Dicembre 19th, 2013 Riccardo Fucile
DICONO CHE VOGLIONO DESTINARE 2.563.017 EURO AL FONDO PER LE IMPRESE: SAREBBERO 0,68 EURO AD AZIENZA, NEANCHE UN CAFFE CI ESCE
La propaganda dei 5 Stelle diceva che i parlamentari M5S avrebbero percepito solo 2.500 euro al mese, in realtà
percepiscono circa 11.400 euro al mese per 10 giorni di lavoro al mese.
Facciamo 5 conti
Oggi il 5 Stelle DICE che vuole “restituire/restituirà ” € 2.563.016,76 “dell’eccedenza” di 6 mesi (dall’1 Giugno al 30 Novembre)
Quindi:
€ 2.563.016,76 diviso 6 (i mesi trascorsi) uguale € 427.169,46 che diviso 164 (i parlamentari di 5 Stelle*) fa € 2.604,69 (la media di quanto restituito da ogni parlamentare 5 Stelle)
Considerato che ogni parlamentare percepisce circa 14.000 euro al mese, sotto varie voci, e che i Cinquestelle restituiscono in media circa 2.600 euro, il risultato è che incassano la bellezza di 11.400, quando in realtà durante la campagna elettorale avevano lasciato capire che avrebbero percepito solo 2.500 euro e che avrebbero restituito tutto il resto.
Una bella #Supercazzola5Stelle.
Insomma, molta gente che fino a ieri era disoccupata, adesso intasca circa 11.400 euro.
Lavorando mediamente 2,5 giorni a settimana, cioè 10 giorni al mese, percepiscono 1.140 euro per ogni “giorno” di lavoro.
Il doppio di quanto molti di loro percepivano in un mese prima di entrare in parlamento.
#QuandoSiDiceUnaBottaDiCulo.
In un giorno di lavoro prendono quanto percepisce un Carabiniere in un mese per prendere le sassate.
Questi sarebbero quelli anti-kasta.
Altra farsa
Dicono che questi soldi dovrebbero finire su un fantomatico conto che dovrà aiutare la piccola impresa.
Questo significa che 2.563.017 € divisi per 3.813.805 piccole e medie imprese italiane danno l’incredibile risultato di 0,68 centesimi di euro ad azienda, neanche i soldi per un caffè.
Una vera presa per il culo.
Allo stesso tempo però a Grillo sta bene che i grandi gruppi internazionali informatici e del web come Apple, Amazon, Google etc. continuino a fare affari in Italia, eludendo o evadendo al fisco italiano svariati miliardi di euro all’anno (miliardi non milioni), cifra che da sola permettere di togliere l’IMU su prime, seconde case e aziende.
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Dicembre 19th, 2013 Riccardo Fucile
MOLTI GLI INQUADRATI, POCA LA GENTE COMUNE CON PROBLEMI REALI
È un folto gruppo di ventenni ultras arrivati con i passamontagna.
Urlano ripetendo verso il palco: “Andiamo a Montecitorio!”. Una imprenditrice quarantenne di Brindisi annuisce: “Dobbiamo fare la rivoluzione”.
Ma dal camioncino sul quale è salito per arringare la folla Danilo Calvani provoca il disappunto generale: “Non siamo eversivi. Dobbiamo rispettare la Costituzione e salvaguardare la Repubblica. In dieci giorni non possiamo pretendere di distruggere il marcio costruito in 30 anni”.
E sulla folla cala la delusione.
Un disoccupato accanto alle casse grida con rabbia al leader pontino ma il volume è altissimo, le sue parole cadono nel vuoto.
Calvani ripete gli slogan dei forconi: “Non siamo noi i violenti, gli infiltrati in questa piazza sono Letta, Bindi, Napolitano”.
Poi il mantra delle proteste cominciate il 9 dicembre: “Tutti a casa!”.
Due ore prima, alle tre del pomeriggio, era arrivato all’imboccatura di via del Corso scortato da energumeni che prima di tutto lo hanno portato vicino ai giornalisti per le dichiarazioni, suscitando l’ira dei simpatizzanti che lo volevano abbracciare.
