Ottobre 1st, 2013 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DOMANI VA ALLE CAMERE: NON VUOLE I VOTI DEL CAVALIERE: SE NON SPACCA IL PDL SI DIMETTE…. NEI SONDAGGI HA GIà€ RAGGIUNTO IL SINDACO
“L’ho tirata troppo in lungo. Forse, nella connessione tra la vicenda della sentenza e del governo,
potevo un chiarimento farlo prima”. Così Enrico Letta rispondeva domenica sera a Fabio Fazio che gli chiedeva quali errori si imputasse.
E a partire da questa linea e da questa consapevolezza, il dado è tratto: domani va in Senato (alle 9 e 30) e poi alla Camera (alle 16) e si gioca il tutto per tutto.
O dentro, e dentro davvero. O fuori, e fuori del tutto.
Con un corollario, però, non secondario: il voto di Berlusconi e dei berlusconiani non lo vuole. Continuare ad essere vittima di un ricatto quotidiano rischia di bruciarlo adesso e in futuro. Anche perchè non c’è solo la partita del governo, ma anche quella del partito, che potrebbe decidere di giocare in prima persona contro Matteo Renzi.
E dunque — ripetono gli uomini a lui più vicini — domani alle Camere farà un discorso che Berlusconi non potrà votare.
A cominciare dall’inserimento nel testo della necessità della separazione tra le vicende personali del Caimano e il governo, con la sottolineatura che la sentenza che lo riguarda si deve applicare. Punto e basta.
Ieri è stata una giornata vissuta sul filo a Palazzo Chigi.
In mattinata, sembrava davvero che il Pdl potesse spaccarsi e che il premier potesse portare a casa i voti dei moderati, e governare almeno fino al 2015.
Uno scenario non privo di incognite, con una parte del Pd (a cominciare dai renziani) non proprio entusiasta.
A un certo punto, è cominciato a serpeggiare l’incubo, quello vero: che Berlusconi per l’ennesima volta, ricomponesse i suoi, votasse la fiducia al governo in carica (tecnicamente Letta non ha accettato le dimissioni dei ministri) e un momento dopo (venerdì, col voto in giunta) ricominciasse col solito gioco dei ricatti.
In serata, gli umori erano sollevati.
Berlusconi scopriva il gioco, chiedendo di votare Iva e Imu e poi andare alle urne. Rispondeva netto Franceschini a nome dell’esecutivo: “Proposta irricevibile”.
Anche se l’operazione “spaccare il Pdl” sembrava molto più difficile. “I voti non ce li abbiamo”, ammettevano ieri molti Democratici.
Insomma, il premier domani si gioca tutto. Franceschini ha ribadito che il governo vuole una fiducia. Ma in realtà non è deciso se la fiducia verrà posta o meno, dicono da Palazzo Chigi. Dipende da come andrà la giornata di oggi, dipende da come andrà il dibattito domani. L’esecutivo potrebbe chiederla o chiedere un voto su una mozione. O se si dovesse rendere conto di non avere i voti, Letta salirebbe direttamente al Colle a dimettersi.
Fedele alla linea “non sarò un re Travicello” farà un discorso programmatico: la legge di stabilità , il semestre europeo, la garanzia per la legge elettorale. Attento a inserire contenuti propri dell’agenda democratica.
Ieri, Massimo D’Alema è entrato in campo: “Se si va al voto tra fine febbraio e primi di marzo temo che a dicembre si dovrebbero fare le primarie per il premier”. E dunque, niente congresso. D’Alema (e con lui molti ) non vuole perdere il partito.
Renzi, dal canto suo, non vuole perdere la possibilità del governo e dunque l’idea che il premier resti in carica troppo a lungo non gli piace (“Ascolteremo cosa dice in Aula e valuteremo”, ha detto ieri). Un governo di scopo con voto dopo Natale potrebbe tenere insieme varie esigenze. E Letta deve tenere conto del suo futuro politico.
Sempre ieri al Tg3 Antonio Noto di Ipr Marketing ha detto che ormai nei sondaggi il premier e il sindaco di Firenze sono praticamente pari.
Nelle scorse settimane Renzi era sempre avanti. Le posizioni dure e pure di Letta sulla evidentemente pagano.
