Maggio 6th, 2014 Riccardo Fucile
STAVOLTA NON HA CANTATO “COME PUZZANO I NAPOLETANI”: SONO BASTATE POCHE DECINE DI PERSONE E BRANCALEONE SI E’ AFFIDATO ALLA SCORTA DELLA POLIZIA ITALIANA
Gazebo velocemente smantellato dai militanti e niente comizio in piazza: la campagna elettorale della Lega nord è finita così, nel cuore di Napoli.
Con insulti rivolti al leader Salvini, che è andato via senza tenere il previsto intervento in piazza Carlo III, ma anche agli attivisti presenti in piazza Carlo III nonchè ai candidati come Antonio Coppola.
Alcune decine di persone, alcune delle quali con bandiere del Regno delle due Sicilie, hanno contestato il segretario della Lega Nord al suo arrivo nella piazza, dove era atteso per un appuntamento elettorale dopo quello di Salerno stamane, costringendolo ad andare via dopo pochi minuti.
«Buffone, vergogna», hanno urlato alcuni napoletani, tenuti a distanza dalle forze dell’ordine, mentre un’altra persona ha provato ad avvicinarsi per spintonarlo, ma è stato fermato prima.
Riferendosi ai fatti accaduti sabato a Roma in occasione della finale di Coppa Italia, alcuni manifestanti hanno inveito contro Salvini dicendogli «sei tu la vera carogna, lavati con il fuoco».
Le proteste sono proseguite anche quando il leader del Carroccio, capolista alle prossime Europee, è rientrato in auto, tanto che gli altri candidati e alcuni simpatizzanti hanno interrotto la manifestazione e smontato il gazebo allestito in piazza.
Anche a Salerno il segretario della Lega Nord era stato fatto segno di invettive da parte di un gruppo sparuto di «Meridionalisti democratici», con slogan quali «Chiedi scusa al Sud» e «Quando vieni, fatti un vaccino».
Molti non dimenticano il video in cui Salvini cantava “come puzzano i napoletani”: oggi forse volevano invitarlo a ripetere l’esibizione canore ma alla fine Brancaleone è scappato protetto dalla polizia italiana.
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Maggio 6th, 2014 Riccardo Fucile
POLEMICHE ALL’INTERNO DEL PARTITO, LA GELMINI MINIMIZZA: “SCELTA LEGITTIMA, VISTA L’AMICIZIA CON BERLUSCONI”…MA C’E’ CHI DA’ UNA INTERPRETAZIONE POLITICA ALLA CRISI UCRAINA
Il suggerimento, quando si compilano i moduli per aprire un club Forza Silvio, è di dedicarlo a un
personaggio illustre del territorio o a un grande del pensiero liberale: nelle istruzioni l’esempio è Luigi Einaudi.
I fondatori di un club azzurro a Milano hanno scelto di intitolarlo a Vladimir Putin. Non solo in nome dell’amicizia che lega il presidente russo a quello di Forza Italia. Ma anche perchè, sostengono i fondatori, «Putin è uno statista di prim’ordine, simbolo della capacità di tutelare, in un mondo globalizzato, la sovranità politica ed economica del suo Paese».
Promotori del club, inaugurato ieri (con sede in centro città e animato da imprenditori e professionisti), sono Ubaldo Santi, già consigliere comunale a Genova con il Psi negli anni 90, Daniele Ricossa e Cristiano Puglisi.
L’inaugurazione è avvenuta nel pieno del conflitto ucraino e gli stessi fondatori si aspettavano polemiche. Ma uno degli obiettivi del club è contrastare «letture di parte» sulla crisi ucraina (nei piani anche un giornale, Verità congelate, su fatti recenti di politica estera).
In periodo elettorale, è inevitabile parlare di Europa.
E l’indicazione che viene dal club Vladimir Putin è chiara: considerare l’addio al Ppe (non a caso ha partecipato ieri l’eurodeputata Susy De Martini, ricandidata con FI, che ha lasciato il gruppo dei Popolari per i Conservatori).
