Ottobre 20th, 2013 Riccardo Fucile
ADDIO SCELTA CIVICA, L’EX PREMIER SPARA A ZERO SUL GOVERNO, SUL RAPPORTO CON BERLUSCONI E SUGLI EX CASINI E MAURO
A metà settimana ha detto addio al partito da lui stesso creato, ora ne spiega i motivi. 
E non risparmia critiche velenose ai suoi ex alleati di Scelta Civica e di governo.
Mario Monti non le manda a dire e, ospite a In mezz’ora di Lucia Annunziata, attacca duramente Letta, il Pdl, Casini, Mauro e le larghe intese: “Senza un contratto di coalizione chiaro, accadrà in futuro quello che è successo per la manovra, con Letta che sull’ Imu si è inginocchiato al Pdl, con la conseguenza di una manovra non adeguata sul cuneo fiscale e facendo aumentare l’Iva”.
Non solo. La critica del professore diventa anche sfottò: “Si scrive Letta ma si legge Brunetta in politica economica soprattutto su Imu”dice l’ex premier, secondo cui è “curioso che Mauro e Casini, che stanno facendo aperture al Pdl, critichino Scelta Civica accusandola di minare la stabilità del governo”.
Poi la stoccata agli ex alleati: “Credo che lo facciano perchè vedono uno spazio elettorale più ampio da quella parte”.
Motivi elettorali, quindi, alla base del ‘tradimento’ dello spirito fondante di Scelta Civica.
E quando si parla di motivi elettorali non si può non parlare della decadenza di Silvio Berlusconi da senatore.
“Io voterò in base alla relazione che la Giunta del Senato farà pervenire in Aula, per me la votazione è sull’applicazione di una legge approvata un anno fa e che allora non fu contestata, non è un giudizio su una persona. Qui vediamo se in Italia c’è o no lo Stato di diritto” dice Monti.
Che ha molti più dubbi, invece, su ciò che faranno i suoi ex alleati sempre in tema di voto sulla decadenza: “Alcuni degli 11 mi hanno detto che voteranno per la decadenza e non vogliono fondare un gruppo con Udc“.ù
Ma Berlusconi si salverà o no?
L’ex rettore della Bocconi non esclude nulla: “Se venisse usata la grazia io non mi scandalizzerei”.
E i suoi rapporti col Pdl? “Avrei fatto volentieri con l’intera Scelta civica un movimento verso il centrodestra, verso un Pdl depurato di talune personalità e di talune prassi di comportamento, che non discuto ma che sono esattamente antitetiche ai motivi per i quali Scelta civica è nata, con il grande appoggio di Casini e di Mauro”.
Poi il senatore a vita specifica: “Non è solo Berlusconi, non voglio fare liste di nomi, non tocca a me, non sono nè falco, nè colomba, nè ovviamente grillo. Volentieri avrei fatto un accordo con il Pdl che non fosse quello di chi manda indietro il vicepresidente della Commissione europea quando viene ad occuparsi di Italia, un Pdl che non fosse populista, un Pdl che sostenesse veramente i governi che dice di sostenere”.
Il professore, poi, ritorna sulla figura del ministro Mario Mauro.
Con una battuta al vetriolo: “Invito i colleghi Casini e Mauro a usare loro regola di sostegno a governo nei confronti di coloro che il ministero della Difesa ha invitato a colazione” dice Monti, che poi ricorda come lo stesso ministro della Difesa “mi pregò di prenderlo con me a Scelta Civica”.
Lucia Annunziata, in seguito, chiede all’ex premier un commento sul pranzo a tre Alfano-Mauro-Berlusconi: “No, non lo sapevo e immagino che abbiamo trattato di questioni che riguardano il ministero della Difesa — risponde il professore — Siccome credo molto nell’autonomia del governo non ho criticato Mauro per non avermi informato di questo, gli ho solo detto fossi stato in lui non l’avrei fatto”.
Infine la stoccata a Casini: “Mi rivolgo a chi non ha votato Scelta Civica, pare siano tanti, perchè c ‘era con noi Casini. Può darsi che avessero ragione loro”.
Non poteva mandare un giudizio sul governo del suo successore Enrico Letta.
Giudizio caustico: “L’esecutivo, condizionando da Pd e Pdl, sta diventando il governo del dis-fare alcune riforme fatte nel passato”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 20th, 2013 Riccardo Fucile
LE SBERLE DI MIGRANTI E OPERAI AI BLACK BLOC
Porta Pia, le sette di sera, l’aria acre di lacrimogeni e fumogeni, il frastuono di slogan e bombe carta.
Una mamma eritrea sistema nel passeggino la bambina, un batuffolo di un anno al massimo che, nonostante tutto, sonnecchia beata, vinta da quattro ore e passa di corteo: le canta una nenia, sussurrata all’orecchio.
