Maggio 23rd, 2013 Riccardo Fucile
LE MOTIVAZIONI DELLA CONDANNA A QUATTRO ANNI NEL PROCESSO MEDIASET: “SE NE OCCUPAVA IN PRIMA PERSONA, COSTI D’ACQUISTO RIALZATI”
Era Silvio Berlusconi a occuparsi in prima persona della gestione dei diritti tv di Mediaset e ha continuato a farlo anche «nonostante i ruoli pubblici assunti» e «condotto in posizione di assoluto vertice» .
Lo mettono nero su bianco i giudici della seconda corte d’Appello di Milano che hanno condannato l’ex capo del governo a 4 anni per frode fiscale nel processo di secondo grado sui diritti tv di Mediaset.
Nelle motivazioni della sentenza, il collegio presieduto da Alessandra Galli scrive che «almeno fino al 1998 vi erano state le riunioni per decidere le strategie del gruppo, riunioni con il proprietario Silvio Berlusconi».
Proprio per questo «era assolutamente ovvio – puntualizzano ancora i giudici milanesi – che la gestione dei diritti, il principale costo sostenuto dal gruppo, fosse una questione strategica e quindi fosse di interesse della proprietà , di una proprietà che appunto, rimaneva interessata e coinvolta nelle scelte gestionali, pur abbandonando l’operatività giornaliera».
In particolare, alla luce del fatto che Silvio Berlusconi ha continuato per anni a gestire il gruppo Mediaset anche una volta impegnato in politica e «in relazione alla oggettiva gravità del reato (frode fiscale, ndr) è ben chiara l’impossibilità di concedere le attenuanti generiche».
Secondo i giudici, poi, «era evidente che non aveva alcun senso acquistare a un determinato prezzo quel che si era già individuato come acquistabile, ed effettivamente acquistato, a un prezzo molto minore».
Stando a quanto riportato nelle motivazioni sentenza d’appello «ad agire era una ristrettissima cerchia di persone che non erano affatto collocate nella lontana periferia del gruppo ma che erano vicine, tanto da frequentarlo tutti personalmente, al sostanziale proprietario (rimasto certamente tale in tutti quegli anni) del medesimo, l’odierno imputato Berlusconi».
Inoltre, «risulta impossibile che, un imputato, un imprenditore, che pertanto avrebbe dovuto essere così sprovveduto da non avvedersi del fatto che avrebbe potuto notevolmente ridurre il budget di quello che era il maggior costo per le sue aziende e che tutti questi personaggi, che a lui facevano diretto riferimento, non solo gli occultavano tale fondamentale opportunità ma che, su questo, lucravano ingenti somme, sostanzialmente a lui, oltre che a Mediaset, sottraendole» attraverso la maggiorazione dei costi dell’acquisto dei diritti tv.
(da “La Stampa“)
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Maggio 23rd, 2013 Riccardo Fucile
SEQUESTRATI AL QUOTIDIANO DI SINISTRA MOBILI E IMMOBILI, CONTI CORRENTI E DENARO
Dopo i giornali di Giuseppe Ciarrapico, stavolta l’accusa infamante di aver raggirato lo Stato
incassando indebitamente i contributi per l’editoria tocca a una testata di sinistra: «Rinascita», quotidiano omonimo della gloriosa rivista del Pci chiusa nel 1991.
Redazione centrale a Roma, altre cinque sedi in Italia (Milano, Verona, Sora, Caserta, Napoli), una all’estero (Belgrado) e due corrispondenti a Dublino e Parigi.
Stando ai risultati delle indagini, la cooperativa «Rinascita» avrebbe percepito oltre 2,3 milioni di finanziamenti pubblici senza avere i requisiti previsti dalla legge.
Perciò il Nucleo tributario della Finanza ha sequestrato beni mobili, immobili, conti correnti e denaro per una cifra equivalente.
E il presidente del consiglio di amministrazione, M.M., è indagato per truffa aggravata ai danni dello Stato.
VENDITE FASULLE
Nel corso di controlli di routine, basati su un accordo tra la presidenza del Consiglio e le Fiamme gialle, è emerso che il presidente del consiglio di amministrazione della coop, per incamerare le provvidenze pubbliche erogate dal Dipartimento per l’informazione e l’editoria di Palazzo Chigi, avrebbe falsamente attestato la vendita, nel 2009, di 934.632 copie, un numero di poco superiore al 25% rispetto alla tiratura netta complessiva pari ad oltre 3,7 milioni di copie.
Per ottenere i contributi infatti la diffusione di una testata deve essere pari ad almeno il 25% della tiratura netta.
LE IMPRESE DI PULIZIE
L’attenzione delle Fiamme Gialle si è concentrata sull’«anomalo» ruolo di due imprese di pulizia e disinfestazione, che erano state incaricate di provvedere alla diffusione del quotidiano.
In realtà , si tratterebbe di ditte esistenti solo sulla carta, a parte l’incongruenza del compito affidato.
La registrazione di «Rinascita» al tribunale di Roma, come quotidiano politico, risale al 1° aprile 1977. Altri tempi.
