Ottobre 15th, 2013 Riccardo Fucile
L’EX PDL: “IO ERO UN FALCO CHE ARGOMENTAVA, ALTRI ORA USANO ARGOMENTI DEBOLI”
“Io ero un “falco” di Berlusconi, ma lo difendevo con argomenti. Non starnazzavo, come altri “falchi” come la Santanchè, Capezzone e talvolta Brunetta, che sembrano più cornacchie”.
E’ l’accusa lanciata da Giorgio Stracquadanio, ospite di Alessandro Milan nel suo talk show di approfondimento “Funamboli”, in onda ogni lunedì sera su 7Gold.
“Io sento che chi difende ora animosamente Berlusconi” — continua — “ha argomenti deboli e non convincenti. E’ vero, non è elegante dire che una donna starnazza. Ma neanche la Santanchè quando si esprime è elegante”
Per la serie: anche tra i falchi occorre distinguere l’originale dalle volgari imitazioni.
I tempi del partito dell’amore sembrano ormai lontani, pare prevalere più il regolamento di vecchi conti in sospeso.
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Ottobre 15th, 2013 Riccardo Fucile
LETTA ANTICIPA IL MONDO DEI SOGNI E PARLA DI RIDUZIONE DELLO 0,7% DELLA PRESSIONE FISCALE IN TRE ANNI, DISMISSIONI TEORICHE E TAGLI NON PRECISATI
Nessun taglio alla sanità , riduzione del cuneo fiscale per 2 miliardi e mezzo e da qui al 2016 5,6 miliardi in dote
alle imprese e 5 miliardi per alleggerire il peso del fisco sui lavoratori.
Sono le misure chiave della legge di stabilità , una manovra da 11,5 miliardi di euro che il governo Letta punta ad approvare in nottata in consiglio dei ministri: i conti pubblici sono infatti “in ordine”, a tal punto che — spiega il governo — il prossimo anno il deficit scenderà al 2,5% e la pressione fiscale scenderà di un punto in tre anni arrivando al 43,3%.
Il primo anno il cuneo fiscale vale 2,5 miliardi. Meno di quanto richiesto dalle parti sociali che tuonano immediatamente.
Confindustria già prima del Cdm lamenta l’assenza di “segnali forti” o se anche questi non saranno destinati a diventare oggetto di trattativa.
Subito dopo la conferenza stampa di Letta la Cgil diffonde una dura nota. “Non convince” e “manca un chiaro segnale di equità ” e “per la redistribuzione del reddito”. Ma le critiche arrivano praticamente da tutte le parti sociali: è una manovra “che allontana la ripresa”, che “non convince” e che non centra l’obiettivo dell’equità .
Il no arriva dalla Confindustria e in generale dal mondo delle imprese ma anche dalla Cgil e dalla Uil. E la stessa Cisl si rallegra, certo, per la riduzione delle tasse per i lavoratori e le imprese, ma bisogna “fare di più sul fisco”.
Per l’allentamento del patto di stabilità arriva solo un miliardo in investimenti contro i due attesi e anche sul fronte della nuova Service tax il finanziamento messo nero su bianco è solo la metà di quello previsto nelle bozze (1 miliardo anche in questo caso). Così come non convincerà tutti la scelta di non incrementare la tassazione delle rendite finanziarie che ancora nelle ultime bozze doveva salire dal 20 al 22%.
C’è un rinvio anche per un altro capitolo, quello dell’Iva.
La manovra è all’incirca di 11,5 miliardi nel 2014, 7,5 miliardi nel 2015 e 7,5 miliardi nel 2016.
Per quanto riguarda il prossimo anno sono previsti 3,5 miliardi per sgravi fiscali, 1 miliardo per gli enti territoriali, 500 milioni per pagare i debiti commerciali, 3,9 miliardi per spese inderogabili (dalle missioni ai non autosufficienti), 2,5 miliardi per nuovi progetti di spesa.
Due e mezzo sono dedicati al cuneo fiscale e qui sono comprese una riduzione dell’Irpef per le fasce medio-basse (1,5 miliardi) e una riduzione della quota lavoro dell’Irap (0,4). Tre miliardi e 700 milioni sono invece destinati a sgravi fiscali.