Se il capo del governo vuole sfidare l’altro alle primarie, e al limite anche candidarsi alla segreteria del Pd (l’altra sera a Che tempo che fa a domanda specifica non ha risposto nè sì, nè no) deve continuare su questa linea.
Che non contempla governicchi di minoranza, guida di governi di scopo e ulteriori sudditanze a Berlusconi. Una posizione che ha spiegato bene anche a Giorgio Napolitano: i due si sentono più volte al giorno e concordano tutte le mosse.
Ma la necessità del Colle di salvare le larghe intese a tutti i costi si scontra con l’esigenza di Letta di restare in gioco come leader non solo del presente, ma anche del futuro.
Wanda Marra
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 1st, 2013 Riccardo Fucile
“SI RITIRINO LE DIMISSIONI DEI MINISTRI E SI VOTI LA FIDUCIA”…. “DECIDERO’ COSA FARE AL MOMENTO”
Onorevole Cicchitto, ha dissentito apertamente da Berlusconi. E l’ha pregato di non fare cadere il governo.
«Condivido quello che Berlusconi ha detto sull’uso politico della giustizia, perchè l’attacco giudiziario ha reso il bipolarismo selvaggio. È un errore far cadere il governo sia per quello che riguarda Berlusconi, sia per il Pdl che per l’Italia».
Un errore ancora evitabile?
«Un errore che io auspico venga superato. L’esecutivo, pur con certi limiti, ha fatto alcune cose positive. E poi c’è il quadro internazionale ed europeo e tutti le forze sociali e le categorie più legate al centrodestra che ci chiedono che ci sia un esecutivo reale e fondato su una maggioranza».
Immaginiamo invece che il Cavaliere perseveri nell’errore.
«Sarebbe un percorso totalmente negativo. Per Berlusconi e per il centrodestra. E sa perchè?».
Dica
«Perchè è un sogno di una notte di mezza estate pensare che si voti a novembre con questa legge elettorale. Questa legge, tra l’altro, a dicembre sarà messa in discussione in due o tre punti dalla Consulta. Si tratta insomma di una strada impraticabile. Rischiamo di passare da un governo Letta- Alfano, che garantiva — pur con dei limiti — entrambe le parti, a un esecutivo di scopo. Non si sa chi lo presiederebbe e sarà comunque ostile al Pdl. Senza contare che farebbe una legge elettorale su cui il Pdl potrebbe fare pochissimo: saremmo emarginati».
Insomma, le urne a novembre sono impossibili.
«Facendo cadere oggi il governo Letta facciamo anche un favore al Pd, che era diviso sulla necessità di tenere in piedi l’esecutivo. E, probabilmente, facciamo un favore anche a Renzi».
Alla riunione dei gruppi ha parlato solo Berlusconi…
«Intanto mi lasci dire che è positivo che ci sia stato un qualche ripensamento rispetto a posizioni più dure, come la scelta di far rientrare le dimissioni dei parlamentari. Il problema, ora, è trovare un percorso politico per realizzare i punti programmatici indicati. La legge di stabilità prevede tempi non minimi e un governo nella pienezza dei suoi poteri. Le indicazioni positive di Berlusconi richiedono il coraggio di una scelta di responsabi-lità : si ritirino le dimissioni dei ministrio si voti la fiducia».
Nessun altro ha potuto parlare. Si è cercato di evitare che la situazione degenerasse in una spaccatura?
«Possibile. Ma non ne faccio una tragedia, il problema è che non è stato definito il percorso politico. Non possiamo decidere di non votare la fiducia — evidentemente sulla base di un discorso di Letta coerente con quello che è stato fatto in questi cinque mesi e aperto nei confronti del Pdl — lasciare fuori i ministri e pensare che un governo senza maggioranza faccia ciò che ci interessa in sette giorni, dall’Iva alla legge di stabilità ».
Lei voterà comunque la fiducia?
«Io sto proponendo al Pdl nel suo complesso di seguire questo percorso. Quello che farò, lo vedremo. Non assumo con quel che dico atteggiamenti scissionistici».