E lì, davanti alle telecamere, aveva promesso: “Processeremo i politici che hanno sbagliato, a cominciare dal Presidente della Repubblica”.
La richiesta continua è quella di andare subito a votare. È lui a infiammare gli animi, per poi ricordare che “nessuno deve fare cazzate”.
E per tenere tutti buoni traccia una sorta di percorso fumoso: “I presidii continueranno in tutta Italia anche durante le feste natalizie. Se il governo non si dimetterà allora sarà lotta durissima”. Poco prima un uomo salito sul camioncino aveva parlato più chiaramente: “Passeremo presto ai fatti”.
La prima piazza dei forconi però è un flop. Ed è questa la delusione maggiore.
Gli organizzatori si aspettavano almeno 15 mila persone, ne sono arrivate appena due/tremila. La Questura aveva schierato duemila uomini nel timore che accadessero tafferugli.
E invece risultano più numerosi — circa cinquemila — i manifestanti in corteo dall’Esquilino per la Giornata di Azione Globale per i diritti dei migranti e dei rifugiati lanciata dai movimenti per la casa protagonisti anche del 19 ottobre.
Forse a piazza del Popolo ha contato la divisione del Coordinamento 9 dicembre: i leader Mariano Ferro e Lucio Chiavegato hanno deciso di non aderire alla manifestazione di oggi, preferendo organizzare un corteo domenica prossima fino a piazza San Pietro per salutare papa Francesco.
Per Calvani la colpa è il ritardo “non casuale” dei treni che avrebbero dovuto portare migliaia di forconi.
Così la maggioranza è composta proprio da quei ragazzotti delle tifoserie e della destra radicale che Calvani diceva di non volere al presidio romano.
Sventolano decine di bandiere italiane, l’ordine era quello di non mostrare simboli politici ma è chiaro che in questa Piazza del Popolo, molto maschile e con un’età media sui cinquant’anni, sono pochi i cittadini comuni.
E infatti è un boato enorme quello che accoglie i militanti di Casapound che scelgono di scendere scenograficamente dal Pincio cantando “Siam pronti alla morte”, maschera col tricolore al viso e un cappio al collo come nel blitz di domenica quando il vicepresidente del movimento Simone Di Stefano è salito sull’edificio della Commissione europea a Roma per rubare la bandiera Ue.
Sono loro, i giovani della destra estrema, a cantare a ripetizione l’inno d’Italia per ingannare l’attesa prima dell’arrivo di Calvani. Uno striscione scritto a caratteri fascisti riassume: “Ribellarci è un dovere”.
E poi le urla ripetute per ore all’indirizzo dei politici: “La vergogna dell’Italia siete voi”.
Ma l’amore per il tricolore accomuna tutti coloro che hanno voluto esserci: nei capannelli le parole d’ordine sono dignità , sovranità italiana, popolo italiano.
E in generale la certezza che a governare l’Italia non sia Enrico Letta bensì gli Illuminati, la troika, i banchieri, le logge massoniche: tutti discorsi che per anni hanno coagulato consenso nel web e ora diventano programma politico.
In subordine sono i giornalisti a essere presi di mira dai comizianti: “Sono delle m…!” esplode un operaio emiliano ottenendo un lunghissimo applauso di approvazione.
“Scrivete cose false”, spiega un mite dipendente d’azienda che appunta nomi e testate dei cronisti sul Blackberry per verificare se domani le ragioni della ribellione saranno state riportate a dovere.
“Siamo pochi ma arrivati da tutta Italia” dice invece Giacomo, cinquantaseienne disoccupato di Bergamo che racconta di essersi trasferito in Toscana per cercare un lavoro che non ha ancora trovato.
Giacomo ha deciso di ascoltare il comizio nella parte della piazza dove si sono radunati gli animatori dei presidii che hanno preso a turno il microfono per rovesciare la rabbia sui presenti. Un uomo che spiega di essere un padre separato costretto a vivere in un dormitorio della Caritas a un certo punto propone un abbraccio collettivo.
È l’unico momento nel quale i visi si sciolgono in un sorriso.
Anna vive a Lucca, ha 70 anni: “Quando ero giovane manifestavo per i diritti sindacali. Oggi sono tornata in piazza perchè questa Italia sta marcendo”.