Saltano i tagli alla sanità , arrivano risorse dal rientro dei capitali all’estero e dalla rivalutazione delle quote di Bankitalia (ma ancora non sono quantificati) e calano (circa la metà ) le risorse destinate al taglio del cuneo fiscale
Le coperture: 3 miliardi e mezzo di tagli alla spesa
Le risorse della legge di stabilità a copertura dei nuovi interventi ammontano al momento a 8,6 miliardi di euro.
E’ quanto si legge in un documento del governo che fa parte del dossier dell’esecutivo. Si va da 3,5 miliardi di tagli alla spesa (di cui 2,5 al bilancio dello Stato e 1 alla spesa delle Regioni) ai 3,2 miliardi che derivano da dismissioni, rivalutazioni cespiti e partecipazioni e trattamento perdite (dei quali 2,2 dalla revisione del trattamento delle perdite di banche, assicurazioni e altri intermediari, 0,3 da misure riguardanti la rivalutazione delle attività delle imprese, 0,2 da misure riguardanti il riallineamento del valore delle partecipazioni, 0,5 da vendita di immobili).
E ancora tagli da 1,9 miliardi derivano da interventi fiscali, 0,9 dall’incremento dell’aliquota del bollo sulle attività finanziarie, 0,46 dal visto di conformità per le compensazioni sulle imposte dirette, 0,5 dalla riduzione delle spese fiscali attraverso interventi selettivi sulle agevolazioni fiscali da definire entro gennaio 2014.
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Ottobre 15th, 2013 Riccardo Fucile
I PRIMI CALCOLI SIA DELLA UIL CHE DELLA CGIA DI MESTRE: SI PAGHERA’ CIRCA 80 EURO IN PIU’ RISPETTO AL 2013 E CIRCA 80 EURO IN MENO RISPETTO AL 2012
La Trise, la nuova imposta che unificherà Imu e Tares, dovrebbe costare alle famiglie in media sulla prima casa 366 euro.
I calcoli, in attesa che il testo definitivo della legge di stabilità venga licenziato dal Consiglio dei ministri, li ha fatti la Uil, utilizzando come riferimento un nucleo familiare di 4 persone su un appartamento di 100 metri quadrati.
Un aggravio superiore ai 281 pagati nel 2013, ma inferiore comunque ai 450 spesi nel 2012. Quando però, a differenza dell’anno in corso, l’imposta veniva pagata anche sulla prima casa.
Nel 2012 si pagò in media 225 euro per l’Imu e 225 per la Tarsu/Tia (450 complessivi) mentre nel 2013 si pagarono 257 euro per la Tares parte rifiuti e 24 per la Tares addizionale parte servizi (l’Imu per la prima casa è stata cancellata) per 281 euro in media.
Nel 2014 si dovrebbero pagare 257 euro per la Trise parte rifiuti (Tari) e 109 per la Trise parte servizi (Tasi) per un totale di 366 euro.
Le prime simulazioni del sindacato mostrano anche le prime differenze tra i diversi capoluoghi.
Il picco si avrebbe a Bologna (269 euro), a Milano so arriverebbe a 250 euro mentre a Roma a 198.
I calcoli della Cgia.
Stime simili arrivano anche dalla Cgia di Mestre, secondo sui un proprietario di prima casa subirebbe un aggravio di imposta rispetto al 2013, ma pagherebbe di meno rispetto al 2012.
Su una abitazione di tipo civile (categoria A2) – spiega la Cgia -, con una superficie di 114 metri quadrati (valore medio nazionale) e una rendita catastale di 625 euro, nel 2014 il proprietario dovrebbe versare 369 euro (264 euro di rifiuti più 105 euro di Tasi).71 euro in più rispetto al 2013, ma 147 euro in meno di quanto pagato nel 2012.
Se si tiene conto anche della composizione familiare, il beneficio rispetto al 2012 diminuisce al crescere del numero dei figli, in quanto l’Imu prevedeva una detrazione di 50 euro per ogni figlio residente.
