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SENATO, VOTO PALESE SU BERLUSCONI, IL PDL ORA PUNTA GRASSO

Ottobre 31st, 2013 Riccardo Fucile

SE NON SI PERDE ALTRO TEMPO LA DECADENZA POTREBBE ANDARE IN AULA A METà€ NOVEMBRE

Il centro divide, il centro sceglie: la senatrice Linda Lanzillotta, reduce montiana cioè specie in via d’estinzione, spinge la decadenza di Silvio Berlusconi con il voto palese al Senato.
Astenuto il presidente Pietro Grasso, in Giunta per il Regolamento di Palazzo Madama, Lanzillotta è il settimo (decisivo) sì contro i no di berlusconiani, autonomisti e leghisti.
La notizia viene battuta mentre il Cavaliere aspetta a pranzo i ministri: informato, preferisce digiunare.
E la notizia fa scattare le contromisure di Renato Schifani e Renato Brunetta, che cercano invano il cavillo per ripristinare lo scrutinio segreto e provocare imboscate, franchi tiratori e traditori.
Ma il dispositivo ideato dal Movimento Cinque Stelle e dal Partito democratico riduce al minimo, quasi azzera le speranze dei berlusconiani. E così la truppa del Cavaliere prepara la “guerriglia” contro Grasso, l’unico che potrebbe scongiurare quello che in coro, moderati per Alfano e rabbiosi per Brunetta, definiscono un colpo per la democrazia.
La Giunta non ha modificato il regolamento, ma ha interpretato due articoli, il 135 ter e il 113 (tre commi): il caso in esame riguarda la “sopraggiunta incandidabilità ” (legge Severino), non tocca la persona, bensì la composizione di un’intera assemblea parlamentare.
I berlusconiani individuano, per qualche ora, una scorciatoia non più percorribile: presentare un’ordine del giorno contro la decadenza sancita in Giunta per le elezioni e le Immunità  e chiedere l’anonimato durante le votazioni.
Niente da fare. Perchè se non ci fosse nemmeno un odg, la decadenza di Berlusconi sarebbe automatica, semplicemente recepita dai colleghi senatori (articolo 135 ter). Democratici e Cinque Stelle hanno introdotto due novità  che blindano il voto palese. Ai berlusconiani resta soltanto un’ipotesi, molto complicata, ma che politicamente sarà  sfruttata: appellarsi a una violazione costituzionale, ovvero la retroattività  del testo Severino, attraverso un ordine del giorno ugualmente con venti firmatari.
Ecco che la pratica ritorna a Grasso: potrebbe respingere l’odg, ritornare in Giunta (sarebbe una formalità  farsesca) o far esprimere l’aula.
I berlusconiani hanno provato a convincere Lanzillotta, che ha riflettuto di notte e deliberato di mattina.
Ora dovranno pressare Grasso e tenere d’occhio il calendario di Palazzo Madama. L’ultima stesura non prevedeva Berlusconi (almeno ) sino al 22 novembre, complice il decreto scuola e la legge di Stabilità . Adesso si comincia a cerchiare in rosso la settimana dal 12 al 15. A circondare Grasso, soprattutto.
Il capogruppo Brunetta, che ha sopportato le lamentele pomeridiane del Cavaliere in riunione con Schifani, ha mandato ai deputati un’edizione straordinaria del “Mattinale”.
Riassunto: “Non riconosciamo Grasso come presidente dei senatori”.
I pidiellini a Palazzo Montecitorio vogliono copiare il dilemma appena risolto a Palazzo Madama per generare una discussione collettiva infinita: desiderio inesaudibile, però di tentativi ne vanno fatti, giusti o folli che siano.
I consiglieri di B. sanno che la questione va convertita da procedurale a politica: i margini per la procedura sono pressochè inesistenti, ma la politica rovente — cioè ricatto al governo di Enrico Letta — può ammorbidire Grasso.
L’ex presidente Schifani dovrà  fare scena e retroscena: organizzare le truppe già  schierate, divorare le soluzioni possibili e, fanno notare i democratici, dimenticare un precedente pesante.
Durante il suo mandato, l’aula spedì Luigi Lusi in galera.
E per fortuna, per il Cavaliere si tratta “solo” di decadenza da senatore.
Sempre i democratici spiegano che così le prassi di Montecitorio e Madama sono uniformate.
Anche i politici, presto o tardi, si integrano fra se stessi.

Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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INTERVISTA A DAVIGO: “DA NOI SI PREMIA CHI DELINQUE, L’AMNISTIA PRODUCE IMPUNITÀ”

Ottobre 31st, 2013 Riccardo Fucile

“SE LA CONDANNA E’ SOTTO I DUE ANNI UNO SI PUO’ CANDIDARE, CIOE’ SE SEI STATO CONDANNATO A UN ANNO NON PUOI FARE IL BIDELLO, LA IL DEPUTATO SI’: CHE ROBA E’?”