Spiega Santi: «Forza Italia rifletta sull’opportunità di restare in quel partito, prono alla volontà di Angela Merkel, che ha attuato una politica antitaliana».
Le polemiche, però, arrivano anche dallo stesso partito: l’idea di «intitolare un club a Putin, che non è un esempio di liberale, è censurabile» per il coordinatore milanese di FI Giulio Gallera.
Il responsabile dei club, Marcello Fiori, taglia corto: «Non sono neanche a conoscenza dell’iniziativa, ci sono 12.350 club in tutta Italia…».
Difende la scelta Mariastella Gelmini, coordinatrice di FI in Lombardia: «I club sono indipendenti dal partito, ma la scelta è legittima, vista l’amicizia tra Berlusconi e Putin. Nessun collegamento ai fatti recenti: la Federazione Russa è un Paese dove in politica estera Berlusconi ha lavorato con successo».
Renato Benedetto
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Maggio 6th, 2014 Riccardo Fucile
CONTINUI RINVII NELLA GIUNTA PER LE IMMUNITA’ PER RIMANDARE A DOPO LE EUROPEE L’ARRESTO DEL DEPUTATO RENZIANO FRACANTONIO GENOVESE
Da 48 giorni, alla Camera, c’è un deputato che dovrebbe stare in galera.
Si chiama Francantonio Genovese e, una volta tanto, non sta a destra.
È un alto dirigente del Pd, ras di Messina, padrone del partito in Sicilia, ex Dc, ex Margherita, ex veltroniano, ex franceschiniano, ex bersaniano, ultimamente renziano, emblema del conflitto d’interessi (per i rapporti azionari con la “Caronte”, la società dei traghetti sullo Stretto) e del clientelismo con mezza famiglia (lui compreso) nella mangiatoia della formazione professionale, dunque portatore insano di almeno 20 mila voti, dunque candidato alle Politiche e subito dopo indagato.
Il 18 marzo il gip di Messina ha spiccato nei confronti suoi e di quattro presunti complici (la moglie era già in cella da tempo) un ordine di custodia per associazione per delinquere finalizzata al peculato, alla truffa e al riciclaggio, sequestrando 6 milioni di euro di refurtiva intascata — secondo l’accusa — da Genovese & C. a suon di fatture false.
Mentre però gli altri quattro finivano ipso facto in gattabuia, il cosiddetto onorevole restava a piede libero e seguitava a circolare indisturbato a Montecitorio grazie alle guarentigie costituzionali trasformate dalla casta in privilegio medievale.
Per catturare un parlamentare, com’è noto, occorre l’autorizzazione a procedere della Camera di appartenenza, previa votazione nell’apposita giunta delle immunità , anzi delle impunità (nella Seconda Repubblica, su una trentina di richieste dei giudici, le manette sono state autorizzate soltanto per Alfonso Papa).
I suoi colleghi possono impedire l’arresto solo in presenza di tracce evidenti di fumus persecutionis, altrimenti il diniego è uno scandaloso ostacolo alla Giustizia e una grave interferenza del potere politico in quello giudiziario, cui spetta in esclusiva il compito di limitare la libertà dei sospettati di gravi reati.
Nell’attesa, Genovese ha inscenato la solita pantomima di “autosospendersi” dal Pd.
Il quale Pd — che con Sel ha la maggioranza assoluta alla Camera — s’impegnava a procedere a pie’ fermo, secondo il nuovo corso renziano.
Infatti la Giunta presieduta da Ignazio La Russa ha impiegato tre settimane per fissare la prima seduta, tenutasi il 9 aprile.
Ma solo per rinviare al 10, quando il relatore Antonio Leone (Ncd) ha illustrato il caso agli altri commissari ed è stato “audito” l’arrestando. Genovese, guarda un po’, ha denunciato la persecuzione giudiziaria ai suoi danni, contestando una perizia dei magistrati sul prezzo d’affitto di un immobile.
I commissari del Pd, pensa tu, hanno chiesto ai giudici di produrre altre carte e intanto han rinviato la decisione, che per legge deve arrivare entro 30 giorni, cioè entro il 18 aprile.
