Destra di Popolo.net

“MINISTRO A ME? NON SI PERMETTA”

Febbraio 19th, 2014 Riccardo Fucile

NUOVE TENDENZE

Ministro a chi? Nessuno più vuole servire la Patria.
Il fenomeno sta assumendo i caratteri disperati della caccia al tesoro e prefigura per Renzi una doppia emergenza: salvare l’Italia anzitutto, e salvarla poi con un gruppo di persone dalla competenza affievolita, opaca, nascosta, indagabile.
I nomi lucenti stanno purtroppo scomparendo alla vista, sono stelle cadenti, bagliori che si spengono nel buio di quest’ora.
La lista dei competenti o supposti tali, imprenditori di rango, economisti di vaglia, intellettuali dalla parola scintillante e dalla mente indomita, dunque con idee in movimento, quelle che piacciono tanto al nostro futuro premier ipercinetico e iperstimolante, sembrano sconfortati dall’impresa, o distratti dagli affari, comunque riottosi di dare prova della propria maestria
Non conosciamo il numero delle proposte avanzate, ma già  facciamo il conto dei rifiuti annunciati.
Fanno impressione le parole di Lucrezia Reichlin: “Non ho ricevuto alcuna offerta. Comunque conosco poco le idee di Renzi e quel poco che conosco non lo condivido”.
Ha detto no anche Renzo Rosso: “Mi piace fare”.
Proprio lui che è un amico, e proprio a Renzi, il fare in persona, concretista insaziabile? C’è di peggio di queste parole?
E leggerle mentre è in corso il rito delle consultazioni, con le trattative che si devono dispiegare anche attraverso l’appoggio di Gal (è la sigla di un minuscolo sotto-agglomerato partitico di centro), la promessa all’onorevole Vincenzo D’Anna, intimo di Cosentino, oggi a piede libero, che qualcosa per lui uscirà  fuori dal grande calderone governativo, e anche per Bruno Tabacci, democristiano disperso, e per il concittadino Nencini, socialista superstite.
Purtroppo appare quel che ieri mai sarebbe stato pensabile: le seggiole di governo danno sete solo alla categoria b, alla poltiglia argentata del sottopotere.
Appena si alza l’asticella, cala lo stress da nomina.
E negli incroci ipotizzati persino quello di portare Fabrizio Barca e Luca di Montezemolo insieme al governo sembra naufragato.
Una coppia così stravagante che avrebbe fatto pensare a un premier dotato non soltanto della capacità  post-ideologica di conquistare gli opposti, ma anche dotato di influssi paranormali.
Quale comunione d’intenti avrebbe potuto vedere Montezemolo, leader del partito dei carini, del lusso e del lifestyle (qui è Crozza), accanto al penitenziale Barca che proprio ieri ha rivelato la sua idea: imporre ai ricchi una patrimoniale da 400 miliardi.
Niente da fare, “sono degli avventuristi”, ha detto Barca.
Baricco ha invece dichiarato di stare bene nella sua Holden, la scuola creativa, ed essere così innamorato del suo mestiere di scrittore da non vedere altra possibilità  di fuga.
E pure il facoltoso Adriano Guerra non rinuncia alla Luxottica, Romano Prodi ha fatto sapere di essere out, e anche Colao. Persino, e se lo citiamo solo è per dare il senso della disfatta, Farinetti, il vate renziano di Eataly riesce a smarcarsi. “Quando conoscerete la lista vedrete quali nomi Matteo proporrà !”.
È possibile che gli effetti speciali siano tenuti nascosti per non affievolire lo stupore che verrà .
Resta l’impressione che fare il ministro è divenuto un cattivo mestiere, una fatica di Sisifo, una sfida contro la legge di gravità .
Elsa Fornero è ancora scioccata per quel che ha visto e ha patito, per la distanza il suo corpo tra il prima e il dopo. Riverita, affermata docente esperta di politiche del lavoro, ha conosciuto la tragedia della trasfigurazione in seviziatrice, in affamatrice del popolo.
Non è andata meglio a Mario Monti e a chiunque abbia provato il rischio di sedere su un qualunque strapuntino ministeriale. Per conservare l’onore mai fare il ministro.
Tesi così inscalfibile che il punto certo del disonore, l’esatto luogo in cui il nostro agire si intorbidisce fino a perdersi nelle viscere dell’inferno delle clientele, è la stanza da sottosegretario.
È un incarico che solo una ristretta cerchia di umani può ricoprire con gioia, restando sicuro che il resto del mondo rabbrividisce al pensiero di essere scambiato per una di quelle figure.
Non era così un tempo. Renzi però annuncia il nuovo mondo.
E anche se sarà  costretto a pigliarsi Angelino Alfano e tenerlo al vertice della linea di governo, inaugurerà  l’esecutivo del monoconduttore.
La sua è una fuga solitaria, l’abbiamo detto. E non ci importerà  niente degli altri. Lui e lui solo.
Forever.