Normalmente, quando si chiedono lumi ai tecnici, questi tendono a farla piuttosto difficile.
Non Piercamillo Davigo, consigliere di Cassazione e già  pm del pool Mani Pulite, un magistrato con la passione per gli esempi. E per le frasi concise, tipo questa: “In Italia delinquere conviene”.
Dottor Davigo è d’accordo con l’idea di fare un indulto o un’amnistia o, in un’orgia perdonista, addirittura entrambi?
Il solo effetto annuncio, a prescindere dalla realizzazione, è dannoso perchè fa calare il ricorso ai riti alternativi e quindi allunga i tempi della giustizia. In un Paese dove in cinquant’anni ci sono stati 35 provvedimenti tra amnistia e indulto, chi vuole che patteggi, se aspettando, può arrivare un atto di clemenza?
Da cosa dipende il sovraffollamento carcerario?
Da una serie di fattori: il principale è il numero di fattispecie penali. I vari pacchetti sicurezza hanno previsto una serie di aumenti di pena per i recidivi. Ormai le frontiere sono evanescenti, il tasso di repressione concretamente applicato in un Paese non può essere troppo diverso da quello degli altri, per l’ovvia ragione che se è più alto esporti criminalità , se è più basso la importi. Se, puta caso, stabilissimo che la rapina in banca qui non è più reato, tutti i rapinatori verrebbero in Italia. Il primo vincolo è questo. Allora dobbiamo vedere quanti detenuti hanno gli altri Paesi, scoprendo che l’Italia è quella che ne ha meno. Abbiamo le carceri sovraffollate perchè abbiamo poche strutture. L’articolo 81 della Carta prevede che le leggi che comportano nuove spese indichino con quali mezzi farvi fronte. Quando il legislatore aumenta le pene, si guarda bene dal chiarire dove si troveranno le risorse. Pensano di risolvere il problema in verticale, con le brandine a castello. Ovvio che poi arrivi la Corte europea a sanzionarci.
L’ultimo indulto è del 2006, la condanna di Strasburgo risale al gennaio scorso: perchè non hanno fatto nulla?
L’imprevidenza è una caratteristica della nostra classe politica. Se si attenua la pressione della Corte, magari perchè si fa un indulto, l’emergenza cessa e la questione cadrà  nel solito oblio. Indulto e amnistia sono soluzioni tampone. Se si vuole ridurre la popolazione carceraria, bisogna depenalizzare i reati o ridurre le pene.
Qualcosa hanno depenalizzato: il falso in bilancio
Non definirei il falso in bilancio un reato che intasa le carceri. Aboliscono quelli dei colletti bianchi perchè…
…amnistia e indulto hanno a che fare con questioni politiche?
Non credo che faranno nè l’uno nè l’altra: i cittadini sono ferocemente contrari.
Le espressioni “condono fiscal e” o “condono edilizio” non hanno equivalenti in inglese e francese.
Una volta cercavo di spiegare l’amnistia a un gruppo di giudici californiani che ci chiedevano come mai da noi non funzionassero i riti alternativi. Avevano capito questioni complesse, ma quando abbiamo spiegato che l’amnistia è una legge che perdona tutti, erano convinti che avessimo fatto loro uno scherzo. Vede, Carl Schmitt sosteneva che tutti i concetti del diritto pubblico europeo moderno sono concetti teologici secolarizzati. La secolarizzazione dell’indulgenza plenaria dà  luogo all’amnistia, all’indulto, ai vari condoni. Con una differenza: la Chiesa esige il pentimento, lo Stato no.
I corrotti non si sono mai pentiti, anzi si sono poco evangelicamente moltiplicati.
Ho spesso ripetuto che noi organi preposti alla repressione svolgiamo la funzione che in natura svolgono i predatori. Dunque abbiamo preso le zebre lente e sono rimaste quelle veloci.
Mani Pulite è stata inutile?
Ha lacerato il velo dell’ipocrisia. De la Rochefoucauld ha detto che l’ipocrisia è l’omaggio che il vizio rende alla virtù: caduto il velo dell’ipocrisia, l’effetto è stato che non hanno smesso di rubare, hanno smesso di vergognarsi.
Che pensa della vulgata sulla pacificazione e la presunta guerra tra politica e magistratura?
La politica anzichè fare pulizia al suo interno, come accadeva prima di Mani pulite e come accade negli altri Paesi, ha rimesso alla valutazione dei magistrati la selezione della classe dirigente. Ma i magistrati decidono sulla base di regole che non sono quelle della vita di tutti i giorni. Intendo: se l’intercettazione che prova che Tizio è il mandante di un omicidio è inutilizzabile, Tizio sarà  assolto. Resta un assassino, un colpevole che l’ha fatta franca, cosa molto diversa da un innocente. Nessuno nella vita di tutti i giorni utilizza la presunzione d’innocenza: la giustizia è una virtù cardinale, ma lo è anche la prudenza. Per questo se il nostro vicino è stato condannato per pedofilia, anche se la sentenza non è definitiva, difficilmente gli chiediamo di tenerci i bambini.
E la controversa legge Severino?
Sono contrario alle leggi che prevedono l’incandidabilità . Dovrebbe bastare il costume.
In Italia è evidente che il costume è malcostume.
Allora non valgono le leggi. Comunque, nel momento in cui si dice che chi ha riportato una condanna non inferiore a due anni può essere candidato, significa che se la condanna è sotto i due anni uno si può candidare. Cioè se sei stato condannato a un anno non puoi fare il bidello, ma il deputato sì: che roba è?
Dà  ragione a Berlusconi sulla Severino?
Allora: la norma introduce un mero requisito di candidabilità . Esattamente come quello che prescrive il compimento del quarantesimo anno di età  per l’elezione in Senato. Se domani una norma stabilisse che ce ne vogliono 45, qualcuno urlerebbe alla retroattività ? Il problema, in Italia, è la mancanza di capacità  di indignarsi.
Peggio le monetine ai politici o l’anestesia?
Le monetine sono sintomo di una rivolta qualunquista che io mal sopporto. È la solita storia del “rubano tutti”. Quando qualcuno me lo dice gli chiedo se lui ruba. Se mi dice: “Io non rubo” gli rispondo “neanch’io”, perciò non è vero che rubano tutti. Se partiamo dal presupposto che rubano tutti, i processi sono inutili. Se il presupposto è rubano in molti, è giusto fare i processi per distinguere chi ruba da chi non ruba.
Tutti vogliono riformarvi, anche i saggi del Colle.
La riforma della giustizia è indispensabile, ma per questioni del tutto diverse da quelle che pensano i politici, compresi i saggi. Abbiamo 9 milioni di procedimenti pendenti. Il sistema tutela più chi viola la legge di chi subisce la violazione: ogni anno vengono avviate in Italia più cause civili di quante non ne vengano cominciate in Francia, Gran Bretagna e Spagna sommate insieme. Nel penale, bisogna ridurre le fattispecie, incidendo sulle impugnazioni. Tre gradi di giudizio ci sono dappertutto. In appello, se ricorre l’imputato, il sistema italiano prevede il divieto di aumentare la pena. In Francia non c’è, infatti solo il 40 per cento delle sentenze di condanna a pena da eseguire vengono appellate. In Italia tutte.
Perchè non si fa?
Ridurre il numero dei processi, significa ridurre il reddito degli avvocati. Una classe politica che non è venuta a capo della debolissima lobby dei tassisti, può riuscirci con la ben più potente lobby degli avvocati?

