONA, PER ORA NON TOCCA”
Berlusconi presidente della Convenzione? 
Nel muro contro muro di queste ore sulla guida dell’organismo che dovrà riscrivere la seconda parte della Costituzione, a sorpresa è proprio il diretto interessato a offrire uno spiraglio.
Per ora si tratta soltanto di un ragionamento consegnato a pochi intimi, ma il Cavaliere sembra aver ottenuto ciò che voleva: «Si può discutere di tutto, anche del mio ruolo, ma quello che non possiamo accettare sono i veti e le pregiudiziali». Insomma, per Berlusconi è importante ribadire un principio, farsi riconoscere come interlocutore. Ma è consapevole del danno che potrebbe arrecare a Letta e al governo se si impuntasse sulla presidenza.
«Non è possibile – ripete – che uno che ha presieduto il G8 e ha tenuto la presidenza dell’Unione europea non possa essere considerato per questa Commissione. Poi posso anche fare un passo indietro. Ma la mia esperienza va riconosciuta».
Intanto ha fatto venire alla luce le divisioni del Pd, le pregiudiziali sul suo nome. E questo è già un risultato.
Quanto alla presidenza della Convenzione, non farà certo saltare la maggioranza per questo.
«Voglio solo che ammettano che spetta al Pdl – ha spiegato in privato l’ex premier – e che non possono sollevare obiezioni verso chi ha fatto per quindici anni il presidente del Consiglio. Poi noi siamo sempre stati i più responsabili, l’abbiamo dimostrato dal giorno dopo le elezioni ».
La rivendicazione della presidenza è solo un altro tassello di quella operazione di piena legittimazione che già la partecipazione al governo come azionista di riferimento gli assicura.
C’è poi un’altra partita che sta molto a cuore al Cavaliere e che potrebbe essere terreno di scambio con la presidenza della Convenzione.
È quella della presidenze delle commissioni parlamentari, su cui il Parlamento voterà da martedì.
Berlusconi ha infatti messo nel mirino due commissioni chiave per i suoi interessi: Giustizia e Telecomunicazioni.
E se alla Camera, visti i rapporti di forza, il Pd ha i numeri per opporsi, a palazzo Madama la situazione è molto più difficile.
Dunque proprio quelle due commissioni del Senato sono diventate l’oggetto della trattativa nelle ultime 24 ore.
Il Cavaliere vorrebbe piazzare Francesco Nitto Palma, ex Guardasigilli, alla Giustizia, e Paolo Romani alle Tlc.
Così le aziende di famiglie sarebbero più tutelate da possibili incursioni del M5S a cui il Pd non potrebbe sottrarsi.
Un’ulteriore garanzia, oltre a quella del viceministro Catricalà , amico di Gianni Letta, al ministero dello Sviluppo (con la delega alle Comunicazioni).
In ogni caso la vicenda della Convenzione, immaginata da Letta proprio per lasciare il governo fuori dalle beghe politiche, rischia di diventare il primo vero ostacolo in una navigazione già travagliata.
Tanto che il premier ha compreso di dover prendere in mano la situazione.
«La situazione è ingarbugliata — ammette Luciano Violante — e forse un impulso ulteriore da parte del presidente del Consiglio a questo punto sarebbe opportuno».
Gli uomini di Letta lasciano intendere che la prossima settimana il premier dovrebbe intervenire per consentire l’avvio delle procedure. E sulla presidenza a Berlusconi, pur senza dichiarazioni ufficiali, la linea è chiara: sarebbe meglio che il Cavaliere rinunciasse spontaneamente. Anche perchè, fanno notare a palazzo Chigi, il ministro delle riforme Quagliariello è stato l’unico a non avere sottosegretari sotto di lui.
Una scelta politica precisa, per dare ancora più risalto al suo ruolo. «Se avessimo nominato uno del Pd come vice spiegano i lettiani — gli avrebbe fatto il controcanto. Invece Quagliariello sarà il regista unico».
Insomma, il Pdl si accontenti, questo è il messaggio.
A dividere il Pd dal Pdl è anche la questione della legge elettorale.
Il centrosinistra, da D’alema in giù, vorrebbe abolire subito il Porcellum come stimolo a fare un’altra riforma.
Ma da via dell’Umiltà arriva un stop preventivo: «Prima della legge elettorale — sottolinea Denis Verdini — va decisa la forma di governo. Il Porcellum funziona ».
