Febbraio 9th, 2014 Riccardo Fucile
PRIMA LI MANDA ALLO SBARAGLIO A DIFENDERE INTERESSI PRIVATI, POI LI RISPEDISCE IN INDIA QUANDO POTEVANO RESTARE IN ITALIA, ORA SCENDE IN PIAZZA CONTRO LE PROPRIE CAZZATE
Sulla vicenda dei due marò italiani trattenuti da due anni in India, in violazione palese delle norme internazionali, l’ultima notizia è che il ministero indiano degli Interni ha autorizzato la polizia Nia a perseguire i due marò “in base al Sua Act, ma senza invocare l’articolo che prevede la pena di morte.
In pratica il dicastero “ha rimosso il riferimento alla clausola della pena di morte, mentre tutte le altre disposizioni rimangono le stesse”.
Secondo Times of India, il governo ha ordinato alla polizia investigativa della National Indian Agency lunedì, nell’udienza dinanzi alla Corte Suprema, di perseguire Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, accusati dell’uccisione di due pescatori erroneamente scambiati per pirati, in base a una disposizione del Sua Act (sezione 3 comma ‘A’) che punisce violenze generiche e comporta una pena massima di 10 anni, mentre finora si rischiava l’applicazione del comma G-1 che prevede obbligatoriamente la pena di morte per chi abbia commesso un omicidio in mare.
The Economic Times, invece, ipotizza che i due militari possano essere anche incriminati per omicidio in base all’articolo 302 del codice penale indiano che prevede l’ergastolo e, nei casi più estremi, la pena di morte.
In pratica, se va bene, i due militari rischiano una pena fino a dieci anni.
Nel frattempo da due anni sono incriminati non solo senza prove, ma addirittura con prove (vedi perizia balistica) che li riconoscono estranei. E in ogni caso la giurisdizione in questi casi è regolata da Convenzioni internazionali che prevedono che l’eventuale processo si tenga nel Paese di origine degli accusati.
Le varie formazioni di centro-destra in Italia da anni raccolgono firme, indicono presidi, affigono manifesti, postano foto sui social network per chiedere la liberazione dei due marò.
Cosa encomiabile se qualcuno di loro accompagnasse il tutto con una minima autocritica e non si limitasse a speculare sulla vicenda.
Tanto per precisare:
1) I responsabili morali del sequestro dei due marò italiani sono da ricercare in coloro che hanno voluto far approvare una norma per cui le navi commerciali dovevano essere scortate da nostri militari. Che il partito che annoverava il ministro della Difesa in quel momento abbia la faccia tosta di reclamare la liberazione di coloro che ha concorso a far imprigionare è il massimo della ipocrisia.
2) I due marò hanno trascorso un Natale a casa e, come sostenemmo allora, non dovevano più essere riconsegnati alle autorità indiane. Ricordiamo che allora molti “destrorsi” ci criticarono perchè “avevamo dato la parola al governo indiano e dovevamo preservare il nostro onore”.
A costoro ricordammo e rammentiamo ancor oggi che la parola vale tra persone oneste, non con dei mascalzoni. Un Paese indegno del consesso civile dove ogni 20 secondi viene stuprata una donna e massacrata una minorenne è forse garante della legalità e della giustizia?
3) Se i due marò rischiano dieci anni di galera è anche grazie a un governo che pensa solo a tutelare gli interessi commerciali delle aziende italiane che operano in India. Un altro governo avrebbe già obbligato a rientrare tutti gli italiani e interrotto ogni rapporto. E non si dica che avrebbero sequestrato il nostro ambasciatore: in quel caso sarebbe bastato fare altrettanto con il loro e tutti sarebbero tornati indenni a casa propria.
Conclusione: prima di scendere in piazza contro le propre cazzate, qualcuno farebbe bene a guardarsi allo specchio.
Per poi scomparire senza propinarci lezioni di ipocrisia e ignobili speculazioni sulla pelle altrui.
A quando una foto per i marò liberi accompagnata dalla foto dei responsabili del loro sequestro?
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Febbraio 9th, 2014 Riccardo Fucile
POTREBBERO SOSTENERE UN EVENTUALE GOVERNO GUIDATO DAL SEGRETARIO DEL PD
Una guerra fredda congela il Movimento cinque stelle. 
Da una parte gli ortodossi, ostili a ogni intesa. Dall’altra i dissidenti, aperti al dialogo.
In mezzo lo scenario di un governo Renzi, capace di far riesplodere il conflitto.
Perchè a Palazzo Madama una pattuglia di colombe a cinquestelle è pronta a varcare il Rubicone, in nome di una legislatura costituente.
«Renzi – confida il senatore Luis Alberto Orellana – non è un politico vecchio stampo. La sua spinta, adesso, è forte. La osservo e vivo con inquietudine il fatto che non partecipiamo ».