Con lei è arrivato a Roma il figlio Roberto, 40 anni: “Vivo con la mia fidanzata, ci arrangiamo con qualche lavoretto”. Racconta di aver trovato un lavoro come cameriere, lo pagavano due euro e mezzo l’ora perchè ormai sono queste le paghe, così si è licenziato “per dignità ”.
Quando il frigo è vuoto passa dalla madre per prendere qualche mela e un pacco di pasta.
Da una settimana Giacomo, Anna e Roberto passano le giornate al freddo con gli altri rivoltosi del 9 dicembre. “Finchè ci sarà questa classe politica non voteremo mai più”, dicono. Nemmeno Grillo riesce a scaldare gli animi. “Torniamo a casa con l’autobus questa sera e continueremo a ribellarci perchè vogliamo soltanto una cosa: il lavoro”, dicono.
Ma la sensazione è che questa mobilitazione sia un punto finale.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 19th, 2013 Riccardo Fucile
LA LEGACOOP SICILIA CERCA DI RIMEDIARE AL TREMENDO DANNO DI IMMAGINE: LA UE MINACCIA DI BLOCCARE I FINANZIAMENTI, LA PROCURA INDAGA
Il premier Letta aveva chiesto di punire i responsabili. E così è stato. 
Legacoop Sicilia ha dato indicazione ai soci di «Lampedusa Accoglienza», la cooperativa che gestisce il centro per migranti, «di rimuovere e rinnovare il management attuale e di avviare immediatamente una migliore organizzazione con altre professionalità ».
La decisione dopo il video del Tg2 sul trattamento umiliante riservato ai migranti.
DECISIONE
La decisione arriva al termine di una lunga serie di dichiarazioni di sdegno da parte delle autorità italiane e non.
Ultimo in ordine di tempo quello dell’Unione europea , per la quale le immagini del trattamento nel centro di detenzione di Lampedusa sono «spaventose e inaccettabili» tanto che Bruxelles ha dichiarato di aver « già cominciato un’indagine». L’avvertimento all’Italia arriva dalla commissaria europea per gli Affari Interni Cecilia Malmstrom il giorno dopo la diffusione – da parte del Tg2 – del servizio choc in cui si vedono alcuni migranti in fila e nudi per essere sottoposti alla disinfezione contro la scabbia.
«Non esiteremo ad aprire una procedura di infrazione per assicurarsi che gli standard europei siano rispettati», avverte Malmstrom.
STOP AIUTI
«Le immagini che abbiamo visto dal centro di accoglienza di Lampedusa sono spaventose e inaccettabili. Contatteremo le autorità italiane affinchè sia fatta piena luce su quanto avvenuto». ha detto Malmstrom.
Ma le dichiarazioni della commissaria europea agli Affari Interni non si fermano qui. «La nostra assistenza e sostegno alle autorità italiane nella gestione dei flussi migratori può continuare solo se il paese garantisce condizioni umane e dignitose nel ricevimento di migranti, richiedenti asilo e rifugiati», ha detto Cecilia Malmstrom.
CIE NEL MIRINO
Malmstrom sottolinea inoltre che non è la prima volta che l’Italia finisce nel mirino dell’Ue per le politiche sull’immigrazione e per i centri di identificazione ed espulsione dei migranti.
«Abbiamo già avviato indagini sulle condizioni deplorevoli in molti centri italiani di detenzione, incluso quello di Lampedusa – dice – e non esiteremo a lanciare una procedura di infrazione per garantire che gli standard e gli obblighi europei siano pienamente rispettati».
L’INCHIESTA DELLA PROCURA
Intanto la Procura della Repubblica di Agrigento ha aperto un fascicolo sul trattamento cui sono stati sottoposti gli immigrati nel centro di contrada Imbriacola a Lampedusa.
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 19th, 2013 Riccardo Fucile
GASPARRI AVEVA ACCUSATO TRAVAGLIO DI ESSERE STATO IN VACANZA “A SPESE DI UN CONDANNATO PER MAFIA” ED ERA STATO QUERELATO DAL GIORNALISTA…ORA LA CONSULTA ACCOGLIE IL RICORSO DEL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA E AMMETTE IL CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE
La Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibile il conflitto d’attribuzione tra poteri dello Stato scaturito
da una controversia tra il senatore Maurizio Gasparri e il giornalista Marco Travaglio, vicedirettore del Fatto Quotidiano.