(da “L’Huffington Post“)
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Ottobre 15th, 2013 Riccardo Fucile
SUL PODIO EMILIANO, DORIA E PISAPIA
Se nella lotta per la segreteria del Pd non pare avere avversari, nella classifica sui i sindaci più apprezzati
Matteo Renzi deve cedere il passo: non è lui il più apprezzato.
Superato non da uno ma bensì a tre colleghi. Nell’ordine Michele Emiliano, sindaco di Bari città da cui è partita la campagna elettorale dell’ex rottamatore, Marco Doria (Genova) Giuliano Pisapia (Milano).
L’indagine, trimestrale, è stata effettuata da Monitorcittà aree metropolitane dell’istituto di ricerca Datamedia, diretto da Natascia Turato.
È stato monitorato il livello di soddisfazione dei cittadini sull’operato dei sindaci, nel terzo trimestre del 2013.
E dunque in testa con il 59,2% c’è il sindaco di Bari Michele Emiliano, seguito in seconda posizione da Marco Doria con il 58,6% e da Giuliano Pisapia con il 58,5%.
Medaglia di legno, come detto, per Matteo Renzi comunque in crescita rispetto alla rilevazione precedente (più 0,7).
In discesa dello 0,7% invece Piero Fassino, sindaco di Torino, che si trova in quinta posizione. Il neosindaco di Roma, Ignazio Marino, fa il suo debutto in classifica in sesta posizione con il 53,6%.
Recupera uno 0,3% invece il sindaco di Bologna, Virginio Merola (53%), che si attesta in settima posizione.
Ottavo Giorgio Orsoni, primo cittadino di Venezia, in lieve flessione (-0,2%) che fa registrare il 52,8%.
Chiude la classifica De Magistris, che crolla nei consensi e perde il 3,7%.
Ultima curiosità . I 9 sindaci presenti in classifica sono 8 di centrosinistra e uno ex idv ora movimento arancione (De Magistris).
Degli 8 di centrosinistra 6 sono del Pd e 2 di Sel.
(da “Huffington Post“)
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Ottobre 15th, 2013 Riccardo Fucile
SE I POLITICI SONO QUELLO CHE SONO, E’ PERCHE’ NOI FACCIAMO BEN POCO PER CAMBIARLI
E’ un po’ che non scrivo, è vero. La ragione più importante è che scrivere di politica, economia e società , come è mia abitudine, mi sembra sempre meno utile.
O forse sarebbe meglio dire: è sempre stato abbastanza inutile, ma ora tale inutilità mi è ancor più chiara di prima.
Da dove viene questo sentimento?
Fondamentalmente da una constatazione: da vent’anni, in questo Paese «non muove foglia». Tutto è immobile e congelato.
O forse sarebbe meglio dire: tutto cambia, ma gattopardescamente.
Cambiano i governi, cambiano le mode, cambiano i palinsesti della tv, ma tutto avviene in modo che nulla di essenziale cambi davvero.
Siamo il Paese più conservatore del mondo, o perlomeno così appaiamo ai miei occhi.
Anche la crisi, ormai entrata nel settimo anno, pare non averci insegnato nulla.
La gente aspetta, come sotto un bombardamento, che passi la buriana. La classe politica si trastulla nella speranza di «agganciare la ripresa».
Il governo e i suoi ministri, da cui ci aspetteremmo parole chiare e decisioni coraggiose, si muovono come se fossero impegnati in una caccia al tesoro: «cerchiamo le coperture», «individueremo le risorse», «troveremo i soldi».
Mai una vera scelta. Mai un discorso non retorico al Paese.
Parole, parole, parole, direbbe Mina.
Ecco perchè non mi viene di scrivere l’ennesimo articolo. La sensazione è che scrivere non sia nient’altro che dar credito al nulla.
Prendere sul serio l’eterna ammuina della politica e della società italiane.
Prendiamo il «dibattito» interno al Pdl. Che cosa c’è di nuovo? C’è una sola idea che non sia l’ennesima rifrittura delle formule vuote con cui ci hanno bombardato negli ultimi anni?
