Maggio 28th, 2013 Riccardo Fucile
LUCA RASTELLO E ANDREA DE BENEDETTI RACCONTANO IL VIAGGIO NELLA GRANDE ILLUSIONE DELL’ALTA VELOCITA’
La Tav è soltanto un grande bluff e Binario morto, il libro diLuca Rastello e Andrea De Benedetti questa grande illusione la smaschera unendo i dati a un viaggio da Lisbona (e Algeciras) sino a Kiev, in un’Europa economicamente in ginocchio che pensa di poter continuare a sperperare denaro pubblico in nome di un futuro remoto fatto di progresso e alte velocità .
Il colpo di genio del tandem Rastello-De Benedetti è quello di allargare il discorso dal provincialismo del dibattito No Tav-Sì Tav e di guardare al famoso Corridoio 5 nel suo insieme. Già perchè molto spesso il discorso viene circoscritto alla Valsusa, alla Valle della Maurienne (dove il tunnel dovrebbe sbucare sul versante francese), ma non si fa alcun cenno al fatto che la Torino-Lione sarebbe un segmento “galleggiante” in un corridoio totalmente ideale.
È proprio la sostanza del concetto di corridoio a essere messa in discussione, secondo il professor Sergio Bologna, uno dei “pesi massimi della logistica mondiale”, il “corridoio” è un concetto astratto utilizzato per legittimare una grande opera che, come “ogni piattaforma logistica pubblica, europea, nazionale”, è “un affare immobiliare” in più di nove casi su dieci:
“Non capisco che cosa intendiate voi, e con voi tutti quelli che ne fanno uso, con il termine “corridoio”. È forse un’espressione geografica? E a dire il vero mi sfugge anche che cosa si intenda per “rete”: qual è il significato di questi termini? Se ne parla ovunque, ma senza riferirsi in realtà a niente. Sono linee virtuali, vettori immaginari su cui non esiste alcun flusso significativo di merci. Nonostante questo si investono montagne di soldi. Essenzialmente vi si scatenano le lobby locali, che guardano all’investimento immediato nell’area di competenza ma che poi complessivamente per tenere in piedi i loro progetti disegnano la storia del cosiddetto corridoio.”
Il corridoio è l’ideale. La realtà è un’altra e Rastello e De Benedetti la esplorano viaggiando dall’Estremo occidente fino all’Ucraina, lo fanno portando con loro un pacchetto di caffè, ironico simbolo del trasporto merci fra Lisbona-Kiev.
“La realtà ci dice, per esempio che il Portogallo di Pedro Passos Coelho ha rinunciato al progetto nel 2012, sommerso da ben altri problemi. In Spagna l’Alta Velocità funziona molto bene, ma è stata costruita senza nessuna pianificazione internazionale: i treni partono a raggiera da Madrid, verso Siviglia, Barcellona e verso città e regioni, anche molto piccole, nelle quali si vogliono soprattutto acquietare gli slanci autonomistici. Una visione europeista non c’è, tanto che i binari non arrivano fino al confine francese e per raggiungere il Midi si devono prendere altri mezzi. Inoltre l’Alta Velocità spagnola (che ha superato la Francia ed è seconda al mondo dietro alla Cina) ha uno scartamento differente a quello europeo. Se ma ci dovesse essere un “corridoio” dunque le merci andrebbero trasportate da un treno all’altro oppure andrebbe rifatta tutta la rete.
In realtà si stima che nel mondo ci siano solo due linee ad alta velocità in attivo: la Tokyo-Osaka e la Parigi-Lione. Tutte le altre sono in perdita, secondo i dati dell’Uci, l’Union internationale des chemin de fer.
Eppure in Italia la politica, con uno schieramento bipartisan, insiste con un atteggiamento dogmatico ed europeista, paventando l’esclusione dell’Italia dai grandi corridoi.
Gli autori raccontano un quarto di secolo di proteste No Tav e poi esaminano la situazione “in uscita” scoprendo che in Slovenia e in Ungheria non vi è alcuna intenzione di partecipare alla creazione del famoso corridoio.
I treni ad alta velocità sloveni potranno toccare i 160 km/h, quelli ungheresi appena messi sui binari vanno ancora più lenti.
La favola del corridoio 5, “il corridoio unicorno, il corridoio ircocervo”, si scontra con i numeri e con un contesto storico con tre grandi nodi perfettamente spiegati dal professor Bologna:
Uno riguarda la democrazia: per quanto si cerchi di aggirare il problema, i territori non sono più disposti ad accettare imposizioni che partono da lontano. In Italia e in Europa è ora di rassegnarsi al fatto che i diritti delle comunità locali valgono quanto i diritti dello Stato. Soprattutto che ora la sovranità è sempre meno nelle mani degli Stati e sempre più in quelle di potenze oscure, destabilizzanti, sottratte a ogni controllo democratico, e comunque votate a interessi privati come le famose agenzie di rating, o i fondi sovrani: tutti soggetti che non rispondo ad alcuna legge nè patto sociale.
La seconda criticità riguarda i flussi:
Curioso l’accanimento sulla Torino-Lione, quando l’80 per cento delle merci che entrano in Italia o ne escono su rotaia transita dai valichi di Domodossola, Chiasso, Luino, Brennero, Tarvisio. Cioè attraverso la Svizzera e l’Austria. Dimostriamo di non essere capaci di agganciarci a infrastrutture già esistenti, realizzate — e in larga parte pagate — da altri, ma non ci facciamo problemi a chiedere all’Europa ulteriori capitali per realizzare la Torino-Lione.