Oggi, anche se sotto la testata si legge «Quotidiano di sinistra nazionale», nel manifesto che appare sul sito il giornale cerca di smarcarsi dal suo antico legame con quello che fu il Pci: «L’unico quotidiano italiano, fuori dalla massa, che ha il coraggio di dire le cose come stanno è l’autosponsorizzazione -. Rinascita è apartitico e laico, lontano da interessi partitici di destra e di sinistra e da gruppi ed ambienti ad essi legati.».
Lavinia Di Gianvito
(da “il Corriere della Sera“)
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Maggio 23rd, 2013 Riccardo Fucile
NON CI SONO RISORSE MA SI CONTINUA A VENDERE FUMO E AVANZARE PRETESE IRREALIZZABILI
«Se ci saranno le risorse, sarà auspicabile evitare l’aumento dell’Iva stabilito dal governo precedente. Dobbiamo discutere dei fondi che saremo in grado di reperire tagliando la spesa». Il presidente del Consiglio, Enrico Letta, non nasconde i problemi.
Il governo farà di tutto per scongiurare l’aumento dell’imposta sui consumi, destinata a salire di un punto dal primo luglio, ma tutto dipenderà dai fondi che riuscirà a trovare.
Se ci saranno, o se Bruxelles dovesse concedere qualche margine di manovra in più dopo la chiusura della procedura per deficit eccessivo, l’innalzamento dell’Iva, che porterebbe nelle casse dello Stato 4 miliardi di euro l’anno, potrà essere rinviato ad anno nuovo o addirittura cancellato.
Ma se il governo non riuscisse a trovare fondi sufficienti per far fronte a tutte le esigenze, dovrà fare delle scelte, e saranno tutt’altro che facili.
Oltre all’Iva bisogna trovare soldi per abbattere l’Imu, per le detrazioni fiscali sulle ristrutturazioni, per gli sgravi sulle nuove assunzioni, ed ogni partito che appoggia il governo ha le sue idee.
Che non si conciliano affatto le une con le altre.
Il Pdl insiste per l’eliminazione dell’Imu sulla prima casa, che costerebbe 4 miliardi l’anno, mentre il Pd preferirebbe, e lo dice ormai senza riserve, spendere quei soldi (sempre che ci siano), per scongiurare l’aumento dell’imposta sui consumi, che dal primo luglio passerà dal 21 al 22%. «Non è un problema ideologico, ma di chi sta peggio. Se ci sono le risorse mi domando se non convenga limitare l’Imu per le fasce medie o, invece, evitare l’aumento dell’Iva» ha detto ieri il neosegretario Guglielmo Epifani.
Mettendo subito in agitazione gli esponenti del Pdl, tanto che il segretario Angelino Alfano ha detto che presto sentirà per un colloquio il leader del Pd. Renato Brunetta, capogruppo del Pdl alla Camera, è convinto che in pochi mesi si riesca, anzi si debba riuscire, a fare tutto quello che c’è in agenda.
«Imu, Iva, totale defiscalizzazione e decontribuzione per le nuove assunzioni di giovani, riforma di Equitalia e sburocratizzazione delle procedure per creare nuove imprese non si cannibalizzeranno a vicenda, ma saranno tutti attuati» assicura Brunetta, secondo il quale «la logica di Epifani non è quella del governo Letta».
«Bisogna sia eliminare l’Imu che evitare l’aumento dell’Iva. Le famiglie italiane non ce la fanno più. Non si capisce perchè Epifani gioca all’esclusione, è paradossale che spinga per limitare la riduzione dell’Imu per le fasce medie, una fetta ampia anche nei suoi elettori» commenta il vicepresidente Pdl del Senato, Maurizio Gasparri.
«Il Pdl – replica per il Pd Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro della Camera – finge di non sapere come stanno le cose. Il taglio dell’Imu come proposto da noi, con la cancellazione solo per i ceti medi e le famiglie disagiate, è un’operazione di equità e consentirebbe di scongiurare l’aumento dell’Iva. Il Pdl si deve rendere conto che sta facendo una battaglia per il 10% dei più ricchi a sfavore di tutti gli italiani».
«Una frottola» replica Brunetta: «L’eliminazione dell’Imu va a favore di tutte le famiglie, visto che il 78% di queste risiede nella propria casa. E l’88% dell’Imu sulla prima casa viene da chi non supera i 55 mila euro di reddito lordo annuo».
Sull’Imu è intervenuto anche l’ex premier Mario Monti, che ha parlato di «tema largamente secondario perchè semmai ci fossero delle risorse andrebbero destinate a misure per il rilancio dell’occupazione», perciò «non si può parlare di restituzione di questa imposta» tanto più che la tassa sulla casa in Italia «è tra le più basse» d’Europa.
Per Monti le limitate risorse disponibili «andrebbero destinate a scongiurare l’aumento dell’Iva anzichè ridurre la pressione fiscale sulla casa» tenuto conto degli effetti sull’attività economica e produttiva e sui consumi.
Sull’impatto della nuova tassa sulla casa si continua dunque a discutere.
E nel dibattito rientra anche la cedolare secca sugli affitti.