Il conflitto è stato sollevato nei confronti del Senato dal Tribunale di Roma, prima sezione civile, in un procedimento per la richiesta di danni avanzata da Travaglio per alcune dichiarazioni di Gasparri ritenute diffamatorie.
Le frasi contestate sono state pronunciate dal senatore Pdl, oggi di Forza Italia, a “Rainews24″ e a “Porta a porta” e in altre occasioni pubbliche, poi riprese dalle agenzie di stampa. Gasparri parlava di un presunto pagamento da parte di un condannato per reati di mafia di una vacanza che il giornalista avrebbe trascorso in Sicilia.
“Io vorrei fare una trasmissione dedicata al fatto che Travaglio anni fa in Sicilia è andato in vacanza a spese di un condannato per mafia. Questo è Travaglio!”, diceva tra l’altro Gasparri, che di fronte alla richiesta danni del giornalista si è costituito in giudizio appellandosi all’immunità parlamentare per le dichiarazioni rese nell’esercizio delle funzioni, rispetto alle quali il Senato si è espresso con l’ordinanza del 20 dicembre 2012.
L’ordinanza del Tribunale è stata depositata nell’agosto scorso, la Camera di Consiglio della Consulta si è tenuta il 6 novembre è oggi è stata depositata la decisione di ammissione del conflitto, con la sentenza 317 redatta dal giudice Sergio Mattarella.
La Corte Costituzionale discuterà prossimamente il merito della causa.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 19th, 2013 Riccardo Fucile
IL DOCUMENTO APPPROVATO A LARGA MAGGIORANZA CON IL VOTO PERSINO DI ANNIBALE MARINI, MEMBRO LAICO DEL PDL
È ”palesemente privo di fondamento” accusare la magistratura di avere “finalità eversive“; “denigrazioni” di questo tipo sono “del tutto inaccettabili”, anche perchè mettono a “repentaglio i principi su cui si fonda la convivenza democratica”.
Il plenum del Csm bacchetta Silvio Berlusconi.
La reprimenda è contenuta in una delibera approvata a larga maggioranza (22 voti), con il sì dei togati, dei laici di sinistra, del vice presidente Michele Vietti, del primo presidente e del Pg della Cassazione, e del laico del Pdl Annibale Marini (mentre tutto il suo gruppo ha votato contro coil laico della Lega Ettore Adalberto Albertoni).
Una decisione con cui è stata accolta la richiesta dei consiglieri di Unicost di un intervento del Csm a tutela della magistratura per la “campagna mediatica violenta” contro le toghe cominciata l’estate con l’approdo del processo Mediaset in Cassazione e la successiva condanna definitiva del leader di Forza Italia per frode fiscale, che ha poi portato alla sua decadenza dal Senato.
Sotto la lente di ingrandimento dei consiglieri sono finiti così articoli di stampa (in gran parte del Giornale, alcuni sul giudice che presiedeva il collegio che ha condannato Berlusconi, Antonio Esposito); ma anche il video-messaggio con il quale il leader di Forza Italia aveva definito “mostruosa e politica” la sua condanna da parte della Cassazione e accusato la magistratura di essere diventata un “contropotere dello Stato” che vuole “realizzare per via giudiziaria il socialismo”.
E il più recente comizio, pronunciato davanti a Palazzo Grazioli nel giorno della sua decadenza, con cui il Cavaliere aveva accusato Magistratura Democratica “di aver abbracciato le idee estremiste delle Brigate Rosse”.
È da tanto che il Csm non concede le cosiddette “pratiche a tutela” della magistratura, un istituto il cui ricorso eccessivo era stato apertamente criticato dal capo dello Stato.
Ma stavolta si tratta di un intervento “insostituibile” — assicurano i consiglieri — per “tutelare il prestigio e la credibilità dell’istituzione giudiziaria nel suo complesso”.