Terzo e ultimo punto:
Infine i nodi. Qualunque cosa si voglia intendere con l’espressione “rete europea”, uno dei principali problemi da affrontare è quello dei nodi: si possono investire miliardi su autostrade e ferrovie, ma se non si interviene sui nodi non si fa che aggravare il problema. (…) Ma come si fa a pensare che più velocità significhi automaticamente maggiore efficienza?
(da “ecoblog.it”)
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Maggio 28th, 2013 Riccardo Fucile
IN TUTTI I COMUNI DEL NORD LA LEGA PERDE CONSENSI E MARONI FINISCE SOTTO ACCUSA: “PENSA SOLO A ESPELLERE E A DIVIDERE, NON FA CAMPAGNA ELETTORALE, CREA LISTE PERSONALI”
“Lezione numero uno: dove i leghisti litigano, si perde. Basta ragazzi, non ce lo possiamo più
permettere, il Nemico è fuori”.
Questo lo sfogo che il vicesegretario leghista Matteo Salvini ha affidato alla sua bacheca Facebook, come per scuotere le coscienze dei militanti del Carroccio che ancora sembrano non essersi ripresi dal pensionamento di Umberto Bossi, rimpiangendo i tempi in cui in terra padana si conquistavano comuni ad ogni piè sospinto.
La Lega 2.0 di Roberto Maroni, dopo l’exploit delle regionali in Lombardia, ha infatti ripreso la strada verso il declino, deludendo in tutti gli appuntamenti importanti.
Salvini cerca di farsene una ragione, individuando nell’astensionismo uno dei motivi dell’ennesima debacle alle amministrative: “Fra i non elettori di questi giorni ci sono molti voti passati, e forse anche futuri, della Lega: sono questi cuori che bisogna riconquistare. Dobbiamo discutere e ragionare sui perchè delle sconfitte”.
E di temi di discussione per i leghisti sembrano essercene parecchi.
Da Brescia a Treviso passando per Vicenza, Sondrio e Imperia e Lodi in tutti i grandi comuni la Lega Nord ha perso voti sia in termini assoluti che in termini percentuali.
E le cose non vanno meglio nelle realtà minori.
A Treviso, dove lo spadone è stato impugnato per l’ennesima volta dallo sceriffo Giancarlo Gentilini, la Lega si è fermata all’8,26% contro il 15,39% di cinque anni fa.
Al secondo turno l’ottantaquattrenne leghista dovrà faticare un bel po’ per recuperare il terreno perduto e riconquistare la poltronissima della sua città .
A Vicenza, dove è stato confermato al primo turno il sindaco uscente Achille Variati (Pd — Udc), la leghista Manuela Dal Lago ha portato il Carroccio al 4,59% (meno di un terzo dei consensi del 2008, quando era arrivata al 15,11%) conquistando appena 1 seggio in consiglio comunale.
A Brescia, uno degli appuntamenti più attesi di queste amministrative, dove la Lega sostiene il sindaco uscente Adriano Paroli (Pdl), non è andata oltre uno scarno 8,66%, lasciando sul terreno 7 punti percentuali e 10 mila voti.
A Lodi passa dal 16,57% al 9,79%.
A Sondrio, dove correva da sola, non è andata oltre il 7,78%, in coalizione cinque anni fa era arrivata al 9,83%.
Anche a Cinisello Balsamo, grande comune in provincia di Milano, la Lega ha dimezzato i suoi voti, passando dall’8,69 al 4,64%, portando la coalizione al ballottaggio con 20 punti di distacco dalla candidata di centrosinistra Siria Trezzi.
Nemmeno nel feudo tosiano le cose vanno meglio.
A Villafranca di Verona la Lega correva da sola (in coalizione con la Lista Tosi) ma non è riuscita a centrare l’obiettivo ballottaggio, piazzandosi al terzo posto (oggi ha il 3,04% contro il 15,34% delle precedenti elezioni).
A Bussolengo è passata dal 32,15% al 10,36%, dietro a Pdl e Lista Tosi.
La Lega perde terreno anche in tutte le altre province venete.
A Piove di Sacco (Padova) passa dal 15,12% al 10,45%; perde il comune di Vedelago (Treviso) dove governava con il 66% e oggi arriva al 15,64%; a San Donà di Piave (Venezia) crolla dal 19,23% al 5,81%.
E in Liguria è andata anche peggio.
Ad Imperia Erminio Annoni fallisce la riconquista della città , cedendo il passo al centrosinistra che si presenta al ballottaggio da favoritissimo.
Qui la Lega è crollata addirittura dal 10,11% al 2,07%.
Osservando i dato in tutto il nord la sensazione è ovunque la stessa.
A Calolziocorte, in provincia di Lecco, la Lega governava con Paolo Arrigoni e oggi non va oltre il 27,19% dei voti, cedendo il passo ad una lista civica.
Perde anche il comune di Manerbio, in provincia di Brescia, dove nel 2009 aveva vinto con Cesare Giovanni Meletti e oggi deve accontentarsi di uno scarno 10,33%.
Perde il comune di Capriate San Gervaso in provincia di Bergamo e perde anche il comune di Salsomaggiore Terme, avanguardia leghista in Emilia.