Nel 2011 il gettito della cedolare (tassazione secca al 21% anzichè ad aliquota marginale Irpef) è stato di 870 milioni di euro contro i 2,7 stimati, nel 2012 è salito a un miliardo a fronte dei quattro attesi.
Secondo Confedilizia la cedolare sta trascinando il mercato delle locazioni, e si è rivelata un successo che non si può misurare sul gettito.
«La cedolare secca ha prodotto risultati molto inferiori alle attese: solo il 27% dei nuovi contratti ne ha usufruito» ha detto il capogruppo del Pd in commissione Finanze alla Camera, Marco Causi. Secondo il quale, nella revisione delle imposte sulla casa, bisognerà anche riconsiderare la cedolare.
Mario Sensini
(da “il Corriere della Sera“)
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Maggio 23rd, 2013 Riccardo Fucile
“IL CONGRESSO? RINVIAMOLO O SARA’ GUERRA TRA BANDE”
La base, è probabile, non gradirà . Ma Guglielmo Epifani è convinto che Silvio Berlusconi sia
eleggibile.
E, soprattutto, che il Pd debba votare contro l’esclusione del Cavaliere nella giunta per le elezioni.
Perchè il nodo, ricorda il segretario parlando al gruppo dem della Camera, «è già stato affrontato altre volte» e i democratici non possono che attestarsi sulle posizioni assunte già in passato. Senza «fragilità identitarie».
Non tutti però apprezzano, a partire da Felice Casson e Stefania Pezzopane, due dei membri Pd che decideranno il destino dell’ex premier.
La linea del segretario interpreta l’anima maggioritaria tra i parlamentari. Nonostante le proteste sul web e nonostante l’allergia dei militanti verso il ventennale avversario di Arcore.
Nicola Latorre, ad esempio, si incarica di indicare le priorità . Fra le quali non emerge l’ineleggibilità : «È ormai acclarato che Berlusconi è il titolare di Mediaset. Ma l’attuale sistema di verifica che la legge costituzionale affida al Parlamento ha consentito in tutti questi anni di considerarlo eleggibile. Noi esamineremo con rigore anche questa ulteriore richiesta – promette – tenendo conto della prassi fin qui seguita. Ma è chiaro che occorre con urgenza una legge sul conflitto di interessi». Sconsolata, Laura Puppato ammette: «Il problema di Berlusconi in Parlamento non esiste, perchè lui in Parlamento non c’è mai: è un assenteista cronico».
Come se non bastasse, i democratici sono alle prese anche con una delicata vigilia congressuale.
L’ultima assemblea ha sancito con un voto che l’assise debba tenersi entro ottobre. Eppure potrebbe slittare, forse al 2014.
Un cenno l’ha fatto ieri Epifani, rivolgendosi ai deputati e chiedendo di non comprimere i tempi del tesseramento. In privato, poi, il segretario è stato ancora più esplicito: «Dobbiamo affrontare un’ampia discussione politica. E solo dopo mettere in campo i nomi, perchè farlo subito significherebbe innescare una guerra tra bande. Non è quello di cui il Pd ha bisogno»
Nel partito Matteo Renzi non si metterà di traverso, nè Enrico Letta ha interesse a bruciare le tappe.
I giovani turchi, invece, non gradiranno. Pronti con Gianni Cuperlo a tentare la scalata alla segreteria, insisteranno per rispettare gli impegni già assunti.
Proprio Cuperlo mette in chiaro: «Il congresso si deve tenere al più presto. Nei circoli c’è delusione e sconcerto. Ma è assurdo aspettare che la rabbia si plachi. E comunque meglio militanti arrabbiati che abbandoni silenziosi».
E anche Enzo Amendola si schiera: «Sono contrario al rinvio»
Prima di stabilire una data congressuale, comunque, il board democratico dovrà decidere se sdoppiare le figure di segretario e candidato premier.
Se i veltroniani vogliono mantenere lo schema attuale – come anche D’Alema e Renzi – i giovani turchi spingono per dividere i destini dei due ruoli chiave.
Davanti ai suoi deputati anche Epifani si è speso per questa seconda tesi, mostrandosi disponibile anche a ragionare sulla possibilità di non far votare solo gli iscritti. Magari attraverso una registrazione
In attesa della decisiva direzione di martedì, nella quale il Pd è chiamato a sciogliere il rebus della riforma elettorale, Epifani ha cercato di motivare un gruppo parlamentare ancora scosso dal complicatissimo avvio di legislatura: «Dobbiamo avere più fiducia in noi stessi – ha detto – Il governo non può fare miracoli, non ha un euro, bisogna che lo dica. Il quadro economico è difficilissimo. Non siamo alla fine di un tunnel ma ad un bivio».
Non è mancato neanche un richiamo tutto interno, dopo l’incidente sul provvedimento sui partiti presentato da Zanda e Finocchiaro: «Andiamo subito in crisi per qualunque pressione esterna. La vicenda di ieri al Senato è emblematica, prima di presentare i provvedimenti pensiamoci bene. Se li presentiamo, difendiamoli».