Il confronto è serrato, i contatti con Pd e Sel quotidiani. E proprio i sette senatori vendoliani sono disponibili a offrire ospitalità a chi deciderà di strappare, dando vita a un nuovo gruppo.
Un ponte l’ha costruito il senatore Peppe De Cristofaro (Sel). Non ha voglia di sbilanciarsi, però ammette: «Con alcuni colleghi del M5S parlo spesso. Ragioniamo di politica e del futuro ».
La lista di chi ha voglia di confrontarsi con i nuovi scenari comprende almeno dodici senatori. Per molti la fiducia a un nuovo esecutivo resta un tabù.
Li unisce però la volontà di rimettere in gioco il Movimento, senza chiusure preconcette. I più “esposti” sono Orellana, Lorenzo Battista, Laura Bignami e Monica Casaletto, in rotta con Gianroberto Casaleggio.
Ma l’elenco dei dialoganti è più lungo. E molti hanno una storia “di sinistra”.
C’è Maria Mussini, ospite questa estate della festa dell’Unità , e ci sono i toscani Maurizio Romani e Alessandra Bencini.
Fabrizio Bocchino, Francesco Campanella e Francesco Molinari, vicini alla sinistra e al sindacato.
E ancora, l’ex verde Roberto Cotti, Ivana Simeoni e Bartolomeo Pepe.
Mille sfumature, ma convinti della necessità di sedere al tavolo del confronto.
«Renzi vuole discutere? Benissimo, ci ascolti. Rispetto al nulla di Letta – sostiene Serenella Fucksia – qualsiasi mossa che ci tolga da questo immobilismo è positiva. Spero che il Movimento sia propositivo nei contenuti, senza traccheggiare».
Orellana, fin da marzo sponsor di un «governo per il bene del Paese», resta fiducioso: «Renzi è coraggioso, in prima battuta tendo a dargli fiducia».
Campanella, invece, mette in guardia dai rischi: «Non vedo margini nè dal punto di vista politico, nè della convenienza politica».
Li frena soprattutto l’aritmetica, perchè in un esecutivo Renzi difficilmente risulterebbero determinanti.
Ortodossi e dissidenti, comunque, temono la prima mossa. Resta immobile, ad esempio, il guru Casaleggio.
Informato delle manovre, ha valutato nuove espulsioni. Ma poi ha preferito farsi guidare dai sondaggi: «È meglio che siano loro a lasciare», ha spiegato all’ala dura.
Di certo, il clima resta pesante. «Epurazioni? Non so – ammette Orellana non parlo con Casaleggio. Quando viene, riceve chi vuole…».
L’ex capogruppo Nicola Morra, poi, quasi auspica una resa dei conti: «Il Movimento non è una prigione, porte aperte a chi vuole andarsene. I continui distinguo ci logorano». Anche perchè la linea dei falchi non cambia: «Altro che fiducia a Renzi, l’esperienza di questi mesi ci rafforza nella convinzione che chi governa debba essere mandato a casa».
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 9th, 2014 Riccardo Fucile
CAPPELLACCI ARRANCA, MA LA SCRITTRICE E’ LA VERA SORPRESA DI QUESTA CAMPAGNA ELETTORALE
Ci mancava solo la barzelletta di Berlusconi.
Già era messo male, Ugo Cappellacci, che tra otto giorni si giocherà la poltrona di governatore della Sardegna: nella classifica del gradimento degli elettori lui è appena risultato penultimo, tra i presidenti di Regione.
Poi è sbarcato in Sardegna il Cavaliere. Voleva dargli una mano, come aveva fatto cinque anni fa.
E invece, una volta sul palco della Fiera di Cagliari, Berlusconi s’è fatto prendere la mano. «Ti faccio una proposta» ha detto a Cappellacci. «Devi cambiare il tuo nome in Franco».
E vedendo la faccia giustamente perplessa dell’interessato, ha tirato fuori la barzelletta fatale. «Vedi, quando ero presidente del Consiglio venne da me un signore che si chiamava, è una storia vera eh, Giancarlo Merda. E mi chiese di cambiare il nome. Io ritenni questa richiesta assolutamente giusta. Me ne occupai e in 15 giorni ottenni la possibilità di cambiargli il nome. Poi per curiosità gli dissi: bene, adesso può cambiarlo, come si vuol chiamare? “Ugo Merda” rispose».
In sala tutti a ridere, ma da quel giorno sul web e sui tabelloni elettorali centinaia di buontemponi si divertono ad aggiungere sotto la foto del governatore una didascalia al vetriolo: «Ugo Merda (l’ha detto Berlusconi)».
Ancora una volta la Sardegna è un rebus.
Per le strade dell’isola si aggirano 1500 aspiranti consiglieri regionali – organizzati in 29 liste, auguri agli scrutatori – e sei candidati presidenti.