In provincia di Como, a Mozzate (uno dei comuni più indebitati d’Italia con le sue 12 società partecipate), al sindaco leghista Luca Denis Bettoni non è bastato togliere il simbolo del Carroccio dal contrassegno per essere confermato.
Perde terreno anche a Carate Brianza (in provincia di Monza), dal 17,17% all’8,41%.
E gli esempi potrebbero continuare. A parte rari casi di conferme in comuni di piccole dimensioni, la Lega non incanta più.
Tanto basta per far montare la polemica interna, dove militanti e sostenitori si lasciano andare allo sconforto e alla rabbia.
Tanti infatti i leghisti che guardano con nostalgia ai bei tempi andati, quando sotto la guida del carismatico Umberto Bossi si macinavano consensi in tutto il Nord, conquistando comuni su comuni. Maurizio Bernasconi, avvocato varesino e consigliere comunale recentemente epurato dal Carroccio non ha dubbi: “Bene, molto bene! I fenomeni che hanno voluto Pinocchio ed i suoi gatti e le sue volpi muniti di scopa a capo della lega adesso staranno festeggiando i risultati elettorali!”.
Più criptico l’ex parlamentare bossiano Marco Desiderati: “Un amico tempo fa mi disse: stai li… sulla riva del fiume e vedrai tanti cadaveri passare… quanta ragione aveva!”.
Sulle bacheche di molti delusi è stato condiviso un testo che da solo riassume il sentimento di scoramento che c’è attorno alla sonora batosta incassata dalla Lega: “Dove c’è un segretario nazionale che dà espulsioni a raffica, che non fa campagna elettorale, che crea sue liste personali, che si avvolge nel tricolore, e crea divisioni si perde!” e, ancora: “Pare che non abbiamo nemmeno bisogno di una Lega democristiana, che apre ai gay, alle moschee, ai massoni; che dimentica la Padania per Prima il Nord (Italia)”.
In tutto questo dal segretario federale Roberto Maroni non è arrivato un solo commento: ”Venerdì abbiamo il consiglio federale e parleremo anche di questo” ha risposto il governatore della Lombardia a margine della seduta del consiglio regionale a chi gli ha chiesto un commento sull’esito delle elezioni comunali.
Ad altre domande Maroni non ha voluto rispondere.
Alessandro Madron
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 28th, 2013 Riccardo Fucile
E’ LUNGA LA SERIE DEI NOMI VIP NON ELETTI NELLA CAPITALE
Da Stefano Dominella (Lista civica Marino sindaco) a Roberta Bruzzone (Mui, Movimento unione italiano), da Ilona Staller-Cicciolina (Pli) a Barbara Contini (Centro democratico) a Valentino Parlato (Repubblica romana).
Restano fuori dal consiglio comunale i candidati cosiddetti vip, tutti sonoramente bocciati dal responso delle urne.
Lo stilista Stefano Dominella, quando sono state scrutinate 1.800 sezioni su 2.600, ha raccolto solo 168 voti tra gli elettori della lista civica Cittadini X Roma a sostegno di Ignazio Marino.
STALLER E BRUZZONE
La criminologa-tv Roberta Bruzzone, nel Mui che sosteneva Gianni Alemanno, raccoglie 26 preferenze, già superata da 6 candidati della piccola lista.
Lontani i fasti del Parlamento per Ilona Staller, candidata con il Partito liberale, scelta da appena 24 elettori.
VALENTINO PARLATO
Valentino Parlato, storica firma del Manifesto, candidato con la Repubblica romana di Sandro Medici, finora raccoglie solo 131 preferenze.
Infine Barbara Contini, già governatrice di Nassiriya nel dopoguerra iracheno. Candidata con il Centro democratico di Bruno Tabacci, Contini finora ha ottenuto 106 voti.
(da “il Corriere della Sera“)
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Maggio 28th, 2013 Riccardo Fucile
IN CASO DI CONFERMA IN CASSAZIONE DELLA CONDANNA PER MEDIASET, BERLUSCONI SI VEDE IN UN RUOLO “ALLA GRILLO”: IN QUEL CASO ALLE PROSSIME ELEZIONI IL PDL PUNTEREBBE SULLA SANTANCHE’
Certo, ieri sera tardi, ad Arcore, quando i dati sono diventati definitivi e la fotografia del
territorio ha rilasciato un’immagine a dir poco sfocata dell’impresa del Pdl, il Cavaliere non si è infuriato come qualcuno prevedeva.
Sulle amministrative ha sempre avuto un approccio disincantato, ma certo sentire che l’amico di sempre, Claudio Scajola, è ad un passo dal vedersi scippare il feudo di Imperia e che in alcune roccaforti del nord come Brescia e Sondrio l’arretramento è stato vistoso, non lo hanno certo fatto gioire.
A preoccuparlo, più che altro, l’ennesima deblacle della Lega, con Treviso e Vicenza perse in modo pesante al punto da rendere il Carroccio ininfluente — di fatto — nelle grandi realtà comunali del nord.
Una questione che lo ha fatto riflettere sulla strategia futura: Maroni ha portato la Lega ai minimi storici, ora l’alleanza è diventata più un orpello che altro.
Eppoi, in ultimo, Siena. Dove proprio non se l’aspettava che Bruno Valentini e la sinistra, dopo lo scandalo Mps, avrebbero fatto bingo.
