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INTERVISTA A DON MAZZI: “BERLUSCONI VENGA DA ME A COLTIVARE POMODORI IN SILENZIO”

Ottobre 6th, 2013 Riccardo Fucile

IL FONDATORE DI EXODUS: “VORREI ESSERE IO A BUTTARLO GIU’ DAL LETTO LA MATTINA”

Piovono da tutta Italia candidature di enti e associazioni di volontariato che accoglierebbero Silvio Berlusconi nel periodo di affidamento ai servizi sociali.
Dopo Mario Capanna, che lo ha invitato a rendersi utile nella sua fondazione “Diritti genetici”, si sono fatti vivi i radicali di “Non c’è pace senza giustizia”, i milanesi City Angels, che assistono i senzatetto e i servizi sociali dei Comuni di Albenga e di San Giorgio in Bosco, in provincia di Padova.
Ma chi lo reclama a gran voce, avendo anche in mente un “progetto personalizzato” per lui, è don Antonio Mazzi, 84 anni, storico fondatore della comunità  di recupero per tossicodipendenti Exodus.
Don Mazzi, lei che si è occupato anche di Lele Mora durante l’affidamento ai servizi sociali, come pensa che l’ex premier potrebbe rendersi utile in questa nuova fase della sua vita?
“Io vorrei tanto averlo fra i miei ragazzi, non come atto di cattiveria, ma per lavorare alla sua redenzione. Vorrei essere io a buttarlo giù dal letto la mattina e a invitarlo a rimettere a posto lenzuola. Vorrei che facesse silenziosi e umili lavori manuali, a partire dalla pulizia del bagno. Come faceva quando aveva 15 anni e non aveva tutto il potere a cui si è abituato ora”.
Non pensa che dovrebbe aiutare gli altri, dedicarsi agli anziani, o magari anche alle prostitute, come da più parti si suggerisce?
“Quello magari in una seconda fase. Ma attenzione: Berlusconi è un idolo che attrae le folle e quindi, portandolo in mezzo alle prostitute, sarebbe capace di diventarne l’eroe. Quindi, prima di rimetterlo nella società  ad aiutare il prossimo, bisognerebbe aiutarlo a riscoprire la sua anima. A togliersi la maschera”.
E come?
“Deve stare da solo, riflettere, guardarsi dentro. Deve togliersi la crosta dietro la quale si nasconde e grazie alla quale incanta gli italiani, che ancora oggi lo voterebbero”.
Come reagirebbe, il Cavaliere, a un trattamento simile?
“Lui oggi si sente l’idolo delle masse, però io credo che dentro abbia qualcosa di salvabile. Ma deve affondare le mani nella terra, piantare i pomodori in silenzio, lontano dagli agi e dagli adulatori che lo hanno compiaciuto fino a farlo sentire come un dio”.
Funzionerà ?
“Scommetto di sì. Giù la maschera e un bel bagno di umiltà “.

Zita Dazzi

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PDL, CONGRESSO DI FATTO TRA LEALISTI, ALFANIANI E PONTIERI

Ottobre 6th, 2013 Riccardo Fucile

COME SI POSIZIONANO LE TRUPPE PER LA BATTAGLIA

Lealisti contro alfaniani. E in mezzo ovviamente i pontieri.
Ecco le prime dislocazioni delle truppe nel Pdl dopo il big bang della fiducia.
Popolo della Libertà  che si prepara alla grande conta al termine di una delle settimane più lunghe per il Cavaliere che da una parte si è visto mettere all’angolo politicamente dall’ex delfino, e dall’altra ha sentito la decadenza dal seggio di senatore sempre più vicina.
I lealisti del Cavaliere
Subito il congresso e l’azzeramento delle cariche. È quanto chiede Raffaele Fitto in un’intervista al Corriere della sera. Lanciando di fatto la sfida al segretario in carica Angelino Alfano.
Fitto vuole che tutto venga rimesso in discussione e dice: “Siamo in tanti e abbiamo deciso di chiamarci lealisti. Leali con Berlusconi e le sue politiche”.
Quanto ad Alfano, l’ex ministro per i rapporti con le regioni aggiunge: “in questo periodo io non condivido la sua azione politica, che rischia di costruire un centro politicamente subalterno alla sinistra”.
Tra i lealisti non poteva mancare Sandro Bondi: “L’amico Raffaele Fitto – spiega – ha posto con garbo questioni politiche serie e difficilmente eludibili che meritano un confronto approfondito e democratico. L’unità  del nostro partito non potrà  che avvantaggiarsi dall’aperto dispiegarsi di un confronto sull’identità  politica e programmatica di un centrodestra stretto come non mai attorno al presidente Berlusconi”.
Con Fitto si schiera Maria Stella Gelmini: “Il tema condivisibile della stabilità  di governo non può snaturare la nostra ispirazione liberale; sulla forma partito: perchè, nel segno dell’unità , deve riaprirsi il circuito della selezione della classe dirigente attraverso la valorizzazione del merito e l’elezione dal basso”.
Dello stesso avviso Anna Maria Bernini: “Nel momento in cui si ridisegna dal basso il futuro del centrodestra italiano secondo i valori di libertà  indicati da Silvio Berlusconi – afferma- dobbiamo tutti guardare oltre le strumentali contrapposizioni tra falchi e colombe, al vero patrimonio del centro destra: il riformismo liberale, l’apertura al giudizio dei nostri elettori e la competizione delle idee”.
Gli alfaniani
Intanto sulla gestione del partito non c’è accordo tra Berlusconi e Alfano.
Il primo vorrebbe un coordinamento ampio e plurale, mentre il secondo più stretto e fatto solo di fedelissimi.
Tra le richieste del vicepremier per non rompere infatti ci sono: controllo totale del partito, blindatura del governo e sostituzione del capogruppo alla Camera.
Fabrizio Cicchitto, uno dei primi a discostarsi dalla linea dei falchi e pronto già  mercoledì scorso alla formazione di un nuovo gruppo alla Camera, risponde a Fitto: “Reputo che l’onorevole Raffaele Fitto – che in tutti questi anni è stato un caro amico e che per me rimane tale malgrado l’insorgenza di un netto dissenso politico – insieme ad altri con la sua sortita di oggi sul Corriere della Sera vuole giocare d’anticipo e interrompere i colloqui e i tentativi di intesa unitaria”.
“Infatti – prosegue Cicchitto – la sua (di Fitto ndr) proposta di azzerare tutte le cariche e di andare ad un congresso, del quale peraltro non esistono neanche le precondizioni materiali, se raccolta, rinchiuderebbe il Pdl in una sorta di sfida all’Ok Corral interna, del tutto autoreferenziale che assorbirebbe tutte le energie del partito in una sorta di permanente duello interno”.
Parla chiaro il ministro delle Riforme, Gaetano Quagliariello, evidenziando la guida del vicepremier: “No a epurazioni e no al congresso – dice a Repubblica. Dopo la fiducia di mercoledì nulla è come prima. Ora è arrivato il tempo della leadership di Alfano”.
E aggiunge: “Ora la nostra battaglia non deve degradare in una mera operazione di partito o peggio di nomenklatura”.
Duro è l’ex presidente della regione Lombardia, Roberto Formigoni, in un’intervista al “Mattino”: “Berlusconi è stato consigliato male” e ora “non chiedo espulsioni – dice – ma certo da ora in poi non si potrà  più giocherellare: nel partito si deve prendere atto che i cosiddetti ‘traditori’ hanno fatto la scelta giusta chiedendo di non votare contro il governo, mentre ‘i fedelissimi’ hanno sbagliato”.
Formigoni poi precisa che “è chiaro che chi ricopre incarichi e per giorni ha stressato noi e il paese intero, nel tentativo di far cadere il governo, non può più essere confermato in quei ruoli”.
I pontieri
Infine i pontieri, tra cui c’è Maurizio Gasparri, vicepresidente del Pdl, che cerca di mettere acqua sul fuoco e fa un richiamo all’unità : “Il nostro impegno per l’unità  del Pdl – dice – prosegue incessante. Ma bisogna guardare alla sostanza della politica, non solo a conte più o meno inutili. Va confermata una chiara scelta di centrodestra che escluda neo-centrini subalterni alla sinistra, e proprio per questo lodati dai vari Franceschini, Bindi, Epifani”.