Ma — salmodia La Russa — “il termine è solo ordinatorio”.
Il 16 aprile nuova seduta. Per votare? No, per chiedere altri documenti alla Procura, stavolta su proposta del relatore Leone, col voto contrario dei 5Stelle e quello favorevole del Pd.
Che ha spiegato il rinvio con “la gran mole di carte da esaminare” (infatti ne hanno chieste altre per averne ancora di più).
Dunque non basteranno neppure due mesi per fare ciò che la legge le impone di fare in uno: dire sì o no all’arresto e passare la palla all’aula per il voto finale.
Il perchè della melina è elementare: scavallare le elezioni europee visto che, comunque vada a finire la storia, sarà uno scandalo per il partito del premier.
Un No all’arresto dimostrerebbe che il Pd non ha nulla da invidiare a FI.
Un Sì vedrebbe finire in manette un fedelissimo di Renzi.
Molto meglio prendere, anzi perdere tempo con la complicità della grande stampa, che di queste quisquilie non si occupa.
E pazienza se un arresto motivato con l’esigenza di impedire al capo del “sodalizio criminale” di “continuare a delinquere” richiede tempi rapidi per salvare le prove da eventuali inquinamenti e le tasche dei cittadini da nuove ruberie.
Gentile presidente Boldrini, lei ha sempre una parola da dire a proposito e anche a sproposito di tutto: possibile che abbia perso la favella soltanto su questa vergogna?
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 6th, 2014 Riccardo Fucile
NELLE PROSSIME SETTIMANE BATTERà€ LA PENISOLA DA CIMA A FONDO: NEMICO DA SCONFIGGERE, BEPPE GRILLO… LO SLOGAN: “DERBY TRA RABBIA E SPERANZA”
Mancano 20 giorni al passaggio elettorale e il Pd deve avere la forza di scegliere il luogo nel quale
andare a vincere. E questo luogo è la piazza”.
Matteo Renzi si toglie la cravatta da premier e si presenta in maniche di camicia rigorosamente bianche, la (sua) divisa da campagna elettorale.
E durante la direzione del Pd, allargata a parlamentari e amministratori per chiamare alle armi tutti, parte all’attacco.
Le Europee le deve vincere e le vuole stravincere, per provare a superare le resistenze di tutti quelli che lo vorrebbero morto (dalle banche ai sindacati, passando per i grand commis e la minoranza dem).
E per governare nel pieno delle sue funzioni. Poco importa se sono europee.
Anche se non lo dice, anzi dice l’opposto (“Non è un sondaggio sui ministri, ma è il tentativo per dire che per cambiare l’Europa dobbiamo stare concretamente in campo noi”), Renzi sa benissimo che il 25 maggio sarà prima di tutto un test su di lui.
E allora, governare in queste tre settimane sarà un optional.
Gli 80 euro, come ha detto lui “sono l’antipasto”. Ma per cominciare a mangiare bisognerà aspettare giugno. Palazzo Chigi per un po’ sarà un luogo di passaggio.
D’altra parte, le grandi riforme sono tutte rimandate a dopo (a partire da quelle costituzionali e quella della Pubblica amministrazione). Dunque, il premier torna a fare quello che gli riesce meglio: campagna elettorale. Meglio se perenne.
Lo notò Massimo D’Alema in uno dei suoi affondi pungenti, nelle (tante) fasi di ostilità : “A Renzi piacciono tanto le primarie, chissà se gli piace quello che viene dopo”.
Il premier è stato chiarissimo, dando un ordine preciso di scuderia a tutti, anche i parlamentari: “Andate tra la gente, fate campagna fino all’ultima goccia di sudore”.
Perchè, “tutti ci devono mettere la faccia”. Suona anche come una stoccata a chi nella minoranza dem punta più a organizzare iniziative di corrente che a vincere le elezioni. “Dev’essere la battaglia di tutti non del segretario e dei gruppi dirigenti”.