Geografie da rivedere e sondare con grande attenzione, anche se il Cavaliere l’aveva messo in conto di dover pagare un piccolo, grande tributo alle larghe intese, fino a considerare come un rischio calcolato la possibilità di qualche brutta sorpresa. Alemanno e la sconfitta a Roma, la peggiore, in fondo, di questa tornata amministrativa.
La frenata del sindaco di Roma, però, gli era stata in qualche modo annunciata da più di un collaboratore, ma i dati lo hanno comunque scioccato.
Così, quel che davvero sembra aver più colpito il Cavaliere (che ieri , come si diceva, ha seguito lo spoglio da Arcore, dove potrebbe restare tutta la settimana) è il flop del M5S, il fatto che la strategia di Grillo inizi a non pagare più.
Lui che la stava osservando con grande attenzione, traendone auspici per il suo, personale futuro.
E questo lo ha portato a ragionare apertamente con Verdini sulla strategia che aveva messo nel cassetto come piano B in caso di condanna definitiva al processo Mediaset via Cassazione: continuare ad essere leader del centrodestra da fuori del Parlamento, proprio come Grillo (anche lui un condannato incandidabile), lasciando a Daniela Santanchè la leadership carismatica del Pdl nelle aule. E nelle urne.
Già , perchè l’idea è proprio quella di passare il testimone alla “signora Sallusti” in caso di chiusura negativa della partita giudiziaria.
Ecco, appunto, la Santanchè.
“Giubilato” Angelino Alfano come delfino, messo non a caso a reggere il governo di larghe intese, per il partito e la strategia futura elettorale Berlusconi non potrebbe contare su elemento migliore della Santanchè che, non a caso, in questi ultimi giorni spopola in tv con il nuovo volto della destra dalle idee chiare e che si spende per il bene del Paese, benchè oberata da un’alleanza con il Pd difficile da digerire e su cui è già stato messo in conto di perdere terreno elettorale.
Anche a destra l’elettorato non è meno spietato che a sinistra.
Ma la strategia arcoriana è piuttosto semplice, dopo tutto.
Se Berlusconi dovesse avere la condanna definitiva, la Santanchè diventerebbe il leader politico del Pdl da spendere in Parlamento.
Non tutti, è bene dirlo, sono d’accordo con questa scelta di Berlusconi.
La parte più dialogante e centrista del partito, formata dai Lupi ma anche dalle Prestigiacomo e De Girolamo, difficilmente potrebbe digerire che un “falco puro” come la Santanchè possa dirigere l’orchestra pidiellina nelle aule in assenza del Cavaliere.
Però l’alternativa è Renato Brunetta. E, insomma, c’è di peggio.
Avanti la Santanchè, dunque, anche se la costruzione della strategia politica, di qui a tre, quattro mesi, vedrà il Cavaliere giocare sostanzialmente d’attesa.
Non solo dei processi, ma anche della tenuta complessiva del governo.
Se, infatti, incassato il via libera sulla caduta della procedura d’infrazione europea, l’esecutivo dovesse centrare alcuni obiettivi, poi sarebbe difficile azzopparlo e portare il Paese alle urne ad aprile prossimo, in contemporanea con le europee.
Ma è comunque bene giocare d’anticipo.
La sconfitta di Grillo, d’altra parte, insegna: non si contruiscono nè leader, nè parlamentari, nè tantomeno alternative politiche dal nulla e improvvisamente.
Ci vuole tempo, altrimenti l’elettorato, alla prima delusione, volta le spalle.
E, dunque, è bene che la Santanchè cominci fin da ora a costruire la propria credibilità di leader dentro il partito e nell’elettorato.
Attraverso la tv, ma non solo; ci vuole anche il territorio.
Intanto, nelle prossime settimane sarà lei a portare alta la bandiera della pressione sul governo per ottenere risultati da dare in pasto all’elettorato scontento e disaffezionato. Lo ha detto chiaramente, anche ieri, un altro falco come Fabrizio Cicchitto: “Quello che ci interessa e ci fa giudicare la validità dell’esecutivo è la capacità di fare le riforme, economiche e politiche. A questo stiamo guardando”.
Dunque, se non è prevedibile un allentamento del sostegno al governissimo Letta, è certo che il Pdl incalzerà chiedendo “misure forti, decisive, convincenti”, per l’immediato, perchè è alla “realizzazione dei fatti” che è appesa la vita di questo esecutivo bizzarro e il futuro politico del partito.
Ma il volto che chiederà con forza queste misure non sarà quello del Cavaliere. Sempre più spesso ci sarà Daniela Santanchè.
Sara Nicoli
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 28th, 2013 Riccardo Fucile
RISSA IN SENATO SUL “DIVIETO” DI PARLARE DI STRATEGIA POLITICA… BOOMERANG COMUNICAZIONE: D’ORA IN POI PARLAMENTARI IN TV
Alle dieci di sera, messo sul tavolo il magro bottino di queste elezioni amministrative, il deputato Cinque Stelle Alessandro Di Battista è già in televisione.
A Piazzapulita, a fianco dello sconfitto candidato sindaco di Roma, interloquisce con Corrado Formigli come un Mastrangeli qualunque.
Se si cerca il vero risultato delle comunali di fine maggio, eccolo: di corsa sul piccolo schermo, che fin qui abbiamo sbagliato tutto.
