Maggio 12th, 2013 Riccardo Fucile
L’AUTISTA PRIMA AMMETTE: “ERA PER LUI”, POI CAMBIA VERSIONE… ORA LA PROCURA DI PALERMO DEVE DECIDERE COME CHIUDERE L’INCHIESTA SUL GIRO DI FESTINI E COCAINA
Con i giornalisti non lesina diffidenza e cautele, tanto che dopo la nomina come
sottosegretario a Palazzo Chigi ha dichiarato: «Non rilascerò più alcuna intervista che non sia accompagnata da una ripresa video dell’intera conversazione».
Quando si tratta di scegliere i collaboratori più stretti invece Gianfranco Miccichè non sembra prendere precauzioni così rigorose.
Perchè da un decennio il parlamentare siciliano, figlioccio politico di Marcello Dell’Utri e artefice dell’indimenticato 61 a zero di Forza Italia nelle elezioni del 2001, si trova sempre a fare i conti con i vizietti stupefacenti di assistenti e autisti.
Storie che non hanno mai provocato contestazioni penali nei confronti del neosottosegretario con delega alla pubblica amministrazione e alla semplificazione, ma che dovrebbero almeno metterlo in guardia.
Ma veniamo ai fatti.
In queste settimane la procura di Palermo deve decidere se e come chiudere l’indagine su un giro di festini e cocaina nel capoluogo siciliano.
Una questione non spinosa come quella che ha riguardato il Quirinale e la trattativa Stato-mafia, ma che richiede massima attenzione.
Nel fascicolo al vaglio dei magistrati – nel quale spunta il nome di un noto pusher, Stefano Greco – ci sono intercettazioni che potrebbero riguardare parlamentari e personaggi della Palermo bene.
L’istruttoria è cominciata tre anni fa.
Con registrazioni e pedinamenti, gli investigatori hanno ricostruito la rete di spacciatori e consumatori che di fatto finanziano il traffico, e scoperto che uno dei destinatari della droga è Ernesto D’Avola, autista di Miccichè, all’epoca sottosegretario alla presidenza del Consiglio e tra i più fidati consiglieri di Silvio Berlusconi.
I poliziotti si convincono che D’Avola tenga i rapporti con il pusher tramite un intermediario.
E quando sono certi che all’autista è stata passata una consegna, lo bloccano.
Nella vettura infatti c’è una busta piena di cocaina, con sopra la scritta “On. Gianfranco Miccichè”.
Viene tutto sequestrato e gli agenti, in due relazioni al questore e alla procura, raccontano: «Il D’Avola consegnava spontaneamente il plico, dicendo che il tutto era di pertinenza dell’on. Miccichè. All’interno risultavano custoditi grammi 5 di sostanza stupefacente, che a seguito di accertamento risultava essere cocaina».
Ma il colpo di scena arriva pochi giorni dopo.
D’Avola fa retromarcia e dichiara che la droga era per suo uso personale.
L’inchiesta a questo punto prende una direzione diversa, quella dei coca-party, ai quali avrebbero partecipato professionisti e imprenditori molto noti in città : in qualche caso sarebbero state presenti anche figure femminili dello show business e parlamentari. Ma nulla che riguardi Miccichè, che dopo le dichiarazioni auto-accusatorie del suo chaffeur non è mai stato sentito dagli investigatori.
La vicenda palermitana ricorda alcuni aspetti di un’altra inchiesta, avvenuta a Roma molti anni prima, nel 2002, quando un amico e collaboratore dello stesso Miccichè venne arrestato per spaccio di droga a Roma.
L’uomo era stato pedinato e filmato dai carabinieri dopo aver acquistato cocaina e poi visto entrare di sera nel ministero dell’Economia con addosso la sostanza stupefacente. In quel periodo, secondo governo Berlusconi, Miccichè era vice ministro con delega per il Mezzogiorno.
I carabinieri non hanno mai accertato in quale ufficio del dicastero si fosse recato il collaboratore. Che venne arrestato, ma non disse nulla.
Anche in quel caso non ci fu alcun coinvolgimento diretto del neosottosegretario e il suo nome non comparve nell’inchiesta.
La carriera di Miccichè è proseguita tra alti e bassi, quanto l’intesa con Berlusconi – «Una persona generosa, affabile e buona», come ha detto la scorsa settimana – che alla fine gli dedica sempre un occhio di riguardo. Nonostante quelle avventate scelte nel designare le persone più vicine.
«Mannaggia a questi collaboratori e autisti…», ripeteva un vecchio amico palermitano del sottosegretario.
(da “L’Espresso“)
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Maggio 12th, 2013 Riccardo Fucile
CERTAMENTE DA DOMANI METTERA’ A DISPOSIZIONE DI OGNI ITALIANO CHE SI RITIENE INNOCENTE LA PRIMA SERATA DELLE SUE TRE RETI PERCHE’ POSSA OFFRIRE SENZA CONTRADDITTORIO LA PROPRIA VERSIONE
Un capo democristiano, un leader della Prima Repubblica, si sarebbe ritirato con vergogna, avrebbe opposto dei “non ricordo”, o avrebbe risposto imbarazzato con la bavetta alle labbra.