Cappellacci – 54 anni – ci riprova, anche se il suo bilancio è catastrofico. La disoccupazione è salita al 15 per cento, lavora solo un sardo su due, la cassa integrazione in deroga è aumentata del 500 per cento.
Cinque anni fa il governatore vinse promettendo 100 mila posti di lavoro. C’è andato vicino: 83 mila. Purtroppo ha sbagliato il segno: quei posti sono in meno, non in più. Ma Cappellacci ha imparato da Berlusconi come si fa, e dunque ha tirato fuori dal cappello una promessa mirabolante: fare della Sardegna «la zona franca più grande d’Europa».
Non si pagherà più l’Iva, la benzina costerà la metà e le imprese non pagheranno tasse.
Piccolo dettaglio: la Regione perderebbe 2,2 miliardi, un terzo del suo bilancio. Commenta Renato Soru, l’ex governatore che non ha ancora dimenticato la feroce campagna di cinque anni fa contro di lui, reo di aver imposto un piano di salvaguardia delle coste che vietava nuove costruzioni fino a due chilometri dal mare: «Quando ero ragazzo, intere famiglie si precipitavano nelle campagne di Pula perchè si era sparsa la voce che lì, proprio lì, dovevano atterrare i marziani. C’è gente che crede a tutto. Anche alla zona franca. E nessuno si domanda con quali soldi poi pagheremo gli ospedali, le scuole, il trasporto locale. La verità è che Cappellacci incanta i sardi con sogni irrealizzabili per far dimenticare le promesse che non ha realizzato e il disastro che ha provocato».
Ma i sardi si faranno incantare?
Tutti gli osservatori danno in vantaggio lo sfidante candidato dal Pd, Francesco Pigliaru, 59 anni, ordinario di Economia politica a Cagliari ed ex assessore al Bilancio della giunta Soru (fu lui a stendere il progetto “Master and back” per far tornare nell’isola i cervelli volati via).
«Sento che adesso dietro di me ho un partito, come dire, abbastanza unito» confida Pigliaru, dopo le velenose polemiche che hanno diviso il Pd prima e soprattutto dopo le primarie, con la vincitrice Francesca Barracciu prima portata in trionfo e poi costretta a ritirarsi per un avviso di garanzia sui rimborsi della Regione.
«Ai sardi – dice il candidato del Pd – io prometto tre cose concrete. Primo, un piano di investimenti sull’istruzione e sulla formazione. Secondo, un programma di flex security per aiutare i giovani e i disoccupati a trovare il lavoro. Terzo, la sburocratizzazione della Regione».
Ma la vera sorpresa di questa campagna elettorale è la scrittrice Michela Murgia, ribattezzata “la candidata best seller”.
Sostenuta da un’alleanza tra gli indipendentisti di “Progetu Republica Sardigna” e le liste civiche “Gentes” e “Comunidades”, forte di un passato comune a tanti giovani sardi – è stata insegnante di religione, telefonista in un call center e portiere di notte, prima di vincere il Campiello con “Accabadora” – la Murgia è riuscita a intercettare la rabbia di chi pensa che se non fosse per il Continente la Sardegna sarebbe un’isola felice.
«Siamo come il lievito nella pasta – spiega lei – perchè con un po’ di attività e molta sensibilità si ottiene un grande risultato. La sensazione di non poter decidere il proprio destino finchè si resta legati a logiche di appartenenza ai partiti nazionali è molto forte, e peserà sulle scelte degli elettori. I Cinquestelle voteranno per me? Guardi, Grillo qui ha ottenuto il 29 per cento catalizzando il voto di quanti non si sentivano rappresentati dai partiti tradizionali. Tutti elettori che se non resteranno a casa non potranno non votare per noi. Ma non saranno i soli. Perchè se il centrosinistra invoca il voto utile, vuol dire che molti di loro non vedono l’ora di non votare Pd».
Quanti voti prenderà l’outsider sardista? E chi ne beneficerà ?
«Io tifo per la Murgia – commenta Nichi Grauso, l’irriverente profeta di internet che proprio qui fondò Video On Line – perchè lei è contro gli schemi, esattamente come me. Però non ce la farà . Purtroppo. La sinistra si dividerà tra ortodossi, anarchici e irreggimentati. E vincerà Cappellacci ».
Nella sede del Pd, intanto, le notizie sull’ascesa della Murgia hanno fatto scattare l’allarme rosso.
Avverte Salvatore Mannuzzu, uno degli intellettuali di punta della sinistra sarda: «D’accordo, il Pd ha sbagliato molte cose. Ma oggi la sfida vera è tra Cappellacci e Pigliaru. Uno vince, l’altro perde. E al di là delle sue intenzioni, ogni altra candidatura rischia solo di far vincere il candidato di Berlusconi. Io spero che gli elettori di sinistra non lo dimentichino».
Sebastiano Messina
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