Antonello Caporale

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GUBITOSI SFIDA GRILLO: “SULLA RAI DAI DATI FALSI, SE HAI RAGIONE RINUNCIO A 650.000 EURO, SE HAI TORTO LI TIRI FUORI DI TASCA PER DEVOLVERLI IN BENEFICIENZA”

Febbraio 19th, 2014 Riccardo Fucile

SCOMMETTIAMO CHE GRILLO FUGGIRA’ A GAMBE LEVATE?

Il Direttore Generale della Rai Luigi Gubitosi risponde alle cifre sparate da Grillo davanti all’Ariston sui bilanci della Tv di Stato con una nota stampa letta in diretta nella conferenza stampa del mattino di Sanremo 2014.
Gubitosi, accusato di aver raddoppiato il buco nel bilancio della Rai, non ci sta ai numeri proclamati nell’improvvisato comizio che ha accompagnato l’ingresso del leader del M5S all’Ariston dove ha seguito parte della prima serata del Festival e rilancia, scommettendo col comico ligure il proprio stipendio.
“La previsione sui dati del bilancio della Rai che Grillo ha annunciato ieri sera fuori dall’Ariston è falsa e visibilmente irrealistica. Sono pronto a fare una scommessa. Se ha ragione lui e il bilancio è peggiorato e chiude con una perdita di 400 milioni, lavorerò un anno gratis e devolverò il mio stipendio in beneficenza alla onlus che Grillo indicherà ”.
Gubitosi è quindi certo del fatto suo e nella seconda parte della scommessa ‘inchioda’ Grillo alle accuse verso i giornalisti, i ‘walking dead’ che non fanno che stargli dietro:
“Se invece ho ragione io e non solo non c’è un buco raddoppiato ma anzi i conti sono in grandissimo miglioramento rispetto all’anno scorso, Grillo devolverà  la stessa cifra alla Fondazione Luchetta-Ota-D’Angelo- Hrovatin o al Premio Ilaria Alpi (tutti giornalisti Rai morti in servizio, ndr), di cui ricorre quest’anno il ventennale della scomparsa. Persone che ben rappresentano l’abnegazione, la professionalità  e il senso di servizio pubblico che questa azienda esprime e che lui sistematicamente offende.
Da Direttore Generale, Gubitosi è intenzionato a difendere la Rai e i suoi dipendenti
“Un conto sono gli attacchi ai vertici aziendali, a cui sono ormai abituato e che fanno parte degli oneri dell’incarico, un conto invece è l’aggressione costante e ingiustificata alla professionalità  di migliaia di persone che lavorano alla Rai, che meritano rispetto e che, da direttore generale, non posso accettare”.

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“QUI SI MUORE PER L’EUROPA”: TRA I COMBATTENTI DI MAIDAN, GLORIA ALL’UCRAINA RIBELLE

Febbraio 19th, 2014 Riccardo Fucile

INDOSSANO I PASSAMONTAGNA, PREGANO E CURANO I FERITI: “SCRIVIAMO LA STORIA”