Al voto vanno 4106 comuni che vanno al voto (“4106 occasioni per scendere in piazza”, chiarisce Matteo, che quasi quasi ci andrebbe lui). 27 sono capoluoghi.
I sondaggi per il Pd sono buoni. Molti lo danno tra il 32% e il 33%.
Sopra il risultato di Veltroni, quindi il 33,4% — 33,5% sarebbe un trionfo.
Sopra il 30%, e comunque sopra quanto preso da Bersani a febbraio (il 29,5%) andrebbe bene. Sotto una sconfitta.
Molti (renziani e non) si chiedono quale sarà davvero il risultato di Grillo. E resta l’incubo, quello del febbraio 2013, con la scelta di Bersani di fare una campagna elettorale tutta in difesa. “I sondaggi portano sfiga, non bisogna guardarli”, dice Renzi.
In un intervento che dura mezz’ora cita a macchinetta una serie di posti dove andrà : “Sarò a Napoli, a Reggio Calabria, a Palermo”, chiarisce.
E poi, “in Veneto, a parlare degli 80 euro”.
Ancora, “il 17 e il 18 maggio ci sarà una grande mobilitazione generale, faremo 10 mila banchetti”. Lui il 17 si fa tutta l’Emilia Romagna: Cesena, Imola, Modena, Sassuolo e Reggio Emilia.
Dovrebbe andare nell’Italia centrale anche il 16. A chiudere, il 23 andrà a Firenze e prima probabilmente a Prato, città simbolo, amministrata da strappare alla destra.
E nella stessa settimana, in piazza a Bari.
Per citarlo, “senza timidezza” batterà la penisola da cima a fondo. Presidente del Consiglio, o no. E quando non sarà in giro, sarà in tv. L’occupazione dello schermo è sempre stato il suo forte.
L’avvwrsario da battere è Grillo. Renzi non risparmia l’affondo, ricordando il comizio del leader M5s a Piombino: “Non si va a attaccare un sindacato dove c’è una fabbrica in crisi. E io sono uno che non va proprio d’accordo con i sindacati”.
Sulla stessa linea l’invettiva: “Viviamo questa campagna elettorale come il derby tra la speranza e la rabbia. Loro sono la rabbia, noi siamo la speranza. Loro sono l’urlo, noi il discorso, loro l’invettiva, noi il ragionamento, loro l’insulto, noi il dialogo, loro lo sfascio, noi la proposta. Loro sono contro l’Italia. Noi per l’Italia in grado di guidare l’Europa”.
Il premier con l’elmetto — se potesse — sarebbe pronto a ripartire con il camper.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 6th, 2014 Riccardo Fucile
LA CARTA SARA’ GIOCATA NEL 2015 SOLE SE CI SARA’ UN RILANCIO… LA PAURA DI UN PARTITO BALCANIZZATO E DEL BRAND FAMILIARE CHE NON TIRA PIU’… FORZA ITALIA E’ AL 17,5%
L’ultimo report fa scendere il gelo su Arcore. Quasi due settimane di massiccio martellamento televisivo, dal Porta a Porta del 24 aprile, non sembra abbiano sortito effetto.
Silvio Berlusconi si è rigirato ieri tra le mani il sondaggio riservato commissionato in questi giorni che lo inchioda al 17,5 per cento. Un soffio più sù, del resto, il 17,8 registrato dall’istituto Ixè per la trasmissione Rai Agorà .
I conti non tornano nel quartier generale forzista, lo sfondamento mediatico questa volta non sta funzionando, la rimonta delle Politiche di quindici mesi fa appare un lontano ricordo, anche se l’ex Cavaliere continua a dire ai suoi che «il trend si invertirà in queste ultime tre settimane».
Ma la realtà al momento è un’altra, dopo intere mezzore in Rai, il presidio sulle reti Mediaset, ieri il Tg4 e Studioaperto, stasera Matrix su Canale5 dopo una puntata stamattina a Radioanch’io.
Una corsa contro il tempo, ma il partito resta alle spalle di Grillo e Pd.