(da “Huffington Post”)

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TOSI STUDIA DA PDL: PULMANN GRATUITI PER LANCIARE LA SUA FONDAZIONE

Ottobre 6th, 2013 Riccardo Fucile

TRUPPE AUTOTRASPORTATE DA VERONA A MANTOVA PER IL SINDACO CHE VUOLE PARTECIPARE ALLE PRIMARIE DEL CENTRODESTRA

C’è chi è partito alle 7.30 e chi alle 9 per raggiungere il Palabam di Mantova, dove il sindaco di Verona, Flavio Tosi, ha presentato la sua fondazione “Ricostruiamo il paese” e la candidatura alle primarie del centrodestra.
“Il mio obiettivo — ha detto Tosi — è chiederle perchè siano i cittadini a scegliere il candidato”.
La maggior parte delle persone intervenute è arrivata con pullman “organizzati“.
Ma da chi?
“Dal Comune di Verona“, ci dicono alcuni.
“Dalla Lega“, testimoniano altri arrivati dalla provincia veronese.
Un viaggio rigorosamente gratis, per sostenere l’esponente leghista che promette trasparenza: “L’evento è stato pagato dai contributi delle singole persone che credono nel progetto. C’è un conto corrente”.
Assente Roberto Maroni e gli altri esponenti nazionali del Carroccio, ma il sindaco di Verona, con il fazzoletto verde nel taschino, minimizza e guarda con favore ai diversamente berlusconiani:   ”Alfano e Lorenzin non sono traditori, e hanno preso una decisione che metteva a rischio la loro carriera politica”.
Nella fondazione ci sarà  spazio anche per l’amico Corrado Passera, scomparso dalle cronache politiche?
Tosi risponde: “Lo stimo: la fondazione è un contenitore che si confronta con chiunque”

Francesca Martelli

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INTERVISTA A MATTEO RENZI: “CON ME SEGRETARIO, LETTA SARA’ PIU’ FORTE”

Ottobre 6th, 2013 Riccardo Fucile

“SONO MOLTO AMBIZIOSO, SE ENRICO DURERA’ ANCORA 10 ANNI FARO’ ALTRO”