Slava Ucraini. «Gloria all’Ucraina». Incalcolabili le centinaia di feriti.
Slava Nazii, smert vraga. «Gloria alla nazione, morte al nemico».
Quanti di noi mancano, quanti sono morti, quanti arrestati? Bog s nami. «Dio è con noi».
Calcolate il numero dei cecchini sui palazzi, ragazzi.
Chiamate i dottori, ragazzi. Preparate altre molotov, ragazzi.
Non indietreggiate, Ucraini. Streljaut, «anche se sparano».
«Non abbandonate Maidan, non abbonate il simbolo della libertà ».
Eto serze Ucrainii, ribjata. «Questo ormai è il cuore dell’Ucraina, ragazzi».
Maidan brucia. Mentre in poche ore perdono i territori occupati, quelli che sono stati eletti generali tra i ribelli impartiscono ordini nel caos delle barricate, gestiscono l’anello di fuoco che mangia la piazza e non smettono di ricordare ai ragazzi nati dopo la caduta del muro di Berlino, sotto caschi e passamontagna, mazze ferrate tra le mani, perchè sono qui: «Per la libertà , per la terra, per l’Ucraina».
Intanto, mentre sulle barelle vanno verso le tende della croce rossa i feriti, ti chiedono: «In quale altro posto hai visto gente morire sotto la bandiera europea?».
Intorno a loro i preti benedicono le persone che pregano mentre anche il terreno trema per le deflagrazioni, alzano gli occhi al cielo e puntano la croce dove a pochi passi puntano fucili.
Chiedono che finisca «il terrore satanico della violenza». I passamontagna che indossano i migliaia di occupanti lasciano intravedere occhi di vecchie guerre, l’ Afghanistan del ’79, cicatrici di allenamenti in Unione Sovietica, e sono quegli occhi che nei giorni scorsi organizzavano in truppe ragazzini arrivati da tutte le province, da Lvov a Odessa, per combattere contro quello che sembra il nuovo patto di Varsavia. «Noi non faremo la fine della Bielorussia. Questa rivoluzione non è arancione. È blu per chi cerca l’Europa e nera per chi cerca indipendenza. Ma sappiamo di non avere una terza strada: l’Europa è l’unica alternativa per sopravvivere a Mosca».
Volodja è qui dal primo giorno e non indietreggia.
Legge la bibbia inginocchiato mentre bruciano ruote che hanno circondato la capitale di una nuvola di fumo. A 5 metri da lui le milizie sono pronte a colpire:
Valodja smette di combattere solo per pregare. Bardato da protezioni che appartenevano ai poliziotti, con la sua fedele mazza ferrata e la maschera antigas, Volodja, come molti Ucraini, continua da mesi a non aver paura.
È lui che dà  inizio al coro delle mazze che battono sugli scudi di ferro e sui caschi verdi: «Devono sapere che siamo sempre qui, che non ce ne andiamo, non abbiamo mai smesso di combattere: vedi, i nonni hanno dato ai nipoti le maschere antigas dell’epoca sovietica, quando Mosca poteva dettare legge. Ma oggi non può farlo più. Yanukovic il fantoccio deve andare in prigione»
Il palazzo che era Museo di Lenin fino a 20 anni fa, dove era stata appesa la gigantografia di Putin sotto la scritta «Togli le tue mani insanguinate dal nostro paese», è andato perduto e ripreso dagli uomini del presidente.
Fino a ieri si riunivano studenti universitari, dormivano gli ultras divisi per squadre, si organizzavano i volontari, si proiettavano film, si distribuivano cibo, bevande calde e vestiti.
Ora è cenere e macerie il nido di quegli occupanti che erano il prematuro feto di una classe media che vuole rinascere sotto le stelle della bandiera europea e ha il terrore dell’aquila russa.
I portieri dei palazzi del Kreschatik serrano le porte.
Sono vecchi che piangono senza lacrime il ritorno dell’apparato, dei tempi della cortina di ferro come ritorsione all’anelito di una libertà  mai veramente conquistata. Sono le babushke che ricordano le repressioni di guerre mondiali, civili, fredde e silenziose.
Ora al caldo delle fiamme della guerriglia ti guardano e chiedono «Allora adesso dove siete? L’Europa ci ha abbandonato, stanotte ammazzeranno questo popolo».
Serrano le porte: nessuno esce, nessuno entra.
Mentre i ribelli ripiegano e perdono terreno, le divise nere di Yanukovic hanno circondato la zona occupata: è a loro che donne e uomini continuano a urlare dagli altoparlanti «non sparate ai vostri figli, non sparate ai vostri genitori, non spezzate la schiena a questo paese».
Sulla bandiera blu a stelle gialle si appoggiano fronti insanguinate, sguardi di uomini neri sporchi di carbone.
Sono le voci dalla città  che brucia, dove quando uno solo invoca gloria all’Ucraina, in migliaia rispondono gloria agli eroi.
Misha è tornato da Napoli, dove ha vissuto dieci anni, «perchè qui c’è crisi davvero, non come da voi: sono in prima linea per il mio paese».
Milita nel gruppo Udar, di Vitalij Klicko.
Ogni volta che il pugile si affaccia sul palco della piazza, non smette mai di stringere i pugni: «Non ce ne andremo, mai».
Maidan continua a essere circondata dalla Berkut, le squadre d’assalto addestrate, come pensano in molti, dai russi.
Ma Kiev non si arrende. «Da questo lato del mondo è sempre con le molotov che si è scritta la storia», dice Volodja.
Nessuno sa cosa resterà  domani di Maidan, di Kiev, dell’Ucraina.
Questa notte rimarrà  sveglia tutta la nazione per saperlo, ripetendo a denti stretti Gloria all’Ucraina.
(da “La Stampa“)

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IL GUITTO RIESCE A RENDERE CREDIBILE PERSINO RENZI: “IO NON SONO DEMOCRATICO E NON HO TEMPO PER TE”

Febbraio 19th, 2014 Riccardo Fucile

LA BASE CINQUESTELLE VOLEVA UN CONFRONTO SUI PROGRAMMI, MA GRILLO   E’ ANDATO ALL’INCONTRO CON RENZI SOLO PER IMPEDIRE CHE I SUOI PARLASSERO DI POLITICA