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 1st, 2013 Riccardo Fucile
I MINISTRI: FIDUCIA AL GOVERNO… IL CAVALIERE: E’ FINITO, MA POSSO RICREDERMI
Silvio Berlusconi all’inseguimento dei ministri. Teme la scissione, che è dietro l’angolo. 
Questa volta, per la prima volta, rischia di ritrovarsi in minoranza nel suo partito. Detta la linea, prova a imporre la rottura definitiva col governo Letta parlando davanti ai quasi duecento tra deputati e senatori. Ma non esclude ripensamenti. Anche sulla fiducia al governo Letta.
Quella del Cavaliere sembra una rotta di avvicinamento. Ma prima tenta di impedire a chiunque di intervenire, di esprimere dissenso.
Il dissenso, però, matura comunque. Serpeggia, si fa rumoroso.
Cicchitto chiede di intervenire e non gli viene concesso, va via sbattendo la porta.
Ma lo scontro più fragoroso è con Angelino Alfano.
In serata lo raggiunge a Palazzo Grazioli. Gli comunica che gli ormai ex ministri restano contrari alla crisi.
Hanno rassegnato le dimissioni «per spirito di servizio» però domani non garantiscono il voto di sfiducia a Letta. Anzi
Con loro, decine di deputati e senatori, è la stima che fanno gli stessi Alfano, Lupi, Quagliariello, Lorenzin, De Girolamo, che fanno il punto tra loro subito dopo il termine dell’assemblea.
È sera su Roma. Silvio Berlusconi esce scuro in volto dalla Sala della Regina, dove va in scena il suo ultimo tentativo di tenere unito il partito. Si chiude una giornata nera, d’altronde, segnata anche dai titoli Mediaset crollati del 4 per cento, dalla Borsa terremotata dall’incubo crisi, le cancellerie europee partite di nuovo all’attacco del leader del centrodestra italiano.
Tutto era iniziato sotto i peggiori auspici.
In mattinata, dopo aver rassegnato a Palazzo Chigi dimissioni irrevocabili, i cinque ministri siglano una nota violentissima contro il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, «reo» di aver tacciato di tradimento i dissidenti di questi giorni sulla crisi.
Si fa riferimento al «metodo Boffo», a un sistema di minacce e avvertimenti di cui Alfano e gli altri ammettono l’esistenza.
«Se pensa di intimidire noi e il libero confronto dentro il nostro movimento politico, si sbaglia di grosso – scrivono – il metodo Boffo non funzionerà con noi».
Col direttore che replica: «Neanche io ho paura». È solo il detonatore.
Berlusconi arriva a Roma in tarda mattinata, si chiude a Palazzo Grazioli e convoca proprio i cinque ex ministri.
Più che un pranzo, è una resa dei conti dai toni assai aspri. Quagliariello è il più schietto: «Siamo in totale disaccordo sulle dimissioni imposte. Riteniamo che questo possa tradursi in un danno per il Paese, per il partito, ma anche per te. Quel che ti suggeriamo è di far ritirare le dimissioni dei parlamentari e prendere tempo sul governo».
Alfano scandisce quel che secondo loro dovrebbe essere il timing: «Ascoltiamo cosa dirà Letta in aula su giustizia, economia, riforme e amnistia. Poi valuta che fare». Berlusconi insiste: «Per me bisogna andare alle elezioni, chi sta sbagliando siete voi». Alza la voce ricordando le dichiarazioni della domenica con cui hanno sparato a zero contro gli «estremisti» interni e l’apertura della crisi: «Scusate, ma non avete rassegnato voi le dimissioni nelle mie mani, nei giorni scorsi, di cosa vi lamentate adesso? Non siete stati voi a dirmi che Letta stava aumentando le tasse? Che volete adesso?».
Nello stesso tempo li ammansisce sulla storia degli estremismi dei falchi.
«Lo so, Daniela Santanchè esaspera i toni, se diventerà un problema la emargineremo, ma non vi permetto di pensare che le mie decisioni siano influenzate da lei».
I ministri a quel punto gli propongono di rinviare almeno l’assemblea dei parlamentari del pomeriggio, convocarla quando il quadro sarà più chiaro. Nulla da fare.