Lui no.
Silvio Berlusconi riesce a ribattere punto su punto, sorridente, alla faccia del pudore e del buonsenso.
Ha già constatato che funziona, gli italiani (anche se sempre meno) gli credono. Così continua.
Anche sulla storia imbarazzante di ragazze minorenni che passano le notti ad Arcore. La migliore difesa è l’attacco e allora Silvio si fa confezionare dai volonterosi funzionari della sua Mediaset un programma in prima serata, messo in onda poche ore prima che Ilda Boccassini chieda la la sua condanna per concussione e prostituzione minorile.
Racconta la sua versione, risponde alle accuse dei magistrati, valorizza le testimonianze favorevoli, rende incredibili quelle contrarie.
Esibisce trasparenza, mostrando la sala da pranzo e la tavernetta del bunga-bunga.
Insomma: come non credere a quest’uomo?
Nessun contraddittorio vero, nessun faccia a faccia con chi la storia la conosce davvero.
La storia è un giallo addomesticato, con l’assassino (la magistrata rossa) svelato alla prima pagina.
Alle domande più facili non risponde, anzi, non se le fa proprio fare.
Per esempio: come mai passava sere e sere, compulsivamente, con decine di ragazze, alcune minorenni, alcune dal mestiere incerto?
Come mai queste raccontavano al telefono di guerre tra loro per passare l’intera notte ad Arcore, dopo la “selezione” porno-soft del bunga-bunga, con l’obiettivo di avere soldi, più soldi, sempre soldi?
Molti testimoni smentiscono: dicono sotto giuramento che erano solo “cene eleganti“. Peccato però che siano tutti a libro paga del signore di Arcore: ragazze, veline, subrettine, camerieri, pianisti, cantanti…
I pochi non pagati raccontano la squallida lascivia di un vecchio ricco e potente che trasforma la dimora del presidente del Consiglio in una succursale di serie B del Bagaglino e che, generoso, paga, paga, paga.
“Più troie saremo, più bene ci vorrà “, cinguettavano al telefono: “Quel culo flaccido”. Perfino i suoi amici erano costernati: “Ha ragione Veronica, è proprio malato, continua con le feste come prima, invece di pensare ai problemi del paese”, dicevano al telefono Flavio Briatore e Daniela Santanchè.
Sull’accusa più grave (la concussione), i volonterosi funzionari della disinformazione hanno vita perfino più facile: valorizzano le dichiarazioni dei funzionari vittime delle pressioni, nella notte in cui furono indotti a rilasciare una ragazza minorenne, senza documenti, in fuga da una comunità (è onestamente difficile ammettere di aver ceduto alle ripetute telefonate del capo del governo).
E mettono invece la sordina sulle incontrovertibili dichiarazioni della magistrata che quella notte disse: “Sia tenuta in questura”, e stop.
Di fronte a un’evidenza così chiara e solare sui fatti neri delle notti di Arcore, chiunque si sarebbe arreso. Lui no.
Ha mezzi che altri non hanno — soldi, tv — e soprattutto interlocutori, a destra e a sinistra, incredibilmente pronti a credergli o ad affidargli comunque le chiavi del partito, del governo, della nazione.
Perchè dunque non ne dovrebbe approfittare?
Gianni Barbacetto
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 12th, 2013 Riccardo Fucile
NEL DECRETO IL PAGAMENTO SARA’ DIVISO IN TRE RATE
Per l’Imu sulla prima casa è in arrivo la sospensiva «con il trucco», che rischia di
trasformare in un vero salasso il pagamento di settembre.
Nella bozza di decreto sulla quale all’Economia si continua ad armeggiare, spunta infatti il ritorno a tre rate per la prima abitazione, che quest’anno si sarebbe dovuta pagare in due sole tranche.
Questo significa che la sospensiva della rata di giugno per ora vale solo 1,2 miliardi, anzichè due ma, soprattutto, che i contribuenti a settembre dovranno versare due rate insieme, pari al 66% dell’imposta.
In più maggiorate della raffica di aumenti delle aliquote che un Comune su tre – informa la Uil servizi territoriali – ha già deliberato.
Una opportunità che soprattutto le grandi città , come Roma, Milano, Torino, Genova e Napoli non si sono fatte scappare.
Quindi se non si arriverà alla cancellazione della tassa, come rivendicato ancora ieri per il Pdl da Brunetta o almeno a una riforma della tassazione immobiliare, il regalo di giugno rischia di trasformarsi in una stangata a settembre.
Il rebus acconto seconde case
Brutte notizie anche per i proprietari di seconde case, per i quali non è in discussione il pagamento a giugno ma che saranno in molti casi costretti a versare la quota già maggiorata dalle addizionali comunali.