“Io non ti faccio parlare, non sono democratico con voi. Non abbiamo tempo da perdere per te. È finita caro” è il saluto di Grillo.
“Buona giornata, è stato un piacere vederti”, gli stringe la mano Renzi.
Dura cinque minuti l’incontro (si fa per dire) tra il premier incaricato Matteo Renzi e il leader del Movimento 5 stelle, Beppe Grillo per le consultazioni sul nuovo governo.
Un colloquio lampo tra i due che si è trasformato da subito in un comizio di Beppe Grillo.
“Sono venuto a dimostrarti la nostra totale indignazione per quello che rappresenti: noi siamo coerenti tu non sei credibile. Noi faremo degli errori ma siamo coerenti. Noi non prendiamo soldi” ha detto Grillo a Renzi, che ha replicato: “Non è il trailer del tuo show, non so se sei in difficoltà  sulla prevendita e se mai ti do una mano. Questo non è Sanremo. Esci da questo blog”.
Il leader a 5 stelle non ha voluto interpretare il mandato ricevuto dai militanti, che ieri hanno scelto sul blog di incontrare Renzi per discutere e capire quali fossero i suoi programmi per il nuovo governo.
Le consultazioni, in concreto, non ci sono state e Renzi ha puntualizzato questo messaggio. “Sei qui perchè il tuo popolo sul tuo blog ti ha detto che dovevi venire quando tu avevi detto il contrario” ha affermato Renzi.
Grillo ha risposto: “Se era per me non venivo nemmeno. Abbiamo votato e siamo venuti perchè abbiamo un principio di democrazia. Ma non avevo una scaletta di cose perchè non mi interessa colloquiare democraticamente con un sistema che voglio eliminare”.
Il segretario del Pd aveva accolto Grillo affermando che non avrebbe chiesto il sostegno del Movimento 5 stelle.
“Noi non vi chiediamo alcun accordo, non siamo a chiedervi il voto di fiducia”.
La replica è stata ironica: “Mi stai spiazzando per questa gentilezza, non mi chiedi nulla allora perchè siamo venuti?”
Ma il comizio di Grillo continua anche in conferenza stampa.
“Metà  programma” di Renzi “è un copia-incolla” di quello del Movimento 5 Stelle. “Non è un problema di programma ma di chi dice questo programma: non hanno credibilità . Non hanno capito dove stiamo andando” afferma Grillo, che rivendica il ruolo di opposizione del M5s: “Hanno scoperto una cosa che non pensavano esistesse, hanno scoperto l’opposizione”.
Al termine dell’incontro con Grillo, Renzi scrive su Twitter agli elettori del Movimento: “Mi spiace tanto per chi ha votato 5Stelle. Meritate di più, amici. Ma vi prometto che cambieremo l’Italia, anche per voi”.
Dall’incontro con Beppe Grillo “mi aspettavo qualcosa di più, soprattutto per lui” dice Renzi.
“Vedevo le facce imbarazzate dei suoi che gli erano accanto quando provavo ad entrare nel merito. Vorrei abbracciare ad uno ad uno gli elettori 5 stelle. Cercheremo di realizzare anche per voi il cambiamento nonostante il vostro capo non abbia desideri e scappi”.

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DE BENEDETTI, LA TESSERA N°1 DEL PD E LA PASSIONE DEL BURATTINAIO

Febbraio 19th, 2014 Riccardo Fucile

LA LUNGA STORIA DEI CONSIGLI, PIÙ O MENO RICHIESTI, AL PARTITO…. INTANTO SORGENIA È MALMESSA

A novembre ne compirà  80, ma ancora Carlo De Benedetti non trova pace. Colpa del carattere. E anche della sfortuna.
Mentre vorrebbe fare solo ciò che ama — sputare sentenze sullo stato deplorevole in cui versa la Patria — deve rintuzzare l’accusa di essere il “grande burattinaio” dell’opaca operazione Renzi Uno.
E anche occuparsi del figlio Rodolfo, alle prese con una possibile bancarotta di dimensioni ligrestiane.
Ieri la holding di famiglia, la Cir, ha dovuto emettere su richiesta della Consob un comunicato pieno di inquietanti notizie.
Primo: Sorgenia, controllata che produce energia elettrica, ha un mese di vita se le banche non concedono ulteriore credito.