Il Cavaliere chiude con loro, incontra Verdini, Capezzone e Santanchè e conferma la convocazione dei gruppi.
Sembra passare la linea dura.
I cinque ministri arrivano in Sala della Regina insieme, stesso ascensore fino al secondo piano, poi marciano insieme, effetto scenico che sa di messaggio al partito. Lupi e Alfano si fermano nel corridoio e si confidano all’orecchio, poi entrano. Berlusconi arriva poco dopo, accompagnato dalla sola Maria Rosaria Rossi.
Alfano e i capigruppo Schifani e Brunetta siedono al suo fianco al tavolo.
«Abbiamo concordato la linea, parlerò soltanto io» dice il capo forzista prima di cominciare in un sermone lungo oltre mezzora sulla giustizia, che lascia silenziosi e sorpresi i presenti.
Ancora per dire che una ricerca Euromedia avrebbe evidenziato come gli italiani «non sappiano davvero quanto potere abbia Magistratura democratica: voi dovrete essere miei avvocati, spiegarlo ai cittadini ».
Poi il governo. «È un’esperienza finita: si possono approvare in una settimana i decreti su Iva, Imu, la legge di stabilità a patto che non aumenti la pressione fiscale, e poi andare a nuove elezioni».
E per rafforzare il concetto, sorprende i presenti sostenendo che «l’attuale legge elettorale è la migliore per garantire stabilità ».
Dice che i sondaggi li danno in vantaggio non solo alla Camera, ma anche al Senato. Ma di applausi, a parte quello seguito alla storia della persecuzione giudiziaria e l’annuncio del ritiro «responsabile» delle dimissioni dei parlamentari, non se ne sentiranno.
Silenzio di tomba nella grande sala quando apre il capitolo ministri.
«Con loro è tutto chiarito, ma dovevano lavare i panni sporchi in famiglia, hanno ragione a temere una perdita di consenso, ma ormai è tutto superato ».
Capisce che il clima tuttavia è cambiato. «Noi possiamo anche cambiare idea, ma discutiamone tra noi».
È l’unico spiraglio che concede alle colombe che diventano maggioranza inattesa
Berlusconi va via. Ma la storia non si chiude lì.
«Mi sembra evidente che il presidente abbia annunciato il voto di sfiducia» tagliano corto in Transatlantico, entusiasti, tutti i falchi.
Da Capezzone a Minzolini.
In realtà la partita si è appena riaperta. «Sfiducia? Mai pronunciata dal capo» risponde serafico un ministro.
I cinque si rivedono subito dopo l’assemblea e studiano il rilancio. Coordinano le truppe ormai in rotta. Tutto il partito è sull’orlo dello smottamento, soprattutto al Senato.
Le dimissioni dei ministri sono state rassegnate. Sono irrevocabili.
Ma il premier Letta potrebbe respingerle e a quel punto loro tornerebbero in gioco.
Quel che è certo è che il capodelegazione Alfano torna dal Cavaliere a Grazioli, è sera inoltrata, e illustra il quadro.
Drammatico, per il padrone di casa. Loro, i cinque ex ministri restano della loro opinione: «No alla crisi, per il bene del partito, ci darebbero tutti addosso, ci accuserebbero di aver causato il tracollo economico».
Raccontano che l’ex vicepremier abbia prospettato lo spettro dello sdoppiamento dei gruppi al momento della fiducia. Una scissione nei fatti. Forza Italia da una parte, il Pdl moderato, dall’altra.
Il fedelissimo Angelino lascia il Cavaliere a meditare per un’altra notte insonne, un giorno di tempo per decidere se restare alla guida di una Forza Italia dei falchi o ricompattare tutto e consumare la più clamorosa delle retromarce.
Berlusconi sente che non ha via d’uscita, stavolta si ritrova all’angolo.
Carmelo Lopa
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 1st, 2013 Riccardo Fucile
LE PRESSIONI DI GHEDINI PER IMPEDIRE CHE LA TELEFONATA VENISSE MANDATA IN ONDA NEL CORSO DI “PIAZZA PULITA”
Silvio Berlusconi, nelle sue notti insonni, pensa e ripensa al ruolo che gioca Giorgio Napolitano nelle sue vicende. E a forza di riflettere gli è venuto il sospetto che il presidente della Repubblica, non solo non l’ha aiutato sul caso della frode Mediaset, ma ha anche interferito nell’altra sentenza dei giudici di Cassazione che lo hanno condannato a pagare 494 milioni di euro alla Cir.