Eppure, come molto giustamente ha notato Franco Bruni qualche tempo fa su questo giornale, il vero problema dell’Italia, quello che rende pericolose eventuali elezioni anticipate, è che non si vede all’orizzonte nessuna nuova offerta politica, nessuna volontà di prendere congedo da quella che potremmo chiamare la «colonna sonora» della seconda Repubblica: un impasto di slogan, di formule, di siparietti e di riti che hanno completamente congelato il Paese.
Si potrebbe pensare, e sperare, che qualcosa di nuovo possa venir fuori dalle convulsioni del berlusconismo e dall’assalto di Renzi all’establishment di sinistra.
Ma è prudente dubitarne, a giudicare dai segnali di queste settimane.
Su entrambi i versanti dello schieramento politico l’attenzione si concentra, come limatura di ferro attirata da una calamita, sulle questioni che creano identificazione, dibattito, indignazione, visibilità sui media: legge elettorale, immigrazione, carceri, diritti dei gay e delle donne.
E rifugge invece dai nodi di politica economica e sociale, assai meno interessanti sul piano emotivo, ma molto più influenti sul futuro del Paese.
Anche le grandi questioni di civiltà sono assai più difficili da affrontare in un Paese che, anno dopo anno, diventa sempre più povero.
Senza tornare a crescere e a produrre ricchezza non avremo mai le risorse per affrontare i gravissimi problemi sociali dell’Italia: disoccupazione, sottoccupazione, povertà , illegalità diffusa, ignoranza (vedi gli ultimi dati Ocse, pubblicati pochi giorni fa).
Su tutto questo destra e sinistra sono sostanzialmente mute.
Non perchè non abbiano le loro ricette, ma perchè sono le ricette di sempre, che nè l’una nè l’altra sono state in grado di applicare con successo nè nelle loro legislature lunghe (1996-2001 e 2001-2006), nè nelle loro legislature corte (1994-1996 e 2006-2008).
La sinistra non sa come combattere l’evasione fiscale senza soffocare l’economia. La destra non sa come abbassare le tasse senza fare nuovo deficit pubblico.
Entrambe parlano di lotta agli sprechi ma, ogni volta che i sindacati chiedono risorse per stabilizzare i precari, retribuire gli esodati, o prolungare la cassa integrazione, non trovano il coraggio di dire l’unica cosa che si dovrebbe dire in questi casi: «cari sindacati, i miliardi di cui avete bisogno cerchiamoli insieme nell’immensa giungla degli sprechi, visto che sul fatto che gli sprechi ci siano sembriamo tutti d’accordo».
E invece no.
I politici di destra si guardano bene dall’attaccare le pensioni d’oro o dal denunciare le sanatorie in campo edilizio.
Ma Renzi non dice una parola sulle false pensioni di invalidità o sui finti poveri che non pagano il ticket, e ha molta cura di non farsi vedere in giro con Pietro Ichino (che pure aveva contribuito al suo programma).
E tutti, indistintamente, tacciono quando — come è successo giusto un mese fa — un governo locale (Napoli) concede le case agli occupanti abusivi, spesso entrati con l’aiuto violento della camorra, sottraendole a chi ne avrebbe diritto: un fatto prontamente denunciato da Antonio Polito sul «Corriere della Sera», ma ignorato dalla stragrande maggioranza dei politici, sempre pronti a dichiarare su tutto e su tutti, ma del tutto refrattari a parlare dei temi che scottano.
Ecco perchè dico che questo è un Paese immobile, come congelato.
Un grande freddo sembra avvolgere tutto e tutti. Nemmeno lontano dalle elezioni si ha il coraggio di parlare delle cose da cui dipende il nostro futuro, e in fondo anche l’opinione pubblica si diverte ad assistere ai combattimenti di galli che, ogni sera, ci offrono i vari Floris, Santoro e Vespa.
Questa, in fondo, è l’unica vera attenuante dei nostri politici: se sono quello che sono è anche perchè noi facciamo ben poco per cambiarli.
E così, rieccomi a scrivere. Ad aggiungere, anch’io, parole. Forse perchè la speranza è l’ultima a morire.