Ero andato a Firenze per capire se si può comprare un’auto usata da Matteo Renzi e ho scoperto che va in bici.
Ci sta seduto sopra, nel cortile di Palazzo Vecchio.
«Pedala, altrimenti cadi», gli grida qualcuno, facendo il verso alla sua famosa battuta su Letta.
Il ciclista abbassa il cavalletto e scende. È una pila atomica. Attraversa piazza della Signoria, stringe mani di turisti, saluta in inglese gli americani, accenna un inchino ai giapponesi, raccoglie cartacce dal selciato e le va a buttare nel cassonetto.
A tavola rinuncia al vino e solleva la camicia per mostrare un preludio di pancetta. “81 chili. Da qui ai quarant’anni voglio scendere a 75. Mi sono dato un anno e mezzo di tempo”. Forse non solo per dimagrire.
A scuola lei era già  così sicuro di sè?  
«Al classico venni rimandato in scienze per una ripicca personale con la prof. Mi comportai con arroganza, lo ammetto. Ma mi è servito».
Per diventare arbitro di calcio?  
«Potrei dirle che avevo un innato senso della giustizia… In realtà  non ero abbastanza bravo per giocare. A 17 anni arbitravo in seconda categoria. Certi derby in provincia di Pisa…».
I conterranei di Letta la menavano?  
«Mai. Solo insulti alla triade classica: mamma, nonna, fidanzata».
Cosa ha imparato dall’arbitraggio?  
«A decidere senza rinviare».
Allude?  
«Bisogna saper gestire i cartellini. La prima ammonizione è fondamentale. Va data intorno al ventesimo minuto per far capire ai giocatori che ci sei. Da sindaco la pedonalizzazione l’ho fatta subito, quando tutti dicevano di aspettare. Arbitrare mi ha insegnato a non dare la colpa agli altri. Qui c’è gente che prende il raffreddore e dice che è colpa dell’instabilità ».
Allude ancora, signor arbitro. Poi capo-scout.  
«Lì ho imparato che clan può essere una bella parola. Soffro quando leggo che avrei abbandonato qualcuno dei miei. Io sono uno che osa, non uno che usa».
Come mai a vent’anni partecipò alla Ruota della Fortuna?  
«Adoro i giochi di parole».
Si era capito. E io che credevo volesse conoscere Paola Barale.  
«Aveva un suo spessore culturale. Vedendola dal vivo ho scoperto che la tv ti ingrassa di parecchio. Ho vinto 4 partite. Alla quinta avrei guadagnato 50 milioni di lire e sarei andato alla Ruota d’Oro. Invece sbagliai l’ultima definizione: un mare di neve. Dissi: un mare di navi. Mi ha fregato una vocale».
Arriva sempre a un passo dalla vittoria e poi…  
«Fu la mia fortuna. Era il febbraio 1994. La puntata dopo Mike fece il famoso appello elettorale a favore di Berlusconi. Fossi stato lì, oggi qualcuno direbbe: perchè Renzi non intervenne?».
Siamo al 25 luglio del Cavaliere?  
«Sì, siamo all’epilogo. Lungo, ineludibile. Berlusconi mi fa rabbia perchè ha cambiato il calcio, la tv e l’edilizia, ma non la politica: non solo non ha fatto le cose che volevamo noi, ma nemmeno quelle che voleva lui».
Lo hanno messo in minoranza nel suo stesso partito.  
«Umanamente non sopporto i lecchini che all’improvviso sono diventati coraggiosi. Quelli che votavano Ruby nipote di Mubarak e adesso dicono che Berlusconi non ha i requisiti morali. Perchè scusa, negli ultimi venti anni dove stavi? Che tristezza questi maramaldi ruffiani e pavidi».
Anche Alfano fa parte della categoria?  
«No, Alfano si è trovato a dover scegliere tra la fedeltà  all’uomo cui deve tutto e quella a un Paese per il quale ha giurato. Mi fanno più pensare i Giovanardi. Vuole fondare un nuovo partito e poi si stupisce se i giovani si drogano. È una battuta di Crozza. Strepitosa: l’avrà  copiata da Twitter…».
Non teme che il governo “Alfetta” ci riporterà  la Dc?
«Letta è un bipolarista convinto. Anche Alfano. Il Grande Centro è il sogno dei Fioroni e dei Giovanardi. Non passerà . Per la legge elettorale ripartiremo dalla bozza Violante. Chiunque vinca il congresso, il Pd ne uscirà  ancora più bipolarista. Ma sarà  un bipolarismo gentile e rispettoso».
Lei e Letta siete due galli nello stesso pollaio.  
«Ma che dice? Sarebbe un errore replicare il modello Veltroni-D’Alema».
Vi siete parlati a Palazzo Chigi.  
«Senza giri di parole, come d’abitudine. La tensione si è scongelata subito: ci siamo mandati a quel paese nei rispettivi slang».
Cioè?
«Io l’ho insultato in fiorentino, lui mi ha risposto in pisano».
Sempre meglio delle battute lassative di Crimi su Berlusconi.  
«Al confronto dei leader Cinquestelle, Alvaro Vitali è uno statista».
Torniamo a Letta.  
«Gli ho detto che, se diventassi segretario del Pd, non mi chiederei ogni giorno cosa fare per danneggiare lui e Alfano. Il mio non sarebbe un Pd con la matita rossa e blu per fare le pulci al governo».
Dicono fosse ancora arrabbiato per il suo viaggio dalla Merkel.  
«Ma no. Mi aveva cercato lei, dopo aver letto una mia intervista sul vostro giornale. Ho preso un volo privato, il colloquio era previsto dalle 6 e 30 alle 7 e 30. Mi ha ricevuto alle 6 e 28 e alle 7 e 28 ha guardato l’orologio e mi ha congedato. Ama l’Italia, ci sta aspettando. Dice che abbiamo un grande leader, Napolitano. E mi ha parlato bene anche di Enrico».
In Germania avrebbe votato per lei?  
«Da dirigente politico avrei votato Spd, per senso di appartenenza. Da cittadino non so. Quella donna mi ha colpito. Anche se nemmeno lei sta affrontando il vero tema: cambiare l’Europa. Perchè è l’Europa in crisi, non un solo Paese».
Immaginiamo il tormentone dei prossimi mesi-anni. Lei che smania per tornare alle urne e gli altri che diranno: nel 2014 non si può perchè c’è il semestre europeo a guida italiana, nel 2015 nemmeno perchè c’è l’Expo.  
«E nel 2016 le Olimpiadi in Brasile. Ma sento di poter annunciare che nel 2018 si voterà  nonostante i Mondiali di calcio in Russia».
Non teme di finire nel congelatore?  
«Solo nell’ultimo anno sono sopravvissuto a sette-otto sconfitte definitive. Volete capire che sono molto ambizioso, ma non ho fretta? Se Enrico dura dieci anni, farò dell’altro. Tanto fra dieci anni avrò l’età  che lui ha adesso».
Risposta bella forte. E un po’arrogante.  
«Sono pieno di difetti, dalla A di arroganza alla Z di zuzzurellone. Ma la A di ambizione mi sta bene. Perchè avere l’ambizione grande di cambiare l’Italia non lo considero un difetto».
Da Berlusconi a Grillo, tutti i leader dell’ultimo ventennio hanno fondato un partito. Perchè lei si ostina a volere trasformare uno già  esistente?
«Il modello del partito personale è fallito. Del resto siamo arrivati alla vergogna per cui Bossi e Di Pietro hanno candidato i figli al consiglio regionale».
Non vuole fondare un partito nuovo, però vuole comandare su quello vecchio.  
«La parola leadership non è una parolaccia. C’è una sinistra che rifiuta l’idea dell’uomo solo al comando. Fausto Coppi. Ma in un gruppo ci vuole sempre quello che si alza sui pedali. Un leader è uno che sceglie persone più brave di lui».
Non sarà  facile, visto che tutti stanno salendo sul suo carro.  
«In uno dei miei soliti eccessi di autostima, dico: le critiche dei prevenuti e le lusinghe dei ruffiani non avranno il potere di cambiarmi».
I dipendenti del Pd temono di essere licenziati.  
«Il problema non è il personale, ma certo qualcosa si può risparmiare: ha senso spendere 9 milioni in comunicazione, due in consulenze, uno e mezzo in ristoranti e in alberghi? La sobrietà  deve iniziare a casa nostra».
Si può tagliare la spesa senza licenziare i dipendenti pubblici? Fassina dice di no.  
«Fassina non è cattivo, ma non ha mai amministrato nulla, non sa di cosa parla. Ormai lui dichiara a piacere su tutto. Lasciate fare a noi amministratori. Certo, va aumentata la produttività . Il forestale della Calabria deve sapere che con me non verrà  licenziato, ma dovrà  lavorare moltissimo».
Chi pagherà  il conto della sua rivoluzione?  
«Bisogna toccare i diritti acquisiti. Chi percepisce pensioni d’oro su cui non ha versato tutti i contributi deve accettare che sulla parte “regalata” venga imposto un prelievo».
Il suo Pd sarebbe a favore della patrimoniale?  
