Maggio 7th, 2014 Riccardo Fucile
IL TIFOSO IN CARCERE PER LA MORTE DELL’ISPETTORE RACITI: “SONO INNOCENTE, NON L’HO UCCISO, NON CONOSCO GENNARO ‘A CAROGNA”
Antonino Speziale, condannato per la morte dell’ispettore Raciti, è nel carcere di Agrigento. 
È tornato alla ribalta per la scritta sulla maglietta di Gennaro «a carogna», il boss della curva del Napoli con cui le forze dell’ordine avrebbero «trattato» allo stadio Olimpico.
Antonino, che ieri in carcere ha incontrato suo padre Roberto, ha risposto alle domande girate da “Il Tempo” al difensore, Giuseppe Lipera, che l’ha sempre ritenuto innocente.
Speziale, cosa pensa di quello che è successo a Roma sabato scorso per la finale di Coppa Italia?
«Sono dispiaciuto moltissimo per il tifoso napoletano ferito e per gli scontri fuori dallo stadio».
La madre del capo ultrà napoletano Gennaro De Tommaso, detto «a carogna», ha spiegato che lei e De Tommaso siete amici. È vero?
«Non conosco Gennaro De Tommaso, però so che anche a Napoli è stato presentato il libro “Il caso Speziale: cronaca di un errore giudiziario”, scritto da Simone Nastasi, che spiega nei particolari la mia vicenda processuale».
Ha visto la partita dal carcere e il suo nome sulla t-shirt del capo dei tifosi del Napoli?
«Sì, ho visto la partita e ho provato emozione nel leggere il mio nome sulla maglietta dell’ultrà napoletano, perchè significa che ci sono tante persone, oltre alla mia famiglia e ai miei avvocati, che credono che io sia innocente. Un’emozione che, tuttavia, è stata turbata dai resoconti giornalistici che mi hanno descritto come un cinico assassino».
Cosa pensa delle polemiche sulla «trattativa» dello Stato con gli ultrà ?
«Gli ultrà non sono nè la mafia nè delinquenti. Sono persone, per lo più giovani, che amano tifare per la propria squadra».
Lei si è sempre dichiarato innocente. Ci spiega perchè la sentenza sarebbe ingiusta?
«La mia vicenda processuale la conoscono milioni di italiani che si sono presi la briga di seguirla. Quindi molti sanno della mia innocenza, non solo io. Sono stato accusato di aver colpito l’ispettore Raciti usando a mo’ di ariete una lamiera, un «coprilavello». Non è così. Io quell’arnese l’ho lanciato in aria ma non ha colpito nessuno. Ne è prova il fatto che nessun testimone ha visto la scena che ha ricostruito l’accusa. Di contro, invece, c’è l’immagine video di me che lancio il pezzo di lamiera e alcuni poliziotti che hanno testimoniato dicendo di non aver mai perso di vista il loro capo, l’ispettore Filippo Raciti, ma di non aver visto che Raciti venisse colpito dal coprilavello. Tutto questo è stato confermato dalla perizia dei carabinieri del Ris di Parma, comandati all’epoca dal colonnello Luciano Garofano, e per finire vi sono ben due dichiarazioni rilasciate dall’autista del «Discovery», Salvatore Lazzaro, il quale ha dichiarato ai suoi colleghi della Squadra Mobile di Catania che mentre faceva marcia indietro sentì una botta, si girò e vide l’ispettore Raciti cadere. Lo stesso Lazzaro in dibattimento ha poi inspiegabilmente dichiarato che l’ispettore Raciti fosse lontano 10 metri e nonostante questa palese contraddizione non si è mai voluto procedere per falsa testimonianza contro Lazzaro».
La maglietta nera con la scritta «Speziale libero» è in vendita su internet, alcuni tifosi volevano indossarla allo stadio di Napoli…
«Non so niente di questa iniziativa ma non posso che gioirne. Certo mi turba il fatto che qualcuno possa usare questo gesto non per affermare la mia innocenza ma per inneggiare alla violenza o alla morte di Raciti».
Lei ha mai espresso vicinanza al dolore della famiglia Raciti? Ha mai scritto una lettera alla moglie e ai figli dell’ispettore?
«Sono addolorato. È stato mio padre a scrivere una lettera aperta alla vedova Raciti e al presidente della Repubblica. Nessuno ha mai risposto».
Ha speranza nel futuro?