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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Maggio 4th, 2013 Riccardo Fucile
DURA CONTESTAZIONE DEGLI ANIMALISTI A CAMPO DE’ FIORI… “E’ STATA UN’AGGRESSIONE”….”NO, SOLO UN’AZIONE PACIFICA”…E ALEMANNO SI FA FOTOGRAFARE CON IL SUO GATTO
Un gruppo di animalisti ha contestato questa mattina il candidato del centrosinistra sindaco di Roma, Ignazio Marino.
Una decina di uomini e donne, a dorso nudo, ha intercettato il senatore del Pd a Campo de’ Fiori e lo ha inseguito al grido «vivisezione falsa scienza, Marino non hai coscienza».
CARTELLI E VERNICE ROSSA
Tra i cartelli esposti in piazza «No Marino, no pellicce», «Mai più vivisezione, mai più Green Hill». Alcuni degli attivisti avevano anche le mani coperte di vernice rossa a simboleggiare del sangue animale.
La protesta è stata così insistente, un vero e proprio assedio sonoro – al grido «Marino, Marino sei tu il babbuino» – che ha costretto Marino a lasciare Campo de’ Fiori per rifugiarsi in un palazzo di piazza Farnese dove tra l’altro c’è la sede dell’Ambasciata della Repubblica di Cipro.
INTERVENUTA LA POLIZIA
Il candidato sindaco ha tentato più volte di esprimere le proprie idee e di aprire un dialogo con i contestatori che però non gli hanno lasciato spazio.
È stato necessario l’intervento delle forze dell’ordine per sedare la protesta degli animalisti.
Poliziotti e carabinieri hanno allontanato il gruppo di attivisti che stava assediando il portone con urla e slogan aspettando l’uscita del senatore del Pd.
Durante l’inseguimentò fatto a Marino al mercato di Campo de’ Fiori alcuni animalisti hanno travolto dei banchetti di commercianti.
«Hanno buttato giù il tavolo di quello che vendeva i carciofi – ha raccontato una signora – Il titolare si è ovviamente arrabbiato e di lì è nato un diverbio. Qualche spintone e parolaccia”.
Secondo quanto si apprende alcune persone aggredite dai manifestanti si sarebbero recate in commissariato per sporgere denuncia.
«SI’ A CONFRONTO, NO AD AGGRESSIONE»
«Sono pronto a un confronto sul tema della ricerca scientifica e delle cure mediche, non a una aggressione fisica, con vestiti macchiati e addirittura una ragazza buttata a terra e che si è fatta male a una spalla. Non è questo il modo civile di affrontare una discussione così importante».
Così Ignazio Marino ha commentato subito dopo l’accaduto.
E più tardi sulla sua pagina Facebook scrive: «Sono sempre stato per il dialogo e il confronto, ma quello di oggi è solo un atto di violenza e intimidazione».
Quella di sabato mattina, aggiunge il candidato sindaco, «è stata un’aggressione da parte di fantomatici animalisti che con modi violenti si sono posti al di fuori di qualunque logica di confronto democratico e civile. Modi che arrecano danno all’immagine degli animalisti, ai diritti degli animali e a quelli della ricerca scientifica destinata a curare».
Gli aggressori, aveva spiegato Marino «appartengono a una cultura di alcune decine di anni fa e non sono informate. Non sanno ad esempio che la Asts (American society of transplant surgeons) di cui faccio parte ha annunciato che siamo già riusciti a realizzare un rene di topo con tecniche della bioingegneria e presto faremo lo stesso con altri organi. La fase dell’utilizzo di animali per la sperimentazione è ormai arrivata al crepuscolo grazie al lavoro degli scienziati».
«TUTELA ANIMALI»
Marino poi rilancia: «Se sarò eletto sindaco istituirò una consulta per la tutela dei diritti degli animali». E spiega: «Ci sarà così una costante attenzione ai loro diritti poi ci sarà anche un rafforzamento dei canili e dei gattili municipali e infine stiamo pensando al trasferimento delle botticelle che potranno girare solo nei parchi o in zone dove i cavalli non soffrano. Sicuramente non andranno più nel traffico».
SOLO UNA CONTESTAZIONE
«Noi smentiamo in modo categorico le notizie uscite finora. Non c’è stata nessuna tensione, nessuno spintonamento e soprattutto nessun ferito. È stata una normale contestazione».
Così Loredana Pronio, presidente di FederFida che insieme ad Animalisti italiani ha organizzato la protesta contro Marino.