Silvia Truzzi

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IL CAVALIERE DIMEZZATO: NON HA I NUMERI PER FAR CADERE LETTA

Ottobre 31st, 2013 Riccardo Fucile

 CHIUSO A PALAZZO GRAZIOLI RIFIUTA DI RICEVERE I “SUOI” MINISTRI PER PRANZO. ..ORA LI VUOLE FUORI DAL PARTITO

L’ennesimo capitolo di quella che Denis Verdini chiama da sempre “la guerra dei vent’anni” si consuma all’ora di pranzo.
Quando un Cavaliere incredulo, nonostante i segnali che da ore giungevano dal Senato, ha visto materializzarsi la “ghigliottina” del voto palese.
Con Alfano stesso, con Nitto Palma e la Bernini che gli avevano assicurato che la Giunta non avrebbe rotto la consuetudine del voto segreto per una questione tanto delicata come la decadenza da senatore. E invece.
A comunicare a Berlusconi l’ultima sconfitta politica di un periodo nero che non sembra aver fine è stato Paolo Bonaiuti. Ma a quel punto il Cavaliere è sbottato mandando all’aria un pranzo con i ministri e lo stesso Alfano: “Non li voglio nemmeno vedere, non ho più nulla da dirgli, mi avevano assicurato che c’erano i numeri per il voto segreto, ne ho abbastanza, voglio pulizia…”.
Chi si era esposto a promettere che Palazzo Madama non avrebbe “fatto scherzi” era stato proprio Alfano. Ne era certo.
E invece non solo non si è guadagnato tempo sulla Severino, ma è arrivato pure il colpo di grazia.
Così, i ministri hanno fatto dietrofront mentre a palazzo Grazioli sono arrivati Denis Verdini e Sandro Bondi.
A spiegargli che la partita ormai si deve giocare “dentro il partito” e che comunque non c’è modo di far cadere il governo “con quei numeri — sosteneva Bondi, snocciolando un rosario di cifre almanaccate da Verdini — che hanno ancora loro”. Già , “loro”.
Andare al voto, diceva Alfano, “farebbe il gioco di Renzi”, dunque è da evitare, frase che però ha fatto imbufalire ancora di più Berlusconi.
La conta dentro il Pdl ormai è inevitabile. Ieri, però, il Cavaliere non voleva parlare del quando, troppo impegnato a prendersela con i suoi “carnefici”, che sono il Pd e Napolitano, certo, ma anche le colombe.
Ora il vero bersaglio di Silvio furibondo sono i ministri e chi lo ha “preso in giro fino ad oggi”.
La vendetta si consumerà  dentro il Pdl. Ancora ieri sera, durante un incontro difficile a Palazzo Chigi, Alfano (che era accompagnato da Brunetta e Schifani) ha tentato di convincere Letta a muoversi per dichiarare la non retroattività  della legge Severino, ma niente.
Per tutto il giorno, poi, si sono rincorse voci di un arrivo di Alfano a palazzo Grazioli, ma a sera, invece, è entrato solo Fitto. Il leader dei lealisti che non vedeva l’ora di soffiare sul fuoco dell’ira del Capo. Specie contro Alfano, che gli ha ribadito ancora l’esistenza di una pattuglia pronta a staccarsi per tenere in vita l’esecutivo.
Per questo — anche — la nota di solidarietà  al Cavaliere, firmata dal vicepremier, si è fatta attendere per ore.
Certo, Alfano ha parlato apertamente di un “sopruso” da parte di Pd, M5S e Scelta civica, ma ha rinviato tutto a una dura “battaglia parlamentare” che sa molto di bluff.
La strategia delle colombe — viene spiegato — è infatti quella di rinviare fino a che sarà  possibile il voto dell’aula appellandosi a norme di regolamento in caso di votazione palese.
Ma tanto il Cavaliere attenderà  la decadenza prima dello showdown: e questo non soltanto perchè ha bisogno di un po’ più di tempo per “riconquistare” i senatori, ma anche perchè è convinto che la mozione degli affetti possa ancora incidere nelle scelte di qualcuno.
Intanto, tra le due anime del Pdl-Fi, è guerra di numeri: da una parte si continuano a raccogliere le adesioni sotto il documento varato dall’ufficio di presidenza.
Dall’altra, invece, girano bozze filo-governative. I lealisti vogliono lo scalpo dei ministri, Alfano in testa. Per questo, spingono il Cavaliere verso il voto.
Ma la battaglia sui numeri mette sull’avviso lo stesso Berlusconi.
Insomma, un caos su cui pesa un’incognita.
Che il Cavaliere voglia andare in Senato e rivolgersi direttamente ai suoi ministri chiedendo: voi, da che parte state?