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)
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Maggio 23rd, 2013 Riccardo Fucile
“SIAMO VITTIME DEL PASTICCIO IN CUI CI SIAMO CACCIATI”
Epifani il caso ineleggibilità di Berlusconi è stato già affrontato in passato, e quindi non è il caso di tornarci su. E Per lei, onorevole Civati?
«Dipendesse da me, con la macchina del tempo quella decisione l’avrei presa in modo un po’ diverso».
Fuori dal Parlamento Berlusconi, in base alla legge del ’57?
«Esattamente. Tra l’altro, il segretario del Pd ancora qualche giorno fa mi pareva dicesse cose diverse».
E cioè?
«Mah, rimandava alle decisioni dei commissari pd nella giunta per le elezioni, pur precisando che non si tratta di questione da poter risolvere con un colpo d’accetta, con un sì o con no».
Il segretario ha cambiato idea, lo trova ora troppo rinunciatario?
«Non so dire se in 48 ore è cambiato qualcosa. Capisco l’imbarazzo politico e le difficoltà . Ma il problema è che non possiamo fare le discussioni al rovescio».
Ovvero?
«Evitiamo le ipocrisie, e diciamo le cose come stanno. La verità è che non si può affrontare l’ineleggibilità di Berlusconi perchè se no cade il governo Letta. Ed è così, purtroppo, quasi per tutto. E quindi il Pd non riesce a discutere quasi di niente».
Sarà per questo che fra i democratici quasi nessuno, sinistra compresa, e a parte Zanda che parla a titolo personale, reclama la non eleggibilità del Cavaliere?
«Anche i giovani turchi sono al governo. E siccome, come dicevo, si parte sempre dal must della sopravvivenza dell’esecutivo prima di affrontare qualunque nodo, temo che non ne usciamo. E non solo sulla ineleggibilità ».
Su che altro?
«Se Berlusconi occupa il palazzo di Giustizia di Milano, che facciamo? Facciamo finta di niente perchè se protestiamo cade il governo? E se lo condannano? Ci giriamo dall’altra parte per la stessa ragione? Purtroppo siamo vittime di noi stessi».
Di cosa esattamente?
«Del pasticcio in cui ci siamo cacciati, a causa dei nostri errori, che ci ha portato al governo delle larghe intese».
Teme la spina Grillo che invece martella per cacciare Berlusconi dal Parlamento?
«Una spina più o meno, con tutte quelle che abbiamo addosso, francamente non fa differenza».
Ma, come dice Renzi, non è assurdo cavalcare ora l’ineleggibilità visto che da 20 anni gli italiani mandano regolarmente Berlusconi in Parlamento?
«L’obiezione ha un fondamento. Ma secondo me dovrebbe essere proprio l’oggetto di una discussione libera e aperta in giunta delle elezioni. Anche sul nodo più generale del conflitto di interessi, a prescindere da Berlusconi. Partiamo da qui, rimettiamo il confronto sul binari giusti. Partiamo dalla testa e non dal fondo».
Solo che la giunta non decolla.
«Guarda un po’ che strano… Ma è chiaro, se tocchi i fili il governo casca. Però io vorrei sapere: il passato è andato, ma per il futuro che fa il Pd? Una legge sul conflitto di interessi che regoli il rapporto fra affari privati e politica, e che riguardi nuovi possibili casi, la vogliamo o no?».
Ma fra crisi di governo e Berlusconi che decade, cos’è più importante?
«Ecco, appunto. L’aut aut. Il diktat. La scelta obbligata. Col governissimo nel Pd non discutiamo più».
Umberto Rosso
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Maggio 23rd, 2013 Riccardo Fucile
BEN 13 INDAGATI PER TRUFFA, PECULATO E FALSO: TRA LORO UN SENATORE, TRE ASSESSORI E OTTO CAPIGRUPPO
Nell’elenco c’è il neo senatore di “Grande Sud” Giovanni Bilardi, tre assessori regionali, un
sottosegretario della giunta calabrese, e otto tra capigruppo ed ex capigruppo della Regione Calabria.
Sette di centrodestra e sei di centrosinistra.
Gli uomini del gruppo della Guardia di Finanza di Reggio Calabria hanno notificato gli avvisi a comparire davanti ai magistrati a tredici politici calabresi.
Dovranno rispondere di reati che vanno dal “peculato” al “concorso in peculato”, dal “falso” alla “truffa”.
L’inchiesta è quella dei rimborsi illegittimi elargiti ai consiglieri regionali della Calabria. Uno scialapopolo andato avanti – secondo gli inquirenti – dal 2010 al 2012, senza soluzione di continuità .
Pero il momento nel registro degli indagati sono finiti soltanto coloro che hanno rivestito, o rivestono ancora, il ruolo di capigruppo e una serie di responsabili amministrativi.
Tutti coloro, cioè, che tenevano i cordoni della borsa autorizzando le spese.