Un sospetto che al Cavaliere è nato perchè gli avrebbero raccontato che il capo dello Stato avrebbe fatto pressioni per impedire un “taglio” di 200 milioni della somma.
Racconto che l’ex premier prende sul serio e chiede in una telefonata ad uno dei suoi parlamentari di verificare.
Peccato che il berlusconiano fosse di fronte ad una telecamera di PiazzaPulita per un’intervista e abbia avuto la bella pensata di lasciare attivo il vivavoce, permettendo di registrare il colloquio.
Trasmesso ieri sera nel programma di Corrado Formigli su La 7
L’accusa è gravissima e suscita subito la reazione del Quirinale che la respinge subito, facendo sapere che «quel che sarebbe stato riferito al senatore Berlusconi circa le vicende della sentenza sul lodo Mondadori è semplicemente un’altra delirante invenzione volgarmente diffamatoria nei confronti del capo dello Stato».
E reagisce duramente anche Giorgio Santacroce, presidente della Cassazione, chiamato pesantemente in causa, insieme a Salvatore Lupo, consigliere giuridico delQuirinale. «È pura fantascienza. E’ evidente che non c’è mai stata una cosa di questo genere», dice il magistrato.
Ma il Cavaliere è roso dal dubbio. E nella telefonata si può così ascoltare il Cavaliere che in maniera piuttosto confusa chiede al suo interlocutore di cercare informazioni su cosa sia veramente accaduto in Cassazione.
Perchè, spiega Berlusconi, «mi è stato detto che il capo dello Stato avrebbe telefonato per averela sentenza prima che venisse pubblicata Dopo di chè ha ritelefonato, ha fatto ritelefonare da Lupo il presidente della Cassazione che ha chiamato il presidente di Sezione costringendolo a riaprire la Camera di consiglio ».
Secondo il Cavaliere, questa è una «cosa che non succede mai! Perchè la sentenza era già pronta il 27 di giugno. E nel riaprire la Camera di Consiglio hanno tolto 200 milioni».
Il Cavaliere, si ingarbuglia, ma vuole dire che l’entità del risarcimento era stato tagliata di 200 milioni. Ma l’intervento del presidente della Repubblica lo avrebbe riportato a 494 milioni.
La telefonata del Cavaliere, ancora prima di essere trasmessa, ha scatenato polemiche e reazioni.
E, come ha raccontato Formigli in diretta, ci sono state pressioni per “bloccare” la messa in onda della telefonata.
A cominciare da quelle di Niccolò Ghedini.
Mandarla in onda, minacciava l’avvocato, sarebbe «una gravissima violazione dei principi costituzionali. Ovviamente procederemo in tutte le sede giudiziarie del caso invitando nel contempo i responsabili della trasmissione a non voler utilizzare il materiale palesemente vietato».
Ma PiazzaPulita è andata avanti. Perchè, spiega il giornalista Antonino Monteleone, autore dello scoop, «l’interlocutore sceglie liberamente di attivare il vivavoce. Questo per chiarire che non si tratta di un’intercettazione. Semplicemente l’interlocutore di Berlusconi decide liberamente di farcela ascoltare ».
Intanto Danilo Leva, responsabile Giustizia del Pd, esprime solidarietà a Napolitano e dice di ritenere «che sia stato passato il segno. Berlusconi ha evidentemente perso il controllo di se stesso».
Silvio Buzzanca
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Ottobre 1st, 2013 Riccardo Fucile
E LA SORPRESA CUI STA LAVORANDO D’ALEMA SI CHIAMA ZINGARETTI
Lo scenario che porta ad una crisi del governo Letta sembra maturare ora dopo ora. 
Le ultime dalla riunione del Pdl con Silvio Berlusconi dicono di uno show down imminente.
Dunque, se tutto resta come appare in queste ore, dopo le comunicazioni in Senato mercoledì, Enrico Letta dovrebbe salire al Quirinale per dimettersi, evitando il voto di sfiducia in aula.