Contrariamente a quanto previsto da un emendamento al decreto sui debiti della Pa, si dovranno pagare le nuove e più salate aliquote nei comuni che le avranno pubblicate sul sito del Ministero dell’Economia entro il 16 maggio.
Negli altri casi si pagherà come lo scorso anno.
Insomma, a poco più di un mese dalla scadenza del 17 giugno per il versamento della prima rata sulle seconde case e a pochi giorni dal varo del decreto che dovrebbe sospendere fino a settembre l’acconto sulla prima abitazione sono ancora molti per il governo i nodi da sciogliere intorno al rebus Imu.
Ci si proverà già domani, in un vertice annunciato dal Ministro dell’Economia Saccomanni, nel buen retiro dei ministri all’Abbazia di Sarteana.
Il nodo dei capannoni industriali
Ieri il ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato è sceso in campo a favore di imprenditori e artigiani.
«E’ giusto che non si paghi sui capannoni», ha dichiarato aprendo a qualche novità nel decreto. Se sono strumenti d’impresa «sarebbe come far pagare la tassa sul tornio», ha aggiunto, mentre la Cgia di Mestre diffondeva il dato di un aumento medio nazionale del 35% sui capannoni, con punte fino al 51% in oltre un terzo dei comuni.
Il problema resta però quello delle coperture, perchè solo l’acconto sugli immobili ad uso d’impresa vale 850 milioni e cassare del tutto l’imposta ben 1,3 miliardi.
Le compensazioni ai Comuni
«I bilanci dei comuni saltano senza la piena compensazione» ha detto a chiare lettere il presidente dell’Anci «facente funzione», Alessandro Cattaneo.
Un appello che almeno in parte il Governo sembra disposto ad accogliere con il decreto, vuoi perchè la sospensiva sulla prima casa con il ritorno alle tre rate varrà poco più della metà del previsto ma soprattutto perchè la bozza del decreto consente anticipazioni di cassa da parte delle tesorerie.
La riforma dei 100 giorni
Tutto questo in attesa della riforma, che il Premier Enrico Letta vorrebbe varare prima che si arrivi alla «rata salasso» di settembre sulla prima casa.
Cento giorni per rivoluzionare la tassazione sugli immobili ed arrivare ad un’unica imposta sul modello tedesco.
Il nome c’è già : «tassa Ics», Imposta case e servizi, che dovrebbe accorpare Imu, Tares, imposta di registro e addizionali comunali Irpef.
Il tutto con franchigie più alte che esentino le prime case non di lusso, no tax area per i redditi Isee più bassi e «patrimonialina» dell’1,5 per cento sugli immobili di valore catastale superiore a un milione e mezzo.
Un sistema che alleggerisce soprattutto il peso del fisco sulle buste paga ma che sembra al momento lontano dalle richieste del centro-destra, che di tasse sulla prima casa non vuol sentir parlare.
Paolo Russo
(da “La Stampa“)
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Maggio 12th, 2013 Riccardo Fucile
“SENZA DI ME NON SIETE NULLA”, MA GIOVEDI SCORSO GRILLO NON SI ASPETTAVA TANTO DISSENSO: “IMPARI A RISPETTARE LE PERSONE”
«Balle, balle, balle. Grillo la deve smettere di trattarci come servi». Il deputato Cinque Stelle è evidentemente nervoso.
«Io? Siamo almeno in cinquanta. Questa storia è appena all’inizio. Potremmo anche uscire dal gruppo».
Fuma ossessivamente nel cortile di Montecitorio mentre compulsa l’Ipad che restituisce le ultime esternazioni di Grillo.
L’ennesima bolla papale da blog: «Houston abbiamo un problema. Di cresta. Ebbene va ammesso».
Non erano i media a inventarsi i mal di pancia, dunque. Era lui a far finta di nulla.
Adesso lo scontro è in campo aperto. «Chi non restituisce i soldi della diaria non rendicontati è fuori. Abbiamo firmato un contratto. Con tremila euro puoi viverci».
Non vi piace l’aria che tira? Via. Raus. Bye Bye. Levatevi di mezzo. Non è un Movimento per mammolette, questo. La linea non si discute, si sposa. Questione di fede. «Ma di che cosa parla? Ma quale contratto? Sfido chiunque a portarmi un foglio dove c’è scritto che l’eccedenza va riconsegnata. A me di cinquecento euro in più non me ne può fregare di meno, ma passare per uno che bara proprio no».
Gli suona il telefono. E’ un collega del Sud Italia. Il dialogo dura venti minuti. «Dobbiamo reagire».
Fissano un incontro assieme a un drappello di riottosi per la prossima settimana.
E’ arrivato il momento di contarsi. «Nel gruppo misto mai. Ma se fossimo venti qui e dieci al Senato potremmo dare vita a una costola indipendente, dobbiamo solo trovare il modo per spiegarlo alla base. Non siamo scilipotini».
Qual è la distanza tra un piano rabbioso e la realtà ? «Chi lo sa, di sicuro così non si può andare avanti. Eravamo il Movimento dell’uno vale uno. Siamo diventati l’armata Brancaleone dell’uno vale zero. E quello zero siamo noi».