Secondo: il debito è di 2,2 miliardi di euro (pari circa al fatturato), e il gruppo è impegnato in una serrata trattativa con le banche per la cosiddetta “ristrutturazione”. Terzo: le banche non potranno in ogni caso rifarsi sulla holding della famiglia De Benedetti che, spiega la nota, “non ha rilasciato garanzie” in favore di Sorgenia. Insomma, la solita storia, come un imprenditore italiano qualsiasi: le banche erogano, le garanzie non ci sono, quindi gli azionisti Cir si rilassino, se va male si può fare ciao ciao con la manina.
Comunque ieri il titolo Cir ha perso in Borsa il 3,11 per cento.
L’Ingegnere ha chiarito che sono cavoli di Rodolfo: “Non c’entro nulla, non sono in consiglio e non sono più azionista Cir”.
E se non c’entra con il bubbone Sorgenia, c’entrerà  con il governo Renzi? Ha sbagliato Fabrizio Barca, ministro dell’Economia nel pectore di molti, a chiamarlo in causa?
Nella telefonata rubata del finto Nichi Vendola ha protestato contro le pressioni di chi lo vuol trascinare nella opaca operazione Renzi Uno, indicando nell’Ingegnere il mandante.
Replica secca: “Non mi occupo di nomine politiche perchè non è il mio mestiere. Ho sempre rispettato l’autonomia della politica”.
Ecco, questa è una balla. È il carattere che lo frega.
Diventò celebre una quarantina d’anni fa quando l’avvocato Gianni Agnelli lo chiamò a guidare la Fiat e lo mise alla porta tre mesi dopo: voleva insegnare il mestiere al capo.
È da almeno un quarto di secolo che l’incontinenza verbale gli vale l’accusa di essere (o voler essere) il “grande burattinaio” della politica italiana.
A fine anni ’80, quando si instaurò il cosiddetto Caf (Craxi-Andreotti-Forlani ), De Benedetti era accusato di tirare i fili di un antipartito facente capo all’ex segretario Dc Ciriaco De Mita e al leader del Pci, poi Pds, Achille Occhetto.
E dopo l’ascesa politica di Silvio Berlusconi gli toccava l’accusa di tessere la trama della controffensiva.
Dopo il trionfo elettorale di B. nel 2001 non resistette alla tentazione di rivelare, in un’intervista al Corriere della Sera (quando ha una notizia ama dare il buco, come si dice in gergo, a Repubblica , sua creatura prediletta) che si era immischiato nella scelta di Francesco Rutelli come candidato contro il Caimano.
Gianni Cuperlo, allora attendente di Massimo D’Alema, protestò su l’Unità : “Il prossimo leader non lo sceglierà  De Benedetti”. Anche perchè la designazione di Rutelli non si rivelò tra le più felici.
E qui torna il tema della sfortuna. Quando De Benedetti si lascia prendere dall’ansia di battezzare un nuovo condottiero non è che ci prenda tanto.
Però sa prendere atto e cambiare idea. Nel 2007 chiese la tessera numero uno del Pd, dicendo che Rutelli e Walter Veltroni erano i due uomini giusti per portare a meritati trionfi il centrosinistra. All’improvviso la parabola dei due promettenti strateghi si fece discendente.
Arrivò Pier Luigi Bersani, e De Benedetti disse che il Pd lo aveva deluso, ma anche Bersani, appena nominato segretario, lo aveva deluso.
Poi cambiò idea e disse che alle primarie del 2012 avrebbe votato per Bersani contro Matteo Renzi, fulminando il sindaco con un lungimirante “di Berlusconi ce n’è bastato uno”.
Poi cambiò idea e scelse Renzi per le primarie 2013, provocando, dieci anni dopo, la stessa reazione di Cuperlo: “È in corso un’Opa di Repubblica sul Pd”.
E la storia continua infinita, l’Ingegnere invecchia e parla, parla e invecchia, le sue intemperanze imbarazzano i giornalisti di Repubblica che prima di digitare un aggettivo si chiedono: “Diranno che me l’ha dettato il padrone?”.
E tutti a dirgli “burattinaio” senza che nessuno dei cavalli su cui ha scommesso abbia mai vinto una corsa.
Saranno tutti così i poteri forti?