O forse perchè anch’io, come tutti, non sono capace di cambiare.
Luca Ricolfi
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Ottobre 15th, 2013 Riccardo Fucile
“SE VOTERANNO LA DECADENZA SARA’ CRISI DI GOVERNO”… “VOGLIO VEDERE SE ALFANO SI ACCODERA’ AI MIEI CARNEFICI”
Proprio il voto sulla sua cacciata dal Palazzo potrebbe diventare un mega spot della sua battaglia da
extraparlamentare contro il resto del mondo.
Non è un caso che, a questo punto, non considera dannoso il voto palese. Anzi — ha confidato ai suoi — quasi quasi lo preferisce. Perchè a questo punto è chiaro che non si salverà nel segreto dell’urna. Tanto vale, a pallottoliere invariato, che si crei un contesto buono per recitare il grande spartito della vittima.
È con rabbia fredda che il Cavaliere lo ha confidato ai big del partito che lo hanno raggiunto ad Arcore. Stavolta, ha giurato, si fa sul serio.
Non è solo uno sfogo, come accaduto nelle ultime settimane. L’umore è tornato plumbeo.
Nè il passare dei giorni aiuta a rasserenarlo. La sindrome dell’assedio diventa asfissiante col passare dei giorni. Berlusconi si sente umiliato.
Vive ogni dossier che si discute come uno schiaffo ad personam. L’amnistia che “riguarda tutti ma non me”. Il Pd che si muove come un “plotone di esecuzione”. Il capo dello Stato che “non ha mosso un dito”. Il governo Letta, bollato come “inutile”. Proprio di fronte alla legge di stabilità Berlusconi ha deciso di tornare allo schema belligerante e di non frenare la sue pulsioni distruttive sul governo: “Questa legge è devastante per il nostro popolo. Noi non possiamo essere quelli che aumentano le tasse”.
Ecco l’intenzione di aprire la crisi. E c’è un motivo se il timing è posizionato sul voto a palazzo Madama.
È un calcolo che ha a che fare con i “traditori” del Pdl, quelli da Alfano in giù che lo hanno costretto a una marcia indietro meno di due settimane fa: “Voglio vedere — ha ripetuto Berlusconi — se si accodano ai miei carnefici o se mi seguono”.
La mossa è metterli di fronte a un estremo atto di fedeltà . Altrimenti a loro sarà riservato quello che nell’inner circle chiamano il “trattamento Fini”.
Verdini ha già ripreso in mano il pallottoliere convinto che la fronda non sarà come nell’ultimo voto di fiducia.
Sia come sia, è il ragionamento, meglio all’opposizione che al governo con i “carnefici”. Berlusconi crede che di fronte alla sua cacciata “Angelino non tradirà ”. Conosce fin troppo bene i metodi della casa per fare atti eroici.
E poi non è un cuor di leone.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 15th, 2013 Riccardo Fucile
“CI CHIAMANO PER FARE BENEFICIENZA, MA DOVREBBERO FARLA A ME”
Servizio di “Quinta Colonna”, su Rete4, sugli “stenti” e sulla “crisi” in casa Ripa di Meana. “Anche per noi la vita è cambiata con la crisi” — afferma Marina Ripa di Meana — “ma da buoni Italiani, abbiamo un notevole spirito di adattamento. Non ci spariamo in fronte, eh. Non siamo di quelli che piangono tutto il giorno e dicono: “Oddio, la crisi”. Però ci rendiamo conto che c’è”.
E snocciola disagi e privazioni a cui ha dovuto cedere insieme al marito, Carlo: “In questa casa prima avevamo tre utenze telefoniche, ora ne abbiamo una. Avevamo due macchine, di cui una importante, una Mercedes. Ora abbiamo una piccola Panda e un motorino. I viaggi vengono molto contenuti, idem le vacanze”.