Bisogna ricostruire la riunione di giovedì pomeriggio per capire meglio il clima avvelenato.
Grillo arriva, parcheggia come lo zar di tutti i Palazzi nella pancia di Montecitorio e si precipita nella saletta dei gruppi dove l’aspettano inquieti i suoi parlamentari.
Lui li gela. «Si discute di un principio. L’aderenza a patti liberamente sottoscritti. E l’adesione all’etica del Movimento. Nessuno ci farà sconti».
Per chiarire che non sta giocando dà del «pezzo di merda» al deputato dell’assemblea siciliana Antonio Venturino che pretende di tenere l’intera indennità .
Il vice-capogruppo alla Camera, Riccardo Nuti, condivide la raffinata analisi. «Sì, sì, lo è».
A quel punto il senatore Francesco Campanella, ex sindacalista, uomo perbene e siciliano anche lui, si alza in piedi. «No Beppe. Venturino non è un pezzo di merda. Non è giusto trattare le persone così».
Grillo lo guarda come se lo volesse radere al suolo. «Parli? Ma tu che cosa hai fatto negli ultimi due mesi?». Il tentativo di umiliarlo. Di dimostrare plasticamente che la loro esistenza politica è appeso al filo sottile che Lui stringe tra le dita. «Senza di me non siete nulla».
E’ questa l’idea – pericolosa, potenzialmente distruttiva – che rimanda.
Campanella regge lo sguardo. In questo due mesi è rimasto a Palazzo Madama dodici ore al giorno. «Non mi pare una domanda pertinente. Ma te lo dico. Ho lavorato nella Commissione Speciale e ora nella commissione Affari Costituzionali».
Grillo lo ignora.
Ormai incapaci di lottare con le contraddizioni che sono state loro imposte, sono molti i deputati che prendono la parola. Grillo resta sorpreso.
Si aspettava l’insoddisfazione di una manciata di eretici. Invece sono decine.
Li ascolta. Si stranisce di fronte a chi gli racconta i propri casi familiari. «Ho tre figli», «Ho il mutuo», «Mi sballano le tasse».
Visioni curiose che si fondono con obiezioni più concrete: «Il contratto non c’è. E lo sai». Così Grillo affonda nuovamente. «Nessuno farà la cresta», grida. «Vaffanculo al denaro». Il deputato Alessio Tacconi, eletto in Svizzera, si ribella. «In questo modo diventi offensivo. Qui la cresta non c’entra».
Quattro ore da mal di testa. Che si chiudono apparentemente con un nulla di fatto.
Invece, nel giro di 24 ore, Grillo spara nuovamente a zero.
Uscendo dall’hotel dove ha passato la notte se la prende con Letta, chiude a una legge sul diritto di cittadinanza per chi nasce in Italia – incassando la curiosa contrarietà del fedelissimo Alessandro Di Battista, che prima si dice favorevole allo «ius soli», poi ritratta e si riallinea – e punta il dito contro chi ha fame di soldi.
«Nessuna mediazione sul denaro».
A Palazzo Madama anche gli uomini della comunicazione rinforzano la tesi del Capo. «C’è gente che se ne vuole andare? Prego. Si accomodino. Resterà solo che crede davvero nel Movimento».
Chi non fa domande? Chi non sgarra? Chi continua a marciare sulla via della gloria grillesco-casaleggese anche se è costretto a percorrere strade costruire su desideri altrui e, peggio, già esauditi?
Chi?
Andrea Malaguti
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Maggio 12th, 2013 Riccardo Fucile
“LA SUA ERA UN’ALTRA STORIA: MIO PADRE RISPETTAVA I GIUDICI”…E LA FIGLIA GAIA: ERO PREPARATA, NO A STRUMENTALIZZAZIONI”
«Ero preparata. Caro Silvio, mio padre era un’altra storia. Un’altra persona. Ognuno
risponde alla sua coscienza. No strumentalizzazioni».
Così Gaia Tortora, figlia di Enzo, risponde su Twitter alle parole di Silvio Berlusconi che nel suo intervento a Brescia, sabato pomeriggio, parlando dei «tantissimi italiani che ogni giorno entrano nel tritacarne infernale della giustizia», ha citato il caso del conduttore televisivo accusato ingiustamente di rapporti con la camorra.
«PARAGONE INACCETTABILE»
Gaia Tortora è poi tornata sull’argomento anche durante l’edizione del TgLa7 delle 20, da lei condotta. «Si tratta di un’altra storia e di un’altra persona – ha ribadito -. Lo dico con il massimo rispetto, ma è quel rispetto che da tanto tempo andiamo cercando. Anche perchè questo paese ha bisogno di un altro clima e non è il clima che abbiamo visto oggi a Brescia».
Intanto arriva il commento anche dell’altra figlia. «Non posso accettare questi paragoni, mio padre ha sempre rispettato i giudici, ha risposto alle loro domande e si è sempre presentato», dice Silvia Tortora, figlia maggiore del giornalista-presentatore.