Accanto a lei, dieci ragazzotti del blocco nero si infilano passamontagna e magliette, e confabulano attorno a una mappa, decisi a tentare un ennesimo, inutile assalto: «Andiamo veloci, si passa da dietro», si ripetono frenetici a mezza voce
La storia della manifestazione, con le sue contraddizioni, sta tutta qui, da San Giovanni fino al monumento del Bersagliere davanti alla Breccia, passando per via Merulana e per il quadrilatero di ministeri e uffici «sensibili» a ridosso di Porta Pia: almeno sessanta passeggini, almeno un centinaio di bambini di neppure dieci anni alla mano di mamme e papà , sotto bandiere rosse dei comitati per la casa, bianche dei No Tav, arcobaleno, multicolori, striscioni di Action, Cobas e vessilli dell’antagonismo militante; e non più di duecento teppisti organizzati, i balordi camuffati dentro questa sigla che può contenere tutto e nulla, come i loro stupidi cappucci neri, i Black bloc, con le loro bombe carta, le spranghe, il fuoco ai cassonetti, i petardi e le bottiglie contro i blindati e tutto il trito repertorio del teppismo metropolitano.
Alla fine i passeggini e le mamme avranno la meglio, Porta Pia rimane in mano loro per l’acampada , la notte bianca della protesta, e questo sarà l’epilogo politico di una giornata per molti versi sorprendente, su cui bisognerà riflettere.
“Voi avete i manganelli, noi i bambini” , è del resto uno degli slogan più efficaci alla partenza e solo all’arrivo si capirà che non è rivolto esclusivamente alle forze dell’ordine.
Attorno ai bambini e agli idioti del blocco nero, si snoda una manifestazione che – nonostante i momenti di tensione, le cariche, un tafferuglio più serio davanti al ministero dell’Economia, feriti e contusi, una pattuglia di fermati che aumenta durante la notte, una bomba carta con un proiettile calibro 12 che poteva fare molto male – è, e resta, colorata, sostanzialmente pacifica, aperta alle famiglie, alle donne, ai migranti che hanno Lampedusa nel cuore, agli universitari, ai non belligeranti, a chi vuole fare sentire la propria voce su diritti dimenticati come casa, integrazione, lavoro: un popolo di non rappresentati che, per un pomeriggio, si riprende il palcoscenico d’Italia alla faccia dei signori della guerriglia.
Quanti sono? Cinquanta, settantamila? Di più? Sono buone le cifre degli organizzatori? Chissà .
Dare numeri è difficile partendo da una piazza come San Giovanni, storica quinta delle manifestazioni comuniste dei tempi di Berlinguer e Lama, con un milione di militanti allora facilmente raccolti sotto le bandiere del Pci.
E tuttavia, la piazza è in buona parte colma, e la gente continua ad affluire fino alle tre del pomeriggio da via Carlo Felice, cinquanta pullman arrivano quando il corteo è già partito, perchè carabinieri e polizia usano il buonsenso e rallentano ai caselli dell’autostrada le teste più calde.
La saggezza delle nostre forze dell’ordine è, va detto subito, forse l’elemento decisivo della giornata: una giornata che molti temevano fosse la ripetizione del 15 ottobre di due anni fa, pomeriggio nero di paura per Roma.
«I compagni del 15 ottobre sono ancora incarcerati, ma sono qui con noi», scandiscono i leader del corteo dal camion blu che apre le fila e su cui è alloggiata una vera cabina di regia, che lancia parole d’ordine e fa controinformazione: «Non siamo quella banda di violenti che i giornali raccontano, scendete a protestare con noi!», strillano dunque dal Tir agli abitanti di San Giovanni e via Merulana, di Santa Maria Maggiore e di via Cavour, affacciati alle finestre. Ma in verità il 15 ottobre è lontano, al netto delle celebrazioni.
E la scommessa della non violenza è, appunto, il secondo dato che incardina il pomeriggio
Per la prima volta, il corteo ha un servizio d’ordine che funziona.
In via XX Settembre uno dei teppisti dell’assalto al ministero viene preso a sberle, in viale del Policlinico la scena si ripete: sono migranti, senza casa, operai, disoccupati, che si tengono per mano sotto il camion dell’organizzazione e tamponano i flussi del blocco nero.
In via Napoleone III, sede di Casa Pound, il faccia a faccia con una trentina di fascisti disposti a testuggine potrebbe far deragliare il corteo al grido di camerata basco nero/ il tuo posto è al cimitero, se il servizio d’ordine non lo impedisse a spinte e strilli. Attorno a Porta Pia, il servizio d’ordine non basta più e il blocco nero si manifesta infine, spaccando in due i manifestanti e fronteggiando i blindati: in via Boncompagni, con l’assalto all’Unicredit; in via Goito e via Cernaia; in via Sella bruciando cassonetti; in via San Martino della Battaglia, contro l’ambasciata tedesca; in via XX Settembre, dove l’attacco ai Finanzieri è violento, continuo, fino alla carica di reazione delle Fiamme gialle; in viale del Policlinico, dove due bombe carta colpiscono una camionetta dei carabinieri e un militare reagisce sparando due candelotti davanti alla folla.
Frammenti di tensione, cariche di alleggerimento, spicchi d’umanità tra i cordoni.
Un tunisino prega in ginocchio prima dell’attacco di via XX Settembre.