Così nel mirino della procura di Reggio Calabria (l’inchiesta porta la firma del procuratore aggiunto Ottavio Sferlazza e del sostituto Matteo Centini) sono finiti il senatore Giovanni Bilardi, ex capogruppo della “Lista Scopelliti”, il sottosegretario della giunta Regionale Alberto Sarra, alla guida di An nel 2010; e poi l’assessore regionale ai Lavori pubblici, Giuseppe Gentile, quello ai Trasporti, Luigi Fedele (entrambi del Pdl), e all’Urbanistica, Alfonso Dattolo (Udc).
E ancora l’ex presidente della Regione Agazio Loiero.
E poi Giulio Serra, capogruppo di “Insieme per la Calabria – Scopelliti presidente”; Enzo Ciconte di “Autonomia e diritti”; Emilio De Masi di Idv; Giuseppe Bova del “Gruppo misto”; Sandro Principe, del Pd; Giampaolo Chiappetta del Pdl e Nino De Gaetano (oggi Pd), ma nella qualità di ex capogruppo del “Prc-Fds”.
Tra i tredici ci sono ovviamente posizioni diverse tra di loro.
Si va dall’iscrizione sul registro degli indagati per un puro “atto dovuto”.
A posizioni ben più gravi e responsabilità evidenti.
I finanzieri indagando sui falsi rimborsi hanno trovato di tutto, dal biglietto per assistere a uno spettacolo di “lap dance” al biglietto del “Gratta e Vinci”, dai “santini” da mille e 200 euro, ai viaggi ingiustificati all’estero e in Italia.
Trasferte singole, di coppia e persino di gruppo, visto che un rappresentante del parlamento calabrese aveva affittato un pullman a Chianciano.
Prezzo rimborsato 3.700 euro tondi.
Una città che piace molto ai politici del sud.
Tanto è vero che tra le fatture di un gruppo sarebbero stati rinvenuti numerosi rimborsi per soggiorni in quella località , a volte di sole poche notti, ma sempre in alberghi di livello.
Da Chianciano a Montepulciano il passo è breve.
E non a caso gli stessi frequentatori delle terme amavano trascorrere alcune giornate in relax nella terra di uno dei vini italiani più noti al mondo.
Già i vini, anche questo pare essere stato un vezzo dei politici nostrani.
Negli anni ne hanno acquistati ad ettolitri. Buoni vini, utilizzati da diversi esponenti regionali probabilmente per fare regali.
Tra le tante, spuntano una serie di fatture, per importi diversi. Si va dai 30 euro per una bottiglia a mega forniture da 780 euro.
Chi ama il buon vino di certo non può che amare anche la buona cucina.
In questo senso c’è un capitolo dell’inchiesta particolarmente delicato, su cui si stanno concentrando sia i finanzieri del colonnello Claudio Petrozziello, che i magistrati che conducono l’indagine.
Delicato e corposo.
Sono infatti tantissime le fatture che riguardano momenti conviviali. Tuttavia quello che più ha attirato l’attenzione degli investigatori sono i mega pranzi da 20 o 25 persone, che uniti alle cene fanno contare – per un singolo consigliere – anche 66 coperti in un solo ristorante e in solo giorno.
Naturalmente tra le spese rimborsate ci sono anche singoli caffè (70 centesimi), panini e pasti frugali da asporto.
Roba da pochi euro su cui, forse, ci sarebbe da ridire più sul piano etico che giudiziario.
Infine tra le novità che non trovano apparentemente spiegazione ci sono una serie di fatture e scontrini fiscali (tutti rimborsati) relativa a una sorta di “fai da te”.
Agli occhi del comando provinciale della Guardia di Finanza, sarebbero saltati infatti i rimborsi di spese fatte in ferramenta.
Tra queste scontrini di “materiale elettrico” e per “arredo bagni”.
Articoli che non sarebbero esattamente inquadrabili tra gli strumenti tipici di chi fa politica o rappresenta le istituzioni.
E ancora fatture per i detersivi, le bollette della Tarsu e persino il rimborso delle multe elevate dalla stradale per alcune centinaia di euro a testa.
Roba strana insomma. Che sicuramente sarà oggetto degli interrogatori che la Procura ha messo in calendario dai primi di giugno.
Giuseppe Baldessarro
(da “La Repubblica”)
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Maggio 23rd, 2013 Riccardo Fucile
OLTRE GLI STECCATI: IL SACERDOTE CHE HA SALVATO VITE E DIGNITA’
Un giorno don Andrea incontrò un illustre prelato che lo rimproverò di non vivere all’altezza della dignità richiesta agli uomini di Chiesa.
Egli rispose con semplicità di limitarsi a seguire l’esempio di Gesù e di chiedersi ogni volta che avvicinava un drogato o un ladro o una puttana come avrebbe reagito Gesù al suo posto.
“Ah beh, caro don Gallo – ribattè l’illustre prelato – se lei la mette su questo piano…”
“E perchè, eminenza – ribattè lui – su che piano la dovrei mettere?”
Ciao don Andrea. Da poche ore sei entrato là dove gli angeli ti hanno sostenuto perchè il tuo piede non vacillasse.
Grazie da parte di tutti i poveri cristiani che avrebbero già da tempo perduto la fede, se esempi come quello di Francesco d’Assisi, madre Teresa e di don Gallo, prete degli angiporti, non li avessero confortati.