«Non abbiamo mai fatto azioni violente – ha aggiunto – non ci appartiene proprio. Volevamo solo manifestare il nostro dissenso contro un candidato sindaco vivisettore. A questo punto visto che sono state dette falsità richiediamo il referto medico delle persone ferite».
E a chi le chiede il perchè non hanno voluto aprire un dialogo con Marino ha risposto: «Ha già fatto in passato le sue dichiarazioni e fanno rabbrividire. Sappiamo già come la pensa».
(da “il Corriere della Sera”)
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Maggio 4th, 2013 Riccardo Fucile
DOPO LE FRASI ANTI-GAY LE REDINI HANNO CEDUTO: DIROTTATA NELLA SCUDERIA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE DOVE SI SPERA FACCIA MENO DANNI
Dopo le polemiche, Enrico Letta ha deciso. 
Con un comunicato, il premier ha reso noto che al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Michaela Biancofiore non verranno assegnate deleghe sulle pari opportunità , lo sport e le politiche giovanili, bensì compiti nell’ambito della Pubblica amministrazione e la semplificazione.
E’ la prima grana del governo delle larghe intese, maturata dopo lo scontro a distanza tra le associazioni gay e il neosottosegretario Pdl — vicinissima a Silvio Berlusconi — in merito ad alcune frasi della 42enne, considerate omofobe.
E la decisione del cambio di deleghe, si apprende da fonti governative, è arrivata in seguito all’intervista a La Repubblica, dove Biancofiore affermava: “Mi piacerebbe che le associazione gay invece di autoghettizzarsi e sprecare parole per offendere chi non conoscono, magari condannassero i tanto femminicidi delle ultime ore. Difendono solo i loro interessi di parte“.
Un’affermazione che va contro l’invito “alla sobrietà ” fatto dal presidente del Consiglio ai componenti della squadra di governo.
“Tecnicamente”, si premette, non si tratta di “revoca” delle deleghe, perchè in realtà non erano ancora state assegnate ufficialmente, ma in origine Biancofiore era destinata a coprire quelle per le “Pari opportunità , sport e politiche giovanili” e non alla Pubblica Amministrazione.
Dal Pdl fanno sapere, però, che il provvedimento è un atto del presidente del consiglio Enrico Letta che non ha e non avrà alcuna ripercussione sul governo.
La nomina di Biancofiore come sottosegretario alle Pari Opportunità era finita nel mirino delle associazioni di gay e lesbiche per alcune sue frasi.
Come “chi va a trans ha dei problemi seri” o accenni alla “natura diversa“, di non facile gestione, per quanto riguarda gay e lesbiche.
Accuse dalle quali si era difesa in varie interviste.
Il neo sottosegretario ha parlato di discriminazione nei propri riguardi. “Nei miei confronti — dice — è stata messa in atto una discriminazione preventiva ingiustificata e fondata su presunte dichiarazioni malamente estrapolate”.
“Odio le discriminazioni verso gli animali, figuriamoci verso le persone. Potrei anche prendere qualche collaboratore gay. E sono pronta a incontrare le associazioni”, prosegue Biancofiore. Al prossimo Gay Pride “se mi invitano ci andrò, ma non mi metterò a ballare seminuda sui carri”.
“Alle nozze gay sono contraria, da cattolica, ma se il governo decidesse di vararle mi atterrei al mio governo”, aggiunge, mentre sulle unioni civili “non ho preclusioni”.
E arrivano anche le reazioni dei gay center. ”Bene Letta a togliere le Pari Opportunità a Michaela Biancofiore, quel posto va dato a chi conosce in toto la tematica delle Pari Opportunità , senza pregiudizi e soprattutto senza esclusione di nessuna categoria sociale”, tuona Enrico Oliari, presidente dell’associazione GayLib.
E ancora: “Biancofiore sbaglia a vedermi come un oppositore politico — ha continuato Oliari — dal momento che ho avuto in tasca la tessera del Pdl fino a ieri. Per me, tuttavia, libertà non significa solo quella del capo, bensì quella di tutti i cittadini, a prescindere dal loro orientamento affettivo. E visto che giusto ieri si è definita ‘teutonica’, perchè, invece di porsi contro le unioni gay, non va a vedere cosa succede in Germania, dove la Lebenspartnerschaft è una realtà consolidata da anni?
