SENATO, VOTO PALESE SU BERLUSCONI, IL PDL ORA PUNTA GRASSO
SE NON SI PERDE ALTRO TEMPO LA DECADENZA POTREBBE ANDARE IN AULA A METà€ NOVEMBRE
Il centro divide, il centro sceglie: la senatrice Linda Lanzillotta, reduce montiana cioè specie in via d’estinzione, spinge la decadenza di Silvio Berlusconi con il voto palese al Senato.
Astenuto il presidente Pietro Grasso, in Giunta per il Regolamento di Palazzo Madama, Lanzillotta è il settimo (decisivo) sì contro i no di berlusconiani, autonomisti e leghisti.
La notizia viene battuta mentre il Cavaliere aspetta a pranzo i ministri: informato, preferisce digiunare.
E la notizia fa scattare le contromisure di Renato Schifani e Renato Brunetta, che cercano invano il cavillo per ripristinare lo scrutinio segreto e provocare imboscate, franchi tiratori e traditori.
Ma il dispositivo ideato dal Movimento Cinque Stelle e dal Partito democratico riduce al minimo, quasi azzera le speranze dei berlusconiani. E così la truppa del Cavaliere prepara la “guerriglia” contro Grasso, l’unico che potrebbe scongiurare quello che in coro, moderati per Alfano e rabbiosi per Brunetta, definiscono un colpo per la democrazia.
La Giunta non ha modificato il regolamento, ma ha interpretato due articoli, il 135 ter e il 113 (tre commi): il caso in esame riguarda la “sopraggiunta incandidabilità ” (legge Severino), non tocca la persona, bensì la composizione di un’intera assemblea parlamentare.
I berlusconiani individuano, per qualche ora, una scorciatoia non più percorribile: presentare un’ordine del giorno contro la decadenza sancita in Giunta per le elezioni e le Immunità e chiedere l’anonimato durante le votazioni.
Niente da fare. Perchè se non ci fosse nemmeno un odg, la decadenza di Berlusconi sarebbe automatica, semplicemente recepita dai colleghi senatori (articolo 135 ter). Democratici e Cinque Stelle hanno introdotto due novità che blindano il voto palese. Ai berlusconiani resta soltanto un’ipotesi, molto complicata, ma che politicamente sarà sfruttata: appellarsi a una violazione costituzionale, ovvero la retroattività del testo Severino, attraverso un ordine del giorno ugualmente con venti firmatari.
Ecco che la pratica ritorna a Grasso: potrebbe respingere l’odg, ritornare in Giunta (sarebbe una formalità farsesca) o far esprimere l’aula.
I berlusconiani hanno provato a convincere Lanzillotta, che ha riflettuto di notte e deliberato di mattina.
Ora dovranno pressare Grasso e tenere d’occhio il calendario di Palazzo Madama. L’ultima stesura non prevedeva Berlusconi (almeno ) sino al 22 novembre, complice il decreto scuola e la legge di Stabilità . Adesso si comincia a cerchiare in rosso la settimana dal 12 al 15. A circondare Grasso, soprattutto.
Il capogruppo Brunetta, che ha sopportato le lamentele pomeridiane del Cavaliere in riunione con Schifani, ha mandato ai deputati un’edizione straordinaria del “Mattinale”.
Riassunto: “Non riconosciamo Grasso come presidente dei senatori”.
I pidiellini a Palazzo Montecitorio vogliono copiare il dilemma appena risolto a Palazzo Madama per generare una discussione collettiva infinita: desiderio inesaudibile, però di tentativi ne vanno fatti, giusti o folli che siano.
I consiglieri di B. sanno che la questione va convertita da procedurale a politica: i margini per la procedura sono pressochè inesistenti, ma la politica rovente — cioè ricatto al governo di Enrico Letta — può ammorbidire Grasso.
L’ex presidente Schifani dovrà fare scena e retroscena: organizzare le truppe già schierate, divorare le soluzioni possibili e, fanno notare i democratici, dimenticare un precedente pesante.
Durante il suo mandato, l’aula spedì Luigi Lusi in galera.
E per fortuna, per il Cavaliere si tratta “solo” di decadenza da senatore.
Sempre i democratici spiegano che così le prassi di Montecitorio e Madama sono uniformate.
Anche i politici, presto o tardi, si integrano fra se stessi.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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