Quando lo scrutinio è praticamente finito, il Movimento di Beppe Grillo fa il bilancio: nemmeno un sindaco grillino, un solo ballottaggio a Pomezia (paesotto operaio alle porte di Roma), circa 400 consiglieri eletti: in media, meno di uno per Comune.
E la percentuale massima è quella di Ancona, 15 per cento.
Dieci punti in meno delle politiche di tre mesi fa.
Non si mischiano le mele con le pere, si ostinano a ripetere i Cinque Stelle e sul piano dei numeri hanno ragione.
Ma per capire che, dalle parti dello staff, i risultati elettorali non siano quelli attesi, basta guardare la faccia di Matteo Ponzano, volto unico de La Cosa.
Quattro sere fa arringava la folla dal palco di piazza del Popolo, ora cerca di consolare gli ascoltatori che chattano delusi: “Tenete botta, state tranquilli. Il cambiamento….lo sapevamo…queste battaglie…contro un sistema così corrotto ci vuole parecchio, parecchio tempo…”.
Un paio di secondi, poi il collegamento si interrompe.
E mentre tutte le tv parlano di proiezioni e di voti, su La Cosa va in onda “Sorpasso d’asino”. Un documentario sulla decrescita felice, “a passo lento”.
È lì, che i toni degli ascoltatori si fanno più gravi. Quando capiscono che nè dal blog, nè dalla sua televisione ufficiale qualcuno abbia voglia di prendersi la briga, di spiegare cos’è successo. Restano in silenzio fino alle 22.35 quando Paolo Becchi liquiderà i titoli sul crollo dei 5 Stelle: “Banalità ”.
Eppure, voti alla mano, se il paragone con le politiche è sbagliato, quello con le regionali, non dà maggior conforto.
Prendiamo il Comune di Brescia, la città di Vito Crimi.
Laura Gamba, candidata sindaco, arriva a 5 mila voti, poco più del 6 per cento.
Solo tre mesi fa, Silvana Carcano, candidata al Pirellone, negli stessi seggi ne prendeva 12 mila, il doppio.
Non va meglio a Roma, a casa di Roberta Lombardi, dove Marcello De Vito si ferma intorno al 13 per cento, lontanissimo dal ballottaggio che sembrava a portata di mano.
O ancora prendiamo Massa, dove vive Laura Bottici, questore del Senato: ha perso il 20 per cento in 90 giorni.
Per non parlare di Siena: nella città del Monte dei Paschi, per cui i Cinque Stelle hanno chiesto una commissione di inchiesta parlamentare, il Movimento si ferma all’8 per cento.
Non va meglio a Nord Est, dove Casaleggio era passato a caccia di imprenditori: 7 per cento scarso a Vicenza e Treviso.
Si consolano con Ancona: 15 per cento dei voti, il miglior risultato nazionale.
“Andrea Quattrini ha lavorato bene come consigliere comunale e adesso ha riscosso — spiega il deputato marchigiano Andrea Cecconi — Noi siamo un partito ideologico, alle comunali valgono ancora le persone”.
Cecconi non è stupito dei risultati. Dice che quelli strani erano quelli di febbraio: “La fiducia che i cittadini ci avevano dato era eccessiva, ora siamo in linea con le nostre possibilità e facoltà ”.
È che stavolta, molti di quelli che avevano scelto i Cinque Stelle forse sono rimasti a casa: “Probabilmente quell’italiano su due che non è andato a votare – dice il deputato Massimo Artini – alle politiche aveva scelto noi”.
Da Cepagatti, provincia di Pescara, Daniele Del Grosso, invita a non drammatizzare: “Qui anche quelli che hanno votato noi alle politiche preferiscono affidarsi al candidato sindaco farmacista, al parente, a quello che ti può fare un favore…”.
Al Senato invece l’hanno presa in maniera meno sportiva.
Alcuni sono furibondi con Crimi che al Corriere ha detto che gli eletti non devono parlare di alleanze e strategie, altri se la prende con i colleghi sempre pronti a gonfiare il dissenso.
Ieri, durante lo spoglio, erano riuniti in una accesissima riunione.
Una senatrice urla contro il collega Lorenzo Battista: “Stai sempre a parlare di strategie!”.
Lui esce dalla stanza beffardo: “Ma De Vito non era quello che a Roma doveva andare al ballottaggio?
Paola Zanca
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 28th, 2013 Riccardo Fucile
E’ FINITO IL FEELING TRA LA LEGA DI MARONI E GLI ELETTORI DEL NORD ANCHE IN QUELLE CHE ERANO UN TEMPO LE ROCCAFORTI PADANE
A Roma si direbbe: consoliamoci con l’aglietto. 
Così il segretario nazionale della Lega Nord Piemonte e presidente della Regione, Roberto Cota, afferma con soddisfazione: «Sono molto soddisfatto per l’elezione a sindaco di due militanti della Lega in provincia di Vercelli. Il buongoverno del territorio continua a premiare il Movimento».
Si festeggia l’elezione del sindaco di di San Germano Vercellese e di quello di Caresana.
Se però dal successo nel vercellese lo sguardo si sposta sul resto del Nord Italia si può dire che il primo turno delle amministrative non sia andato poi così bene.
TREVISO
Nella roccaforte di Treviso non riesce infatti l’ennesimo miracolo al «vecchio leone» Giancarlo Gentilini, 84 anni, che andrà al ballottaggio ma partendo da un distacco che sfiora i 9 punti percentuali dal favorito Giovanni Manildo (Pd).