Papa Bergoglio ha scelto la pallida luce dell’argento per l’Anello del Pescatore.
Ma il tuo esempio di povero prete, il tuo cappellaccio spiegazzato, il tuo eterno mezzo sigaro, rifulgono come l’oro presso il trono di Dio.
Una volta dicesti: “A chi incontro per strada non chiedo se è di destra o di sinistra, se ha studiato o no, se è gay o eterosessuale. A qualcuno potrò magari insegnare l’italiano, loro mi insegnano la vita”.
E nella vita conta la coerenza con cui ci si batte per i propri convincimenti e la coscienza di far parte di una comunità umana fondata sulla solidarietà e l’aiuto ai più deboli.
Beati gli ultimi, oggi più che mai.
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Maggio 23rd, 2013 Riccardo Fucile
SI VANTAVA DI NON ESSER MAI ENTRATO IN UNA FARMACIA PER 84 ANNI”, RACCONTANO TRA LE LACRIME ALLA COMUNITà€ SAN BENEDETTO AL PORTO
Andrea è nel suo archivio”. Nella stanza di pochi metri quadrati, con quel quadro all’ingresso
dove si intravvedono figure piegate dal dolore, ma anche uno squarcio di cielo.
Con quella porta stretta che a migliaia hanno varcato per cercare consolazione.
Come in un giorno qualsiasi, uno delle migliaia di questi 43 anni della comunità di San Benedetto al Porto.
Ma oggi è l’ultimo giorno. Don Andrea Gallo se n’è andato.
Dopo aver vissuto ogni minuto della sua esistenza in prima linea, ha deciso di partire con la massima discrezione.
Come fosse un giorno qualunque.
“Portatemi nel mio studio”, ha chiesto nei giorni scorsi tornando dall’ospedale.
Sapeva, sentiva, che l’orizzonte era vicino. Ma nessun addio, nessuna frase solenne.
E pensare che appena un mese fa era ancora lui. Certo, ormai sottile e trasparente come una foglia. “Poi all’improvviso ha detto che non dormiva più”, racconta Domenico Chionetti, il portavoce della Comunità di San Benedetto al Porto.
L’acqua nei polmoni.
In poche settimane il prete si è spento, lui che “in 84 anni non era mai entrato in una farmacia, non per sè, almeno”.
Ha chiesto soltanto di essere sistemato nella stanza dove da decenni chi ha bisogno di lui sa di poterlo trovare.
In una brandina nel suo studio, davanti agli occhi un’immagine della Madonna. In mezzo alle carte e ai libri di preghiera e di Gramsci.
Accanto a quella scrivania dove ha passato una vita a parlare e ascoltare. Dalla finestra affacciata sul porto si vedono le navi, i gabbiani spinti a terra dal vento di libeccio che spazza via le nuvole.
E si vede Genova cui Andrea Gallo è rimasto saldamente legato, nonostante i periodi passati nelle favelas del Brasile e nelle carceri.
A guardarla di qui, dalla Comunità di San Benedetto, ti pare una giornata qualsiasi: il traffico, i passanti. Non sa ancora, la città , che don Gallo non c’è più. Ma lui ha voluto così.
Che la notizia della malattia arrivasse all’ultimo, anche per la sua Genova.
Che la morte fosse davvero un momento della vita, pure se l’ultimo.
Andrea è rimasto lì per giorni. Le mani sempre pronte a restituirti la stretta, ma gli occhi puntati verso un luogo sempre più inaccessibile.
Come se tenesse aperta la porta, se mostrasse ai suoi amici che proseguire è possibile.
Accanto c’erano i volti di sempre: Paola, Domenico, Giambattista, Cinzia.
Soltanto più silenzio. E quello sguardo che fuggiva verso l’archivio, dove c’era Andrea con Lilli, con due i nipoti.
Dove stava accadendo qualcosa di grande e terribile.
“Vorrei piangere”, racconta Lucia sulla porta, “Vorrei, ma gli farei torto, a Gallo, che mi ha ridato la vita. Che mi ha insegnato a sperare”.
Sì, Dio sembrava più vero attraverso le parole di Andrea: “Credevamo a Dio perchè aveva Gallo come testimone”, prova a scherzare qualcuno.
Don Andrea che si è sempre definito “prete”. Più che religioso, più che sacerdote. Proprio prete.
Sono arrivati in tanti, anche il cardinale Angelo Bagnasco e don Andrea per riceverlo ha voluto essere vestito l’ultima volta.
Ma soprattutto ci sono i ragazzi della Comunità . Si chiamano sempre così, “ragazzi”, anche se sono passati decenni da che sono entrati la prima volta dal portone.
Se hanno magari sessant’anni, se i tatuaggi sui bicipiti sono deformati dall’età che svuota tutti. “Sai”, dice una donna che ti prende sottobraccio, “io tante volte in questi anni ho immaginato questo giorno. La morte di Andrea, intendo. Come avviene con il papà ”.
Padre, stupisce sentire tante volte questa parola per un sacerdote.