E’ Carlo Ripa di Meana a precisare la condizione economica attuale della coppia: “Per due legislature sono stato deputato europeo e percepisco una sola pensione da europarlamentare, 2.800 euro al mese. Per la seconda non versai i contributi. Ho anche un’altra pensione come commissario europeo” — continua — “di cui usufruisco, e che considero la fonte migliore del mio reddito di pensionato: circa 6mila euro al mese. La pensione europea, a differenza di quella di un parlamentare italiano, è esentasse”.
Ma non è finita.
L’ex portavoce dei Verdi riceve anche un’altra pensione di 600-700 euro per i suoi anni iniziali di attività politica. E altre due pensioni come consigliere regionale: circa 2mila euro al mese.
“In tutto percepisco 12mila euro al mese”, rivela Carlo Ripa di Meana.
“Carlo ha 85 anni e vive di queste pensioni” — ci tiene a puntualizzare Marina — “Chi ha lavorato tanto nella vita, come ha fatto lui, e ha lavorato per gli Italiani e per l’Europa, giustamente deve avere anche delle pensioni adeguate”.
E aggiunge: “Io prendo meno di 1000 euro al mese, pur essendomi occupata per quasi 35 anni di moda. Ecco perchè insisto sempre sul fatto che la televisione mi debba pagare quando vengo ospitata. Poi mi telefonano continuamente e mi dicono di fare beneficenza. Non si può fà beneficenza, la devono fare a me! Confesso che in certi casi mi preoccupo anche del mio avvenire”
Gisella Ruccia
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 15th, 2013 Riccardo Fucile
PROPRIO GRILLO, CHE DI STIPENDI MILIONARI SE NE INTENDE, ATTACCA FAZIO E FA LA MARCHETTA PER I SUOI COMPAGNI DI MERENDA DEL PDL… NON SA NEANCHE CHE MEDIASET NON E’ PIU’AZIONISTA IN ENDEMOL E RIMEDIA LA SOLITA FIGURA BARBINA: IL PROGRAMMA DI FAZIO RENDE ALLA RAI, AL NETTO DELLE SPESE, OTTO MILIONI DI EURO
Dio li fa e poi li accoppia: domenica sera a ‘Che tempo che fa’ il capogruppo del Pdl alla Camera, Renato
Brunetta, aveva attaccato il conduttore del programma, Fabio Fazio, accusandolo di percepire dalla Rai 5,4 milioni di euro (lordi) in tre anni.
Fazio aveva ribattuto che il suo programma è uno dei pochi in Rai dove i costi totali sono interamente coperti dagli sponsor pubblicitari, grazie agli elevati indici di ascolto.
La polemica si sposta, nelle ore successive, sui compensi elevati che vengono riconosciuti dalla Rai a diversi artisti o conduttori.
Grillo (che di cachet televisivi se ne intende, visto i suoi anni trascorsi sugli schermi Rai) pensa bene di dare una mano ai suoi compagni di merenda del Pdl e parte a testa bassa contro Fazio definendolo “stuoino del Pd”, il che detto dallo zerbino del Pdl fa almeno sorridere.
Il programma ‘Che tempo fa’, scrive Grillo sul suo blog, “è prodotto da Endemol di proprietà al 33% di Mediaset“. Cioè, “la Rai compra il suo programma da Berlusconi invece di produrlo internamente”.
Quando Fazio afferma ‘Io faccio guadagnare la mia azienda’ — si chiede Grillo — “a chi si riferisce? A Endemol?”.
“Gubitosi e la Tarantola dove trovano i soldi da dare a Fazio? Come giustificano un contratto che è un insulto alla condizione del Paese e ai lavoratori della Rai?”
Fino alla minaccia finale: “Verremo a cantare a Sanremo”. La replica del conduttore arriva sarcastica via twitter: “Se hai due pezzi belli ti prendiamo!”.
Ma come stanno davvero le cose? Diamo per scontato che Fazio percepisca 5,4 milioni di euro in tre anni, ovvero 1,8 milioni l’anno pari a 900.000 euro netti (li guadagna un giocatore di serie A di fascia media).
Il problema è un altro: i ricavi del suo programma coprono le spese totali o sono un flop come “Virus” di Nicola Porro, spostato dopo alcune puntate non proprio seguitissime?