Perchè l’accusa ai giudici di strumentalizzare le proprie funzioni a “fini politici”, compromette “la fiducia dei cittadini nella giustizia, che è condizione imprescindibile di un’ordinata vita democratica” e “non consente alcune diversa forma di adeguata tutela”.
La critica all’operato dei magistrati è “legittima e utile, ma non può spingersi sino a denigrazioni, che anche in relazione alla loro provenienza, compromettano il prestigio della magistratura”, sottolinea ancora la delibera (relatore il togato di Unicost Mariano Sciacca), che chiede a tutti di rispettare la “correttezza istituzionale” dei magistrati.
Non è invece passata la proposta dell’indipendente Nello Nappi di chiedere sul piano giudiziario il risarcimento del danno al Giornale e a Libero.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 19th, 2013 Riccardo Fucile
“IL MIO PUNTO DI RIFERIMENTO SONO STATI CHINNICI, CAPONNETTO, FALCONE E BORSELLINO”…”MI DANNO FORZA I FAMILIARI E TANTI CITTADINI COMUNI CHE MI INCORAGGIANO OGNI GIORNO AD ANDARE AVANTI”
Alle 17:30 Nino Di Matteo, il pm che Totò Riina vuole morto ammazzato è al lavoro nel suo ufficio, al
secondo piano del Palazzo di giustizia di Palermo.
Dire che non sia turbato, sarebbe troppo. Ma non ha perduto nè la calma, nè il sorriso. La determinazione, quella, è addirittura aumentata.
Dottor Di Matteo, qual è il suo pensiero dominante dopo 15 mesi di minacce e preannunci di attentato?
Cercare di capire a fondo quel che sta succedendo intorno a me. Non tutto è ancora così chiaro. Un anno fa, al primo alternarsi di minacce di stile mafioso e di fonte istituzionale, pensai a qualcosa di casuale. Poi mi convinsi che erano attacchi collegati. Ora sentire e vedere Riina pronunciare quelle parole rabbiose e quegli ordini di morte contro di me mi riporta al contenuto di una delle prime minacce che mi fu recapitata anonimamente.
Il dossier di 12 cartelle intitolato “Protocollo Fantasma”, con lo stemma della Repubblica Italiana, che la metteva in guardia dallo spionaggio di “uomini delle istituzioni” verso una “centrale romana”, l’avvertiva che si stava inoltrando su terreni pericolosi e citava politici della Prima Repubblica coinvolti nella trattativa non ancora toccati dalle indagini?
Quello fu il primo messaggio di fonte istituzionale. Però mi riferivo al secondo, successivo alle elezioni di febbraio.
La lettera giunta il 26 marzo, scritta al computer da un anonimo sedicente “uomo d’onore della famiglia trapanese” che annunciava la sua eliminazione — in alternativa a quella di Massimo Ciancimino — perchè l’Italia “non può finire governato da comici e froci”?
Quella. Usava un frasario tipico di chi vuole accreditarsi come appartenente alle istituzioni o ad apparati investigativi. E parlava della decisione di uccidermi “chiesta dagli amici romani di Matteo”, cioè di Messina Denaro, avallata dal carcere anche da Riina “tramite il figlio”. Ora che ho ascoltato la viva voce di Riina ho capito il collegamento fra le due tipologie di minacce: quelle mafiose e quelle istituzionali o para-istituzionali. E ho colto la sottovalutazione che se ne fa, magari in buona fede, per ignoranza, su molti giornali e a livello politico.
Sottovalutazione?
Tutti parlano di minacce di Riina. Ma minacciare qualcuno significa volerlo spaventare. Riina, intercettato in carcere, non si limita a minacciarmi: il suo è un crescendo di parole rabbiose che culminano nell’ordine di uccidermi. Tant’è che i procuratori di Palermo e di Caltanissetta hanno utilizzato uno strumento eccezionale previsto dal Codice per “desegretare” le intercettazioni e ne han consegnato la trascrizione e il supporto audio-video al ministro dell’Interno Alfano. Parlare di “minacce” è improprio e fuorviante.