«In questi giorni cade l’anniversario della sua morte: purtroppo devo constatare che non riposerà mai in pace finchè qualcuno continuerà a strumentalizzare questa vicenda».
E infine: «Sono allibita, non posso accettare tutto questo. Enzo aveva una dignità e tutti lo dovrebbero ricordare».
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Maggio 12th, 2013 Riccardo Fucile
LARGHE INTESE E BEGHE DI CORRENTI, LA SFIDA AZZOPPATA PER LA CAPITALE…CON ALEMANNO CHE PROMETTE DI TUTTO, IN PURO STILE WANNA MARCHI
La rimonta del sindaco che ne ha fatte e sbagliate di tutti i colori è possibile, secondo i sondaggi.
La paura del Pd romano è certa, stando a dichiarazioni ufficiali e ufficiose.
Perchè nella partita del Campidoglio, con primo tempo il 26 maggio, Gianni Alemanno guadagna metri su Ignazio Marino, giocando di contropiede sui mille guai dei Democratici: dalle correnti che non smettono di farsi la guerra ai dirigenti che diffondono perplessità sul chirurgo “troppo di sinistra e troppo civico”, sino ai ricaschi del governissimo su una base infuriata.
E allora, invertendo o meno i fattori il prodotto resta quello: il rischio concreto di regalare di nuovo il Comune ad Alemanno.
Lo stesso candidato che un paio di mesi fa sembrava bollito anche a Berlusconi, tanto che l’ex premier pensava di lanciare al suo posto Giorgia Meloni.
Ma ora tutti i sondaggi raccontano che l’ex missino è a pochi passi da Marino.
Ieri Datamonitor su Affaritaliani.it   dava l’esponente Pd al 35 per cento e Alemanno al 32,4.
Distanza identica per Euromedia sul Messaggero.it  , con Marino al 37,4 per cento e il sindaco al 34,8.
Le cifre parlano anche di un calo di Marcello De Vito (Cinque Stelle) e di una crescita di Alfio Marchini: convinto di poter salire ancora, per il voto disgiunto.
Ma a colpire è soprattutto un dato: in tutti i sondaggi, Marino prende minori consensi della sua coalizione (in media, il 2,5 per cento in meno).
Segnale fosco in vista delle amministrative, dove l’obiettivo è sempre avere il candidato più alto della somma di partiti e liste che lo sostengono.
“Il Pd al 26 per cento a Roma non è neanche male, a fronte delle stime che danno il partito nazionale al 22: è il candidato che non marcia” cannoneggiava ieri un anonimo dirigente.
Eppure sino a una settimana fa il distacco tra Marino e Alemanno era di 6-7 punti. Cosa è cambiato?
Forse hanno inciso anche gli annunci in puro stile Berlusconi di Alemanno: che prima ha lanciato un referendum anti-Equitalia (in sintesi: “Preferite che sia questa società a riscuotere i tributi o il Comune? ”), sancendo poi l’affidamento della riscossione al Campidoglio con una delibera.
Poi ha riempito Roma di manifesti per annunciare la cancellazione dell’Imu per 376 mila famiglie, “grazie alla revisione delle rendite catastali”.
Certo, il passaggio della riscossione al Comune dal 1° luglio era già previsto da una legge statale, e la revisione delle rendite catastali è tutt’altro che certa (“Potrebbe approvarla solo l’assemblea capitolina” sostiene Alessandro Onorato, Lista Marchini). Ma l’effetto annuncio paga.
Il volano di Alemanno però rimane la tendenza del Pd a farsi del male, sempre e comunque.
Anche a Roma, dove il partito è acefalo da fine aprile, dopo che il Comitato dei garanti ha dichiarato “decaduto” il segretario Miccoli: ufficialmente, perchè parlamentare.
Il resto lo stanno facendo dichiarazioni e spifferi in serie contro Marino, fortemente voluto da Goffredo Bettini e Nicola Zingaretti.
Marco Follini l’ha detto chiaramente: “Voterò Marchini”.
Al renziano Paolo Gentiloni, sconfitto alle primarie per il Comune, il Corriere della Sera attribuiva la seguente formula: “A Marino potremmo dare un sostegno distaccato”.
Sempre il Corsera, ieri, ha disseminato aneddoti su un comitato Marino chiuso a doppia mandata ad aiuti esterni.
Il portavoce di Zingaretti, inviato a supporto dal governatore, avrebbe lasciato perdere dopo una sola riunione.
C’è chi ha scritto di una rissa interna.
Dal comitato replicano: “Siamo aperti a tutti, pochi giorni fa qui si è tenuta una riunione convocata da Eugenio Patanè (il reggente del partito romano, ndr) a cui c’erano Zingaretti, il segretario regionale Gasbarra, dirigenti e candidati. Non siamo affatto isolati. Per il resto, non commentiamo indiscrezioni anonime”.
I sondaggi però sono nero su bianco: “I nostri danno Marino avanti sempre con un margine tra i 5 e gli 8 punti”.
