FORCONI, LA PIAZZA DI CALVANI E’ UN FLOP, GLI ULTRAS DELUSI: “DOVEVAMO ASSEDIARE MONTECITORIO”
MOLTI GLI INQUADRATI, POCA LA GENTE COMUNE CON PROBLEMI REALI
È un folto gruppo di ventenni ultras arrivati con i passamontagna.
Urlano ripetendo verso il palco: “Andiamo a Montecitorio!”. Una imprenditrice quarantenne di Brindisi annuisce: “Dobbiamo fare la rivoluzione”.
Ma dal camioncino sul quale è salito per arringare la folla Danilo Calvani provoca il disappunto generale: “Non siamo eversivi. Dobbiamo rispettare la Costituzione e salvaguardare la Repubblica. In dieci giorni non possiamo pretendere di distruggere il marcio costruito in 30 anni”.
E sulla folla cala la delusione.
Un disoccupato accanto alle casse grida con rabbia al leader pontino ma il volume è altissimo, le sue parole cadono nel vuoto.
Calvani ripete gli slogan dei forconi: “Non siamo noi i violenti, gli infiltrati in questa piazza sono Letta, Bindi, Napolitano”.
Poi il mantra delle proteste cominciate il 9 dicembre: “Tutti a casa!”.
Due ore prima, alle tre del pomeriggio, era arrivato all’imboccatura di via del Corso scortato da energumeni che prima di tutto lo hanno portato vicino ai giornalisti per le dichiarazioni, suscitando l’ira dei simpatizzanti che lo volevano abbracciare.
E lì, davanti alle telecamere, aveva promesso: “Processeremo i politici che hanno sbagliato, a cominciare dal Presidente della Repubblica”.
La richiesta continua è quella di andare subito a votare. È lui a infiammare gli animi, per poi ricordare che “nessuno deve fare cazzate”.
E per tenere tutti buoni traccia una sorta di percorso fumoso: “I presidii continueranno in tutta Italia anche durante le feste natalizie. Se il governo non si dimetterà allora sarà lotta durissima”. Poco prima un uomo salito sul camioncino aveva parlato più chiaramente: “Passeremo presto ai fatti”.
La prima piazza dei forconi però è un flop. Ed è questa la delusione maggiore.
Gli organizzatori si aspettavano almeno 15 mila persone, ne sono arrivate appena due/tremila. La Questura aveva schierato duemila uomini nel timore che accadessero tafferugli.
E invece risultano più numerosi — circa cinquemila — i manifestanti in corteo dall’Esquilino per la Giornata di Azione Globale per i diritti dei migranti e dei rifugiati lanciata dai movimenti per la casa protagonisti anche del 19 ottobre.
Forse a piazza del Popolo ha contato la divisione del Coordinamento 9 dicembre: i leader Mariano Ferro e Lucio Chiavegato hanno deciso di non aderire alla manifestazione di oggi, preferendo organizzare un corteo domenica prossima fino a piazza San Pietro per salutare papa Francesco.
Per Calvani la colpa è il ritardo “non casuale” dei treni che avrebbero dovuto portare migliaia di forconi.
Così la maggioranza è composta proprio da quei ragazzotti delle tifoserie e della destra radicale che Calvani diceva di non volere al presidio romano.
Sventolano decine di bandiere italiane, l’ordine era quello di non mostrare simboli politici ma è chiaro che in questa Piazza del Popolo, molto maschile e con un’età media sui cinquant’anni, sono pochi i cittadini comuni.
E infatti è un boato enorme quello che accoglie i militanti di Casapound che scelgono di scendere scenograficamente dal Pincio cantando “Siam pronti alla morte”, maschera col tricolore al viso e un cappio al collo come nel blitz di domenica quando il vicepresidente del movimento Simone Di Stefano è salito sull’edificio della Commissione europea a Roma per rubare la bandiera Ue.
Sono loro, i giovani della destra estrema, a cantare a ripetizione l’inno d’Italia per ingannare l’attesa prima dell’arrivo di Calvani. Uno striscione scritto a caratteri fascisti riassume: “Ribellarci è un dovere”.
E poi le urla ripetute per ore all’indirizzo dei politici: “La vergogna dell’Italia siete voi”.
Ma l’amore per il tricolore accomuna tutti coloro che hanno voluto esserci: nei capannelli le parole d’ordine sono dignità , sovranità italiana, popolo italiano.
E in generale la certezza che a governare l’Italia non sia Enrico Letta bensì gli Illuminati, la troika, i banchieri, le logge massoniche: tutti discorsi che per anni hanno coagulato consenso nel web e ora diventano programma politico.
In subordine sono i giornalisti a essere presi di mira dai comizianti: “Sono delle m…!” esplode un operaio emiliano ottenendo un lunghissimo applauso di approvazione.
“Scrivete cose false”, spiega un mite dipendente d’azienda che appunta nomi e testate dei cronisti sul Blackberry per verificare se domani le ragioni della ribellione saranno state riportate a dovere.
“Siamo pochi ma arrivati da tutta Italia” dice invece Giacomo, cinquantaseienne disoccupato di Bergamo che racconta di essersi trasferito in Toscana per cercare un lavoro che non ha ancora trovato.
Giacomo ha deciso di ascoltare il comizio nella parte della piazza dove si sono radunati gli animatori dei presidii che hanno preso a turno il microfono per rovesciare la rabbia sui presenti. Un uomo che spiega di essere un padre separato costretto a vivere in un dormitorio della Caritas a un certo punto propone un abbraccio collettivo.
È l’unico momento nel quale i visi si sciolgono in un sorriso.
Anna vive a Lucca, ha 70 anni: “Quando ero giovane manifestavo per i diritti sindacali. Oggi sono tornata in piazza perchè questa Italia sta marcendo”.
Con lei è arrivato a Roma il figlio Roberto, 40 anni: “Vivo con la mia fidanzata, ci arrangiamo con qualche lavoretto”. Racconta di aver trovato un lavoro come cameriere, lo pagavano due euro e mezzo l’ora perchè ormai sono queste le paghe, così si è licenziato “per dignità ”.
Quando il frigo è vuoto passa dalla madre per prendere qualche mela e un pacco di pasta.
Da una settimana Giacomo, Anna e Roberto passano le giornate al freddo con gli altri rivoltosi del 9 dicembre. “Finchè ci sarà questa classe politica non voteremo mai più”, dicono. Nemmeno Grillo riesce a scaldare gli animi. “Torniamo a casa con l’autobus questa sera e continueremo a ribellarci perchè vogliamo soltanto una cosa: il lavoro”, dicono.
Ma la sensazione è che questa mobilitazione sia un punto finale.
(da “Huffingtonpost”)
Leave a Reply