Non voglio farla polemizzare con le massime cariche dello Stato, ma proprio questo dicono, dopo un anno e mezzo di silenzi imbarazzati e imbarazzanti: solidarietà ai magistrati minacciati dalla criminalità organizzata.
Per carità , solidarizzare con tutti i magistrati minacciati dalla criminalità organizzata è giusto: le minacce delle mafie sono sempre cose serie. Ma i magistrati di Palermo che indagano sulla trattativa Stato-mafia sono un caso a parte: qui lo stragista numero uno degli ultimi trent’anni ha dato l’ordine di eliminarci e di rilanciare così la strategia stragista, sospesa vent’anni fa con la lunga Pax Mafiosa seguita alla trattativa.
Qual è il suo stato d’animo in questi giorni?
È un complesso di stati d’animo. Se mi guardo intorno e rifletto razionalmente, mi dico che non è valsa e non vale la pena aver sacrificato, in vent’anni di vita scortata, tanti momenti importanti di libertà e di spensieratezza miei e delle persone che mi stanno accanto. Ma poi per fortuna prevale la passione, come in tanti magistrati della mia generazione. Quando entrai in magistratura 22 anni fa, lo feci proprio con l’aspirazione di occuparmi di mafia. Il mio punto di riferimento era il pool antimafia di Chinnici, Caponnetto, Falcone e Borsellino. Tre su quattro li abbiamo purtroppo accompagnati nella tomba, ma quello è rimasto il mio imprinting.
Quindi prevale ancora la passione?
Sì, e ha la meglio sulla razionalità pura che consiglierebbe di mollare tutto. La passione per la bellezza del nostro lavoro. Che però non cancella la consapevolezza che fare il magistrato in questo modo — l’unico che conosco leggendo la Costituzione — “non paga”. Nè in termini di serenità personale, nè di carriera, nè di apprezzamento omogeneo dalle istituzioni e dagli uomini che le rappresentano, e anche da pezzi importanti dell’opinione pubblica. Ma non importa, andiamo avanti.
Prima delle stragi del ’92 era palpabile a Palermo l’insofferenza per i magistrati antimafia, le scorte, le sirene, le zone di rimozione forzata, i pericoli indotti dalla presenza di giudici a rischio. Si respira di nuovo quell’aria?
No, anzi l’intensificarsi dei pericoli per la mia persona è stato accompagnato paradossalmente da un surplus di solidarietà e vicinanza di tanti cittadini: lettere, email, parole d’incoraggiamento. Anche dai vicini di casa. È uno dei maggiori, e rari, motivi di conforto. Lo stesso vale naturalmente per la mia famiglia: ho la fortuna di essere circondato da persone che condividono idealmente gli stessi valori che sono alla base del mio impegno. Andiamo avanti, pure con grande difficoltà .
Com’è cambiata la sua vita in questi ultimi mesi?
Non devi mai ripetere gli stessi movimenti e gli stessi percorsi, che devi rendere il più possibile imprevedibili. Sei costretto a rinunciare anche a quelle piccole e poche cose che ancora ti concedevi prima, anche da scortato. Ma non è questo che mi pesa.
Cosa le pesa di più?
La consapevolezza che, quando ti inoltri su certi crinali investigativi sui rapporti fra mafia e istituzioni (non soltanto quelle politiche, ma anche i cosiddetti “apparati”), senti — per usare un eufemismo — di non essere capito da chi rappresenta lo Stato e persino da vasti settori della magistratura. Troppi continuano a pensare che le nostre indagini siano tempo perso, risorse sottratte alla “vera lotta alla mafia”, che consisterebbe soltanto nell’arrestare la manovalanza criminale, nel sequestrare carichi di droga. Invece, oggi più che mai, un contrasto serio alla criminalità organizzata deve recidere i suoi legami con istituzioni, politica, finanza, forze dell’ordine, apparati.
A parole, lo dicono tutti.
Sì, ma poi appena qualche pm ci prova e magari ci riesce, ecco il solito coro pieno di risolini e di dubbi sparsi a vanvera: ti senti additato al pubblico ludibrio come un “acchiappanuvole”, o peggio come un soggetto destabilizzante che rema contro le istituzioni per scalfirne il prestigio. C’è chi ancora ripete il ritornello che, scoperchiando la trattativa, abbiamo fatto un favore a Riina mettendo sotto accusa uomini dello Stato e della politica. Riina, a sentirlo parlare, non sembra proprio pensarla così. Anzi: manifesta nei nostri confronti una rabbia furibonda, che vuole addirittura tradurre nel mio assassinio.