Ma la preoccupazione rimane.
Ieri sul Messaggero Roberto Morassut, ex assessore con Veltroni, lamentava “asfitticità ”, chiedendo a Marino di “allargare il respiro del suo messaggio”.
E il comitato Alemanno ha subito infierito: “Marino è asfittico, lo dicono anche esponenti del suo partito”.
Controreplica di Morassut: “Comitato Alemanno ridicolo”.
Al Fatto, il deputato precisa: “Il mio non era un giudizio su Marino, parlavo della proposta politica del centrosinistra, che deve essere più incisiva”.
Sullo sfondo, la nota dei segretari dei circoli Pd romani: “Nel partito le regole sono frequentemente aggirate e ignorate, e la lotta tra correnti e cordate ha raggiunto livelli patologici: da parte di iscritti ed elettori c’è sfiducia e distacco”.
Luca De Carolis
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 12th, 2013 Riccardo Fucile
SI STUDIA LA SOSPENSIONE DELLA TASSA ANCHE PER CAPANNONI E TERRENI AGRICOLI
Non è stato soltanto un rinvio dovuto a ragioni burocratiche. 
Il decreto che sospenderà l’Imu non è uscito dal Consiglio dei ministri di giovedì perchè il governo Letta sta cambiando linea: non sarà più un mero rinvio della rata di giugno, il provvedimento deve contenere anche “un segnale”, come dicono a Palazzo Chigi, per le imprese.
Cioè almeno un rinvio, ma forse anche una riduzione, dell’Imu sui capannoni industriali e gli immobili usati dalle imprese agricole.
Di questo Enrico Letta non aveva parlato nel suo discorso d’insediamento (anzi, si è sempre ben guardato dallo specificare perfino che gli interventi avrebbero riguardato soltanto la prima casa).
Cosa è cambiato?
C’è la campagna del Sole 24 Ore, il quotidiano di Confindustria, che chiede all’esecutivo di ricordarsi degli imprenditori.
Poi ci sono le pressioni dirette delle associazioni di categoria: l’Ance (i costruttori) e l’Abi (le banche) hanno scritto un documento per chiedere come minimo un incentivo fiscale a chi affitta gli immobili vuoti, ma anche una maggiore facilità nell’emettere obbligazioni bancarie garantite per comprare 10 miliardi di immobili nelle città . Qualunque cosa, insomma, che sostenga i prezzi delle case che stanno sprofondando. C’è anche un’urgenza più preoccupante: per come è stata costruita l’imposta (aggiornamento della base imponibile e aumento dei moltiplicatori, modifiche in corso d’anno nel 2012) per molte imprese la prima rata di giugno sarà ancora più alta che lo scorso anno.
Secondo i calcoli della Cgia di Mestre, un centro studi, ci saranno aumenti fino al 51 per cento rispetto al 2012.
Per questo una sospensione della rata sarebbe assai gradita, anche se è difficile che possano beneficiarne tutte le imprese: l’Imu dagli immobili delle società vale 6,5 miliardi, quello dalle ditte individuali 5,2 miliardi.
Sospendere la rata di giugno per tutti vorrebbe dire rimandare l’incasso di quasi 6 miliardi di euro, che aggiunti ai 2 della prima casa farebbero 8. Troppo.
Ma il ministro dello Sviluppo Flavio Zanonato, parlando ai costruttori dell’Ance, si sbilancia e dice che l’Imu sui capannoni “è giusto che non si paghi”, perchè “è come tassare un tornio”.
Però non spiega da dove potrebbero arrivare le risorse per un simile intervento.
Ma Enrico Letta deve fare qualcosa.
A Roma ci sono state diverse riunioni al ministero del Tesoro anche se il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, è in Gran Bretagna per il G7 finanziario.
A Palazzo Chigi cominciano a essere un po’ preoccupati: sanno che un decreto troppo debole rischia di essere stravolto in Parlamento.
A Letta non sfugge che il Def, il Documento di economia e finanza che imposta il bilancio, è stato approvato, ma con una postilla impegnativa .
Cioè un ordine del giorno proposto dal leghista Roberto Calderoli, che prevede l’abolizione dell’Imu sulla prima casa e la restituzione di quanto versato nel 2012 (circa 4 miliardi).
Al governo sono consapevoli che senza un accordo politico preventivo il decreto alla Camera potrebbe essere snaturato a colpi di emendamenti.
Il leader del Pdl Silvio Berlusconi sembra avere altri pensieri, al momento, ma alcuni dei suoi fremono per dare battaglia, a cominciare dal capogruppo Renato Brunetta.
Il premier continua a dimostrare un certo talento nel glissare, alludere senza dire, mediare senza concludere, prendere tempo.
Ha incontrato il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz e assieme hanno invocato un “piano giovani” dall’Unione europea, nel Consiglio europeo di fine giugno.
Si tratta della solita questione: l’anticipo dal 2014 al 2013 del programma Youth Garantee, che vale 6 miliardi ma per 27 Paesi.