Manildo conquista il 42,52% dei voti contro il 34,95% di Gentilini. Che spera di poter contare sull’appoggio del terzo incomodo, il «re» del caffè Massimo Zanetti, area centrodestra, il quale ha inviato i suoi elettorali a schierarsi al secondo turno con l’ex sindaco «sceriffo» della Lega.
SONDRIO
A Sondrio poi dove la Lega Nord si presentava da solo si è fermata intorno all’8% e. il sindaco di marca Pd.è uscito al primo turno.
BRESCIA
Se da Sondrio ci si sposta a Brescia poi si assiste ad un testa a testa tra Paroli (centrodestra che gode anche dell’appoggio dei leghisti) e Emilio del Bono (centrosinistra).
Stessa sfida che nel 2008: peccato che allora Paroli vinse al primo turno con il 51,3% dei voti; Del Bono, invece, si fermò al 35,7%.
Anche in questo caso nessun «effetto Lega».
VICENZA
Anche Vicenza pare amara per la Lega Nord, che non riesce nell’impresa di strappare la città del Palladio al Pd. Manuela Dal Lago, che ha vissuto l’apice della propria influenza nel Carroccio soprattutto durante l’era Bossi, si ferma al 27,40%, e con il 53,43% Variati (Pd) passa al primo turno.
(da “il Corriere della Sera“)
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Maggio 28th, 2013 Riccardo Fucile
“ABBIAMO SBAGLIATO A DIRE SEMPRE NO, CI HA LASCIATO CHI VOLEVA CAMBIARE”
Tira fuori quel che pensa, Adriano Zaccagnini.
Il risultato delle elezioni amministrative?
«Una sconfitta».
La ragione?
«Abbiamo deluso chi ci ha votato perchè cambiassimo le cose».
L’errore più grande?
«Non aver fatto i nomi di un governo a 5 stelle».
Quanto a Beppe Grillo, secondo il deputato: «Si sta impegnando tantissimo, ma vorrei dirgli che ogni tanto bisogna guardare al proprio interno. E migliorare».
Cosa pensa del risultato a Roma?
«Mi sembra sia andata meglio che altrove, ed è andata male. A pranzo ci dicevamo che sotto il 18 per cento sarebbe stata una sconfitta. Lo è. A questo punto bisognerà fare una grande analisi politica interna, una seria autocritica, e chiederci come mai sia avvenuto ».
Secondo lei?
«Ci hanno chiesto di cambiare le cose, volevano da noi un governo di cambiamento. Ci abbiamo provato e non ci siamo riusciti. Spesso le persone hanno una visione superficiale dei processi politici, magari non hanno capito quanto abbiamo tentato, ma non possiamo ignorare che a loro arriva questo: l’incapacità di essere propositivi, di andare al di là della distruzione».
Cosa avreste dovuto fare?
«I nomi di un governo a 5 stelle. Al momento giusto, quando aveva un senso. È stato un passaggio fondamentale che abbiamo perso per restare legati al no, no, no. E invece, qui dentro, non ha senso ancorarsialla protesta. Bisognava proporre ».
Paradossalmente, vi penalizza il governo delle larghe intese di cui non fate parte?
«Non possiamo esimerci dal prenderci la responsabilità di quello che accade nel Paese, non possiamo fare come se non ci fossimo. Noi parlamentari a 5 stelle dobbiamo parlare di strategie politiche, al contrario di quel che dice Vito Crimi. Io sono un agricoltore -come non ha mancato di ricordare Roberta Lombardi — ma sono anche laureato in Scienze politiche, e non siamo in tanti qui dentro».
Il capogruppo al Senato è stato chiaro: i parlamentari devono pensare ai singoli provvedimenti, non alle strategie.
«Al momento dovrebbe essere l’assemblea congiunta dei parlamentari a fare le strategie. E se volessimo tornare all’origine del Movimento, dovrebbe farlo la Rete, attraverso quel portale di democrazia diretta che tarda ad arrivare ».
Doveva essere pronto da mesi, questo complica le cose?
«Fa sì che la strategia politica sia in mano al blog, mentre a ispirarla dovrebbero essere i cittadini, nè i capigruppo, nè un sito, nè un’azienda. Dire — come ha fatto Crimi — che le strategie sono quelle dello Tsunami Tour e del Tutti a casa tourè francamente assurdo».
Sta dicendo che a dirigere adesso sono Grillo e Casaleggio?
«Dico che è ora che comincino a farlo i cittadini».
Ma lei di Beppe Grillo cosa pensa?
«Bisogna dargli atto di un impegno incessante, è una persona in cui ho fiducia, ma vorrei dirgli che in alcuni momenti c’è bisogno di guardare al proprio interno per migliorare».
E Casaleggio?
«Non lo conosco».
Siete ancora in tempo a cambiare rotta?
«Siamo in ritardo su alcune decisioni, dobbiamo lavorare molto al nostro interno. Abbiamo portato in questo posto una freschezza assolutamente positiva, ma se ci crediamo perfetti non andremo da nessuna parte. Se risolviamo il problema della democrazia interna e quello della democrazia diretta a 5 stelle, il Movimento riprenderà il galoppo alle urne».
Succederà ?
«Non lo so. Me lo auguro».
Non ha paura di essere cacciato, vista la sua franchezza? (Sorride per qualche istante)
«Ogni volta che rilascio delle dichiarazioni lo faccio pensando ai padri costituenti. Grazie a loro posso esprimere il mio pensiero in libertà , e continuerò a farlo».