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 4th, 2013 Riccardo Fucile
“A LIVELLO DI PERSONE NON VEDO DIFFERENZA, FAREMO UN DDL SULLE UNIONE CIVILI, NON MI DEVO SCUSARE DI NULLA”
Michaela Biancofiore, 42 anni, bolzanina, un grande ‘Silvio ti adoro’ tatuato idealmente sul cuore. Appena nominata sottosegretario alle Pari opportunità , la comunità gay l’ha crocifissa accusandola di “omofobia”. La Rete rigurgita di frasi irriferibili.
Riaccende il telefonino appena uscita da palazzo Chigi per il giuramento.
Anche Enrico Letta le ha tirato le orecchie?
“Macchè, ci siamo stretti la mano. È stato molto carino. Mi ha detto: ciao Michaela”.
E Alfano?
“Mi ha detto che ero molto bella vestita così. Ha constatato che ero molto emozionata, non capita tutti i giorni di giurare per il tuo Paese”.
Letta non le avrà per caso suggerito una cosa tipo: cara Michaela, la prossima volta che parli dei gay pesa bene le parole?
“Non ce n’è bisogno. Comunque a tutti i sottosegretari ha consigliato prudenza”.
Lo sa che Paola Concia del Pd ha dichiarato di sentirsi come un cucciolo dalmata con Crudelia Demon al ministero?
“Che ridere! Non so da dove scaturiscano queste accuse di omofobia. Io non ho mai avuto a che fare con la Concia e non mi sono mai occupata della sua sessualità e del suo genere di appartenenza. La verità è che mi attaccano perchè sono un esponente berlusconiana”.
Veramente anche Enrico Oliari, presidente di Gaylib, associazione di centrodestra, sostiene che la sua nomina equivale “a nre il Nobel per la Pace al nordcoreano Kim Jong-un”…
“Il problema di Oliari è che veniamo dalla stessa realtà territoriale e lui apparteneva alla componente di An, storicamente i miei avversari assoluti a Bolzano. Da lì scaturisce il suo livore”.
Avranno mica tutti torto?
“Invece sì. Non mi preoccupo del loro giudizio, non mi intimoriscono. Anzi, mi piacerebbe per una volta che anche le associazioni gay, invece di autoghettizzarsi e sprecare parole per offendere chi non conoscono, magari condannassero i tanti femminicidi delle ultime ore. Difendono solo il loro interesse di parte”.
Hanno già i loro problemi. L’Italia è una delle poche nazioni occidentali che non riconosce i diritti delle coppie gay, lo sapeva?
“Infatti penso che faremo un ddl che cavalcherà la modernità civile. Personalmente dico “no” alle nozze gay e “sì” alle unioni civili. È la linea di Berlusconi”.
Non tutto il Pdl è d’accordo, come la mette?
“Le elezioni le ha vinte Silvio, non la componente cattolica del Pdl”.
Rinuncia alle sue tesi sui gay?
“Non sono omofoba. Sono una che odia, da vera liberale, qualsiasi tipo di discriminazione. Amo l’Amore con la maiuscola, in tutte le forme di amore”
In passato a Klauscondicio sostenne cose un po’ diverse, più urticanti su questo argomento.
“Ma andatevi a rivedere tutta l’intervista! Io sono di un’apertura totale al mondo gay. Comprendo quali problemi hanno dovuto affrontare fin dall’adolescenza, quando hanno scoperto la loro sessualità “.
Però…
“A livello di persone non vedo differenza, ma non credo sia normale che un uomo vada con un trans. Come donna non riesco ad accettarlo”.
E se avesse un figlia lesbica?
“Cercherei di starle vicino”.
E al prossimo Gay Pride a Roma che farà ?
“Se mi invitano ci andrò. Ma non mi metterò a ballare seminuda sui carri”.
Carfagna chiese scusa per i suoi pregiudizi del passato. Non sarebbe opportuno che anche lei facesse un reset?
“Non vedo perchè mi debba scusare di qualcosa che non ho detto e non penso”.
Sulla Rete scrivono cose pesantucce su di lei, ha visto?