“Davvero Andrea ha avuto tanti figli. Lui prete li ha avuti attraverso di noi, i nostri bambini che sono nati perchè Andrea ci ha tolti dalla strada e salvati. Senza Gallo non sarebbero mai nati”, racconta Daniela.
Davvero è così: “C’erano anni che ogni settimana morivano dei giovani. Che cercavamo disperatamente comunità che li ospitassero per salvarli. Spesso era impossibile trovarne. Ma lui, don Gallo, apriva le porte a tutti. Sempre”, racconta un magistrato che conosceva Gallo da decenni.
Oltre al personaggio pubblico don Andrea è stato anche, soprattutto, questo.
I mobili di legno annerito, il pavimento con i disegni consumati.
Una canonica come tante, ma di queste poche stanze don Gallo ha fatto uno dei centri di gravità di Genova. Città in crisi, di coscienza prima che economica, e però fino a ieri sapeva che c’era questo prete a prendersi cura di lei.
Le alluvioni, il G8, gli scandali, don Gallo come i patriarchi delle famiglie era una di quelle figure che aiutano a non smarrirsi.
Ora dovrà cavarsela da sola. Genova, ma anche la Comunità : “Siamo una grande famiglia, cinquanta dipendenti. Centinaia di volontari. Ce la faremo”, assicura Chionetti.
Ma non sarà facile. Bisognerà trovare una nuova guida. Un sacerdote, forse, ma chi?
Don Federico Rebora, il parroco che ha seguito Gallo per 42 anni, ha 85 anni. Andrea istrionico, incontenibile, Federico mite, riservato.
Già , don Gallo doveva consolare, non ha avuto tempo per parlare di sè, della propria fine.
Di quel passaggio ha lasciato soltanto un messaggio indiretto, nelle prediche dei tanti funerali che ha dovuto celebrare: “Non è facile imparare a morire. Non è facile obbedire fino alla morte e quindi fare obbedienza alla morte. Non è facile fare di essa un dono di amore per la famiglia e per gli amici”, disse in una predica riportata nel suo ultimo libro “In viaggio con Francesco”, uscito proprio in questi giorni.
“Quando di sera tornavo a casa, sulla sopraelevata che attraversa il porto, guardavo verso la finestra di don Gallo. La vedevo spesso accesa. Ora Genova è più sola”, racconta Adriano.
Sono le 17,45 quando don Andrea lascia andare l’ultimo respiro.
Qualcuno corre in chiesa. Altri lo cercano sul terrazzino pieno di gerani, di rosmarino.
Una ragazza apre la finestra dello studio e la spalanca verso la città .
Come raccontò don Andrea: “Gesù disse… Vi ho tenuta nascosta una cosa che ora non posso più nascondervi: devo proprio partire. Addio”.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 23rd, 2013 Riccardo Fucile
FUORI DALLE RIGHE SIN DAL PRIMO INCARICO AL RIFORMATORIO, EDUCAVA I RAGAZZI ALLA LIBERTà€ E ALL’AUTONOMIA… ANIMATORE DELLA PARROCCHIA DEL CARMINE, FU TRASFERITO PIÙ VOLTE, FINO ALLA FONDAZIONE DELLA SUA COMUNITà€
Don Andrea Gallo, per tutti noi il Don, è il compagno che vorremmo avere al nostro fianco in ogni momento della vita.
Ci ha insegnato che il vizio capitale peggiore è l’ottavo: l’indifferenza.
È stato un grande rivoluzionario. Quando glielo rammentavo, la risposta era sempre la stessa: “Io ho seguito solo le impronte lasciate dagli altri”.
Sì, è stato un grande rivoluzionario, non solo per il bene che ha fatto, ma per la forza della sua parola, per l’esempio dato dal suo modo di vivere, in una società che distrugge i valori, dove morale ed etica sono diventati optional.
Quante volte Don Gallo si è domandato: “Dov’è la fede? Nelle crociate moralistiche? Dov’è la politica? Nei palazzi? Dove sono i partiti? Sempre più lontani. È una vera eutanasia della democrazia, siamo tutti corresponsabili, anche le istituzioni religiose”.
Lui ha semplicemente messo in pratica gli insegnamenti del cristianesimo partendo dalla virtù che dovrebbe essere alla base della vita di un prete: la povertà , e che invece la Chiesa, quella conservatrice, quella dei tabù, gli ha sempre contestato, a volte trattandolo da eretico.
Con la Chiesa il rapporto è stato difficile sin dall’inizio.
“Chi vuol farsi obbedire deve prima riuscire a farsi amare”, sono le parole di Don Bosco che Andrea aveva fatto sue.
Ordinato sacerdote il 1° luglio 1959, poco prima del suo trentunesimo compleanno.
Il primo incarico, l’anno dopo, come cappellano alla nave scuola della Garaventa, noto riformatorio per minori.
Il metodo che usava con i ragazzi (non aveva alla base l’espiazione della pena), non era gradito.
Con lui fiducia e libertà prendono il posto della repressione. Lavora sulla responsabilità , consentendo ai ragazzi di uscire per andare al cinema e vivere momenti di auto gestione.