Annalisa Cuzzocrea
(da “La Repubblica”)
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Maggio 28th, 2013 Riccardo Fucile
GRILLO PUNTAVA AI DELUSI DEL CENTROSINISTRA, HA PERSO E LA BASE NON GLIELO PERDONA
A chi gli chiedeva quanto fosse importante il test delle amministrative per il Movimento 5
stelle, giovedì scorso — entrando nel suo albergo di Siena — Beppe Grillo rispondeva: «Siamo candidati in 200 comuni. Le politiche sono un’altra cosa, ma certo questo voto conta».
Non è per tenersi in forma che si è prodotto in un tour di due settimane, con due tappe al giorno, sgolandosi e sudando davanti a piazze poco reattive per ripetere che bisogna mandarli tutti a casa, che sarà come in Highlander, ne resterà solo uno.
Sperava nel flop del Pd, puntava ai delusi del centrosinistra, ha perso.
E la base non glielo perdona.
I commenti sul blog piovono duri come pietre: «Sono allibito, leggo dei commenti stile “va bene così” e simili. Proprio vero! Il movimento degli struzzi!», scrive Giovanni.
Poi attacca «l’inconcludente inazione di 163 parlamentari».
Erica chiede: «Ma un po’ di sana autocritica non farebbe bene al Movimento? Possibile che si sia capaci solo di dar la colpa agli altri del risultato deludente di oggi?».
E Lino: «Ma quando perdiamo le elezioni cosa succede? Si dimette Beppe? Casaleggio si taglia i capelli? Il blog si spegne due minuti in segno di lutto? È una domanda seria: cosa succede?». Rincara la dose Rosolino da Fondi: «Caro Beppe e popolo del M5S, come ho detto in altri commenti il treno arriva una sola volta e l’abbiamo perso e loro si sono compattati e continuano a fare i loro porci comodi. Sono un po’ deluso perchè potevamo appoggiare il Pd e ricattarlo come fa il Pdl e nel contempo fare le riforme che questo Paese aspetta da tanti anni».
C’è chi manda un “vaffa” a Grillo e ai parlamentari che si sono interessati di stipendi e diaria. Chi chiede al capo di andare in tv, a spiegare come stanno davvero le cose, per non farsi affossare dalla «disinformazione».
In Parlamento, intanto, la maggior parte dei dissidenti sceglie il silenzio.
Al Senato il “consiglio” di non commentare i risultati delle ammini-strative arriva dall’ufficio di comunicazione e viene rilanciato da Vito Crimi.
Il disagio, però, resta sotto traccia.
I dieci della cena di martedì scorso (i senatori erano tre e non due come emerso all’inizio) non vogliono esporsi.
Sanno che la notizia del loro incontro non è piaciuta al “cerchio magico”, che i capigruppo li stanno cercando per metterli nel mirino,che il minimo passo falso vorrebbe dire ritrovarsi fuori dal gruppo prima del tempo.
E invece, stanno ancora cercando di capire cosa fare: se è tempo di rifugiarsi nel misto, se c’è spazio per un gruppo autonomo, se le loro strade possono convergere in un nuovo progetto.
Si sono sentiti nel week end, alcuni impauriti («Sono usciti troppi particolari, dobbiamo essere più riservati»), altri fatalisti («Forse è meglio che si sappia. Devono capire che non va tutto bene»).
In realtà qualcuno lo ha già capito.
Il risultato elettorale apre una breccia anche tra i più ortodossi, che cominciano ad ammettere gli errori fatti.
Non è solo colpa della “stampa cattiva”, se vengono fuori i messaggi sbagliati, se si parla solo di diaria, ma anche dell’incapacità di tirare fuori temi forti, di dettare l’agenda.
Il toscano Massimo Artini, che qualche sera fa era a cena con Grillo, ammette: «Certo dispiace perdere città come Roma, o Siena, ma questo risultato potrebbe aiutarci ad aggiustare il tiro. Chi ha pensato di non porsi con umiltà davanti a certe problematiche cambierà atteggiamento. In queste ore nelle chat è venuto fuori questo: dobbiamo essere meno saccenti, l’umiltà deve essere alla base. Gli argomenti li abbiamo, e forti. Qualcuno di noi dovrà andare in tv a tirarli fuori».
Un nervoso Alessandro Di Battista solca il Transatlantico e dice che vuole vedere bene i dati, perchè «tutti i risultati valgono».
Marta Grande ammette: «Se fosse confermato il dimezzamento, bisognerà che ci interroghiamo sul perchè».
I siciliani Francesco D’Uva e Alessio Villarosa — di solito aperti e disponibili con la stampa — entrando alla buvette rispondono con un secco: «Ce l’avete fatta».
E spiegano: «I media ci hanno massacrato. A sentir voi sembra che stiamo qui tutto il giorno a parlare di diaria, e invece ci ammazziamo di lavoro».
«Nessuno ha spiegato che l’accordo con il centrosinistra non è stato fatto perchè loro hanno rifiutato un candidato come Rodotà », dice D’Uva, che però poi ammette: «Nella comunicazione abbiamo fatto degli errori».
«Preparerò un report su tutte le bugie della stampa », dice ancora Villarosa.
Dopo Riccardo Nuti, che a giugno succede a Roberta Lombardi, il ruolo di capogruppo spetterà a lui.