All’Italia arriverà , nel migliore dei casi, un miliardo da co-finanziare con una cifra analoga.
Letta ribadisce ogni giorno l’importanza di questo intervento, ma evita con cura di accennare a cosa succederà una volta che l’Italia sarà uscita dalla procedura d’infrazione per deficit eccessivo (il 29 maggio).
Se il governo sfrutterà cioè i margini di manovra disponibili una volta tornati nella lista dei Paesi virtuosi per ridurre le tasse.
O se invece cercherà di avere deroghe per investimenti produttivi, cosa più compatibile con la filosofia europea.
A Bruxelles nessuno è entusiasta dell’ipotesi di dare priorità all’Imu,
Ma l’ultima parola ce l’ha sempre Berlusconi.
Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 12th, 2013 Riccardo Fucile
L’SMS DELL’EX PREMIER A EPIFANI: “QUALSIASI COSA DECIDERAI, AVRAI IL MIO SOSTEGNO”
È tutto rinviato. Ma non a data da destinarsi. A ottobre.
Lì si decideranno le sorti del Partito democratico. E anche quelle del governo.
Non sotterrano l’ascia di guerra, i maggiorenti del Pd, ma la depongono per un po’.
Per quel che basta per arrivare al redde rationem, che ormai è inevitabile.
Le parole che accompagnano il Pd in questi giorni complicati non sono esattamente beneauguranti: «Epifani? È come far tornare Mazzone sulla panchina della Roma», dice qualche dirigente di fede giallorossa.
Ma anche il più importante dei tifosi del Pd, ossia Massimo D’Alema, non storce un baffo e non alza un sopracciglio.
Benchè sia arrabbiato perchè dall’entourage di Franceschini lo hanno dipinto come vinto e sfatto.
Hanno addirittura detto che aveva posto un veto su Epifani, che si è dovuto rimangiare. La storia è un po’ diversa.
Quel veto c’era quando per la prima volta si parlò dell’ex leader sindacale come segretario. Era un escamotage di Bersani e dei suoi per evitare il congresso, la resa dei conti interna, e, soprattutto, per scongiurare la prospettiva di dover ridare indietro tutte le poltrone importanti.
Ma quando si è capito che l’ex segretario aveva mollato l’osso e il piano, D’Alema non ha avuto problemi a mandare il suo sms a Epifani: «So che stanno inventando storie che riguardano miei veti su di te, sappi che non è vero e sappi che qualsiasi cosa tu deciderai di fare avrai il mio sostegno».
L’ex presidente del Consiglio attribuisce a Franceschini la colpa di queste indiscrezioni messe ad arte in giro.
Già , perchè il giochetto sarebbe questo: dipingere l’esito dell’affanno Pd come la nascita di un asse Letta-Bersani-Franceschini a cui, ovviamente, soccomberebbero sia D’Alema che Renzi.
E non importa che i due la pensino molto diversamente: quel che conta è dimostrare che c’è chi ha vinto e chi ha perso, e che nella seconda categoria ci sono quelli che, per un motivo o per l’altro, potrebbero far traballare il governo.
È così? Non è così? Difficile sapere la verità in questo Pd dove ognuno gioca contro l’altro. Ma una traccia c’è.
Non di verità : una traccia di come il Pd sta vivendo questo connubio complicato con il governo.
È di nuovo Franceschini il protagonista, suo malgrado. Ma è a lui che gli ex Ds imputano questa versione light della conventio ad excludendum, che taglia le unghie a Gianni Cuperlo, mette in difficoltà D’Alema e lascia tutta la sinistra in affanno e in difficoltà .
Questa volta il protagonista – involontario – è Veltroni. Il suo «uomo», Marco Minniti, dovrebbe prendere la delega per i Servizi.
Anzi, sarebbe più corretto scrivere che avrebbe dovuto prendere, perchè la storia becca una curva e non riesce a tenere il passo.
Enrico Letta chiama Minniti e gli promette: «Aspetta qualche giorno e ti darò la delega ai Servizi».
Di giorni ne passano tanti e non si sa più niente. Gianni Letta ha chiesto per conto di Silvio Berlusconi che quella delega vada a Gianni De Gennaro.
Letta – Enrico – non si fa più sentire con Minniti.
Franceschini invece fa sapere che il governo non ha gradito l’intervista di Veltroni al Corriere e che quindi il veltroniano Minniti potrebbe aver perso la sua buona occasione.
Sarà anche questo un conto da regolare al Congresso prossimo venturo.
Chi sembra che non abbia nessuna voglia di chiedere o trattare in vista di quell’appuntamento è Matteo Renzi: «In teoria ora dovrei fare l’incazzato, chiedere, pretendere e accusare, ma non voglio fare il Pierino, quello che dice sempre di no, per me non c’è nessun problema, facessero quello che vogliono».
I renziani, o almeno la maggior parte di loro, ossia quelli che non rispondono al rito fiorentino stretto, non sono d’accordo.
Pensano che il capo non debba trascurare il partito.