Giorgio Meletti
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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L’ALTOLÀ DI BERLUSCONI SULLE RIFORME: “SUBITO L’ITALICUM, IL SENATO VIENE DOPO”

Febbraio 19th, 2014 Riccardo Fucile

IL CAVALIERE PREOCCUPATO PER I SONDAGGI: IN QUASI TUTTI I CAPOLUOGHI DI COMUNE INTERESSATI ALLE AMMINISTRATIVE DEL 25 MAGGIO CENTRODESTRA DATO PERDENTE

Pacta sunt servanda, è lo slogan con il quale questa mattina Silvio Berlusconi si ripresenterà  al cospetto di Matteo Renzi.
Rimette piede in Parlamento per la prima volta dopo il 27 novembre.
Aveva promesso a sè stesso di non farlo mai più, dopo la decadenza votata dal Senato. Lo farà , invece, e con grande soddisfazione: torna a Montecitorio (per di più nella Sala del Cavaliere) dopo le consultazioni al Colle di sabato, per il secondo faccia a faccia in un mese (era il 18 gennaio) col leader Pd, nel frattempo incaricato premier.
Il Cavaliere è rientrato ieri pomeriggio a Palazzo Grazioli dopo il pranzo a Milanello con la squadra e dopo aver ricevuto la notizia del divorzio con Veronica.
Raccontano che guardi già  con minore simpatia alla scalata al governo di Renzi, complici le lunghe trattative per la sua formazione.
«Non mi sta piacendo per nulla come si sta muovendo Matteo, assistiamo a nuova sospensione della democrazia, trame ordite nel chiuso dei palazzi romani» è la linea che ha dettato nel breafing serale ai capigruppo Romani e Brunetta (con i quali si presenterà  alla Camera stamattina) e con Giovanni Toti, tra gli altri.
A Renzi il leader di Forza Italia confermerà  la piena disponibilità  a sostenere le riforme. E non solo quelle istituzionali. Ma porrà  alcune condizioni, suggerite dai consiglieri più fidati.
Prima: la legge elettorale va affrontata subito dopo il voto di fiducia in Parlamento, con un esame a oltranza alla Camera finchè il testo non sarà  approvato.
Evitare melina e ulteriori rinvii sull’Italicum, insomma.
Seconda: in aula dovrà  arrivare l’accordo già  chiuso dai due leader un mese fa, senza concessioni alle richieste di Alfano per rivedere ad esempio le soglie di sbarramento.
Ieri pomeriggio un’indiscrezione non confermata ha destato allarme al quartier generale berlusconiano, quella cioè che l’emendamento alla legge elettorale del democratico Lauricella – e finalizzato ad agganciare la riforma a quella che modifica il Senato – sarebbe stato fatto proprio dal futuro premier.
Vorrebbe dire congelare tutto per almeno un paio d’anni. «Inaccettabile» per Forza Italia.
Se Berlusconi riceverà  stamattina garanzie su questi due punti, allora verrà  confermata piena disponibilità  sul resto. «Vedremo che riforme economiche porterai in aula, quella sul lavoro e sul fisco, e le valuteremo, da opposizione responsabile» sarà  l’apertura di credito.
Alla gittata al 2018 il Cavaliere non vuole nemmeno pensare, convinto com’è che «dureranno poco, già  si capisce: entro un anno si vota».
Ma nessuno scherzetto sulla fiducia, smentite le voci di una possibile astensione forzista.
Storia a sè fanno invece gli undici senatori di centrodestra accomunati dalla sigla Gal (Grandi autonomie e libertà ). Nella consultazione con Renzi, ieri mattina, il capogruppo Mario Ferrara, che portava in dono Il giorno della civetta e il pamphlet Allegro ma non troppo, ha spiegato che «al nostro interno c’è una certa dialettica, che sarà  sviluppata con attenzione nei prossimi giorni, una volta letto il programma e sentito il governo in Parlamento».
E sulle loro istanze, ha aggiunto il suo vice Vincenzo D’Anna, «sia Renzi sia Delrio hanno manifestato non solo interesse ma un’assonanza di visione».
Assai variegata la compagine. Ferrara, con Giovanni Mauro e Lucio Barani, rispondono a Berlusconi e si muoveranno di conseguenza.
Fanno capo a Nicola Cosentino e al suo Forza Campania (e indirettamente a Verdini) D’Anna, Antonio Milo e Pietro Langella.
I due Scavone e Compagnone sono dell’Mpa di Lombardo e con l’ex leghista Davico hanno già  votato la fiducia a Letta.
Infine, Giulio Tremonti. Non è passata inosservata la colazione in piazza San Lorenzo in Lucina del duo Verdini-Cosentino, proprio un paio d’ore prima che il Gal andasse dal premier.
«Con molta probabilità  quella decina diventerà  un’utile riserva di caccia di Renzi per eventuali tempi duri» ragiona un senatore forzista di lungo corso.
Nel partito intanto, dopo la batosta in Sardegna, è allarme rosso in vista delle amministrative del 25 maggio.
Un sondaggio recapitato a Berlusconi dà  per persi quasi tutti i 27 capoluoghi in cui si voterà .
In sede, prima riunione della Commissione enti locali presieduta da Matteoli e composta da Abrignani e Napoli tra gli altri.
Hanno deciso che tutti i sindaci uscenti forzisti saranno ricandidati (con l’eccezione forse di Pescara). Ma ora bisognerà  correre ai ripari stringendo ovunque alleanze con leghisti e alfaniani.

Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)