Si è domandato perchè Riina ce l’ha tanto e proprio con lei?
No. Ma constato che mi sono occupato spesso e da molto tempo di processi che lo vedevano imputato: sono stato pm sulle stragi di Capaci, di via D’Amelio, sugli assassinii dei giudici Chinnici e Saetta e su altri omicidi perpetrati a Palermo.
Ciò malgrado, Riina, per quei processi, non aveva mai manifestato quel furore contro di lei. Che esplode solo per la Trattativa.
Con l’uscita di Ingroia, sono il pm che da più tempo segue quelle indagini. Quindi quella rabbia non me la spiego altrimenti.
Eppure, dagli atti che avete depositato finora, non si coglie un motivo che giustifichi tanta rabbia. A Riina non dovrebbe dispiacere di apparire come il superstragista che ha messo in ginocchio lo Stato. Avete il dubbio di non aver capito ancora tutto ciò che è acceduto, e che lui invece conosce bene?
Non il dubbio: la certezza. Finora abbiamo capito e riteniamo di aver provato solo una parte di ciò che è avvenuto. Non è casuale la tempistica dell’intensificarsi di questa pressione. Inizialmente si pensava che l’indagine sarebbe finita in archivio. Poi invece c’è stata la nostra richiesta di rinvio a giudizio e poi l’ordinanza di rinvio a giudizio del gup. E il processo è iniziato. Ma non è un mistero che stiamo continuando a indagare: non ci fermiamo certo a cercar di provare la colpevolezza degli attuali imputati. Vogliamo trovare chi li ha manovrati, li ha diretti e ha concorso con loro, dall’esterno di Cosa Nostra, nei delitti che abbiamo contestato. Con chi, perchè e su incarico di chi gli attuali imputati han fatto ciò che han fatto. Ecco: quando si è capito che non ci fermiamo, sono partite non solo minacce e ordini di morte, ma anche episodi pericolosi come l’irruzione in casa del giovane collega Roberto Tartaglia.
Voi rappresentate lo Stato, ma anche chi ha fatto la trattativa e chi vi minaccia o fa di tutto per ostacolarvi. Quanti Stati ci sono, in Italia?
Lo Stato è uno solo: quello disegnato con chiarezza e precisione dalla Costituzione. Per essere credibile e riconosciuto come tale, lo Stato non deve temere di processare se stesso, attraverso propri esponenti infedeli, collusi, deviati. Altrimenti non ha titolo neppure per processare la criminalità , organizzata e non.
Mai avuto il dubbio di essere voi, i deviati?
No, nemmeno quando veniamo additati come tali, come portatori di interessi diversi dalla giustizia e dalla legalità costituzionale. Certo, c’è la sensazione palpabile di essere devianti rispetto al sentire comune molto diffuso che vorrebbe imporci una particolare “prudenza” perchè non scoperchiamo certi vasi. Ma quella sulla trattativa è una delle poche indagini che ha subìto attacchi praticamente da tutte le parti politiche: almeno non possono accusarci di volerne favorire una a scapito di un’altra.
Qual è l’accusa che vi ha ferito di più?
Quella di autorevoli esponenti del giornalismo e della politica che ci attribuiscono addirittura la finalità di ricattare il capo dello Stato, solo perchè ci siamo imbattuti casualmente in alcune sue telefonate con l’ex ministro Mancino, o perchè l’abbiamo citato come testimone. È l’accusa più pesante e ingiusta, ma ci è toccato sopportare anche questo.
Quella vicenda ha trascinato tutti voi dinanzi alla Consulta e lei e il suo capo Messineo al Csm. Avete la sensazione che quella doppia delegittimazione abbia tappato la bocca a chi magari poteva collaborare pienamente alle indagini?