“Purtroppo sì. E mi piacerebbe che la presidente Boldrini intervenisse. Se questi sono i campioni della tolleranza…”.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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Maggio 4th, 2013 Riccardo Fucile
IL MARESCIALLO MASI HA PRESENTATO DENUNCIA NELLA QUALE RIVELA IL NOME DEL SUPERIORE CHE AVREBBE OSTACOLATO LE INDAGINI PER LA CATTURA DI PROVENZANO E MESSINA DENARO
«Noi non abbiamo intenzione di prendere Provenzano! Non hai capito niente allora? Ti devi
fermare!». È sbigottito il maresciallo Saverio Masi quando, dopo aver chiesto uomini e mezzi per catturare il boss, sente urlare il suo superiore.
«Hai finito di fare il finto coglione? Dicci cosa vuoi che te lo diamo. Ti serve il posto di lavoro per tua sorella?»
Allo sbigottimento segue lo sconcerto.
Nessuno nell’Arma era a conoscenza che la sorella fosse disoccupata.
È solo uno degli episodi che Masi ha descritto nella denuncia presentata alla Procura di Palermo.
A distanza di anni rivela il nome del superiore e di tutti gli altri che avrebbero ostacolato le indagini su Provenzano prima e Messina Denaro poi.
Un macigno scagliato mentre è in corso la requisitoria del Pm Nino di Matteo contro gli ex ufficiali del Ros accusati di avere favorito la latitanza di Provenzano.
Ma la testimonianza di Masi arriva anche pochi giorni prima del 27 maggio quando si aprirà il processo sulla trattativa mafia-Stato, ed è destinata a lasciare il segno.
IL CONTATORE DELL’ENEL
I fatti si svolgono tra il 2001 e il 2007. Provenzano nel frattempo è stato arrestato (nel 2006), Matteo Messina Denaro ancora no.
Masi, per uno strano intreccio di vite, oggi è il capo scorta di Di Matteo, il pm che indaga sulla trattativa.
Quando Masi nel 2001 si presenta al Nucleo Provinciale di Palermo chiede di occuparsi della cattura di Provenzano.
La caccia ai latitanti è una missione che sente cucita sulla pelle e invece lo inviano a Caltavuturo, sulle Madonie.
Non si rassegna e, di propria iniziativa, si mette sulle tracce di Provenzano.
Si sorprende quando intuisce che con pochi mezzi e consultando vecchi verbali, all’indomani dell’arresto del boss Benedetto Spera, riesce ad individuare un contatore Enel riferibile a chi gestiva la latitanza di Provenzano ben cinque anni prima della sua cattura.
Difficile immaginare la sua reazione quando i superiori gli ordinano di sospendere le indagini.
Gli appare chiaro che non c’è tanta voglia di catturare il boss di Corleone.
Forse è per questo che molti spunti d’indagine rimangono lettera morta, come quelli raccolti in una notte dell’agosto del 2001.
LA TELEFONATA CON L’ITALOAMERICANO
I carabinieri ascoltano un noto pregiudicato della zona legato a Provenzano, dall’altra parte del filo c’è un italoamericano che ha solo una preoccupazione: invitare negli Usa il premier Berlusconi l’8 ottobre alla festa del Columbus Day.
L’americano dice: «Voglio Berlusconi e ho detto a Nicola come si deve fare. Iddu è pure in buoni rapporti con Bush», e il mafioso italiano risponde: «Certo, come lo vedo, glielo dico io».
Pochi giorni dopo c’è l’attentato alle Torri, Berlusconi partecipa al Columbus Day, ma al telefono.
Chi fosse Nicola e a chi fosse intestata l’utenza Usa non si è mai saputo.
È rimasto anche il mistero di come un italoamericano e un picciotto delle contrade siciliane potessero condizionare Berlusconi.
LA MACCHINA PER SCRIVERE
Masi poi descrive il goffo tentativo di piazzare le cimici nel casolare di Provenzano, caduto nel vuoto perchè il Ros aveva dimenticato gli attrezzi per forzare la serratura. Un episodio che fa il paio con un altro avvenuto poco dopo, quando i superiori ordinano a Masi, senza spiegare il motivo, di sospendere il pedinamento di Ficano, cognato di Simone Castello, postino di Provenzano.
Masi aveva ficcato il naso nel parco autodemolizioni di proprietà di Ficano e aveva scoperto, tra pneumatici e carcasse, un casotto con dentro una macchina per scrivere. La stessa che probabilmente veniva usata per compilare i pizzini destinati a Provenzano.
E forse in alcuni casi l’aveva usata lo stesso boss. In quel casotto pochi minuti prima era entrato anche il suo capitano e, non rilevando nulla di anomalo, aveva deciso di non piazzare microspie.