Sara Nicoli
(da “il Fatto Quotidiano“)

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BERLUSCONI STRAPPA: “SONO GIA’ ALL’OPPOSIZIONE”

Ottobre 31st, 2013 Riccardo Fucile

MEDIAZIONE PER RINVIARE IL VOTO IN AULA AL 25 NOVEMBRE… IL GIALLO DELLA NOTA CONGELATA

Lo strappo è consumato. Quel che doveva succedere è successo.
«Col voto palese mi hanno già  sbattuto fuori dal Parlamento. Da oggi mi considero all’opposizione”.
È un fiume in piena, Silvio Berlusconi, sconfitto anche dal verdetto in Giunta al Senato. Solo le insistenze dei mediatori, del solito Gianni Letta, lo hanno convinto in serata a rimettere nel cassetto la più violenta delle note sfornate da Palazzo Grazioli.
Nel mirino, il Partito democratico reo di aver sostenuto la battaglia per il voto palese in giunta assieme al M5s, ma soprattutto il governo di Letta e di Alfano.
Fa sapere che ha voglia di parlare in aula, il Cavaliere, leone ferito ma non ancora abbattuto.
Lo farà  il giorno del voto sulla sua espulsione che, gli assicurano, ora potrebbe slittare a dopo la legge di stabilità , dunque all’ultima settimana di novembre.
Tempo che gli tornerà  utile per lavorare sui senatori ritenuti più border line.
Ma la rottura col governo per lui è ormai in atto, l’ufficializzazione solo rinviata di qualche giorno.
Il vicepremier e i quattro ministri Pdl che hanno compiuto la loro scelta, quella di non assecondare la richiesta di dimissioni, per lui «appartengono già  a un altro partito, succubi del Pd».
Lo aveva detto a brutto muso ad Alfano nel tormentato vertice notturno di martedì.
L’ex segretario Pdl ha confermato il no alla crisi, l’ennesimo, mettendo agli atti la rottura forse definitiva.
Così, quando ieri a ora di pranzo i quattro ministri si preparavano a raggiungere Palazzo Grazioli per il pranzo con il leader, hanno ricevuto la disdetta proprio dal capo delegazione Alfano: «Berlusconi non ci vuole più». Colazione annullata.
E il vicepremier non ci metterà  più piede per il resto della giornata.
L’ex premier invece preferirà  invitare Sandro Bondi e Denis Verdini, inseparabili falchi. Come pure qualche ora dopo Daniele Capezzone e Giancarlo Galan. E in serata Raffaele Fitto.
È già  Forza Italia in movimento. «Non c’era motivo che venissero a pranzo, a loro non ho più nulla da dire – racconta agli interlocutori del pomeriggio un Cavaliere fuori di sè – Tutti questi signori mi avevano garantito che non sarebbe mai passato il voto palese. E invece, come al solito…».
Ora il dado è tratto. Lascia trapelare che a Bruno Ermolli, Ennio Doris, Guido Bertolaso e a Marcello Dell’Utri avrebbe affidato il compito di selezionare nuove leve per la Forza Italia 2.0 e rinnovare l’intero (o quasi) parco parlamentari.
Come se davvero le lancette potessero tornare al ’94. Solo nel tardo pomeriggio arriva la nota di solidarietà  di Alfano al leader. «Troppo tardi: sono sotto attacco dei giudici, avevo bisogno di un partito unito e loro mi hanno tradito il 2 ottobre e continuano a farlo».
Ha gradito ancora meno il fatto che i due capigruppo Schifani e Brunetta, dopo averlo incontrato nel pomeriggio, siano andati dal premier Letta e dal suo vice Alfano a Palazzo Chigi per la cabina di regia sulla legge di stabilità  che sta per approdare in Parlamento.
Al presidente del Consiglio i pidiellini chiedono tempo per condurre in porto la loro strategia. Chiedono che il Pd accetti di rinviare il voto di decadenza – dato per imminente entro la prima metà  di novembre – dopo l’approvazione della legge di stabilità .
Non solo perchè questo garantirebbe un via libera più agevole. Ma anche perchè la valanga di emendamenti berlusconiani già  preventivata entro la scadenza del 14 novembre potrebbe fare da innesco alla scissione, nel momento in cui i 5 ministri Pdl prenderebbero le distanze.
Una disponibilità  di massima il premier Letta l’avrebbe garantita. Ma è col Pd, intenzionato ad accelerare ormai sulla decadenza del senatore condannato, che bisognerà  fare i conti.
Intanto ha già  dato mandato a Verdini di accelerare sulla raccolta firme in suo sostegno per convocare a breve il Consiglio nazionale del partito che dovrà  sancire il passaggio a Forza Italia e di fatto la rottura con i governativi.
Il tutto, anche lì, prima della decadenza. Cosa accadrà  un minuto prima o un minuto dopo è ancora da decidere, racconta chi è uscito da Palazzo Grazioli.
«Io scommetto su Enrico Letta costretto presto a risalire al Colle» gigioneggia sicuro in buvette il “lealista” Saverio Romano.
Il Cavaliere è davvero intenzionato a rompere col governo ma sta facendo i conti in queste ore, come sempre, con le resistenze dei vertici dell’azienda. Fedele Confalonieri continua a restare contrario.
Il leader ormai è incontenibile. La tesi dell’avvocato Niccolò Ghedini, anche lui ieri a Grazioli nelle ore più drammatiche, ha fatto breccia: «Peserò di più da capo dell’opposizione che da senatore che sostiene il governo».
Nei giorni scorsi ha sentito anche l’ideologo del M5s Paolo Becchi, per sondare la reale consistenza dei dissidenti grillini.
Quante truppe lo sosterrebbero nella battaglia contro il Quirinale per chiedere il ritorno al voto?

Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)

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PIRELLONE, SCANDALO VITALIZI: OGNI MESE COSTANO 630.000 EURO

Ottobre 31st, 2013 Riccardo Fucile

MAXI RENDITE PER 221 CONSIGLIERI REGIONALI LOMBARDI OTTENUTI GRAZIE A VERSAMENTI IRRISORI… CONTRIBUTI DI 27.000 EURO CHE NE FRUTTANO 492.000

Vitalizi d’oro al Pirellone in cambio di contributi versati in misura anche irrisoria.
C’è chi percepisce dal 1980 un vitalizio di 3mila euro al mese dopo aver versato un totale di soli 8mila 500 euro di contributi.
Ma anche chi prende da oltre 24 anni una pensione di 2mila 391,56 euro al mese, nonostante abbia versato un totale di 2mila 900 euro di contributi.
Meno del vitalizio che questi ex consiglieri regionali incassano ogni mese. Per un totale di 620mila euro che ogni mese escono dalle casse regionali.
Un nuovo scandalo si abbatte sul consiglio regionale della Lombardia, la regione guidata fino a pochi mesi fa dal ciellino Roberto Formigoni e ora dal leghista Roberto Maroni.
Quello dei vitalizi degli ex consiglieri regionali. Un privilegio reso ancora più indigesto per i cittadini lombardi, che fanno sempre più fatica ad arrivare alla fine del mese, dal fatto di essere perfettamente legale.
Le pensioni degli ex consiglieri regionali sono sì state cancellate dalle legge numero 13 del 2011, ma solo per i neoeletti.
Non per tutti gli altri, nonostante il 24 giugno l’aula abbia approvato, su proposta del Pd, un ordine del giorno che chiedeva un taglio del 20 per cento anche sulle pensioni già  erogate.
Stiamo parlando di persone che fino alla scorsa legislatura hanno potuto maturare la pensione anche solo dopo due anni e mezzo di carica, per prenderla raggiunti i sessant’anni di età .
Duecentoventuno vitalizi che costano alle casse regionali ogni mese 620mila 412,36 euro. Comprese le 49 pensioni di reversibilità  pagate alle vedove degli ex consiglieri. Appartenenti a tutti i partiti tranne il movimento 5 Stelle e il Patto Civico, che fino alla scorsa legislatura non erano rappresentati in aula. I grillini ora chiedono di rendere pubblici i nomi e minacciano di mettere a ferro e fuoco il Pirellone se non arriverà  un cambio di rotta.
I dati sui vitalizi, aggiornati al 31 agosto di quest’anno, sono stati forniti dalla segreteria generale del Consiglio regionale al gruppo di lavoro che sta discutendo da settimane l’ipotesi di tagliare mediamente del 20 per cento le pensioni superiori a 3.100 euro.
Dati completi per ciò che riguarda la data di decorrenza di ogni singolo vitalizio e l’ammontare di ogni assegno mensile, ma senza il nome di chi riceve i soldi.
Per tutelare la privacy, si sarebbe giustificato il segretario generale del consiglio regionale, Romano Colozzi, ex braccio destro di Formigoni quando quest’ultimo era governatore.
Numeri che però parlano da soli.
Il pensionato più ricco prende 6mila 319,85 euro al mese dal luglio del 2005.
Dopo aver versato 274mila euro di contributi solo tra il 2005 e il 2013 ha già  percepito 614mila 360 euro. Ben oltre la metà  dei contributi versati.
C’è qualcuno a cui è andata anche meglio. Dopo aver versato contributi per 27mila 100 euro dal 1° giugno 1985 prende una pensione mensile di 4mila 782,92 euro e negli ultimi otto anni ha già  portato a casa 492mila 395 euro. Oltre diciotto volte la cifra versata in contributi. Senza contare le somme percepite tra il 1985 e il 2005.
Per non parlare dei diversi ex consiglieri regionali che dopo aver versato in contributi la cifra irrisoria di 2mila 900 euro percepiscono dal 2005 ogni mese un vitalizio di 1.195 euro.
Ma c’è anche chi, dopo aver versato la stessa cifra, dal gennaio 1989 incassa un assegno mensile di 2mila 391 euro. O chi dopo versamenti per soli 5.600 euro dal febbraio 2005 percepisce 3mila 159 euro mensili e ha già  incassato complessivamente ben 322mila 288 euro. Poco meno di 58 volte i contributi versati.
Non si tratta purtroppo di casi isolati. Con poco più di 50mila euro di contributi, in base alle regole della legge 12 del 1995 in materia di assegno vitalizio e indennità  di fine mandato dei consiglieri, abrogate nel 2011 ma tuttora in vigore per gli ex consiglieri, c’è chi è riuscito a ottenere da oltre 21 anni un assegno mensile di 4.145 euro che solo negli ultimi otto anni gli ha fruttato 426.739 euro.
Otto volte la cifra dei contributi versati. Un bell’affare, non c’è che dire.
Fra i neopensionati spicca un trattamento di reversibilità  di tutto rispetto.
Un assegno mensile di 1.634,16 euro maturato lo scorso maggio dopo un versamento di 8mila 500 euro di contributi.