Un Black bloc si sfila dal gruppo per chiedere a una fotografa di non riprenderlo, «sa, signora, alcuni di noi non sono mascherati e potrebbero avere grane: può evitarlo?», dice gentile; «non me ne frega un c…», risponde lei e continua a scattare, lui abbozza. Il mito nero dei Black bloc s’incrina in fretta.
Nuova icona dei manifestanti è l’antagonista in sedia a rotelle che spruzza spray contro i blindati della Finanza.
Nuove vincitrici sono le mamme coi passeggini, che restano a sera nella tendopoli improvvisata a Porta Pia, col Bersagliere avvolto in un vessillo No Tav e la musica dei Velvet Underground.
Il sindaco Marino ha scelto il giorno giusto per andarsene in visita a Cracovia. L’assenza è del resto riempita dal capo della sua segreteria, Enzo Foschi, che consegna a Facebook il seguente pensiero: «I veri Black bloc sono tutti quei giornalisti infiltrati nel corteo… delusi dal fatto che non scorra il sangue».
Nella sera che scende pacifica sulla capitale, non tutte le menti confuse sono protette da passamontagna.
Goffredo Buccini
(da “il Corriere dela Sera”)
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Ottobre 20th, 2013 Riccardo Fucile
IN MIGLIAIA AL CORTEO PER MANIFESTARE PACIFICAMENTE INVOCANDO DIRITTI E ISOLANDO I VIOLENTI
C’è una moltitudine di individui, storie, bisogni e richieste nel corteo del 19 ottobre. Nei giorni che
hanno preceduto la manifestazione, le ragioni della protesta sono rimaste nascoste, cancellate dall’attesa morbosa degli scontri e dei problemi di ordine pubblico.
Nei giorni che la seguiranno, molte di queste richieste sono destinate a rimanere ancora inascoltate, cancellate dagli scoppi delle bombe carta e dalle immagini delle cariche.
Questi bisogni, secondo le voci del corteo, sono lontani anni luce dalla sensibilità della politica e dei sindacati.
In piazza, a San Giovanni, si sono incontrate diverse migliaia di persone, quasi tutte per manifestare senza violenze.
C’erano i movimenti per la casa, le famiglie sfrattate e quelle che hanno occupato un’abitazione. Con loro hanno marciato centinaia di migranti, chiedendo dignità e diritti, dopo le manifestazioni di cordoglio pubblico che seguono ciclicamente le stragi di Lampedusa.
C’erano No Tav, studenti, cassintegrati e disoccupati.
Queste sono alcune delle loro storie raccolte durante il corteo.
RETE PER L’ABITARE
“Avere un tetto sopra la testa è un principio irrinunciabile”.
Siamo qui tutti insieme: tutte le sigle dei movimenti contro lo sfratto si sono unite e mescolate in un lungo corteo che attraversa Roma. Ci sono le bandiere rosse di Stop sfratti e sgomberi, gli attivisti di Action, le famiglie italiane e straniere delle case occupate di Anagnina, Torre-spaccata, Tiburtina e di tanti altri quartieri di Roma e città d’Italia. Tutti insieme per affermare che la casa è un diritto. Siamo almeno 70 mila, è bellissimo. Il terrorismo mediatico che è stato montato attorno a questa manifestazione non è servito a nulla. È troppa la voglia di scendere in piazza e riconquistare quello che ci è stato tolto dalle politiche di austerità . Ci sono tante identità , tanti movimenti sociali, tante persone che si sono messe insieme senza bisogno di sigle sindacali o politiche. Vogliamo riprendere per il collo il nostro presente e il nostro futuro
NO TAV
“Siamo contari alla violenza, però si parla di noi solo se c’è l’incidente”.
Vengo da Venaus e manifesto per difendere la mia terra, ma le altre lotte di questo corteo hanno tutte la stessa matrice: siamo in piazza contro lo spreco delle risorse dello Stato e la sofferenza sociale che ne deriva.
Se l’alta velocità fosse un’opera utile, saremmo disposti ad ascoltare gli argomenti di chi vuole realizzarla. Ma la cosa ridicola e assurda è che tutti i danni ambientali ed economici sono nel nome di un’opera totalmente inutile.
Siamo contrari alla violenza contro le persone, ma purtroppo abbiamo notato che una manifestazione pacifica di 40 mila persone pacifica viene liquidata con un silenzio assordante. Appena capita un incidente, invece, si accendono i riflettori sul movimento. Sarebbe sufficiente, in Val di Susa, che il ministro dei Trasporti venisse a spiegarci perchè il Tav è tanto importante. Se esistessero argomenti seri, e avessero l’onestà di comunicarli alla popolazione, il giorno dopo a manifestare non ci sarebbe più nessuno, tranne quelli che vogliono davvero solo fare casino. Ma il Tav non serve, e la gente non è stupida.