Annalisa Cuzzocrea
(da “La Repubblica”)
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Maggio 28th, 2013 Riccardo Fucile
EPIFANI VINCITORE: “SI E’ CAPITO CHE NON E’ INCIUCIO”
“Il governo delle larghe intese non fa male alla politica». Enrico Letta tradisce la sua soddisfazione per l’esito delle amministrative.
Nessuna dichiarazione pubblica «per non rompere il profilo istituzionale, totalmente concentrato sui problemi che mi sembra giusto tenere in questa fase».
Ma il premier è su di giri e a Palazzo Chigi ricordano bene le previsioni fosche della vigilia.
«Il cosiddetto inciucio doveva portare Grillo all’80 per cento, dicevano alcuni osservatori. Beh, si sbagliavano. Ai ballottaggi vanno solo candidati del centrosinistra e del centrodestra. Perchè non c’è un inciucio, ma un governo di servizio. Un governo che vuole recuperare la credibilità delle istituzioni agli occhi dei cittadini. Come è successo con il finanziamento pubblico ai partiti».
Il ruolo di Letta e del Pd, è l’interpretazione che a Largo del Nazareno danno ai dati delle elezioni, è stato capito anche dagli elettori democratici.
E il patto con Angelino Alfano adesso fa meno paura, anche se il Pdl retrocede e forse alzerà il tiro sull’esecutivo.
Ma senza metterlo in crisi perchè i pilastri del bipolarismo in fondo registrano una tenuta.
«Non c’è da festeggiare. Non sottovaluto l’astensionismo – è il ragionamento del presidente del Consiglio –. Dobbiamo considerarlo un voto di attesa, non un voto positivo. Gli italiani ci mettono alla prova, tocca a noi dare risposte».
Mantenendo gli impegni, le scadenze delle riforme, continuando a togliere acqua alla protesta di Beppe Grillo.
Senza gli argomenti dell’antipolitica, i cittadini finiscono per punire un Movimento che finora ha avanzato pochissime proposte.
Il Pd tira un sospiro di sollievo, temeva davvero lo Tsunami annunciato dal comico.
Aveva paura del contraccolpo della Grande coalizione, dopo la semisconfitta elettorale, il trauma delle elezioni per il Quirinale, le dimissioni di un segretario, l’elezione di un nuovo leader e i problemi in vista di un congresso. Invece regge, conquista addirittura qualche posizione.
E adesso non nasconde la sua sete di vendetta per le parole e i comportamenti di Grillo.
Il voto amministrativo diventa un piccolo toccasana anche per Pier Luigi Bersani, il candidato premier che provò a incardinare «il governo del cambiamento » con i 5stelle e trovò un muro di No.
Oggi l’ex segretario del Pd torna a battere un colpo con un’intervista a Ballarò.
La scelta di tempo non è casuale. «Il risultato delle città è importante e lo sento in parte anche un po’ mio», dice Bersani.
«Per quello che vale», aggiunge volendo evitare, come al solito, sovrapposizioni, tanto più che la indicazione di Letta e la decisione su Epifani sono suoi frutti. I lunghi giorni del suo tentativo hanno aperto delle contraddizioni nel granitico moloch del comico genovese.
Lui è finito sotto le macerie di quell’impresa impossibile ma sono venuti al pettine alcuni nodi e il flop grillino lo dimostra.
Diventa più facile anche il lavoro di Guglielmo Epifani.
È il segretario che deve reggere insieme la crisi del Pd e le larghe intese. Trasformare cioè l’antiberlusconismo congenito del suo partito in una proposta per il Paese.
«La gente capisce che questo governo sta rendendo un servizio al Paese. Non è un inciucio, nè una proposta politica per il futuro. Il quadro resta complicato, però il Pd è ancora un punto di riferimento ».
Da qui si può ripartire. C’è, nel Partito democratico, una grande voglia di rivincita su Grillo. Perchè proprio nel bacino del Movimento finì quel 5 per cento di voti non pronosticato a febbraio che portò alla disfatta Largo del Nazareno.
Perchè sono stati i rifiuti di Grillo a spingere i democratici fra le braccia di Berlusconi.
Perchè il nemico del Movimento, da Siena al governo di Roma, è stato ed è soprattutto il Pd. «L’Italia è più complessa della rete», si lascia sfuggire il ministro dei Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini. Ma la sua non è l’analisi di una vittoria piena, i toni sono tutt’altro che trionfalistici. «Il governo Letta si è caricato sulle spalle una situazione di emergenza. La formula è quella del governo di servizio, non un’altra – spiega Franceschini –. Gli italiani ci aspettano alla prova dei fatti. Se arriveranno si capirà ancora meglio la funzione delle larghe intese».
Ora il Partito democratico può organizzarsi meglio per il traguardo del congresso.
Attendere i risultati del ballottaggio: se confermeranno il primo turno, Epifani avrà più margine di manovra per un’azione libera e pienamente operativa.
Matteo Renzi non resterà alla finestra, ma i buoni risultati del Pd sul territorio sono convincenti anche per lui. Le amministrazioni locali e i sindaci rappresentano la spina dorsale del Pd che ha in mente il rottamatore.
Certo, così, i democratici non dovranno affrontare una rivoluzione.
E questa è una buona notizia soprattutto per la tenuta del governo.
Soprattutto per Letta.
Goffredo De Marchis
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