Andrea Montanari

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CON LA CRAVATTA ALLA CARITAS: LA NUOVA FRONTIERA DELLA POVERTA’

Ottobre 31st, 2013 Riccardo Fucile

IMPRENDITORI TRAVOLTI DAL CRAC, IMPIEGATI SENZA LAVORO: VIAGGIO TRA I NUOVI POVERI CHE AFFOLLANO DORMITORI E MENSE

Rotolato grande e grosso com’era dal posto fisso alla strada, va in giro in scarpe da tennis, come il “barbun” di Jannacci. Come tanti e tante italiane che la crisi sta sbalzando fuori in massa dal treno della vita normale.
Rotolato grande e grosso com’era dal posto fisso alla strada, ci ha lasciato 30 chili, la dignità  e anche il portafoglio, rubato una notte nella stazione centrale di Milano, binario laterale.
Dentro ci teneva la foto del figlio. «È uguale a me, sputato, peccato non poterglielo far vedere».
In compenso, ha conservato il biglietto da visita: Davide Prestifilippo, agente di commercio, salumi e formaggi (in piccolo, anche il numero di partita Iva e cellulare).
Va in giro in scarpe da tennis, come il “barbun” di Jannacci cinquant’anni prima (“barbun” da barba lunga, ultimo gradino del vivere civile).
Scarp de tennis come tanti e tante italiane che la crisi sta sbalzando fuori in massa dal treno della vita normale.
La porta del vagone di Davide si è spalancata di schianto il 26 settembre 2011, ore 7.30, via sms: la ditta per cui andava in giro a vendere mozzarelle per la pizza gli annunciava la chiusura.
Da allora, infiniti tentativi di risalire, zero risultati.
Perito industriale, 44 anni, dopo essere finito nel tritacarne Parmalat («Sono anch’io una vittima di Tanzi») e incappato nel fallimento di un paio di cooperative, Davide ha lasciato Vercelli per Milano, fuori di casa, niente più famiglia, uno scivolo rapido e stordente in fondo al quale c’è il marciapiede.
«Non vado nei dormitori perchè ho vergogna, non chiedo l’elemosina per lo stesso motivo. Da un po’ frequento una mensa dei frati, ho accettato di farmi fare il tesserino. Si passa uno a uno dai tornelli, sembrano quelli dello stadio. Sa che ero a Madrid a vedere l’Inter del triplete? E adesso qui a sgrinare, a sbattersi per trovare due lire, scusi, cinque euro, e un lavoro, sì, ciao».
«L’altro giorno, al tavolo con me, c’era un tizio distinto, pettinato. Giacca e cravatta. A un certo punto, prende l’Iphone 4 dalla tasca e se lo mette accanto al piatto. Allora gli ho detto: amico, non so cosa ti è capitato per essere qui, ma l’Iphone 4 mettilo via. È uno schiaffo per noi e un rischio per te»
Povera Italia che improvvisamente si scopre povera. Ai 4,8 milioni di persone che secondo l’Istat non ce la fanno più (8 per cento della popolazione, il doppio rispetto a 5 anni fa), vanno aggiunti altri 9 milioni e mezzo che tirano a campare con meno di 506 euro al mese.
Il totale fa spavento, 14 milioni e rotti.
E lo spavento cresce con i 6 milioni di analfabeti e un tasso di abbandono scolastico tra i più alti dell’Unione europea
Come mai una simile bomba atomica sociale non occupa il centro del dibattito politico? Dice da tempo, inascoltato, Luigi Ciotti, prete e profeta degli ultimi,un’esistenza spesa a riscattarli, rincuorarli: «Dobbiamo rendere illegale la povertà ».
Basterebbe anche cominciare a riconoscerla, guardarla in faccia.
Guardare oltre lo spread, indicatore nobile ma parziale.
Guardare dietro la classifica, pubblicata proprio da Repubblica, che da quinta potenza industriale del mondo (anni Ottanta) ci ha visti scivolare al nono posto, e molto presto ancora più giù, fuori dai primi dieci, anche dodici
Milano, la città  col più alto reddito d’Italia,è un buon punto di osservazione per misurare la nostra febbre da miseria.
Al Centro Aiuto di via Ferrante Aporti, la prima boa per chi sta per affondare, bussano ormai in 13mila, 3mila in più di due anni fa.
Il 30 per cento sono italiani, spiega Silvia Fiore che lo coordina. E la curva è destinata a crescere. L’inverno renderà  ancora peggiori le cose, e la vita di gente come il signor Davide, ex agente per salumi e formaggi, uno dei 13mila
La povertà  si misura (anche) in metri. E si sta allungando.
Due file mute e ordinate compaiono ogni mattino, domenica esclusa, di fronte e alle spalle del centro di Milano. Una sta in via Concordia, ma chi la frequenta dice “Piazza Tricolore” perchè è la fermata annunciata dalla voce registrata dei tram 9 e 23 che passano di lì: piazza san Babila è a due passi.
L’altra, via Canova, è la porta d’ingresso opposta, appena dietro Cadorna e il Castello. Il cuore ricco e famoso di Milano ha le arterie che si stanno vistosamente ingrossando di miseria: 6mila pasti al giorno nelle mense con la fila.
E si concentrano non a caso qui i figli inattesi della grande depressione, come sulla poppa del Titanic dopo l’iceberg: il tentativo estremo di salvarsi, di ritrovare uno stipendio , un alloggio, la speranza.
Persone dai 30 ai 60 anni in attesa di un pasto caldo gratis, una doccia, una camicia da lavare, un sacco a pelo o una coperta per dormire.
La maggior parte sono stranieri, ma gli italiani stanno scalando in fretta posizioni. In pochi mesi, in molti dei centri comunali o cattolici che offrono aiuto, sono già  diventati la seconda comunità  dopo i rumeni e prima dei marocchini
Sono poveri del terzo tipo: non hanno il barbone, anzi sono puliti e quasi sempre ben rasati, non mendicano, preferiscono sistemazioni di fortuna ai dormitori perchè ancora non ci vogliono credere di essere arrivati a quel punto, perchè non era previsto nè prevedibile.
Accanto a loro, vagano per la città ,in cerca di un rifugio, cibo o alcol, i poveri del primo e secondo tipo, cioè gli emarginati che si sono definitivamente arresi alla strada e le migliaia di nuovi migranti, molti dei quali ormai vivono l’Italia come una stazione di passaggio verso altri Paesi. Dei 150 siriani ospitati dal Comune in via Aldini, nessuno pensa di restare qui: per tutti, il sogno sono Germania o Svezia
Proprio accanto a via Aldini, periferia nord ovest, quartiere Quarto Oggiaro, c’è uno dei nuovi dormitori della Milano invisibile, quello di via Mambretti, nato due anni fa sulla scorta dell’emergenza recessione.