LO STRANIERO
“Qui dal 2003, dormo ancora per strada”
Vengo dall’Eritrea. In questo corteo siamo tantissimi del mio Paese. Ci sono anche ragazzi sudanesi e senegalesi. Tutti senza casa. Siamo una comunità . Molti di noi vivono e dormono insieme. Ovunque: alla stazione, sui marciapiede, negli angoli di strada. Io sono arrivato nel 2003. Sono passato per la Libia. Ho fatto tappa a Lampedusa. Ai tempi per fortuna non c’erano quelle carceri che chiamate Cie.
Il lavoro? Niente, zero, non si trova nulla. Vorrei lasciare l’Italia, e come me tanti altri. Ma non è possibile: siamo identificati, avete le nostre impronte.
Il documento che ci è stato rilasciato non è valido per uscire da questo Paese. Tornare a casa? Non avete la più pallida idea di cosa significhi vivere in Eritrea. E tornarci da sconfitti.
IL DISOCCUPATO
“L’unica possibilità è scappare dall’Italia”
Vivo qui a Roma. Con me ci sono due amici siciliani, venuti apposta per il corteo. Siamo tutti e tre disoccupati. Io ho fatto il liceo scientifico, ora studio musica. Ma ad aprile scappo via da questo Paese.
Vorrei lavorare con la mia passione, fare il musicista , ma in Italia non è possibile. Ed è difficilissimo anche trovare altri sbocchi.
Vivo nella depressione più totale. Non posso pianificare nulla. Una casa, una famiglia: sono un sogno irrealizzabile. Questo corteo è fatto di persone e bisogni diversi, ma è tenuto insieme dalla precarietà , dall’incapacità comune a tutti di riuscire a vedere un futuro. Sul mio cartello c’è scritto: “Sono venuto già menato”. È un modo per sdrammatizzare: gli scontri non servono a niente. La violenza è inutile. Sempre.
IL DIPENDENTE PUBBLICO
“Al Sud la Repubblica non è fondata sul lavoro
Sono autista d’ambulanza a San Severo, in provincia di Foggia. Attorno a me il lavoro scompare.
Protestiamo contro i tagli alla sanità e tutto il pubblico impiego: in primis scuola e trasporti. Il nostro territorio assiste allo scempio quotidiano dello Stato. Da un lato c’è la corruzione, diffusa praticamente in ogni ufficio pubblico, dal-l’altro ci sono le privatizzazioni selvagge. Ci stanno togliendo l’ossigeno, un po’ alla volta. Le conseguenze sono evidenti, drammatiche. Tagliano le risorse e bloccano il turnover. Diminuiscono i dipendenti pubblici. Lo Stato scompare e mancano i servizi. Chi non ha risorse non si può rivolgere al privato, deve rinunciare a curarsi. È una situazione insostenibile, questa piazza chiede di cambiare direzione alle politiche che stanno spolpando la nostra comunità .
Tommaso Rodano
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 20th, 2013 Riccardo Fucile
LA “FIDANZATA” HA BLINDATO PALAZZO GRAZIOLI CACCIANDO EX MINISTRI, FIDATI CONSIGLIERI, POLITICI E SERVITÙ… TANTO CHE ADESSO LA CHIAMANO “EVITA”
Francesca Pascale detta “Evita”. Il paragone è ardito e arduo, ma è questo il nomignolo appiccicato da amici e nemici alla nuova first lady di palazzo Grazioli.
Il movimento del duduismo, da Dudù il caro barboncino di pelo candido, è incarnato da questa meno che trentenne napoletana di Fuorigrotta, quartiere popolare, di umili origini come la leggendaria Evita Perà³n. Appunto.
A differenza di Veronica, la prima moglie, la Pascale in questi mesi ha costruito il suo potere a corte e messo su il suo clan o cerchio magico.
Una rivoluzione che ha sconquassato gli antichi equilibri.
Con l’aiuto della corregionale Maria Rosaria Rossi, senatrice-assistente di B. e che oggi è senatrice-assistente di entrambi, B. e “Francesca”, la nuova “Evita” avrebbe intrappolato l’anziano convivente in una ragnatela di noia e pantofole, stilando liste di buoni e cattivi e chiudendo finanche i rubinetti di danaro del Leader Condannato.
Di qui, forse, gli attacchi, come documentato sul Fatto di sabato scorso, in cui sono riportate altre due storie lesbiche attribuite alla Pascale da qualche falco diventato d’improvviso un paria del berlusconismo.
Voci e veleni che originano dall’influenza politica di “Francesca”, il vero capo delle colombe.
Altro che Gianni Letta o Angelino Alfano. Berlusconi ogni sera va a dormire con una colomba e il primo ad averne contezza fu Denis Verdini, falco primigenio, alla vigilia della fiducia del 2 ottobre scorso.
La storia dell’aspro litigio tra lui ed “Evita” a palazzo Grazioli è verissima ed è questa.
Quella sera, Verdini era con il Cavaliere e i due facevano i conti sui “traditori” del Senato, favorevoli al governo Letta.
Si fece tardi e “Francesca” ritornò a palazzo Grazioli con tre colombe del suo cerchio magico: Jole Santelli, sottosegretario; Nunzia De Girolamo, ministro; Barbara Saltamartini, ex an.
Verdini sobbalzò e la riprese. Per la serie: “Porti qua proprio queste?”.