«Molti amici imprenditori si dicono pronti a pagarla, ma prima chiedono che la politica dia il buon esempio. In ogni caso è prioritario assicurare una tregua fiscale. Se io pago, tu Stato devi smetterla di venirmi continuamente a controllare. Chi governa deve pensare che sta regalando qualcosa a qualcuno che ama. Se vuoi riformare la scuola, pensa a tuo figlio. Se vuoi favorire il lavoro, sfronda le duemila norme che lo regolano: ne bastano cinquanta».
Lo dice anche Letta.  
«Ma queste cose devi farle subito e tutte insieme. Il cartellino giallo al ventesimo minuto. I primi cento giorni di governo sono decisivi».
L’establishment non si fida di lei.  
«E fa bene. Può darsi che io non arrivi mai al traguardo. Ma se ci arrivo, è per cambiare le cose davvero. La crisi ha fatto passare in secondo piano l’aumento dell’Iva, i casi Telecom e Alitalia. La classe imprenditoriale, bancaria e universitaria dov’è stata in questi vent’anni? Abbiamo avuto un capitalismo familista, non familiare. Un sistema di poteri forti dal pensiero debole. Faccio il verso a De Andrè: “Per quanto vi crediate assolti siete per sempre coinvolti”».
Letta passa per l’uomo dell’establishment che lei vuole rottamare.  
«La rappresentazione mediatica ha una sua fondatezza nelle nostre diverse modalità  di esprimerci. Ma anche Letta ha capito che bisogna cambiare. E sa che, con me segretario, il governo sarebbe più forte, non più debole».
Ci sono sgarbi che non ha dimenticato?
«Casini che, a urne delle primarie aperte, dice: Renzi è come Berlusconi. E la Camusso: vanno bene tutti tranne Renzi. Cadute di stile frutto della paura».
Non è che, arrivato a Palazzo, poi si mette in riga come gli altri?  
«Io non logoro. Strappo. Non ho lo stile democristiano del conte zio di Manzoni, quello di “sopire, troncare”».
Il conte zio sarebbe Gianni Letta?  
«Questa è buona, ma io sono fra Cristoforo. Perciò forse non diventerò mai padre provinciale. Il mio mito è Rosario Livatino, il giudice-ragazzino ucciso dalla mafia. Diceva: “Alla fine non ti chiederanno quanto sei stato credente, ma quanto sei stato credibile”».
Sua moglie Agnese…  
«Alt. La famiglia non si tocca. Agnese insegna italiano e latino. Precaria. Al Maggio Fiorentino le presentai Monti, allora premier. “Ha partecipato al concorsone?”, le chiese. “Sì”. “Allora converrà  che il mio governo qualcosa di buono l’ha fatto”. E lei: “Direi proprio di no”. Aveva ragione mia moglie, stanno ancora aspettando i risultati del concorso».
Sarebbe un ottimo segretario del Pd.
«Ma resta fuori dalle interviste. Come i figli. Mi sono sentito vecchio il giorno in cui il più grande ha messo il pin al telefonino. “Tu non lo mettevi alla mia età ?”, mi ha chiesto. Gli ho risposto che alla sua età  non avevo il telefonino. E lui: ma come facevi a telefonare?».
Ha fatto un figlio a 26 anni e le danno del bambino.  
«Bisogna vedere da chi viene la predica. La mia è una generazione cresciuta senza padri. La rottamazione è stata una rivolta contro una paternità  politica che non era tale. I nostri leader erano cugini, tutt’al più fratelli maggiori. Non scogli, ma ostacoli».
Sua figlia ha sette anni.  
«E sa già  chi sono Epifani e la Camusso».
Roba da Telefono Azzurro.  
«È un “mostro” come me, che a dieci anni guardavo i programmi elettorali in tv e al telefono riferivo a mio padre, sinistra Dc, cosa aveva detto De Mita».
Adesso De Mita dice: Renzi è un torrente che non diventerà  mai fiume. Scalfari ha concordato con lui. Aggiungendo che il fiume è Letta.  
«Sono contento di non essere oggetto di una previsione positiva della coppia De Mita-Scalfari. Non ne hanno mai azzeccata una».
La accusano di essere inconsistente. Ha visto l’imitazione di Crozza? I Renzini: 30% di Baricco e 40% di niente, in un cuore di cioccolato…
«Spero che Baricco non quereli… Ma il fatto di dire frasi secche non significa che dietro non ci sia elaborazione del pensiero».
Il perfido D’Alema sostiene di essere venuto a trovarla per vedere che libri leggeva.
(Renzi – ora siamo nel suo ufficio – gira intorno al tavolo e palpa due volumi di peso). «Alda Merini e Luzi. In questo periodo leggo poesie. Per mettere a fuoco i concetti».
È tornato su Twitter.  
«L’avevo rimosso. Poi l’ho rimesso. È bellino. Certo, devi darti un limite. (Smette di scorrere i pollici sullo smartphone e li sposta su un pezzo di stoffa nera, dove continua a sgranchirli per non perdere l’allenamento)».
I pensieri di Cuperlo sono troppo lunghi per Twitter.  
«Gianni è in gamba. Garba molto a noi addetti ai lavori, fuori non so. Io e lui siamo come i protagonisti del racconto di Chesterton in cui un laico e un cattolico si sfidano a duello, ma poichè non li lasciano combattere, diventano amici per trovare un posto dove duellare. Però nel 1999 era a Palazzo Chigi con D’Alema: dov’è stato in questi anni? Lui pensa abbia fallito solo la destra. Invece dobbiamo ridisegnarci anche noi».
Lo diceva già  Veltroni al Lingotto, quando battezzò il partito.  
«Walter aveva scritto il film giusto, ma ha sbagliato a credere che potessero recitarlo gli attori che avevano trasformato le pellicole precedenti in un flop. Nel mio Pd andranno avanti i più bravi, non i più fedeli. Dichiarerò guerra alla mediocrità ».
Come si immagina, da segretario?  
«A piedi tra la gente e non in auto col lampeggiante. Un segretario deve farsi vedere in giro. È in campagna elettorale permanente».
Letta ne sarà  entusiasta. Continuerà  a fare il sindaco?  
«Il segretario non deve mica passare il tempo barricato in sede a gestire incarichi e spartire poltrone. Provo avvilimento quando vado in Rai e qualche dirigente mi dice: io sto con te. Ma che mi frega con con chi stai! ».
Ha sentito le intercettazioni in cui la democratica Lorenzetti ordina a una professoressa di favorire l’esame di un suo protetto?  
«Spero licenzino quella professoressa. Però è sbagliato dire che Lorenzetti e Penati sono uguali a Berlusconi. Lui è un unicum. Ma sia chiaro che non credo alla superiorità  morale della sinistra, semmai a quella del coraggio sulla paura e dell’altruismo sull’egoismo».
Questo “renzino” dove l’ha partorito?  
«Non è mio, è di Oscar Farinetti: eravamo al secondo giro di Barolo».
Dicono che tra gli elettori di centrodestra lei piaccia meno di un tempo.  
«Non piaccio ai loro giornali, che prima mi esaltavano e ora mi massacrano. Mi hanno fatto la prova-calzino. Di me si sa tutto, che bici e che mutui ho. Ma sono tranquillo. Mio cognato non ha la casa a Montecarlo ma a San Godenzo».
Il famoso metodo Boffo evocato anche dalle colombe alfaniane.  
«Trovo inaccettabile che denuncino il metodo Boffo solo adesso e non quando veniva usato contro gli altri».
Briatore, Cavalli, Signorini. Ormai le manca solo un aperitivo con Dudù. Quando incontrerà  Zagrebelsky?
«Ho incontrato anche Zagrebelsky, solo che non fa notizia. Dudù invece mi manca. Ma posso resistere».
Una settimana alla campagna delle primarie. Trovato lo slogan?  
«L’Italia cambia verso».
Bel gioco di parole.  
«Sarà  una campagna diversa, rispetto all’altra volta. Non un “one man show” da uno contro tutti. Girerò di meno e senza camper, ho ancora mal di schiena. Vorrei che Pd diventasse sinonimo di leggerezza calviniana. Per vent’anni abbiamo fatto la faccia triste perchè dall’altra parte c’era un sorriso finto. Farò una campagna allegra. Anche se andrò in luoghi drammatici, dal Sulcis a Lampedusa. La Bossi-Fini va cambiata. E l’Europa… Basta con questo andazzo per cui quando si tratta di sistemare le banche si va a Francoforte, mentre quando si tratta di sistemare le salme ognuno pensa ai fatti suoi».
Sono scomparse le polemiche sulle primarie.  
«Perchè stavolta sono aperte. Può votare anche chi non sa a memoria l’Internazionale o gli Inti Illimani».
Lei li ha mai cantati?  
«El pueblo unido jamas sera vencido. Cosa diceva Vecchioni? Pallosa come una canzone degli Inti Illimani…».