La puntata con l’intervista di Brunetta è stata seguita da 1.955.000 telespettatori, per uno share dell’8,24%, nella presentazione, e da 2.974.000 di persone durante tutto il programma (11,22%).
La prima puntata del programma “Che tempo che fa”, (quella con l’intervista con Enrico Letta) è stata seguita da 3.478.000 spettatori, con il 13,2% di share.
Non come i risultati da prefisso di altre trasmissioni.
Nella tabella che pubblichiamo si evince che uno spot di 30 secondi durante la trasmissione di Fazio costa da 62.000 a 72.000 euro, moltiplicate la cifra per il numero di spot di una sola puntata e già vi farete un’idea.
Ecco cosa scriveva tempo fa il “comunicatore” Cinquestelle Claudio Messora: “Trenta secondi di pubblicità all’interno di “Che Tempo Che Fa” valgono dai 62 mila ai 72 mila euro, soldi spesi volentieri dagli sponsor che riescono a raggiungere anche il 22,7% di share”.
Ma Grillo non è capace nemmeno a chiedere in casa, prima di sproloquiare.
E non chiede neanche ai suoi amici pidiellini che già come Bechis avevano preso una facciata sui costi di Fazio. Franco Bechis su Libero, incappò in errore sui numeri di “Che tempo che fa”, interpretando male quanto dichiarato da Loris Mazzetti.
Quest’ultimo non disse che “Che tempo che fa” spendeva undici milioni di euro e ne ricavava otto — come capì Bechis — bensì che ne guadagnava otto.
Ovvero che, coperti i costi, Che tempo che fa guadagnava otto milioni. In pratica, ne ricavava (11+8) diciannove.
In pratica, al netto dei costi totali (produzione e stipendi) pari a 11 milioni, la Rai, grazie a Fazio, guadagna 8 milioni l’anno con “Che tempo che fa”.
Ultima chicca, Grillo oggi ha sostenuto che il programma di Fazio “è prodotto da Endemol di proprietà al 33% di Mediaset e che la Rai compra il suo programma da Berlusconi”.
Poveretto, neanche il tempo di spararla grossa che arriva la gelida replica di Endemol: “Mediaset non fa più parte del nostro azionariato da tempo”.
Ormai Grillo non fa più neanche ridere…
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Ottobre 15th, 2013 Riccardo Fucile
CAMERA E SENATO NON RISPONDONO SULLE INTERCETTAZIONI, IL GIP STRALCIA
Sono passati tre anni e tre mesi dagli arresti dell’inchiesta P3 e sei mesi dalla richiesta del giudice di Roma al Parlamento di utilizzare le telefonate dei tre parlamentari indagati: Denis Verdini, tuttora senatore Pdl, Marcello Dell’Utri — ex senatore — e Nicola Cosentino, ex deputato Pdl.
Il clima delle grandi intese non favorisce la celerità del procedimento.
Così le telefonate di altri indagati che parlavano con i parlamentari (53 volte con Verdini e 70 con Dell’Utri) non possono essere usate in giudizio contro di loro.
Dopo avere atteso mesi senza che le due giunte per le autorizzazioni di Camera e Senato si degnassero di dare il loro parere, il Giudice per l’udienza preliminare, Elvira Tamburelli, ieri ha stralciato la posizione dei tre imputati illustri è ha disposto per loro il rinvio dell’udienza al 3 dicembre.
La legge non prevede un termine per il Parlamento.
Teoricamente la Camera e il Senato possono far prescrivere i reati (i fatti sono del 2009) non decidendo nulla.
Non si esclude una riunione del procedimento dei politici con quello dei comuni mortali, se il Parlamento deciderà entro un mese.
Altrimenti i tre politici finiranno il loro giudizio su un binario più lento.
Intanto, per gli altri 17 imputati ‘comuni’ il processo proseguirà comunque.
Il prossimo 17 ottobre il pm Mario Palazzi dovrà ribadire la richiesta di rinvio a giudizio. La speranza del giudice Tamburelli è che nel frattempo le Camere si diano una smossa.