Un modo per uscirne con dignità e preparare la prossima mossa: candidarsi alle primarie per la premiership, visto che a quel punto il rischio di elezioni a febbraio sarebbe più che concreto.
Come dice Massimo D’Alema: “Se si vota in primavera, salta il congresso del Pd e si fanno primarie per la premiership”.
E non si tratta solo di un suo ‘wishful thinking’.
E’ una dinamica che sta nelle cose, ammettono anche nell’area che sostiene Gianni Cuperlo alla segreteria del Pd.
Al partito resterebbe Guglielmo Epifani, per il momento.
Perchè, dopo l’esecutivo Letta, molto probabilmente nascerebbe un governo istituzionale (guidato da Fabrizio Saccomanni o Giuliano Amato) che si occuperebbe di approvare la legge di stabilità e magari assista una riforma elettorale in Parlamento. Stop.
Le elezioni sarebbero dietro l’angolo. E tanto meno sarebbe Letta a guidare questa nuova squadra a tempo.
Il premier lo ha detto anche a Giorgio Napolitano, nei vari colloqui di questi giorni. Spiegando al capo dello Stato di essere stato indicato alla guida del governo anche dal Pd (“e io sono un uomo di partito, devo tener conto degli umori del partito”) e spiegandogli di non essere disposto, a 47 anni, a lasciarsi triturare dagli eventi, a bruciare tutto il lavoro fatto finora. Niente Letta bis.
Insomma, il premier vorrebbe organizzarsi meglio di Mario Monti, il quale pure dovette ingaggiare un braccio di ferro con Napolitano per mollare il governo tecnico e candidarsi, contro i voleri del capo dello Stato e con gli esiti ben noti.
Non che Letta voglia mollare di suo.
Anzi in aula mercoledì terrà comunque un discorso che inquadra un orizzonte temporale per il governo fino alla fine del 2014, presidenza italiana del semestre europeo compresa.
Ma gli eventi lo fanno costretto a stabilire un limite oltre il quale non può più sopportare.
Dunque, se andrà male, lo aspetterebbe la sfida per la premiership contro Matteo Renzi, che della crisi “non parla nemmeno sotto tortura”, dicono i suoi da Firenze. “Non partecipo al festival-teatrino delle dichiarazioni. Aspettiamo di sentire cosa dirà il premier Letta e di vedere cosa deciderà il Parlamento”, si limita a dire lui.
C’è da dire che i renziani non sono convinti del nuovo calendario che sembra affacciarsi nel Pd, stanno sul ‘chivalà ‘ per il momento, non vogliono intestarsi rotture. Ma non lo faranno nemmeno se, invece che per la segreteria del Nazareno, il sindaco dovesse ritrovarsi a correre direttamente per la premiership.
Del resto, è quello che ha sempre voluto.
Dunque, Renzi versus Letta e basta?
No, trattasi di Pd, la questione non può essere già risolta.
D’Alema penserebbe ad una candidatura di Nicola Zingaretti, l’ex presidente della Provincia di Roma, da sempre designato per una corsa per Palazzo Chigi, ‘finito’ alla Regione Lazio dopo l’inaspettata crisi dell’amministrazione Polverini.
Tutto fatto, sfida a tre? No. I giochi sono solo all’inizio.
Quella di D’Alema, dice chi lo conosce bene, potrebbe essere solo una prima mossa di trattativa con gli altri due candidati.
Questioni che si capiranno nelle prossime due settimane, non di più.
Anche perchè l’11 ottobre scade il termine di presentazione delle candidature per le primarie dell’8 dicembre per la segreteria Pd, secondo le regole al fine approvate in un sol colpo nell’ultima direzione, venerdì scorso, quando già era scoppiata una sorta di pre-crisi di governo che poneva seri dubbi sul congresso in sè.
“Abbiamo approvato le regole senza discussione, quasi fossero una barzelletta – è la battuta che gira tra i Dem — evidentemente già allora non ci credevamo al congresso…”.
Magari le primarie dell’8 dicembre si trasformeranno in sfida per la premiership.
E chissà se senza polemiche.
(da “Huffington Post”)
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