«Se restiamo inchiodati sotto il venti non posso sacrificare mia figlia, avrebbe solo da rimetterci” è stata la prima considerazione amara fatta ieri dal patriarca, tra una riunione con i vertici dell’azienda e il punto con i dirigenti milanesi forzisti.
Anche il via libera reiterato in tv al futuro impegno politico di Marina sembra non sortire effetti. Il leader l’ha tirata in ballo proprio in tv per rassicurare gli elettori sulla successione politica, per dare prospettiva al partito. Ma tutto forse è inutile.
Allora il timore che assale in queste ore Berlusconi e tutta la cerchia ristretta è che se Forza Italia si dovesse attestare in via definitiva sotto la soglia psicologica di sopravvivenza del 20, all’indomani delle Europee scatterebbe il big bang.
L’esplosione del partito, fughe già in cantiere verso il Nuovo centrodestra, altre a livello locale sulla scia di Forza Campania, mentre i dirigenti di peso invocherebbero un congresso per scalare quel che resta della sigla
Non è un caso che il leader adesso ripeta – come ieri in tv – che strapperanno il 25 («Me ne convinco sempre di più»).
L’ultimo sondaggio di Euromedia targato Alessandra Ghisleri risale a una settimana fa e dava a Fi il 20,2, il prossimo atteso a giorni.
Ma se dopo tanto girovagare in prime time i consensi sono congelati al 17 di ieri – questo il ragionamento – allora vuol dire che il brand Berlusconi non attira più i «consumatori ».
E sarebbe vano insistere con un volto più giovane della stessa famiglia. È il cruccio di queste ore.
Il traino di Marina in chiave anti-Renzi avrà senso – nella strategia messa a punto ad Arcore con Toti, la Pascale, la Rossi, la Gelmini, Romani e la stessa primogenita – solo se il partito reggerà all’onda d’urto del 25 maggio, tra astensionismo di massa e esodo degli elettori.
Di senso non avrà , al contrario, se Forza Italia resterà una decina di punti dietro Grillo, come rivelano gli ultimi sondaggi.
Per tutto il giorno ieri, tra un’intervista e l’altra ai tg di casa, Berlusconi si è chiesto con i suoi cosa vada messo a punto. La conclusione, la più scontata, è stata quella di incrementare ancor più le uscite tv, con buona pace dell’Agcom. È l’unico modo per aggirare il veto del Tribunale ai comizi in giro per l’Italia.
Così, dopo il Matrix di stasera ecco la probabile intervista di domani a “Otto e Mezzo” dalla Gruber e via a seguire.
La strategia a questo punto è alzare il tiro. Contro Renzi, innanzitutto. «Votando il Pd si ha come regalo il signor Shulz a capo dell’Unione» è l’ultima sortita, oppure ancora contro il premier: «Ha dimenticato i pensionati, ignorati dal bonus degli 80 euro».
Il leader spera di cavalcare l’onda giusta promettendo di continuo l’aumento delle pensioni minime a 800 euro, «probabilmente anche a mille».
Ma il tiro va alzato soprattutto contro Grillo, perchè è dalla calamita M5s che gli elettori forzisti, report alla mano, sono attratti.
«Mi fa paura, il suo partito sarebbe meglio chiamarlo setta», «un pericolo per il Paese». E poi l’evergreen dell’effetto paura, l’attacco all’operazione di salvataggio degli immigrati in mare, «Mare nostrum sarà un disastro, una catastrofe quando qui arriverà più di un milione di persone».
Dalle piazze continua a essere assente. Domani sera vuole fare un’apparizione davanti la sede del partito, a San Lorenzo in Lucina a Roma, dove si sono dati appuntamento i giovani “falchetti” vicini alla Santanchè del neonato movimento “Azzurra libertà ”, guidati dai fratelli Zappacosta ».
Ma altre uscite sono già pianificate nella Capitale e a Milano, le sole città dove ha libertà di movimento.
Basterà ?