Massimo Gramellini
(da “la Stampa“)

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INTERVISTA A FITTO, L’AVVERSARIO DI ALFANO: “AZZERARE TUTTO E POI IL CONGRESSO”

Ottobre 6th, 2013 Riccardo Fucile

“OCCORRE UNA NUOVA LEGITTIMAZIONE”…. “LA LINEA DI ALFANO? E’ SUBALTERNA ALLA SINISTRA”… MA SU FITTO PESA LA CONDANNA PER CORRUZIONE A 4 ANNI PER UNA TANGENTE DA 500.000 EURO

Non vuole posti, nè prebende, nè «strapuntini». Respinge al mittente tutte le offerte che, in queste ore, gli stanno arrivando. E dopo settimane di silenzio, nelle quali non ha fatto nè la parte del falco nè quella della colomba, Raffaele Fitto esce allo scoperto
La sua è una sfida ad Alfano sul terreno più delicato ma anche più esiziale per la vita di un partito: quello delle regole.
Perchè l’ex ministro e potente ex presidente della Puglia – forte di numeri importanti sul territorio, in Parlamento e anche punto di riferimento di parecchi big del Pdl – chiede, e subito, «l’azzeramento di tutti gli incarichi di partito e la convocazione di un congresso».
Altro insomma che accettare di dividere un pezzo della torta – che si chiami direttorio o comitato – con gli altri filo-alfaniani e no in un partito diretto con mano forte dal vicepremier.
Tutto, secondo Fitto, dopo questo passaggio deve essere rimesso in discussione.
Dalla linea politica fino, appunto, al segretario. E lui, in questa battaglia, sarà  in prima linea, magari proprio a capo della vasta area del partito – che lui ribattezza come «i lealisti» – in parte già  schierata in parte attenta ma ancora in attesa di sviluppi.
Alfano ha indubbiamente ottenuto una vittoria politica sulla fiducia, è già  segretario, e adesso offre anche a voi che non eravate schierati con lui spazio nella nuova Forza Italia. Non vi basta?
«Guardi, se qualcuno pensa che questa nostra iniziativa sia finalizzata ad ottenere qualche incarico, si sbaglia di grosso. Forse sono voci volutamente messe in giro per sminuire la portata della nostra azione. Sarebbe poi interessante sapere se si parla di Forza Italia o del Pdl, che non è un dettaglio».
Però non sono ruoli da poco quelli di cui si parla: se saltassero i coordinatori Verdini e Bondi, i «falchi» Santanchè e Capezzone, perfino il capogruppo di Brunetta – tutte richieste che sarebbero arrivate in qualche modo dai «governativi» – si aprirebbero molti spazi. Lei non è interessato?
«Assolutamente no. E pensarlo vuol dire non aver compreso che non è un problema di strapuntino personale ma un grosso problema politico».
Ma quando dice «noi» cosa intende? Chi siete, cosa è che vi caratterizza?
«Siamo in tanti, e abbiamo deciso di chiamarci lealisti. Siamo quelli che non si limitano solo ad inviare comunicati stampa quando viene commesso un gravissimo atto come in giunta al Senato venerdì. Siamo quelli che si rifiutano di accettare che 20 anni di nostra storia, di passione, di idee, di coinvolgimento di milioni di italiani attorno a Berlusconi possano essere raccontati come un romanzo criminale. Siamo quelli che sostengono con forza la battaglia contro l’oppressione fiscale, e che vogliono scelte chiare sul taglio della spesa pubblica. E, infine, siamo quelli che credono nel bipolarismo e nel presidenzialismo, in una chiara democrazia dell’alternanza che costruisce un centrodestra modernizzatore, appena superata questa fase di transizione del governo di larghe intese. Insomma, siamo quelli leali con Berlusconi e le sue politiche».
Cioè, Alfano e i suoi non lo sono?
«Io parlo della nostra valutazione. Poi ognuno si comporta e si comporterà  come vuole».
Dicono che lei con Alfano ha un conto aperto, che dopo anni di collaborazione oggi i vostri rapporti siano ridotti a zero. E’ così?
«Rischierei di essere ipocrita e bugiardo, invece dirò la verità : in politica si alternano fasi di più o meno intensa collaborazione, e in questo periodo io non condivido la sua azione politica, che rischia di costruire un centro politicamente e culturalmente subalterno alla sinistra».
Ma dove vede questi cedimenti?
«Per esempio sul tema delle riforme istituzionali, concordate con il Pd, è sparito dall’agenda il tema della riforma della giustizia, nonostante anche i recenti richiami dell’Europa. Perchè?».
Questa contrapposizione nel partito metterà  a rischio il governo?
«Noi sosterremo lealmente il governo, come ci ha indicato nel suo intervento in Aula il presidente Berlusconi, e senza alcuna ostilità . Vigileremo però con molta attenzione, per evitare che un governo di larghe intese si trasformi in un governo di sotto intese…».
Ma con questi presupposti il partito può davvero restare unito?
«Io condivido l’appello all’unità  di Bondi e i ripetuti richiami in tal senso degli amici Matteoli e Gasparri. Ma quello che è accaduto in questi giorni non può lasciarci indifferenti, e merita una seria riflessione».
Intende la guerra tra governativi e duri e puri?
«Beh, tanti moderati non hanno condiviso e non condividono la contrapposizione ornitologica tra falchi e colombe, che hanno finito con il danneggiare l’immagine del partito ed hanno costretto il presidente Berlusconi ad estenuanti mediazioni interne fino a pochi minuti prima del voto».
E allora come se ne esce?
«Considerando finita la stagione dei vertici autoreferenziali di nominati. Occorre, così come ci ha sempre ricordato Alfano di cui cito le parole il giorno della sua nomina a segretario “la legittimazione dal basso, rispettando il principio anatomico secondo il quale il corpo umano è predisposto per sedere su una sola sedia, anche per evitare di lasciare vuote le funzioni esercitate sulle altre”».
Insomma, basta con i nominati, a partire dal segretario?
«Il vero nodo per recuperare l’unità  di tutti è quello di una legittimazione che preveda l’azzeramento di tutti gli incarichi di partito, e la convocazione di un congresso straordinario che discuta e decida la linea politica e che faccia esprimere direttamente i nostri elettori per l’elezione del segretario, degli organismi dirigenti, da Roma fino al più piccolo dei nostri paesi».