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RENZI IN MEZZO ALLA PALUDE: PER ORA COMANDA ALFANO

Febbraio 19th, 2014 Riccardo Fucile

I DOLORI DEL GIOVANE INCARICATO, TRA LE PRETESE DI NAPOLITANO (5 MINISTRI) E I DIKTAT DELL’ALLEATO ANGELINO

Correre, correre, correre”: a tutti gli interlocutori, nelle consultazioni, Matteo Renzi ha ripetuto il suo mantra.
Quasi un programma per il governo in formazione. Eppure le consultazioni nella sala del Cavaliere, la stessa dove Pier Luigi Bersani, da premier pre-incaricato, fece le sue, sono un rito stanco. Sfilano i gruppi. Ma gli incontri e le trattative vere si fanno fuori.
Fuori il premier in pectore parla con Massimo D’Alema e Luca Cordero di Montezemolo. Fuori va avanti una trattativa, che riconosce a Ncd il ruolo di alleato centrale di governo.
Fuori da oggi pomeriggio partiranno i colloqui definitivi per arrivare a chiudere in settimana.
Negli incontri, quelli ufficiali, Renzi ribadisce che l’orizzonte è il 2018.
E si immagina pure il profilo della sua premiership: simile a quello del sindaco d’Italia; una volta a settimana in giro per una regione, scegliendo una scuola, un’azienda, un museo da visitare.
“Io sono sindaco sul serio, non come voi due”, andava ripetendo a Guerini e Delrio.
Pensieri e progetti che evidentemente lo proiettano al di là  di giornate complicate, paludose, con una trattativa nella quale rischia di cedere molta della sua identità , visto che il governo che si va profilando a molti sembra un Letta bis.
O un governicchio con poche possibilità . Anche se i fedelissimi sono pronti a scommettere che ci sono carte coperte , sorprese in arrivo.
Nella giornata di ieri, si va dal sì di Scelta civica al governo a quello “condizionato” dei Popolari europei, dal no della Lega, a quello “non fazioso” di Vendola. E alle condizioni di Alfano.
Uno dopo l’altro leader maggiori e minori parlano alle telecamere. Ognuno pianta la sua bandierina, mette i suoi paletti.
Le consultazioni ufficiose iniziano in mattinata, quando Renzi parla con Massimo D’Alema. C’è chi dice che si sono visti, chi che si sono solo sentiti. Fatto sta che si sono parlati a lungo. D’Alema vorrebbe la riconferma di Massimo Bray alla Cultura, un modo per continuare a pesare nel governo.
E forse c’è il suo zampino anche nell’ipotesi Carlo Padoan, presidente dell’Inps, che continua a circolare per l’Economia.
A un certo punto Renzi chiama Gianni Cuperlo, fuori dal calendario ufficiale. Lui gli porta un documento della minoranza: vuole che sia esaminato nella direzione di domani.
Una grana per il presidente del Consiglio incaricato: la minoranza riunita in assemblea permanente è lacerata. Ma Renzi non può permettersi di non tenerne conto.
E per lasciare Alfano al Viminale, Franceschini vuole la Cultura, quindi Bray va sacrificato. Questioni aperte.  Com  ‘è aperta la questione dello Sviluppo economico: a Roma Renzi ha incontrato Montezemolo (altra consultazione parallela). Per ora, non ha detto ancora ufficialmente di no.
Ed è aperto il nodo Tesoro: ieri si sono rincorse tutte le voci possibili e immaginabili. Con un Piero Fassino in ascesa. Insistente quella che voleva Graziano Delrio: un politico, soprattutto uno dei pochi di cui Renzi si fida veramente .
Un modo per accentrare a Palazzo Chigi molto potere. Per i vice ministeri si potrebbe far ricorso a due tecnici, uno sul versante interno, uno su quello estero.
A Napolitano l’ipotesi non piace. Infatti avrebbe chiesto garanzie su cinque ministeri: Interno, Esteri, Giustizia, Economia e Difesa. A proposito di questioni aperte.
Altre sembrano ormai chiuse. Come la necessità  di cedere a buona parte delle richieste dell’Ncd. Alle 20 e 15 Alfano mette sul tavolo le sue richieste: “Se c’è la patrimoniale, Ncd non ci sta”, tuona a uso delle telecamere.
Spiegano i renziani che la patrimoniale non c’è mai stata, uno dei motivi — dicono — per cui Fabrizio Barca non sarebbe potuto diventare ministro dell’Economia.
“Vogliamo la stessa maggioranza del governo Letta, senza la sinistra”.
Anche questo, un dato già  acquisito.
Resta il nodo di poltrone e ministeri. Ma tutto succede prima, durante e dopo l’incontro ufficiale: Alfano chiede 4 ministeri per ottenerne 3 (la riconferma di lui stesso all’Interno, Lupi a Trasporti e Infrastrutture e Lorenzin alla Salute) e un vice ministro di peso.
Sul programma fa fede quello che dice Graziano Delrio, presente ad ogni incontro con il premier incaricato: “Stiamo lavorando bene, sul programma chiudiamo in settimana” .
La tendenza è quella di mettere in secondo piano tutti i temi divisivi (dalle unioni civili per i gay allo ius soli) e iniziare con provvedimenti che possano andar bene a Ncd.
Il vero braccio di ferro è sull’Italicum (che Berlusconi vuole approvato così com’è) e sulle riforme, sulle quali fa fede l’asse con Forza Italia.
Gli alfaniani, infatti, chiedono che sparisca il ministero delle Riforme: se Renzi lo tiene per una fedelissima come la Boschi e poi parla con Berlusconi loro sono tagliati fuori.
Oggi, tanto per mettere i puntini sulle i, ci sarà  un vertice di maggioranza.
Dopo che in mattinata Renzi si sarà  consultato con Berlusconi e Grillo.

Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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GRILLO, SMENTITO DALLA BASE, VA ALLE CONSULTAZIONI