Lei reagì. Fronte alta e sguardo di fuoco: “A casa mia ho il diritto di portare chi voglio, a cena o a prendere un caffè”.
L’epilogo è già stato raccontato: il Condannato Innamorato fu costretto a cacciare Verdini per dare soddisfazione alla Fidanzata.
Da allora, con Verdini, sono finiti nella black list del duduismo di “Evita” anche altri due fidati e storici collaboratori-parlamentari di B.: Sestino Giacomoni e Valentino Valentini, l’uomo dei misteriosi affari russi del Cavaliere.
Da notare, della vecchia corte del berlusconismo d’antan non sopravvive più nessuno, a parte Roberto Gasparotti, il regista personale di B: oltre a Giacomoni e Valentini, fuori Paolino Bonaiuti, maggiordomo (Alfredo), cuoco (Michele), segretaria (Marinella).
Fuori l’harem e l’Ape Regina Sabina Began. Finanche l’inutile Capezzone.
Pulizia totale. Epurazione. Persino Daniela Santanchè alias la Pitonessa è nella lista nera. Qui, per la Pascale , c’è l’aggravante dell’ingratitudine.
Fu infatti la Pitonessa a “inventarla” come “La Fidanzata di B.”.
Un lungo lavoro alla Pretty Woman (abiti, borse, capelli, corsi di dizione), anche psicologico: “Francesca è il tuo momento, esci allo scoperto”.
Poi, però, “Francesca” ha legato con la primogenita di B., Marina, altra colomba, e la Santanchè è scivolata fuori dalla corte.
Significativa la frase che l’Evita di Fuorigrotta avrebbe sussurrato al Fidanzato la mattina della clamorosa retromarcia sull’esecutivo delle larghe intese: “Silvio, la Santanchè ti porta alla rovina, non puoi fare quello che ti dice”.
Oggi tra Villa San Martino ad Arcore e palazzo Grazioli a Roma circola un modo di dire tra falchi e colombe.
A seconda del nome pronunciato, si aggiunge: “Loro non si fidano” oppure “loro si fidano”. Loro: ossia la Pascale e la Rossi.
La black list prosegue con Sandro Bondi e Manuela Repetti, compagni di vita che siedono insieme al Senato.
“Evita” Pascale non li sopporta e B. si è allineato, al punto da lamentarsi con qualche fedelissimo: “Sandro in questo periodo sta esagerando”.
Ma tutto questo è niente, raccontano dalla corte, in confronto al sentimento di odio che la Fidanzata coltiva verso tre ex ministre: Mara Carfagna, Mariastella Gelmini e Michela Vittoria Brambilla.
Quest’ultima sarebbe stata mandata via da Arcore dalla Pascale con questa esortazione: “Vattene zoccola”.
La Carfagna ha scatenato la furia della Pascale per una recente intervista dal titolo: “Basta coi nominati calati dall’alto”.
A incaricarsi della risposta è stata la Santelli, “Senti chi parla”, ma alcuni parlamentari hanno divulgato il pesante sfogo che lo stesso Cavaliere avrebbe avuto contro “Mara” nell’ultimo pranzo con gli eurodeputati.
Per la storia, la prima vittima del potere di “Evita” Pascale fu Nicola Cosentino al momento di chiudere le liste del Pdl alle politiche.
Anche con il Casalese, la Fidanzata aveva un conto aperto.
E il duduismo non fa sconti.
Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 20th, 2013 Riccardo Fucile
COME STANNO CAMBIANDO GLI EQUILIBRI POLITICI DOPO LA ROTTURA DI “SCELTA CIVICA”… L’INTERESSE DI SANT’EGIDIO E DEI CIELLINI
Pasta e fagioli, tagliata e una voglia matta di rifare la Dc. 
Fosse per i commensali della festa Udc di Padova, il progetto sarebbe già compiuto. Lì, in Veneto, Mario Mauro e Lorenzo Cesa, Gaetano Quagliariello, Gianpiero D’Alia e Antonio De Poli non hanno fatto altro che ripassare la tabella di marcia della rinascita democristiana.
Quel sogno condensato da Pier Ferdinando Casini in una frase, al telefono con Letta: «Enrico, noi siamo partiti. Ora o mai più».
La galassia centrista è in fermento.
Ogni mossa è calibrata dalla cabina di regia – sempre meno occulta, sempre più svelata – capitanata dal ministro della Difesa e dal leader dell’Udc.
L’idea, sulla quale hanno ragionato due giorni fa a Palazzo Giustiniani assieme a Quagliariello, è scomporre gli schieramenti. Un processo asimmetrico, però, in cui l’esplosione di Scelta civica è solo il primo passo.
Chi tesse la tela neodemocristiana punta in alto.
Mauro, ormai, lo ripete ai suoi mentre evoca il Ppe: «Nel Pdl le colombe ministeriali si conteranno con un documento. E quando Berlusconi romperà con il governo, il partito si spaccherà ».
Quagliariello, poi, non si nasconde: «All’Italia serve un bipolarismo diverso. Se è così, ciò che è importante sono i centri nei due poli».