(da “il Corriere della Sera“)

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INTERVISTA AL PROCURATORE DI AGRIGENTO FONZO: “OBBLIGATI ALL’ATTO, LA LEGGE SULL’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA E’ INGIUSTA E INUTILE”

Ottobre 6th, 2013 Riccardo Fucile

IGNAZIO FONZO AVEVA GIA’ SOLLEVATO IN PASSATO LA QUESTIONE DI COSTITUZIONALITA’

«Per la legge italiana appena i migranti mettono piede sul suolo italiano commettono reato di immigrazione clandestina. Sia chiaro a tutti che questa è una misura prevista dalla legge Bossi-Fini, noi dobbiamo applicarla. Come si suol dire, è un atto dovuto».
Parla così il procuratore aggiunto di Agrigento, Ignazio Fonzo, uno dei due magistrati che coordinano le indagini sulla recente tragedia avvenuta nel mare che bagna Lampedusa.
Fonzo aggiunge: «Per la legge italiana i migranti commettono il reato di immigrazione appena arrivano, salvo che poi venga loro riconosciuto lo status di rifugiati, venga concesso l’asilo politico, o comunque il processo venga definito con una sentenza di non luogo a procedere per la speciale tenuità  del fatto. Appena arrivano noi dobbiamo indagarli. In passato abbiamo sollevato eccezioni di costituzionalità , ma la Corte le ha respinte. Ha ritenuto il reato compatibile con il nostro ordinamento»
Giuridicamente la genesi di tutto è la legge Bossi-Fini?
«La questione nella sua drammaticità  è molto semplice, nel 2009 con uno dei tanti pacchetti sicurezza, per quello che riguardava il fenomeno dell’immigrazione clandestina, nel nostro ordinamento è stata introdotta una nuova fattispecie di reato, l’articolo dieci bis della legge Bossi-Fini, che punisce chi si introduce nel territorio dello Stato con una pena di euro 5000. Fu anche introdotta un’aggravante comune per altri delitti talora fossero stati commessi da clandestini. L’aggravante è stata cassata dalla Corte, il reato di immigrazione clandestina invece è rimasto nell’ordinamento».
Come potrebbe intervenire il legislatore?
«Il legislatore dovrebbe rendersi conto che il reato di immigrazione clandestina è del tutto inutile, sia sul piano preventivo che repressivo. Trattandosi di un reato che non serve nè dal punto di vista della prevenzione generale nè di quella speciale si potrebbe addivenire alla sua abrogazione».
Può spiegare ai lettori l’inutilità  del reato?
«Sul piano repressivo è inutile perchè chi sta fuori e viene dall’estero non conosce la legge italiana e non viene informato del reato. Ma anche se ne fosse informato, che preoccupazione può avere una persona che fa una lunga traversata nel mare della sussistenza di un reato che viene punito con una pena pecuniaria di 5000 euro? Che mai sarà  chiamato a pagare dal momento nel quale verrà  espulso dall’Italia. Aggiungo, anche se vi sono state condanne passate in giudicato, nessuno ha mai pagato questa somma. Bisognerebbe eliminare questa fattispecie di reato che non ha alcun carattere pratico».
Vi sono state polemiche sui soccorsi in mare. Vi è qualche inchiesta in corso?
«Non vi è alcuna inchiesta, perchè non vi è alcuna denuncia. Vi sono state solo segnalazioni di privati che hanno raccontato fatti a cui avrebbero assistito. Ma si tratta di dichiarazioni alla stampa, alle televisioni, non vi è alcuna denuncia formale. Negli atti non risulta alcun elemento attendibile per verificare se vi siano stati omissioni o ritardi».
Come procedono le indagini?
«È indagato uno scafista di nazionalità  tunisina. Sul barcone in cui vi erano tutti somali ed eritrei, vi era un soggetto di nazionalità  tunisina, già  in passato respinto e rimpatriato nel suo Paese dopo un tentativo di sbarco. Vi sono in corso indagini della polizia giudiziaria. Non posso aggiungere altro».
Quando le luci dei riflettori si spegneranno l’emergenza immigrati non si fermerà …
«Il punto è proprio questo. L’immane tragedia dell’altro giorno ha avuto giustamente un grande clamore, ma la vicenda immigrati va avanti da tempo. Se non vi fosse stata la drammatica conclusione di questo sbarco, purtroppo la vicenda avrebbe lasciato per lo più indifferente il 90% dell’opinione pubblica. È un problema all’ordine del giorno che va affrontato con costanza. Purtroppo in Italia ogni volta che vi è una problematica complessa, si pensa che la soluzione la debba trovare la magistratura. Poi però le soluzioni non piacciono all’uno o all’altro. Questa è un problema che va affrontato in ambito internazionali. Le organizzazioni del traffico di essere umani sono estere e vanno perseguite all’estero».

Salvo Fallica

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IL SABATO NERO SANTANCHE’-SALLUSTI