Lui, per ora, da quell’orecchio non ci sente, ma chissà che di qui a ottobre non cambi idea.
Maria Teresa Meli
(da “il Corriere della Sera“)
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Maggio 12th, 2013 Riccardo Fucile
ESPERTO IN SALVATAGGI DISPERATI, ORA E’ STATO CHIAMATO AL CAPEZZALE DEL PD
Quale partito voglia Guglielmo Epifani lo sappiamo da tempo: “Una forza politica
espressione dei valori e dei bisogni, con una idea moderna della solidarietà , in lotta contro il localismo, il corporativismo e il privilegio”.
Parole sante pronunciate esattamente vent’anni fa, alla convenzione del Psi riunita dal segretario Ottaviano Del Turco per rianimare il partito devastato dalla caduta di Bettino Craxi.
Un altro socialista di punta, Maurizio Sacconi, replicò che “nessun opportunismo può indurre il Psi ad attenuare la propria autonomia in favore di un rapporto debole con una sinistra allo stato dei fatti incompatibile con i nostri valori e i nostri programmi”.
La diaspora socialista è un’altra storia, ma qui possiamo senz’altro dire che Epifani ha il fisico.
Non solo ha già un’esperienza specifica in tema di salvataggi disperati; non solo è favorito dalla circostanza che stavolta il partito che gli chiedono di sollevare non ha i vertici inseguiti da mandati ci cattura; ma soprattutto, non sembri un paradosso, il Pd è l’organizzazione più piccola e meno complessa tra quelle che ha guidato nella sua vita.
Basti ricordare che ha guidato il potente sindacato dei poligrafici della Cgil per tutti gli anni ’80, epoca difficilissima di passaggio delle tipografie dal piombo al computer, una svolta epocale con la scomparsa di un mestiere, che è qualcosa di più drammatico della perdita di migliaia di posti di lavoro: una tragedia esistenziale molto simile alla morte di un partito.
A 63 anni, Epifani fa parte di quella generazione di sindacalisti che hanno percorso una carriera sempre strettamente intrecciata con la politica.
Laureato in filosofia con una tesi sull’eroina socialista Anna Kuliscioff, nel mondo socialista è cresciuto.
Craxiano quando era l’unico modo possibile di essere socialista, Epifani entra nella segreteria Confederale della Cgil nel 1990 per uscirne vent’anni dopo.
Il capo è il comunista Bruno Trentin, e la pattuglia socialista conta, oltre che su di lui, sul segretario aggiunto Ottaviano Del Turco e su Giuliano Cazzola.
Il primo, dopo il naufragio socialista, si accaserà a sinistra e diventerà presidente della Regione Abruzzo prima di finire sotto processo per tangenti.
Il secondo farà politica con il Pdl (insieme a Sacconi), per candidarsi alle ultime elezioni con la Lista Monti (trombato).
Epifani, dopo l’uscita di Del Turco, diventa il numero due di Trentin prima e di Sergio Cofferati poi, perdendo per strada il marchio socialista.
Una mano gliela dà proprio Craxi, che al processo per le tangenti Enimont, spiega come il Psi finanziasse la corrente socialista della Cgil proprio attraverso Del Turco.
E racconta che, chiamando Epifani per il passaggio delle consegne, lo trova ignaro: “Cadde dalle nuvole dando mostra di non essere al corrente di questo rapporto tra il partito e la corrente sindacale socialista, almeno nei termini che gli stavo esponendo”.
Epifani spalleggia Cofferati per tutti gli anni ’90, soprattutto durante i governi dell’Ulivo (1996-2001, Prodi, D’Alema, Amato) quando la Cgil detta le condizioni all’esecutivo con le fluviali interviste del lunedì del capo.
È al suo fianco al Circo Massimo (23 marzo 2002), nella grande manifestazione contro la modifica all’articolo 18 tentata da Berlusconi e Sacconi.
Quando Cofferati lascia per fine mandato, Epifani diventa nel 2003 il primo segretario socialista della storia centenaria della Cgil.
Una stagione contraddittoria, che si caratterizza per la rottura con Cisl e Uil, sancita dal segretario della Cgil il 14 luglio 2004, quando abbandona il tavolo di trattativa con il presidente della Confindustria Luca Cordero di Montezemolo.
Senza dialogo con Cisl e Uil, e incalzato a sinistra dalla sempre più aggressiva Fiom, Epifani vede sfumare lentamente forza e potere della Cgil.
Ma rivela la qualità che da oggi potrà sfruttare alla guida del Pd: capacità organizzativa unita a un accanito spirito accentratore.
La Cgil di Epifani è stata, aldilà dell’apparenza dettata dai suoi modi cortesi, il sindacato di un uomo solo al comando.
Che ha saputo abilmente tirare su e imporre come delfino l’altra socialista di razza Susanna Camusso.
Cosa che avverte gli aspiranti alla leadership: con il transitorio Epifani dovranno fare i conti.
Giorgio Meletti
(da “il Fatto Quotidiano“)
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