Di certo c’è che a Palazzo Madama i berlusconiani fibrillano. L’ala cattolica va a braccetto con molti ex socialisti. E, insieme, sono pronti allo strappo.
Casini, però, volge lo sguardo anche a sinistra. È convinto che il fattore Renzi sconvolgerà gli equilibri democratici.
Per questo, ha ripetuto a Letta: «Noi ci siamo». Uno come Beppe Fioroni, che nella Dc ha militato a lungo, sembra dello stesso avviso: «Il sindaco vincerà il congresso e farà il leader di un partito socialdemocratico… «. Come a dire, a quel punto i cattolici dem senza più casa potrebbero essere traghettati da Letta e Franceschini in un Ppe italiano deberlusconizzato.
Berlusconi, appunto. L’ostacolo più grande, nel percorso che porta alla nuova Dc, trascorre le sue giornate tra Palazzo Grazioli ed Arcore. E non ha alcuna intenzione di essere pensionato. Gioca la sua partita, nonostante tutto.
E dopo l’incontro con Mauro e Alfano ha tirato le somme: «Con un pranzo ho ammazzato Monti e ho conquistato dodici voti contro la mia decadenza». Non si fida, ma per ora concede ascolto a chi gli promette “salvezza” in cambio di un passo indietro.
Chi davvero esulta di fronte al nuovo corso democristiano è la pattuglia cattolica che dimora in Parlamento.
Uomini di Comunione e liberazione, innanzitutto, come Maurizio Lupi e Raffaele Vignali. E poi i teocon Maurizio Sacconi ed Eugenia Roccella. Frammenti di una galassia che un tempo faceva riferimento a Camillo Ruini e Tarcisio Bertone e che oggi guarda con crescente fiducia all’operazione.
Discorso a parte per Andrea Riccardi. Ha speso parole di stima verso Monti. Ma due pezzi da novanta come Mario Giro e Mario Marazziti coltivano il dialogo con Mauro e Casini.
Scelta civica, intanto, si è trasformata nel laboratorio della scomposizione. E il vero braccio di ferro si consumerà sulla guida del gruppo di Palazzo Madama.
Perchè i cattolici, in maggioranza, intendono conquistare la poltrona di capogruppo, spingendo i montiani alla scissione.
Per respingere l’assalto, gli uomini del Professore progettano invece una pubblica scomunica della fazione filo Ppe, in modo da costringerli all’addio.
Lo chiarisce Benedetto Della Vedova: «Casini vuole seguire un canovaccio neodemocristiano, è meglio arrivare a due gruppi in Parlamento». Per rafforzare il concetto, Monti chiederà le dimissioni di Mauro dal governo.
Finirà comunque con una scissione. Ma, almeno a Montecitorio, i rapporti di forza sorridono all’ex premier.
Andrea Romano e l’ala montezemoliana, infatti, guardano altrove. In direzione Renzi.
E non è solo Italia Futura a osservare con scetticismo le mosse dei fan del Ppe.
Anche Corrado Passera non seguirà i cattolici di Sc. Come Marco Follini, d’altra parte: «Una nuova Dc? Semmai, una caricatura ».-
Al centro, comunque, sono convinti di avere nel fattore tempo un alleato.
Così giura Paolo Naccarato: «Ho detto a Letta: “Qualsiasi cosa accada, al Senato avrai sempre 172 voti blindati. C’è tutto il tempo per consumare questa scomposizione».
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 20th, 2013 Riccardo Fucile
INSIEME ALLA PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE CACCIATORI VENETI, IL DEPUTATO E’ COINVOLTO NELLA VICENDA DELLE TESSERE CONTRAFFATTE
L’europarlamentare del Pdl Sergio Berlato e Maria Cristina Carretta sono indagati per le false firme delle tessere del Pdl.
La procura ha inviato l’avviso di conclusione delle indagini contestando il falso e l’illecito trattamento di dati personali.
Il caso era esploso nel dicembre del 2011, quando una serie di vicentini si ritrovarono nell’elenco di coloro che avevano chiesto la tessera del Pdl a loro insaputa.
C’erano stati casi eclatanti, come quelli di appartenenti ad altri partiti o carabinieri, che risultavano aver firmato per quelle tessere e che ovviamente non lo avevano mai fatto.
Ora, a quasi due anni di distanza, l’indagine avviata dalla procura di Vicenza mette il primo punto fermo.
Mercoledì 15 ottobre il procuratore Paolo Pecori ha inviato avvisi di conclusione delle indagini preliminari che valgono anche come informazioni di garanzia all’europarlamentare Sergio Berlato e a Maria Cristina Carretta, presidente regionale dell’associazione cacciatori veneti, oltre che presidente nazionale di Confavi.
La procura ipotizza a loro carico i reati di falso materiale in scrittura privata e illecito trattamento di dati personali.