Ottobre 6th, 2013 Riccardo Fucile

E LEI SI RIFUGIA TRA TENNIS E PISCINA

La pitonessa, Daniela Santanchè, oggi tace. «Riflette», dicono gli amici vicini.
E per farlo va a giocare a tennis, a correre, a sfogare la rabbia e la delusione della sconfitta, certo, ma anche della possibile «epurazione» sua e del suo compagno Alessandro Sallusti.
La coppia più odiata dagli alfaniani, dalle colombe, che li vorrebbero fuori dal partito. Li chiamano Rosa e Olindo, ma anche SS (Santanche/Sallusti) la coppia diabolica.
Un week end di tregua per la fedelissimi del Cav, che in ogni dove e con ogni mezzo lo ha difeso e che adesso potrebbe essere mollata sulla via della pacificazione del Pdl.
Daniela e Alessandro, una coppia nella vita e nei talk show.
E adesso la maggiore amarezza per lei, assicurano, è vedere vacillare la poltrona da direttore de Il Giornale sotto il sedere del suo compagno.
«Lo vogliono punire perchè sta con lei», spiegano dalla cerchia dei falchi. E anche il comunicato dell’editore del quotidiano, Paolo Berlusconi, per smentire le voci di un prossimo avvicendamento al vertice causa vittoria delle colombe, non la mette tranquilla.
«L’editore, rivendicando la piena e assoluta autonomia della testata – è scritto nella nota – conferma la sua fiducia nel direttore Alessandro Sallusti». Ma si sa che parole come queste, altre volte, hanno significato poco.
E mentre lei ieri giocava a tennis, lui ieri rimaneva nel suo ufficio de Il Giornale, seduto sulla sua poltrona. Non si sa mai.
Domenica di relax e di rimugini nella loro casa milanese, un palazzetto di quattro piani più piscina coperta, sulle poltrone di vero coccodrillo australiano.
Comunque sia, tra una partita di tennis e l’altra, una nuotata nella piscina di madreperla, chi la conosce, sa che la pitonessa sta già  pensando oltre, alle mosse da fare perchè la guerra è solo all’inizio, cercando di metabolizzare quello che le fa più male: la mancanza di riconoscenza di Berlusconi.
Alfano chiede la sua testa e lei la offre su un piatto d’argento pur di salvare il leader in crisi anche se lui, a sua difesa, finora, non ha detto una parola.
Se costretto (e lo è) la scelta è per la testa phonata della Santanchè, invece di quella sbiancata di Verdini.
Come se occorresse per trovare la pace immolare uno dei simboli della linea dura. Ed è sicuramente più facile immolare una pitonessa che non un pitone. «Non possiamo morire per essere stati leali con lui», diceva il giorno della caduta un falchetto. Ma lei può. Diversamente falco.
Un fine settimana a smaltire la delusione, sempre insieme Daniela e Alessandro insieme al loro «figlio» a quattro zampe, la beagle Mia, a cui si perdona tutto, anche la distruzione di un tacco 12 Laboutin.
Ad agosto Sallusti spiegava che «tra falchi e colombe berlusconiane c’è tensione, volano anche stoccate. Ma non bisogna farsi distrarre dai personalismi. Le colombe stanno cercando, e dicendo, ciò che Berlusconi sarebbe disposto ad accettare come riparazione dell’affronto subito.
I falchi ciò che Berlusconi è pronto a fare nel caso i primi fallissero nella missione. Non c’è contraddizione o conflitto tra le due posizioni, la strategia è chiara e le conseguenze pure». Mai parole furono meno profetiche.
La leadership dell’ala oltranzista è lontana, mentre si avvicina pericolosamente l’ora dello «scarico».
Una Santanchè in cambio dell’unità  del partito. «Se fossi stata un uomo questo non sarebbe successo», confida la Santanchè a un’amica. E forse ha ragione lei.
Nessuna solidarietà  femminile, tantomeno all’interno del Pdl dove le gelosie si intrecciano alle ambizioni. Come in una soap opera dove Ridge/Silvio per il bene della famiglia rinuncia alla sua Brooke/Daniela.
Il seguito alla prossima puntata.

Maria Corbi
(da “il Corriere della Sera”)

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PDL SPACCATO ALLE GRANDI MANOVRE

Ottobre 6th, 2013 Riccardo Fucile

I FALCHI VOGLIONO IL CONGRESSO, I “GOVERNISTI” POTERI SUBITO AD ALFANO

«Cerchiamo di stare calmi, dovete tutti gettare acqua sul fuoco, io intanto vi ascolto tutti e lavoro a una soluzione. L’importante è preservare l’unità  del partito». Silvio Berlusconi prova a salvare il Pdl.
Le tensioni dopo lo strappo sulla fiducia di mercoledì scorso hanno dilaniato il “corpaccione” del partito.
Angelino Alfano corre, vuole monetizzare subito la vittoria ottenuta in Senato e chiede una rapida transizione del Pdl in Forza Italia, dove dovrà  regnare incontrastato all’ombra del solo Berlusconi.
Senza falchi di mezzo a intralciarlo.
I lealisti però non mollano. Se i più aggressivi – alla Santanchè e Bondi – sono usciti malconci dalla battaglia di Palazzo Madama, ora alla loro testa si è messo Raffaele Fitto, ormai da tempo rivale di Alfano.
E l’ex governatore pugliese per non abdicare ad Angelino al Cavaliere chiede una sola cosa: «Presidente, serve un congresso. Nel partito nessuno si fida più di Alfano la cui nomina, oltretutto, non ha alcuna legittimazione democratica. Votiamo chi sarà  alla guida di Forza Italia».
È dunque sul congresso che in queste ore si sposta la battaglia del Pdl. Una forma decisionale inedita nel mondo berlusconiano che ora viene brandita contro Alfano, ai vecchi tempi sostenitore delle primarie, da chi invece non l’ha mai voluta, ovvero dai falchi.
Pubblicamente pasdaran e moderati predicano per l’unità .
Lo fanno il ministro De Girolamo, Bondi e Schifani. Tutte le anime del partito.
Ma dietro le quinte volano letteralmente gli stracci.
«Il Pdl ribolle – spiega un ex ministro – si lavora all’unità  ma il traguardo è lontanissimo».
Lo scontro è totale visto che per le due fazioni si tratta di vita o di morte (politica). Alfano spinge, ha ottenuto una transizione rapida verso Fi per capitalizzare il suo momento di forza.
Ormai tutti assicurano che il passaggio di consegne tra i due partiti arriverà  «entro giorni, al massimo un paio di settimane».
Il vicepremier chiede che dentro alla rediviva Forza Italia ci sia un numero uno, Berlusconi, e un numero due con tutte le deleghe più importanti.
Ovvero lui stesso, Alfano. Che potrebbe restare segretario o essere addirittura promosso a vicepresidente azzurro.
Dal Pdl saranno trasportate anche le figure dei tre coordinatori, «che però non saranno gli stessi».
Insomma, chi ha perso paga, si deve fare da parte, è la linea.
Per cui Bondi (che proprio ieri ha chiesto di smentire «il violento linguaggio di chi parla di decapitazioni») e Verdini dovranno essere sostituiti (la terza poltrona di coordinatore è stata lasciata vuota da La Russa).
Per ottenere un passaggio di consegne soft tra i due partiti si pensa a un comitato di transizione che rappresenti tutte le aree e con la presenza dei capigruppo Brunetta e Schifani.
Un’impalcatura che dovrebbe portare Alfano (questa almeno è l’idea delle colombe) al comando assoluto (candidature e linea politica) e a una pacificazione interna con la distribuzione di deleghe minori ai tre coordinatori scelti tra le varie correnti in modo da farle convivere.
E soprattutto, come dice un deputato alfaniano, «per creare una struttura che non faccia del segretario un fantoccio, non ci possono più essere fibrillazione e attacchi quotidiani al governo, altrimenti non ci stiamo più».
E qui, su questo argomento, scattano le proteste dei falchi. Uno di loro, una amazzone che chiede di restare anonima, spiega i sospetti dei lealisti.
Primo, «non è possibile che chi ha tradito vinca su chi è rimasto fedele».
Secondo, «il comitato di transizione non serve a nulla, non risolve alcun problema e ciritroveremmo subito nella stessa identica situazione di oggi».
Terzo, «il partito non si fida più di Alfano che oltretutto sta reclutando dirigenti sul territorio perchè se non riesce a vincere all’interno si fa un partito suo».
Sono questi gli argomenti con i quali falchi e fedelissime bombardano il Cavaliere. Seguiti dalla richiesta formulata per prima da Fitto nel chiuso di Palazzo Grazioli e poi fatta propria dagli altri: «Presidente, serve un chiarimento forte, un congresso, una scelta democratica che parta dalle cariche locali fino a quella del segretario».
Una posizione portata in chiaro da Gasparri, uno dei mediatori che con Matteoli e Romani (tra questi è quello più vicini ai falchi) da giorni lavora per sedare le tensioni: «Sarebbe un modo per rimettere tutto in discussione, ruoli e linea politica».
Gli alfaniani replicano, «ma quale congresso? E con quali regole?», ribatte ad esempio Giuseppe Castiglione.
Un ministro spiega che il timore è che la candidatura dei falchi (si parla di Fitto) possa vincere su Alfano «grazie alla pressione dell’establishment e dei giornali d’area ». Alla richiesta di congresso Berlusconi non ha dato ancora una risposta, si è preso qualche giorno per decidere.
Per questo è rimasto a Roma nel week end, per cercare di salvare il partito, dopo la decadenza il solo scudo da contrapporre al codice penale.