Anche la magistratura non ha brillato in celerità : solo a gennaio del 2012 è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio e la richiesta di autorizzazione per le telefonate è stata inviata il 12 aprile del 2013. Poi la Camera ci ha messo del suo.
Per giustificare il ritardo nella decisione su Denis Verdini, il presidente della giunta per le autorizzazioni della Camera, Ignazio La Russa, paventa una sorta di autoconflitto di attribuzione.
Verdini era un deputato all’epoca dei fatti mentre oggi è un senatore. Quale giunta deve giudicarlo?
Da buon avvocato e da buon ex collega di partito di Verdini, Ignazio La Russa si appella al rischio di un’interpretazione difforme: “Se per esempio la Camera — spiega — dicesse no e il Senato dicesse sì, chi potrebbe stabilire qual è la decisione dell’organo competente? Si può sollevare il conflitto di attribuzione tra Parlamento e governo ma non tra due rami dello stesso potere. E dunque — prosegue La Russa — bisogna giungere a una scelta condivisa. Io ho proposto una riunione congiunta delle due giunte ma non c’è stata unanimità dei colleghi del Senato”.
Per Dell’Utri e Cosentino, teoricamente, le cose dovrebbero essere semplici.
Il destino del primo sarà deciso dal Senato, dove militava, mentre su Cosentino anche La Russa non ha dubbi: “Certamente siamo competenti noi alla Camera”.
Il 3 dicembre si terrà l’udienza fissata dal Giudice.
Per quella data Camera e Senato saranno riusciti a pronunciarsi?
“Penso proprio di sì. Alla prima seduta utile — promette La Russa — metterò all’ordine del giorno la richiesta di Cosentino”. Poi, in caso di decisione favorevole, la parola passerà all’aula.
La sensazione è quella di una melina in favore di Verdini e soci.
Nell’ultima seduta della Giunta, il 9 ottobre scorso, Giulia Grillo del Movimento 5 Stelle ha fatto notare “è la quarta volta che trattiamo questo argomento ripetendo cose già dette. Questo è un comportamento poco serio”.
Più prudente l’atteggiamento del Pd che con Anna Rossomando si affida all’intervento della presidenza della Camera Boldrini, per favorire un coordinamento con il Senato.
Alla fine anche Dalila Nesci del Movimento 5 Stelle accetta di dare mandato al presidente La Russa di confrontarsi con il Senato purchè “la trattazione del caso non sia rinviato oltre la prossima settimana”.
Come sembra lontano il 2010.
Per settimane allora le prime pagine furono occupate dalle gesta dell’associazione segreta che voleva “condizionare il funzionamento degli organi costituzionali e di rilevanza costituzionale”.
Le accuse andavano dall’influenza sulla Corte costituzionale per la decisione sul Lodo Alfano che interessava Berlusconi, all’avvicinamento della Cassazione per l’annullamento dell’arresto di Nicola Cosentino.
Dall’aggancio della Corte di appello di Milano per evitare l’annullamento delle elezioni vincenti di Roberto Formigoni in Lombardia fino al contrasto del candidato del Pdl, avversario di Cosentino e Ernesto Sica, nella corsa per la presidenza della Campania: Stefano Caldoro.
Dall’ottenimento di finanziamenti ai politici in cambio di sponsorizzazioni ai progetti delle centrali eoliche in Sardegna all’intervento sul CSM per la nomina dei capi degli uffici giudiziari più importanti.
Per tutte queste vicende molto importanti per il Pdl e per i suoi vertici rischiano di pagare solo personaggi di piccolo calibro come Pasquale Lombardi o Flavio Carboni che certo non avevano interessi propri nel Lodo Alfano.
Eppure oggi nessuno ricorda più nulla.
Nemmeno che il vicepresidente della Giunta del Senato è stato indagato e poi archiviato dagli stessi pm romani in quel procedimento.
Aveva partecipato a una riunione del 23 settembre 2009 a casa di Denis Verdini alla presenza di Marcello Dell’Utri.
Oggi dovrà decidere, anche sulle loro intercettazioni
Marco Lillo e Valeria Pacelli
(da “il Fatto Quotidiano”)
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