Dopo tre anni fu rimosso dall’incarico senza nessuna spiegazione.
Nel 1964 il Don decise di lasciare la congregazione salesiana per entrare nella diocesi genovese. “Mi impedivano di vivere pienamente la vocazione sacerdotale”, racconterà successivamente.
Alla Chiesa ha sempre contestato: la piramide gerarchica; la ricchezza; la mancanza del no totale alla guerra; la condanna nei confronti della laicità .
Per Don Gallo la laicità ha rappresentato la difesa dei diritti dell’uomo.
Nel 1965 la diocesi lo mandò come viceparroco alla chiesa del Carmine in un quartiere popolare di Genova.
“Di portuali e operai, con abitazioni inagibili, un mercato rionale quasi indecente. Giravo nei vicoli, sostavo tra i banchi, passavo in edicola, discutevo con il salumiere che era convinto che mi piacesse il prosciutto ma comprassi la mortadella perchè ero tirchio e volevo spendere meno”.
Erano gli anni della fine del concilio Vaticano II.
Gli anni in cui con papa Giovanni XXIII la Chiesa decise di leggere i segni dei tempi. La guerra del Vietnam. Facciamo l’amore e non la guerra, era lo slogan del movimento pacifista americano.
Da noi, dopo la rivolta francese, nacque la contestazione, il movimento studentesco con la riforma della scuola, i giovani entrarono sempre più nel sociale. Alla messa di mezzogiorno
Andrea trattava i temi di attualità , era nettamente schierato al fianco degli ultimi, cominciò a tenere due leggii: da una parte il Vangelo, dall’altra il giornale.
Nel 1970 la Chiesa, dopo averlo fatto spiare dal parroco che registrava di nascosto le sue prediche, decise di trasferirlo.
La goccia che aveva fatto traboccare il vaso e che aveva fatto scatenare l’indignazione dei benpensanti fu la predica all’indomani della scoperta di una fumeria di hashish nel quartiere.
Il Don, invece di inveire contro chi rollava qualche spinello, ricordò che vi erano altre droghe ben più diffuse e pericolose, per esempio quella del linguaggio, che poteva tramutare il bombardamento di popolazione inerme in un’azione a difesa della libertà . Fu accusato di fare politica e di essere comunista.
Don Gallo aveva trasformato la parrocchia del Carmine in un luogo di aggregazione, di confronto per giovani e adulti. “Mi hanno rubato il prete” è quello che disse un bambino a chi gli chiedeva perchè stesse piangendo, seduto sulle scale della chiesa del Carmine il 2 luglio 1970 durante la manifestazione di solidarietà contro il trasferimento di Don Gallo voluto dall’arcivescovo di Genova, cardinale Siri.
Quel giorno erano migliaia le persone che manifestarono a suo favore.
Quel giorno segnò la sua identità , rappresentò il momento in cui Don Gallo prese coscienza di essere in relazione con gli altri, di essere prete e laico contemporaneamente.
Don Gallo rimarrà per sempre un simbolo della dignità e dell’uguaglianza tra gli uomini.
Quel biglietto da visita che Gesù gli aveva consegnato non se l’è mai messo in tasca, lo ha stretto forte, forte per sempre nelle mani, il sale, il lievito, il chicco di grano sono stati sempre presenti in ogni sua azione.
Per don Gallo “l’incontro” con Don Bosco arrivò a vent’anni.
Un giorno mentre giocava a pallone conobbe il salesiano Piero Doveri, è lui che gli cambiò la vita. “La gioia di vivere con gli altri e per gli altri di questo prete mi ha completamente fulminato. E se diventassi anch’io un prete di Don Bosco? Diventando educatore posso stare al contatto con i ragazzi, cercando di aprire la loro anima, di aprire le loro potenzialità nella libertà , nella giustizia, nella democrazia nel benecomune, nella pace”.
Così Don Gallo trovò la vocazione: “Don Bosco mi ha dato Gesù”. Un giorno gli chiesi il significato di queste parole e lui mi disse: “Io non son portato all’illuminazione o altro. L’incontro è come uno scambio di biglietti da visita. Gesù mi ha dato il suo biglietto: son venuto per servire e non per essere servito”. Dopo la cacciata dalla chiesa del Carmine, il Don capì che la diocesi non lo avrebbe mandato da nessuna parte.
Grazie a un amico incontrò don Federico Rebora, il parroco di San Benedetto. “Quando gli parlai la prima volta, mi rispose semplicemente: venite. Io e i miei ragazzi siamo accampati lì da quarantatrè anni. Qualche anno dopo è nata la comunità di base San Benedetto al Porto”.
Don Gallo ha sempre ricordato che è ad essa che deve la sua maturazione come uomo, come cristiano, come prete. “Io so che devo rispondere alla mia coscienza di fede, ma è stando in comunità che ho capito che devo rispondere anche alla mia coscienza civica”.
Ho scritto qualche anno fa dopo un nostro dibattito: “Peccato che il Don sia un prete, se fosse un politico, avremmo trovato il nostro leader”.
Ci hanno rubato il prete che parlava dell’amore, ci hanno rubato il prete che era monsignore.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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