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Ottobre 20th, 2013 Riccardo Fucile
A DISPOSIZIONE DI GAIA VERONESI UN CELLULARE MESSO A DISPOSIZIONE DA UN QUESTORE DEL PD… SAREBBE STATA ANCHE PAGATA DALLA REGIONE EMILIA ROMAGNA QUANDO SVOLGEVA UN LAVORO PRIVATO PER BERSANI
Oltre al conto cointestato con Bersani c’è anche un telefonino della Camera assegnato, non si
capisce a quale titolo, a â€Zoia Veronesi.
Al telefonino affidato a questa dipendente molto particolare della Regione Emilia Romagna dall’allora questore della Camera, Gabriele Albonetti, l’uomo dei conti per il Pd a Montecitorio, ora si sta interessando la Procura di Roma.
La prossima settimana Albonetti sarà sentito come persona informata dei fatti nell’ambito dell’indagine sul conto corrente intestato al duo Bersani-Veronesi.
Il procuratore capo Giuseppe Pignatone ha affidato il fascicolo (svelato dal Fatto Quotidiano il 4 ottobre) al procuratore aggiunto Francesco Caporale e al sostituto Corrado Fasanelli.
I magistrati, dopo avere studiato le carte trasmesse da Bologna, hanno incaricato il Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza guidato dal colonnello Cosimo Di Gesù di effettuare gli accertamenti sul conto cointestato al leader del Pd. Il rapporto bancario era emerso durante l’inchiesta della Procura di Bologna che vede indagata â€Zoia Veronesi per truffa aggravata ai danni della Regione Emilia-Romagna. Nei primi giorni di settembre è stato notificato l’avviso di chiusura indagini, che solitamente prelude alla richiesta di rinvio a giudizio, da parte dei pm bolognesi Valter Giovannini e Giuseppe Di Giorgio.
Secondo l’accusa, la Veronesi è stata pagata dall’ente pubblico Regione dal primo giugno 2008 al 28 marzo 2010 quando in realtà svolgeva un lavoro privato di segreteria per il leader del Pd Bersani.
La Procura di Bologna contesta alla Veronesi e all’ex capo di gabinetto del presidente della Regione, Bruno Solaroli, la spesa dei 140 mila euro lordi più rimborsi pagati dalla Regione.
Quando lo scandalo esplode, le carte tornano a posto: â€Zoia Veronesi, a marzo del 2010, nello stesso mese in cui l’ex deputato del Pdl Enzo Raisi presenta l’esposto in Procura, si dimette dalla Regione e trova lavoro al Pd.
Al termine dell’indagine a settembre 2013, la Procura bolognese trasmette a Roma le carte sul conto corrente e il telefonino.
Il fascicolo è un mero modello 45 senza indagati e ipotesi di reato nel quale sono confluiti l’informativa e le dichiarazioni inizialmente segretate della Veronesi, relative anche alle due questioni (conto e telefonino) contestate durante l’interrogatorio.
Alla presenza del difensore, Paolo Trombetti, nel novembre del 2012, la segretaria di Bersani ha sostenuto che il conto risaliva al 2000 e vi confluivano anche i contributi dei privati regolarmente registrati dal deputato.
Mentre riguardo al telefonino, Veronesi ha spiegato di averlo avuto dal Questore Albonetti anche se non lavorava per la Camera in virtù del suo ruolo di raccordo con la Regione.
La scelta dei pm bolognesi di non trasmettere subito il fascicolo a Roma e di non svolgere attività esterna di verifica ha una sua logica.
L’intento legittimo di tutelare il segreto sul filone bolognese ha certamente avuto degli effetti politici, indiretti e non voluti.
Dopo la scoperta del conto, Bersani è stato candidato prima alle primarie contro Renzi e poi alle elezioni nazionali contro Grillo e Berlusconi.
Indubbiamente non avrebbe giovato alla sua immagine l’uscita sui giornali della notizia di un conto cointestato con la segretaria indagata per truffa sul quale confluivano i contributi elettorali, compresi i famigerati 98 mila euro della famiglia Riva nel 2006.
Un eventuale ingresso dei finanzieri alla Camera per chiedere l’estratto conto e le carte sul telefonino della sua segretaria non sarebbe stato un bello spot.
Il deputato Elio Massimo Palmizio (Pdl) nei giorni scorsi ha annunciato un’interrogazione al ministro Cancellieri per chiedere “perchè i magistrati, nel momento in cui hanno appreso dell’esistenza del conto intestato a â€Zoia Veronesi, indagata per truffa, hanno deciso di secretare gli atti, inviandoli per competenza alla procura di Roma solo tre settimane fa, a distanza di 12 mesi dalla presunta notizia di reato”.
In Procura, a Bologna, fanno notare che l’informativa finale del Nucleo di Polizia Tributaria di Bologna è più recente.
Anche se il conto sarebbe stato individuato e segnalato dalla Guardia di Finanza non uno ma ben due anni fa. I ritardi non giovano a nessuno.
Anche Bersani ha fatto capire al Fatto di non aver gradito i ritardi negli accertamenti perchè non ha nulla da temere: “Su quel conto sono confluiti solo contributi regolarmente registrati alla Camera. I soldi sono stati spesi per attività politica, di partito o di associazioni, nel corso degli anni. Al 31 dicembre 2012 erano rimasti sul conto circa 20 mila euro. Ora non c’è quasi nulla. Sono una persona trasparente e ho rispetto della magistratura. E sono pronto a fornire tutti gli elementi a chi di dovere. Non a un giornalista”.