Febbraio 19th, 2014 Riccardo Fucile

IL GRUPPO PARLAMENTARE SEMPRE PIU’ SCONCERTATO DALLE SCELTE E DAI METODI DEI VERTICI

Per la seconda volta in poche settimane la Rete sconfessa Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio.
Per un pugno di voti – 20.843 favorevoli, 20.397 contrari – gli attivisti si pronunciano a favore della partecipazione alle consultazioni con Matteo Renzi.
Toccherà  al leader genovese guidare la delegazione pentastellata. Con una richiesta già  formalizzata sul blog: tutto si consumi in streaming.
Il via libera ai colloqui con il premier incaricato, però, arriva al termine di una giornata caotica. Alle 15.16 gli iPhone dei parlamentari grillini iniziano a trillare all’unisono.
Chiusi da un’ora in assemblea per decidere se incontrare Renzi, scoprono che si tratta di fatica vana. Con un post, Grillo e Casaleggio affidano alla Rete la scelta.
Uno schiaffo all’intera pattuglia pentastellata, un affronto a chi si batte per cambiare il Movimento dall’interno.
E infatti poco dopo, sconfortato, Luis Orellana si sfoga con altri dissidenti: «È l’ennesima umiliazione ».
Non si tratta di una scelta facile. E infatti i parlamentari sono divisi, anche un’anima degli ortodossi punta a «smascherare Renzi ».
La conta è in bilico, i vertici fiutano l’aria. La notizia plana sul quartier generale di Casaleggio. In un baleno i due Fondatori sconfessano clamorosamente il summit romano: «Ci sono posizioni differenti. Noi crediamo che non sia opportuno andare per non partecipare a una farsa. Comunque ci sembra corretto che su questa decisione si pronuncino gli iscritti attraverso la Rete».
L’assemblea è disorientata. I capigruppo giurano: «Non ne sapevamo nulla».
Il deputato Walter Rizzetto non la prende bene. Lascia la riunione, poi su Twitter digita: «D’accordissimo sul voto online, non d’accordo sull’indirizzare il voto».
L’ala dura, invece, si produce in una batteria di no al premier. «È una buffonata indegna di un Paese serio», sostiene Manlio Di Stefano.
Il gruppo si scioglie, poi si ricompone in capannelli improvvisati. A Montecitorio i dialoganti – facce lunghe per l’ennesimo schiaffo – si ritrovano sotto un gazebo del cortile. In pochi immaginano la sorpresa del web.
Ma qualcuno, nel quartier generale milanese, studia il piano B. Non a caso, a sera si diffonde una voce: Grillo è pronto a guidare ladelegazione (con Bersani andò diversamente).
Mentre l’assemblea si divide, al Senato cresce la tensione.
Capitanati da Orellana, le colombe soffrono la chiusura a ogni confronto.
E parlano i dettagli: in una mail indirizzata ai colleghi senatori, Serenella Fucksia si schiera al fianco di Roberto Cotti, “scomunicato” da Grillo dopo la partecipazione a Ballarò.
«Dalla politica dei problemi siamo passati alla politica della passerella? – domanda – In tv deve andare solo il pool di eletti? Alla faccia di uno vale uno!».
E ancora: «Se dobbiamo essere tutti fighetti costruiti alla DIBA (il più amato dalle italiane, il santo subito…) allora noi siamo più adatti per Mediaset che per le piazze e la gente!».
E infine: «Perchè creare i 10 fenomeni da riportare alle elezioni ed il resto da spremere come limoni?».
Consapevole delle lacerazioni grilline, Pippo Civati si muove. Il deputato dem riunisce a pranzo i suoi sei senatori.
Attovagliati al ristorante di Palazzo Madama, criticano “l’operazione Renzi-Alfano” Walter Tocci e Felice Casson, Sergio Lo Giudice e Donatella Albano, Lucrezia Ricchiuti e Corradino Mineo.
«Vogliamo concentrarci sui contenuti – spiega quest’ultimo – perchè se si fa un governo fotocopia, fallisce. Certo che guardiamo ai grillini, per sfidarli e non per fare scouting».
E in effetti i pentastellati osservano, sempre cautamente.
«Qualsiasi movimento nella direzione di un maggior ascolto delle istanze dei cittadini – spiega il senatore M5S Francesco Campanella – è degno di attenzione».
Civati, intanto, “corteggia” i vendoliani.
Non solo i filo-governativi ma anche il gruppo di testa. Non a caso ieri, davanti a un caffè, il deputato dem ha ragionato del futuro con il coordinatore di Sel Nicola Fratoianni.

Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)

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SOCCORSO AZZURRO PER RENZI: ARRIVANO I COSENTINOS, LA CONFERMA DE “IL GIORNALE”

Febbraio 19th, 2014 Riccardo Fucile

BERLUSCONI A MATTEO: “BENE SE GAL TI SOSTIENE”

Che si stimino si sa, che siano in stretto contatto direttamente anche in questi giorni di crisi non è un mistero.
Silvio Berlusconi e Matteo Renzi tornano a sedersi l’uno di fronte l’altro dopo l’incontro al Nazareno (la sede del Pd) che sancì l’accordo sulla legge elettorale.
Si rivedranno e chissà  se affronteranno una questione che ha già  un titolo: soccorso azzurro a Matteo.
Ebbene sì perchè la stima del Cav per Renzi si potrebbe tramutare in qualcosa di più. Di certo c’è già  da tempo l’intesa sulle riforme e su questo il partito di Berlusconi sosterrà  la strada tracciata da Renzi.
C’è però anche dell’altro: l’ipotesi di un appoggio parlamentare su provvedimenti graditi.
Per ora solo ipotesi però, come racconta il Giornale, il fatto che Berlusconi non veda con sfavore l’ipotesi che dal gruppo parlamentare del Gal (gran parte composto da ex forzisti) possa arrivare una stampella al governo dell’ex rottamatore è già  un bel segnale.
Per Renzi ma anche per Alfano che, spiega sempre l’house organ berlusconiano, potrebbe vedere ridotto il suo potere di veto.
Oltre alle alleanze possibili e praticabili c’è poi il tema governo.
Nessun dubbio sul non votare la fiducia però il messaggio del Cav ai suoi è chiaro: opposizione sui contenuti, ferma ma responsabile.
Che tradotto significa una cosa sola: dove Renzi – racconta sempre il giornale di famiglia – presenterà  provvedimenti che piacciono agli azzurri, arriverà  l’ok anche da Forza Italia.

(da “Huffingtonpost“)

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