È l’unico gratuito, gestito dalla cooperativa Arca (l’altro grande dormitorio pubblico, quello storico di via Ortles, arriva a 600 presenze ma costa un euro e mezzo per dormire e lo stesso per la cena: tutto esaurito, comunque, con un 40 per cento di italiani, moltissimi dei quali esodati di fresco nel vecchio casermone dallo tsunami della crisi). In via Mam-bretti, dove prima c’era una scuola, i posti sono 170, i letti (da 8 a 20 per stanza) hanno sostituito i banchi, valigie e borsoni gli zaini degli studenti.
Al primo piano le donne, in qualche caso con bimbi piccoli, al secondo gli uomini.
Si sta il tempo di dormire, dalle 19 (cena compresa) alle 8 (prima colazione).
Il resto del giorno, aria. Tra gli inquilini, regole comprensibilmente severe: due assenze ingiustificate e si perde il posto, niente risse, niente urla. Un riparo dignitoso.
Che però a Carau Antonio, camionista fino al fatidico 2011, sta diventando insopportabile. «Ho la patente C, 40 anni di esperienza, l’ultima nel trasporto di carta igienica ai supermercati. Licenziato, sbam, e nessuno che mi riprende perchè a 60 anni, dicono, sono vecchio.Durante il giorno giro,come tutti noi fregati dal Duemila, spesso vado alla libreria Sormani dove danno dei film, faccio le code alle mense, mi ammazzo di colloqui per un lavoro. Ma il vero tormento è la notte. Dormo tra due marocchini. Ruttano, scoreggiano, non hanno rispetto, si lavano i piedi dove io devo lavarmi la faccia. Fortuna che ho un amico imbianchino. Gli ho chiesto di lasciarmi la sua macchina per la notte. Farà  più freddo ma almeno non sentirò la puzza dei cameroni».
Anche Dario Colucci è un inquilino di Mambretti, anche lui ha conosciuto il salto in basso repentino, da rompersi le ossa.
Odontotecnico diplomato, 30 anni da artigiano di dentiere e ponti fino alla specializzazione in modellazioni tridimensionali, ha perso tutto in un colpo, come al casinò: lavoro, casa, famiglia, tre figli.
«I clienti non pagavano, il laboratorio è soffocato, ci hanno uccisi di tasse. Avevo il mutuo della casa da pagare, ho consegnato le chiavi alla banca e mi sono trasferito nella mia Ford Fiesta».
Licenziato, poi sfrattato: un classico. A Milano e provincia“saltano”18mila appartamenti l’anno per morosità  (va peggio solo a Roma). Nel 2007 c’era uno sfratto ogni 841 appartamenti, adesso uno ogni 358.
E dopo la Fiesta, signor Dario? «Non resistevo più, ghiacciava anche dentro. Mi sono trovato un localino segreto all’ospedale di Niguarda, vicino alla sala prelievi. In cambio di non venir denunciato, aiutavo gratis quello che caricava le macchinette di bibite e merende alle 5 di mattina. Anche quando sono venuto in Mambretti, ho dato una mano. Pitturare i muri, pulizie. Adesso quelli dell’Arca mi hanno affidato l’incarico di operatore notturno. Lo dico sottovoce ma sto ritrovando fiducia».
Quella fiducia che perdi per strada e che, se qualcuno non ti aiuta prima che sia dissolta l’ultima traccia di resistenza, non ritrovi mai più.
La fortuna di Milano è che, di gente che aiuta, ce n’è parecchia.
Il centro dell’Opera di San Francesco di via Concordia è un prodigio di carità  organizzata, con 700 volontari di cui 200 medici.
Lo coordina, non a caso, un ingegnere civile, padre Maurizio: 2.700 pasti al giorno (niente dolce, che però offrono i carmelitani scalzi di via Canova), 25mila docce in un anno, di cui 1.328 per le donne, 8.421 cambi di vestiti, 10.219 barbe, 37mila visite mediche nell’ambulatorio, 63mila farmaci prescritti e regalati.
Ci trovi di tutto, tra questi italiani maltrattati dalla recessione e trascurati dalle istituzioni romane.
Per esempio, una signora sulla cinquantina, golfino verde, capelli lunghi biondi e occhi azzurri, che mangia da sola, molto composta, mentre il figlio trentenne fa lo stesso in tavolo riservato ai maschi.
Vengono dal Piemonte, avevano una ditta di import-export finita in tribunale. Storia complicata, lei ha le lacrime trattenute, sembra cedere al pianto, poi s’accende: «Sono cresciuta nel mito di Almirante. Ora più che mai il mio motto è boia chi molla».
Il figlio sembra più mesto ma ugualmente elegante. Mentre se ne vanno dopo il pranzo delle11sotto la pioggia e un ombrello grande per due, lui si volta con un sorriso e dice: «Da imprenditore a questo posto qua. Bella carriera, non trova?»
Già , la pioggia. E presto anche il gelo.
Il Comune ha appena avviato il “piano freddo” per i senza dimora: da novembre a fine marzo, 3.672 interventi nel 2012, molti di più nel 2013.
Verrà  a costare più di un milione di euro, a cui vanno aggiunti i soldi per il fondo anti crisi, quelli per il sostegno al reddito (domande aumentate del 300 per cento). In tutto, 25 milioni di euro, e solo per Milano
Alla presentazione della leggedi Stabilità , l’ineffabile ministro per le Politiche agricole, alimentari e forestali, Nunzia De Girolamo, ha comunicato al Paese: «Sono molto soddisfatta di poter dire che il governo ha destinato 5 milioni di euro agli indigenti». Cinque. Molto soddisfatta.
Pierfrancesco Majorino è l’assessore per le Politiche sociali di Milano, e non l’ha presa bene. «Che vergogna. Miliardi di euro ci vorrebbero. Tutto il peso della miseria delle persone ricade sulle nostre spalle di amministratori locali e sulla disperata voglia di fare qualcosa dei volontari, della Curia. Ma manca lo Stato, mancano misure nazionali di sostegno al reddito. Ci sono ovunque, tranne che in Grecia e da noi. Vorrei veder cadere un governo su una tragedia come questa della povertà , e invece se ne fa un tema di compassione».
Caterina Disi ha 48 anni, dei lunghi capelli neri senza neanche uno bianco e non cerca compassione.
Nata in Sardegna, diploma di educatrice professionale alla Sapienza di Roma, un curriculum di dieci pagine, ultimo lavoro riconosciuto alla Asl di Ravenna che però la licenzia, da due anni e mezzo è in giro con le sue valigie.
Single, dorme in un convento di suore, aspetta gli esiti della causa che ha intentato alla Asl («Mi daranno dei soldi ma non mi ridaranno il posto»), non va alle mense per la vergogna («Mangio biscotti, piuttosto »), entra ed esce dagli uffici di collocamento come dalle librerie, senza mai niente in mano.
«Ma la fede non mi fa perdere la speranza. Avrei potuto schiantarmi nella depressione, invece non ho mai preso un farmaco. Il mio unico sonnifero è il rosario. Ma non accetto più. Ho studiato tanto, lavorato tanto, non ho commesso reati e mi ritrovo nella povertà  assoluta. Pretendo rispetto dal mio Paese. Pretendo autonomia e ruolo sociale. Voglio giustizia, perchè la merito».