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Ottobre 20th, 2013 Riccardo Fucile
I GIORNALI DI BERLUSCONI LO USANO DA ANNI PER SPUTTANARE GLI AVVERSARI E SANTIFICARE I SUOI AMICI.. QUALCUNO SI CHIEDE PERCHE’ SANTORO INVITI GENTE COSI: OVVIO, PERCHE’ IL CAVALIERE FREQUENTA GENTE COSI’
Allora siamo d’accordo: aboliamo il gossip. Almeno quello sulla vita privata. Almeno per chi non lo gradisce e non firma la liberatoria.
Se la puntata di Servizio Pubblico con Michelle Bonev servisse almeno a questo, sarebbe un trionfo.
Prima però bisognerebbe sapere se B. è d’accordo, visto che il principale editore di gossip è lui; e i suoi giornali usano la vita privata altrui per bastonare o ricattare i nemici (le presunte amiche di Di Pietro, il fidanzato della Boccassini, Sircana accanto al trans, Marrazzo al festino con trans e coca, la Tulliani che guarda storto Fini…) e santificare gli amici (il finto fidanzato di Noemi inventato da Chi, i servizi posati di Silvio, Francesca e Dudù), o semplicemente per far soldi (Panorama. it : “Raoul Bova: divorzio ma non sono gay”; Chi: “Chiara Giordano: Raoul, adesso parlo io”).
E poi a imporre come fatto politico, dunque pubblico, la vita privata di B. fu B. nel 2001, quando diffuse in milioni di copie l’opuscolo elettorale “Una storia italiana” col ritratto edificante della Sacra Famiglia.
A mandarlo in frantumi provvidero nel 2010 i casi D’Addario-Tarantini e Noemi, poi Veronica che chiese il divorzio e parlò di un uomo malato che va a minorenni. Scandali che gli costarono milioni di voti.
Nel videomessaggio del 16 gennaio 2011, alle prime notizie sull’inchiesta Ruby-bungabunga, B. sparò: “Da quando mi sono separato ho uno stabile rapporto di affetto con una persona che era spesso con me in quelle serate e non avrebbe consentito quegli assurdi fatti che certi giornali ipotizzano”.
L’annuncio scatenò una guerra all’ultimo gossip fra le pretendenti al lettone, finchè la Pascale si aggiudicò ufficialmente l’ambìto riconoscimento.
Da allora è tutto un fiorire di servizi fotografici e giornalistici autorizzati sulla Sacra Famiglia ricomposta e prossima all’altare.
Se B. avesse rivendicato il suo libertinaggio — “nei miei letti faccio quel che voglio” — nessuna notizia sul tema avrebbe avuto rilevanza pubblica (salvo, si capisce, reati come i rapporti prezzolati con minorenni, i ricatti delle signorine, i pagamenti delle medesime con soldi Rai o Finmeccanica cioè nostri, o corruzioni di testimoni).
Invece usò il gossip “B. è fidanzato, ha messo la testa a posto e non fa più quelle cose” come instrumentum regni per attirare voti o evitare di perderne.
Per questo, pur con tutto il disgusto del caso, i giornalisti devono verificare se l’edificante presepe è vero o falso.
E dare voce a testimoni fin troppo informati sui fatti, come la Bonev, che lo smontano.
Ma davvero qualcuno può pensare che Santoro e la sua redazione muoiano dalla voglia di sapere se alla Pascale piacciono più gli uomini o le donne?
Nessuno sa se quel che afferma la Bonev è vero o no (se davvero la Pascale la denuncerà , le duellanti porteranno le rispettive “prove” e un giudice deciderà ).
Però, trattandosi di un’assidua frequentatrice del cerchio magico (fino a pochissimo tempo fa), va purtroppo ascoltata.
Anche perchè sulla parte più interessante e scandalosa del suo racconto — il finto premio al Festival di Venezia allestito dal ministero della cosiddetta Cultura e il milione buttato dalla Rai per acquistare un suo film quando lei era tutt’uno con B. e B. era tutt’uno con la Rai — non c’è bisogno di prove: raccontò tutto il Fatto tre anni fa.
E chi lo scopre oggi per sputtanarla dovrebbe spiegarci perchè non lo scrisse allora, quando le doti artistiche della signora venivano decantate dalla stampa e dalle tv berlusconiane.
Ma è sempre la stessa solfa, come già per la D’Addario e De Gregorio: i (e le) compari di B. sono tutti santi finchè non entrano nello studio di Santoro, poi diventano diavoli.
E tutti a scandalizzarsi: ma perchè Santoro invita gente così?
La risposta è scontata: perchè B. frequenta gente così.
E B. non è un passante nè un trapassato, ma il primo grande rielettore di Napolitano, il partner decisivo del Pd nelle larghe intese e il padrone del governo Letta (vedi Imu).
O anche questo è gossip?
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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