Masi stupito chiede di fare accertamenti sulla macchina per scrivere.
Chiede di battere l’alfabeto su un foglio, per poter confrontare i caratteri con quelli dei “pizzini” già sequestrati.
Una richiesta banale, ma il capitano si rifiuta. Ne scaturisce un’animata discussione dopo la quale Masi apprende che anche nelle indagini su Gaetano Lipari, “l’infermiere di Bernardo Provenzano ”, era stato impartito lo stesso incredibile ordine: non pedinare i principali indagati.
NEL CASOLARE
La carriera di Masi s’incrocia anche con Messina Denaro, e si trova a sfogliare un copione già letto.
Come quando segue il caso delle «talpe» della Procura di Palermo.
Si mette sulle piste di Francesco Mesi, sospettato di essere uno dei favoreggiatori di Denaro.
Piazza cimici e rilevatori satellitari sull’auto e segue Mesi nei pressi di una macelleria: è di Pietro Tornatore, che consegna a Mesi una busta e gli sussurra: «da parte del compare Giammanco», considerato vicino a Provenzano.
Masi segue la sua preda nella campagna tra Bagheria e Misilmeri, fino a quando si ferma. Il maresciallo è certo di aver individuato il “corriere” di Messina Denaro. Vuole continuare le indagini con telecamere e microspie.
Per questo chiede che gli vengano revocate le ferie natalizie.
Ma il suo superiore “lo invita” ad andare in vacanza perchè ci avrebbe pensato lui.
Al ritorno dalle ferie “forzate”, Masi chiede conto dell’esito delle indagini. Il superiore risponde di non aver trovato nulla! Masi non gli crede e con un collega e a sue spese si reca in piena notte sul punto segnalato dal Gps: trova un contatore Enel e un casolare. Si avvicina, una porta si spalanca all’improvviso.
Masi intravede degli uomini intorno a un tavolo, uno di loro probabilmente è Messina Denaro. Il maresciallo si getta sotto la siepe per non essere scoperto.
Torna in caserma, litiga furiosamente con il capitano e scrive l’ennesima relazione che, come le altre, cade nel vuoto.
L’APPOSTAMENTO
L’appuntamento con il capo di Cosa Nostra è solo rinviato. Nel marzo del 2004 sulle strade di Bagheria evita per un soffio lo scontro con un’utilitaria che gli taglia la strada.
Sta per imprecare, ma riconosce alla guida Matteo Messina Denaro. Lo segue mentre si infila in una villa. Ad attenderlo c’è una donna.
Annota tutto e chiede l’autorizzazione a proseguire le indagini.
La reazione dei suoi superiori non è quella che si aspetta: gli chiedono di cancellare dalla relazione l’identità del proprietario della villa e quella della donna che aspettava il boss.
Matteo Messina Denaro poteva continuare ad essere tranquillamente un fantasma.
Masi chiede ai superiori di trasmettere comunque la relazione alla Procura. A distanza di anni non sa se l’hanno fatto. Quello che è certo è che nessuna microspia è stata piazzata sull’auto di Denaro.
L’ultima relazione Masi l’ha scritta ieri.
Ha messo in fila fatti e nomi e li ha consegnati alla Procura di Palermo. La vicenda ha un epilogo classico, come quello del capitano Bellodi protagonista del Giorno della Civetta.
Masi tra poco affronterà un processo dove è accusato di tentata truffa per aver chiesto l’annullamento di una multa contratta con l’auto privata mentre svolgeva gli appostamenti.
«Usavamo le macchine di amici – aveva spiegato nel processo Mori – perchè i mafiosi conoscevano le nostre auto di servizio». A difenderlo gli avvocati Carta e Desideri, gli stessi che ora lo assistono nella denuncia depositata pochi giorni dopo le minacce al Pm Di Matteo.
Una pagina di testo scritta al computer: “Amici romani di Matteo (Messina Denaro, ndr) hanno deciso di eliminare il pm Nino Di Matteo in questo momento di confusione istituzionale, per fermare questa deriva di ingovernabilità . Cosa Nostra ha dato il suo assenso, ma io non sono d’accordo”
È il pizzino scritto da chi si identifica come uno del commando di morte.
Quello che è certo è che è ben informato.
Conosce nei dettagli notizie riservate, spostamenti e soprattutto i punti deboli della protezione del Pm che sta indagando sulla trattativa mafia-Stato.
Sigfrido Ranucci
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: mafia | Commenta »