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Maggio 6th, 2014 Riccardo Fucile
LA PROCURA VALUTA SE INDAGARE DE TOMMASO…ALFANO NEL PALLONE RILANCIA IL “DASPO A VITA”… NAPOLITANO: “NON BISOGNA FARE PATTI CON I FACINOROSI”
Il ministro Angelino Alfano è nel pallone. Con Genny ‘a carogna, assicura a mezzo stampa, non c’è
stata nessuna trattativa.
Ma il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, in qualche modo lo smentisce: “Con quel tipo abbiamo solo interloquito”.
E ancora di più è la Procura della Repubblica che rimette tutto in gioco e vuole capire il livello della interlocuzione, quale ruolo ha svolto il capo degli ultrà Gennaro De Tommaso, se ci sono state minacce, ricatti alle società sportive, oltraggi ai pubblici ufficiali presenti.
Le telecamere sono state impietose e hanno registrato le immagini di responsabili delle società sportive e funzionari dell’ordine pubblico che trattavano col signor Genny ‘a carogna da potenza a potenza, come si fa nei teatri di guerra.
Scene che non sono piaciute al capo dello Stato.
“Nessuna trattativa con i facinorosi — ha detto Giorgio Napolitano —, quello visto fuori e dentro lo stadio Olimpico ha a che vedere con il peggio degli odi, della violenza e perfino della criminalità e bisogna trattarlo in modo diverso dal mondo del calcio”. Sulla tribuna vip c’erano il presidente del Consiglio Matteo Renzi, il presidente del Senato Pietro Grasso, la Presidente dell’Antimafia Rosy Bindi.
Nessuno di loro ha capito cosa stesse succedendo, i loro volti attoniti li abbiamo visti in tv durante quei lunghi 45 minuti in attesa di una decisione o, forse, dell’esito della trattativa.
Intervistato da Repubblica, il prefetto Pecoraro afferma che lui la partita l’avrebbe fatta giocare “comunque”.
E allora a cosa è servito quell’interminabile rinvio?
Sugli spalti c’erano almeno 50 mila tifosi lasciati in balia delle notizie trasmesse dai siti e dalle radio private. Benzina pronta a infiammarsi.
Alla fine, la soluzione si è trovata, ma solo dopo il lungo colloquio con Genny ‘a carogna fasciato in quella sua t-shirt nera e con lo slogan “Speziale libero”.
Libero l’ultrà del Catania condannato per l’uccisione dell’ispettore Filippo Raciti durante una giornata di follia calcistica del febbraio 2007.
Nessuna autorità , nè sportiva, nè di polizia, gli ha impedito di esibire quella scritta che offende il sacrificio di un poliziotto.
E così anche quella maglietta è diventata il simbolo della disfatta dello Stato su un campo di calcio.
Ora Angelino Alfano continua a negare ogni evidenza, si ricorda di essere anche ministro dell’Interno e fa la voce grossa.
Minaccia il Daspo a vita per gli ultrà che si sono già resi responsabili di devastazioni, risse, invasioni di campo e altri reati da curva assatanata.
Gli uffici del Viminale starebbero già studiando il dossier, le indiscrezioni parlano di una estensione delle misure anche alle manifestazioni non sportive. Pugno duro negli stadi, ma anche nelle piazze infiammate dalla disperazione sociale, come chiede la parte più dura del sindacalismo di polizia.
Sarà per queste prime indiscrezioni circolate che il ministro della Giustizia Andrea Orlando mostra cautela. “Voglio capire”, si è limitato a dire (vago anche Renzi: “Ne discuteremo”).
Angelino dovrà riferire in Parlamento, lo chiedono Fi, Sel, e MoVimento Cinque Stelle, e anche nel Pd ci sono diversi maldipancia per il sabato nero all’Olimpico.
Ma il nodo vero è il Viminale. Alfano è un ministro part-time, diviso com’è dalla sua funzione di segretario del Ncd e dalla responsabilità di governo. Il ministero appare senza testa, come mai è stato nella storia della Repubblica.