Alberto D’Argenio
(da “La Repubblica“)

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VITO CRIMI, IL CALIMERO KAMIKAZE CHE NON NE AZZECCA UNA

Ottobre 6th, 2013 Riccardo Fucile

IL FANTOZZI DEI CINQUESTELLE: INUTILE INFIERIRE, CI PENSA LUI DA SOLO

Un disastro in buona fede. Il Comunardo Niccolai grillino. Il Fantozzi, o forse il ragioner Filini, dei 5 Stelle. Vito Crimi, 41 anni da Palermo, è l’eterno Calimero.
La gaffe di due giorni fa è solo l’ultima (per ora) di una serie più infinita che lunga.
Infierire sarebbe inutile: ci pensa già  Vito da solo.
Si è adoperato più lui contro i 5 Stelle che Zucconi in tutta la sua produzione.
Catapultato in una realtà  troppo più grande di lui, il suo movimento — si presume sotto effetti pesantemente allucinogeni — lo scelse come primo portavoce al Senato.
Un ruolo chiave, che Crimi interpretò come un infaticabile kamikaze di se stesso. Accanto a Roberta Lombardi fungeva da poliziotto buono.
Quello che, durante uno streaming che in pochi minuti fece perdere centinaia di migliaia di voti al M5S, di fronte a Bersani sembrava quasi mostrare pietà  per quel signore attempato che era appena riuscito a sbagliare tutto.
Chissà , forse ci si rivedeva. La Lombardi incarnava l’arroganza compiaciuta, Crimi rappresentava il mediano che voleva essere fantasista.
O anche solo il gregario ispiratamente votato alla causa. Se Roberta pareva esaltarsi di fronte alle critiche, Vito ha sempre sofferto per gli attacchi.
Nessuno può discuterne la buona fede, che nella politica è già  più di tanto. E così l’onestà .
Vale, per lui, l’immagine del “bravo ragazzo che si impegna tanto”, perifrasi con cui gli insegnanti provano a camuffare ai genitori il rendimento non proprio indimenticabile dei figli. Ha fatto buone cose, per esempio il rilancio della proposta Parlamento Pulito.
Fedelissimo di Grillo e Casaleggio, è l’Orso Yoghi del massimalismo grillino. Quando lo intervistano, per un po’ ripete frasi fatte e poi comincia a balbettare, come da Lucia Annunziata a RaiTre.
Quando qualche giornalista lo critica, mette il broncio e lo accusa piccato di “non essere informato”.
Dopo avere incontrato Napolitano, raccontò ai compagni che Grillo era addirittura riuscito a tenerlo sveglio, “eh eh eh”. Tra una epurazione minacciata e un’altra eseguita, ordinava ai fedelissimi (sì e no tre persone) di non credere alle sirene dei Flores d’Arcais.
Venerdì, in uno dei giorni più attesi della Seconda Repubblica, ha onorato il suo ruolo istituzionale con battute grevi su Facebook dedicate al prolasso delle pareti intestinali berlusconiane.
Ovviamente ha sbagliato tempi e modi, attaccando il Caimano sull’unica cosa per cui non dovrebbe essere attaccato: la vecchiaia.
Oltretutto la “battuta”, pietosa, non era neanche sua ma di un’attivista. Nuovamente indifendibile, ha ricevuto giusto la solidarietà  di Serenella Fucksia, un’altra che quando c’è da sbagliare non marca mai visita.
Lo hanno mandato in conferenza stampa ordinandogli di leggere un comunicato e fuggire via, terrorizzati che inanellasse un’altra perla tafazzesca.
Ha parlato di un attacco infame, e non si è accorto che il mandante era lui. Dopo l’errore, ha pure provato a scaricare le colpe sul collaboratore.
La stessa mossa della Gelmini dopo il tunnel dei neutrini e di Boccia dopo gli F-35 “umanitari”. La toppa peggio del buco.
La Rete, che Crimi idolatra ma di cui non ha ancora capito quasi nulla, lo ha di nuovo ridicolizzato, ricordandogli che forse era meglio quando si perdeva per andare in Giunta e non faceva in tempo a votare.
Ogni mattina Vito si sveglia e sa che deve farsi male da solo: ci riesce, sempre, ostaggio di un masochismo teneramente bulimico.
Un giorno si addormenta in aula, o così sembrò, e quello dopo si scava una buca perfino più profonda di quella precedente.
Chi gli è succeduto, prima Morra e poi Taverna, ha fatto molto meglio di lui. Ha sbagliato così tanto che ormai viene voglia di difenderlo.
Sia perchè i suoi errori sono molto più lievi di quelli di Pd e Pdl (ma su di lui è più facile infierire, e i giornalisti “equidistanti” lo sanno bene), sia perchè suscita tenerezza.
Parafrasando Altan, il giorno in cui Crimi scoprirà  il mandante delle cazzate che fa, sarà  sempre troppo tardi.

Andrea Scanzi
(da “il Fatto Quotidiano“)

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