QUEI SESSANTA PASSEGGINI CHE FERMANO I “CAPPUCCI NERI”
LE SBERLE DI MIGRANTI E OPERAI AI BLACK BLOC
Porta Pia, le sette di sera, l’aria acre di lacrimogeni e fumogeni, il frastuono di slogan e bombe carta.
Una mamma eritrea sistema nel passeggino la bambina, un batuffolo di un anno al massimo che, nonostante tutto, sonnecchia beata, vinta da quattro ore e passa di corteo: le canta una nenia, sussurrata all’orecchio.
Accanto a lei, dieci ragazzotti del blocco nero si infilano passamontagna e magliette, e confabulano attorno a una mappa, decisi a tentare un ennesimo, inutile assalto: «Andiamo veloci, si passa da dietro», si ripetono frenetici a mezza voce
La storia della manifestazione, con le sue contraddizioni, sta tutta qui, da San Giovanni fino al monumento del Bersagliere davanti alla Breccia, passando per via Merulana e per il quadrilatero di ministeri e uffici «sensibili» a ridosso di Porta Pia: almeno sessanta passeggini, almeno un centinaio di bambini di neppure dieci anni alla mano di mamme e papà , sotto bandiere rosse dei comitati per la casa, bianche dei No Tav, arcobaleno, multicolori, striscioni di Action, Cobas e vessilli dell’antagonismo militante; e non più di duecento teppisti organizzati, i balordi camuffati dentro questa sigla che può contenere tutto e nulla, come i loro stupidi cappucci neri, i Black bloc, con le loro bombe carta, le spranghe, il fuoco ai cassonetti, i petardi e le bottiglie contro i blindati e tutto il trito repertorio del teppismo metropolitano.
Alla fine i passeggini e le mamme avranno la meglio, Porta Pia rimane in mano loro per l’acampada , la notte bianca della protesta, e questo sarà l’epilogo politico di una giornata per molti versi sorprendente, su cui bisognerà riflettere.
“Voi avete i manganelli, noi i bambini” , è del resto uno degli slogan più efficaci alla partenza e solo all’arrivo si capirà che non è rivolto esclusivamente alle forze dell’ordine.
Attorno ai bambini e agli idioti del blocco nero, si snoda una manifestazione che – nonostante i momenti di tensione, le cariche, un tafferuglio più serio davanti al ministero dell’Economia, feriti e contusi, una pattuglia di fermati che aumenta durante la notte, una bomba carta con un proiettile calibro 12 che poteva fare molto male – è, e resta, colorata, sostanzialmente pacifica, aperta alle famiglie, alle donne, ai migranti che hanno Lampedusa nel cuore, agli universitari, ai non belligeranti, a chi vuole fare sentire la propria voce su diritti dimenticati come casa, integrazione, lavoro: un popolo di non rappresentati che, per un pomeriggio, si riprende il palcoscenico d’Italia alla faccia dei signori della guerriglia.
Quanti sono? Cinquanta, settantamila? Di più? Sono buone le cifre degli organizzatori? Chissà .
Dare numeri è difficile partendo da una piazza come San Giovanni, storica quinta delle manifestazioni comuniste dei tempi di Berlinguer e Lama, con un milione di militanti allora facilmente raccolti sotto le bandiere del Pci.
E tuttavia, la piazza è in buona parte colma, e la gente continua ad affluire fino alle tre del pomeriggio da via Carlo Felice, cinquanta pullman arrivano quando il corteo è già partito, perchè carabinieri e polizia usano il buonsenso e rallentano ai caselli dell’autostrada le teste più calde.
La saggezza delle nostre forze dell’ordine è, va detto subito, forse l’elemento decisivo della giornata: una giornata che molti temevano fosse la ripetizione del 15 ottobre di due anni fa, pomeriggio nero di paura per Roma.
«I compagni del 15 ottobre sono ancora incarcerati, ma sono qui con noi», scandiscono i leader del corteo dal camion blu che apre le fila e su cui è alloggiata una vera cabina di regia, che lancia parole d’ordine e fa controinformazione: «Non siamo quella banda di violenti che i giornali raccontano, scendete a protestare con noi!», strillano dunque dal Tir agli abitanti di San Giovanni e via Merulana, di Santa Maria Maggiore e di via Cavour, affacciati alle finestre. Ma in verità il 15 ottobre è lontano, al netto delle celebrazioni.
E la scommessa della non violenza è, appunto, il secondo dato che incardina il pomeriggio
Per la prima volta, il corteo ha un servizio d’ordine che funziona.
In via XX Settembre uno dei teppisti dell’assalto al ministero viene preso a sberle, in viale del Policlinico la scena si ripete: sono migranti, senza casa, operai, disoccupati, che si tengono per mano sotto il camion dell’organizzazione e tamponano i flussi del blocco nero.
In via Napoleone III, sede di Casa Pound, il faccia a faccia con una trentina di fascisti disposti a testuggine potrebbe far deragliare il corteo al grido di camerata basco nero/ il tuo posto è al cimitero, se il servizio d’ordine non lo impedisse a spinte e strilli. Attorno a Porta Pia, il servizio d’ordine non basta più e il blocco nero si manifesta infine, spaccando in due i manifestanti e fronteggiando i blindati: in via Boncompagni, con l’assalto all’Unicredit; in via Goito e via Cernaia; in via Sella bruciando cassonetti; in via San Martino della Battaglia, contro l’ambasciata tedesca; in via XX Settembre, dove l’attacco ai Finanzieri è violento, continuo, fino alla carica di reazione delle Fiamme gialle; in viale del Policlinico, dove due bombe carta colpiscono una camionetta dei carabinieri e un militare reagisce sparando due candelotti davanti alla folla.
Frammenti di tensione, cariche di alleggerimento, spicchi d’umanità tra i cordoni.
Un tunisino prega in ginocchio prima dell’attacco di via XX Settembre.
Un Black bloc si sfila dal gruppo per chiedere a una fotografa di non riprenderlo, «sa, signora, alcuni di noi non sono mascherati e potrebbero avere grane: può evitarlo?», dice gentile; «non me ne frega un c…», risponde lei e continua a scattare, lui abbozza. Il mito nero dei Black bloc s’incrina in fretta.
Nuova icona dei manifestanti è l’antagonista in sedia a rotelle che spruzza spray contro i blindati della Finanza.
Nuove vincitrici sono le mamme coi passeggini, che restano a sera nella tendopoli improvvisata a Porta Pia, col Bersagliere avvolto in un vessillo No Tav e la musica dei Velvet Underground.
Il sindaco Marino ha scelto il giorno giusto per andarsene in visita a Cracovia. L’assenza è del resto riempita dal capo della sua segreteria, Enzo Foschi, che consegna a Facebook il seguente pensiero: «I veri Black bloc sono tutti quei giornalisti infiltrati nel corteo… delusi dal fatto che non scorra il sangue».
Nella sera che scende pacifica sulla capitale, non tutte le menti confuse sono protette da passamontagna.
Goffredo Buccini
(da “il Corriere dela Sera”)
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