Neppure negli anni bui di Antonio Gava, ministro per due volte, neppure negli anni neri di Francesco Cossiga. Alfano è prima segretario, poi ministro.
Ora deve pensare alla campagna elettorale e al raggiungimento del quorum, ne va della sopravvivenza del suo minuscolo partito.
Ieri ha dovuto mettere il timbro su liste piene di impresentabili, soprattutto al Sud. Ma gli effetti di un ministro a mezzadria si vedono soprattutto sulla tenuta della Polizia. Mai c’era stato tanto malcontento nel corpo, e mai il Capo della Polizia era stato così contestato dagli agenti. Alessandro Pansa, colmando anche i vuoti lasciati da Alfano, ha generosamente stigmatizzato gli applausi al congresso del Sap ai poliziotti condannati per la morte di Aldrovandi, e criticato duramente l’agente che a Roma calpestò una manifestante già bloccata a terra.
Prese di posizione che gli hanno procurato gli attacchi dei sindacati di destra.
L’ultimo quello del Coisp: “Non c’è bisogno di lasciare la poltrona per non essere più riconosciuti”.
Spinte e malesseri profondi che rischiano di trasformarsi in vere e proprie voragini e che il ministro doppio lavorista non sa e non ha il tempo di governare.
Enrico Fierro
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 6th, 2014 Riccardo Fucile
UNO STATO CHE HA TRATTATO CON TOTO’ RIINA DOVEVA RIFIUTARE L’INTESA CON GENNY ‘A CAROGNA?
In Italia, ciò che chiamiamo Stato ha sempre trattato con tutti i peggiori delinquenti.
Con i tagliagole qaedisti per liberare a suon di milioni giornalisti e turisti caduti in trappola. Ai tempi della Dc con i terroristi domestici per il rilascio dell’assessore campano Ciro Cirillo. Mentre sulla trattativa tra gli uomini delle istituzioni e i vertici mafiosi è in corso a Palermo un processo che dovrà accertare le responsabilità penali di fatti storici assodati.
Questo per tralasciare gli inciuci sotterranei con camorra, ‘ndrangheta e altri poteri criminali.
E allora per quale motivo lo Stato che tentò di accordarsi con Totò Riina doveva rifiutare l’intesa con Genny ‘a carogna?
Certo, tra le due vicende non c’è partita, ma questo oggi passa il convento. Perciò i reiterati tentativi da parte di ministri, questori, prefetti pervicacemente impegnati a negare l’ovvio appaiono ancora più patetici visto che il negoziato pallonaro è stato seguito in diretta televisiva da quasi nove milioni di italiani e da un numero imprecisato di spettatori nei 75 paesi collegati.
In questo caso, la prova tv non poteva essere più schiacciante.
Ancora più ridicola la trombonata secondo cui lo Stato non tratta con gli ultras delle curve quando sabato sera allo stadio Olimpico è apparso a tutti chiaro chi aveva il coltello dalla parte del manico.
Certo, non la tribuna autorità , dove abbiamo visto i rappresentati del cosiddetto Stato o in versione catatonica (lo sguardo smarrito di Matteo Renzi faceva male al cuore) o comportarsi da formiche impazzite che correvano qua e là non sapendo a chi diavolo affidarsi.
Era lo Stato quello o una congrega di dignitari, boss del calcio e membri di confraternite varie, tutti vogliosi di lavarsene le mani e di vedersi in santa pace la partita?
Forse si deve allora alla clemenza del Carogna, che avrebbe potuto benissimo dire: io con questo Stato non ci tratto se la curva napoletana, compatta come falange catafratta, a un suo cenno abbia deposto le armi, intese in senso stretto dopo la pioggia di razzi che aveva accolto la delegazione guidata dal povero Hamsik.
Ciò detto, quello dell’Alfano elettorale che minaccia l’adozione di Daspo vitalizi, che solo giovano al carisma dei carogna, sembra il classico ruggito del coniglio.