(da “La Repubblica”)

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I PARTITI E LE NUOVE PIATTAFORME 2.0

Ottobre 31st, 2013 Riccardo Fucile

LE VERSIONI POLITICHE DELLA DEMOCRAZIA LIQUIDA

La tecnologia fa passi da gigante, chi si ferma è perduto, chi non riesce a stare al passo rischia di soccombere.
Per questo tutti i maggiori partiti stanno mettendo a punto i loro nuovi Sistemi Operativi. Eccoli nel dettaglio.

Movimento 5 Stelle
Il nuovo Sistema Operativo prevede che un elettore possa dire la sua sulle proposte di legge dei parlamentari. Dire mi piace, non mi piace, proporre modifiche, segnalare errori. Alla fine di questo lungo iter, il parlamentare presenta la proposta di legge come pare a lui.
Si chiama democrazia liquida, nel senso che c’è chi se la beve. Si tratta di un sistema chiuso: possono intervenire solo quelli iscritti fino a una certa data, che hanno mandato documento, numero di scarpe, nome della suocera e una foto delle vacanze.
La piattaforma è molto intuitiva, nel senso che si intuisce che alla fine si farà  quello che piace a Beppe Grillo. La partecipazione è gratuita, a legge approvata, a seconda del proprio contributo, si riceverà  una spilletta con la scritta “Casaleggio ha ragione”.

Partito democratico
Nel caso del Pd, invece, il Sistema è apertissimo, open source, cioè aperto ai contributi di tutti. Alle primarie per scegliere il segretario voteranno gratis gli iscritti e pagando due euro tutti gli altri, compresi il Boia di Riga, Renato Brunetta, la Pascale, Briatore e Homer Simpson.
È un po’ come se nel vostro condominio l’amministratore potesse essere votato dagli inquilini del palazzo di fronte, che potrebbero decidere di abbattere casa vostra. Principale beneficiario del nuovo sistema operativo Pd sarebbe un egocentrico giovane fiorentino, che ama circondarsi di simboli anni 50 e 60 e fare discorsi economici anni 80. Se installato, il nuovo Sistema Operativo promette di dare 100 euro a ogni utente, proprio come i siti di scommesse che ti regalano qualche spicciolo per farti giocare di più e spellarti con comodo.
Il Sistema Operativo entrerà  in funzione a pieno regime l’8 dicembre, data in cui comincerà  a intaccare il Sistema Operativo del governo Letta.

Popolo delle Libertà 
Qui l’aggiornamento del Sistema Operativo è addirittura radicale, a partire dal nome (si chiamerà  Forza Italia, un ritorno ai vecchi Commodore).
Si abbandonano i collegamenti senza fili e si ripristinano comandi più tradizionali, come il guinzaglio, per periferiche come Angelino Alfano.
Il sistema ha qualche problema, per esempio contiene ancora qualche virus, tipo il temibile Formigoni, il Tribunale di Napoli e la legge Severino, in grado di creare conflitti interni e compromettere il funzionamento complessivo della macchina, e che l’antivirus Verdini non è ancora riuscito a debellare.
È un Sistema Operativo molto chiuso, che dopo il voto sulla decadenza del microprocessore sarà  chiusissimo, oppure dedicato ai servizi sociali.
Sul salvaschermo c’è un cagnolino. Tutto è gestito da un piccolo microprocessore e, a partire dall’8/12, da sua figlia che stanno testando in un luogo segreto.

Scelta Civica
Qui c’è molto da lavorare. Il vecchio Sistema Operativo, il Monti 1.0, è andato in crash a causa del conflitto con il Casini 2.1 Paracul Edition.
Per ora il sistema è in stand-by e sullo schermo compare la scritta “Attendere prego. Alcune periferiche preferirebbero il Sistema Operativo di Forza Italia, del quale potrebbero persino evitare la decadenza nella speranza di prendere il posto del piccolo microprocessore, se sua figlia si ostina a non farsi installare”.

Alessandro Robecchi
(da “il Fatto Quotidiano”)

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