Posta così la domanda, è difficile rispondere. Diciamo che i pentiti di mafia ragionano ancora con l’istinto tipico dei mafiosi: se capiscono di avere di fronte dei pm attaccati dalle istituzioni, fiutano che parlare di certi argomenti potrebbe essere scomodo e poco conveniente anche per loro. E magari chi sa molte cose si attesta su canoni di ordinaria “normalità ”, rivelando solo ciò che non scandalizza troppo il sistema, e dunque non si rivela troppo dannoso per lui.
Lei è sempre sotto procedimento disciplinare al Csm?
Sì. A marzo mi è stato notificato l’atto di incolpazione, con l’accusa di aver leso le prerogative del capo dello Stato con un’intervista in cui spiegavo le procedure per la distruzione delle telefonate indirettamente intercettate fra lui e Mancino. Sono già stato interrogato e ora attendo che il Pg della Cassazione decida se chiedere al Csm di condannarmi o di prosciogliermi. A quel che risulta a me e al mio difensore, è la prima volta che si esercita l’azione disciplinare contro un magistrato per un’intervista. Ma, se sarò rinviato a giudizio, mi difenderò con serenità , ben conscio di aver fatto soltanto il mio dovere e di non aver violato alcuna legge o regola. Come il mio ufficio ha già fatto — purtroppo con gli esiti a tutti noti — dinanzi alla Consulta nel conflitto di attribuzioni sollevato dal Quirinale.
Anche alla Consulta la sua Procura sostenne di aver obbedito soltanto alla legge.
Certo, e la prova era nei fatti: non era la prima volta che una Procura, intercettando un soggetto coinvolto nelle indagini, captava casualmente sue conversazioni con un presidente della Repubblica. Era accaduto nel 1992 a Milano con il presidente Scalfaro. Ed era capitato nel 2009 a Firenze con Napolitano. In entrambi i casi, i pm avevano fatto trascrivere le telefonate e le avevano depositate agli atti. Nel caso di Scalfaro i giornali le avevano riportate. Eppure il Quirinale non sollevò alcun conflitto contro i magistrati. Lo fece soltanto con noi nel 2012, sebbene non avessimo fatto trascrivere quelle conversazioni penalmente irrilevanti, le avessimo custodite in cassaforte e avessimo spiegato che ne avremmo chiesto la distruzione. All’amarezza per quel che è accaduto, unisco però una soddisfazione, mia personale e dei miei colleghi: i nostri scassatissimi armadi hanno mostrato una tenuta stagna, infatti di quelle telefonate non è uscita neppure una sillaba. Nessuno può rimproverarci di non aver compiuto al meglio il nostro dovere di magistrati.
Cos’ha pensato quando il Comitato per l’Ordine e la Sicurezza le ha proposto di girare per Palermo a bordo di un carrarmato Lince?
Sulle prime, non sapevo neppure cosa fosse. Ho visto la foto in Internet di un Lince usato nella guerra in Afghanistan e ho detto di no. Oltrechè impensabile dal punto di vista pratico e logistico, un magistrato che deve circolare a bordo di un carrarmato diventa anche ridicolo. E se c’è una cosa che non posso accettare è che il mio lavoro venga messo in condizione di perdere il rispetto. La sicurezza non può diventare un pretesto per i tanti che guardano con ostilità al nostro impegno per metterci alla berlina. Tutti gli altri rischi li accetto: questo no.
Si è parlato anche dell’uso di un robottino anti-esplosivi, il “Jammer bomb”. Lo Stato sta facendo tutto quello che può per garantire la sua sicurezza?
Io non ho mai chiesto nulla: ci sono autorità preposte a queste decisioni tecniche e stanno operando con la massima professionalità . A cominciare dai carabinieri della mia scorta. Ma un magistrato è sicuro soprattutto quando tutte le istituzioni si mostrano totalmente unite nell’affermare che il suo operato — peraltro criticabile — non può subire minacce nè annunci di strage. La reazione compatta di tutto lo Stato sarebbe la migliore protezione per me e per qualunque altro magistrato in pericolo.
E quella reazione compatta per ora non c’è stata.
Finora è arrivata solo a spizzichi e bocconi, con molta lentezza, fatica e reticenza. Ma non dispero che ci si arrivi, un giorno o l’altro…
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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