Come fu con la demenziale norma sulla discriminazione territoriale che ha dato agli ultrà un enorme potere di ricatto: far chiudere una curva e magari uno stadio intero con un coretto scemo. E amen.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 6th, 2014 Riccardo Fucile
IL TEATRINO TRA ABETE E MALAGO’ SULLE MACERIE DEL CALCIO ITALIANO
I due sono amici da sempre, perchè fanno parte dello stesso, esclusivo club di vip. Il circolo
Canottieri Aniene di Roma. Da mesi, però, si beccano pesantemente. E il primo, Giancarlo Abete, industriale democristiano, rinfaccia al secondo Giovanni Malagò, una specie di Casini gaudente del generone romano, di non parlare mai chiaramente.
Il penultimo litigio a marzo. Abete, presidente della Figc, la federazione del calcio, a Malagò, nuovo capo del Coni: “Se devi proprio avercela con qualcuno tira fuori nomi e cognomi, non puoi fare di tutta l’erba un fascio”.
Il teatrino è continuato ieri, sulle macerie del calcio italiano, morto e sepolto sul prato dell’Olimpico.
Malagò, ancora una volta, ha sparato senza fare nomi: “Tutti mi dicono: li devi cacciare, perchè è stato un massacro, perchè il sistema Paese ancora una volta ha purtroppo evidenziato la sua inattitudine.Ognuno dice di aver fatto il proprio dovere, se così fosse non saremmo a questo punto”.
Destinatari: Abete e Maurizio Beretta, presidente della Lega Calcio.
Malagò, Abete e Beretta. La trimurti dell’altra Casta di sabato sera. Quella del Palazzo, visibilissima nella tribuna centrale dell’Olimpico, quella gestita direttamente dal Coni e che soddisfa le richieste dei politici tifosi.
Moderati di rito trasversale o democristiano i tre dovrebbero essere i riformatori di un sistema morente. Un paradosso, un ossimoro.
Il più convinto di tutti, quello che crede di incarnare la Seconda Repubblica dello sport, arrivata con lustri di ritardo, è proprio Malagò. Ma quello che preme, al presidente del Coni, è solamente regolare i conti con Abete. Il capo della Figc infatti non lo ha appoggiato nell’elezione al comitato olimpico nazionale.
Una faida da circolo Aniene, presieduto da Malagò, amico di Luca Cordero di Montezemolo e Passera e Gubitosi, il dg della Rai.
È la Grande Bellezza del potere romano, il cui clan più influente è stato per anni quello di Gianni Letta e del faccendiere pregiudicato Luigi Bisignani.
Addirittura quest’ultimo, in un suo libro-intervista, si è persino vantato di avere messo Beretta alla guida della Lega Calcio.
Ecco l’incredibile racconto, sotto forma di domande e risposte: “Ci fa un esempio di come funziona la sua rete? Le cito una vicenda recente. Mi venne a trovare Maurizio Beretta, ex direttore di Rai1, attuale presidente della Lega calcio. L’allora presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, lo aveva ingiustamente sostituito alla direzione generale della Confederazione. Arrivò da me avvilito. Parlando con lui ebbi l’intuizione che potesse essere un ottimo candidato per la presidenza della Lega calcio, in quel momento lacerata da guerre intestine. Gli spiegai perchè, e lui rimase incredulo e basito. E come ne costruì la candidatura? Cominciai a parlarne ad alcuni amici che bazzicano nel mondo dello sport, da Claudio Lotito a Flavio Briatore. La battaglia a un certo punto si era fatta difficile, io mi divertivo mentre Maurizio seguiva un po’ scettico il corso degli eventi. Una mattina mi chiamò e disse: ‘Grazie tante, Luigi, ma io mi ritiro’. Missione fallita. Rammentandogli che entrambi eravamo democristiani gli risposi: ‘La differenza tra di noi è che io sono andreottiano, perciò tenace. Tu della sinistra, ovvero di quelli che mollano subito’. Risultato: diventò presidente della Lega calcio, incarico che nel gennaio 2013 gli è stato riconfermato”. In fondo che scandalo è trattare con la Carogna se si è raccomandati da un pregiudicato?
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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