«Sono stato condannato a due anni per il reato di resistenza a pubblico ufficiale e, avendo avuto complessivamente otto anni, è come se per l’omicidio mi avessero dato sei anni. Ecco, se fossi stato veramente colpevole dell’omicidio, sarei io stesso a dire che sono stato condannato ad una pena mite, perchè la vita di un uomo non vale sei anni. Invece poichè sono innocente questa condanna mi pesa moltissimo e lotterò con tutte le mie forze perchè prima o poi venga acclarata la mia innocenza».
Alberto Di Majo
(da “il Tempo”)
argomento: Giustizia | Commenta »
Maggio 7th, 2014 Riccardo Fucile
CLAUDIA LOMBARDO E’ STATA PRESIDENTE DEL CONSIGLIO REGIONALE PER 5 ANNI
Ha 41 anni, è stata presidente del consiglio regionale della Sardegna dal 2009 al 2014 e oggi percepisce 5.100 euro di vitalizio.
Claudia Lombardo, 41 anni compiuti il 1 dicembre 2013, è stata la prima donna a ricoprire quell’incarico.
Ex Forza Italia, eletta nel ’94 — “senza avere mai lavorato un giorno in vita sua” scrive oggi Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera — dalla fine della XIV legislatura, ovvero dal 20 marzo 2014, gode di una ‘pensione’ di 5.129 euro al mese.
Con lei un altro ex di Fi poi Udc, se non proprio baby, certo giovanissimo: Andrea Biancareddu, 47enne avvocato da Tempio Pausania.
Ancora: Giorgio La Spisa, ex Forza Italia, assessore Pdl al Bilancio con Cappellacci, poi candidato alla camera con Scelta civica, percepisce un assegno mensile di 3.068 euro netti al mese che cumula con lo stipendio da dirigente del servizio ‘Prerogative dei consiglieri’.
In sostanza è lui che si occupa, tra gli altri, del sue stesso status di ex consigliere regionale.
La ‘bomba’ scoppia un mese fa, appena si insedia la XV legislatura.
Alcuni giornalisti scoprono che il 19 marzo, ultimo giorni di mandato della XIV legislatura, il Collegio dei Questori compie un’intensa e insolita attività di delibera. Tra le tante questioni da affrontare c’è il Regolamento su “le pensioni dei consiglieri”, anzi la sua interpretazione, e da quella data parte la caccia al documento.
Che viene chiesto in via informale, poi in via ufficiale, e arriva infine ‘brevi manu’: l’importo esatto della Lombardo e del suo collega con meno di 50 anni, con alle spalle 4 legislature, è di 5.129 euro al mese (7,225 lordi), oltre alla indennità di ‘reinserimento’ (la liquidazione, per dirla come direbbe un lavoratore), per ora ancora sconosciuta.
L’attuale presidente del Consiglio regionale, Gianfranco Ganau (Pd), a richiesta degli atti, nega i documenti, invocando la privacy e viene immediatamente smentito dal Garante, Antonello Soro, anche lui ex consigliere regionale della Sardegna: quegli atti sono pubblici.
Ma in attesa del parere ufficiale i piano alti del ‘palazzo’ si chiudono a riccio — secondo Ganau, questo non può che avvenire nel pieno rispetto delle leggi e senza violare i diritti delle persone — mentre diversi consiglieri, di maggioranza e opposizione, chiedono trasparenza.
Il quotidiano L’Unione Sarda raccoglie l’indignazione e lancia l’hashtag #dateciinomi.
Tutto sta nel verificare l’interpretazione che viene data ad un Regolamento interno gelosamente custodito in un cassetto del sesto piano del palazzo di via Roma, che consente ai consiglieri ‘cessati’ dal mandato di prendere da subito il ‘vitalizio’, la pensione, senza aspettare i 50anni.
Tanto che la prima rata, quella di marzo, la Lombardo e Biancareddu l’hanno percepita per soli 11 giorni.
La seconda, intera, è stata ‘lavorato’ dagli uffici il 14 aprile 2014 ed è andata in pagamento a fine mese, pochi giorni prima di quelli dei dipendenti del Consiglio.
Il Regolamento interno del Consiglio è stato approvato nel 1988 e modificato più volte e prevedeva che i consiglieri ‘cessati’ dal mandato elettivo potessero percepire il vitalizio al compimento del 50 anni di età , fino a quella del 17 novembre 2011, quando a partire “dalla prossima legislatura (l’attuale) e fatti salvi i diritti acquisiti”, l’Ufficio di presidenza (presidente la Lombardo) delibera la cancellazione dei vitalizi. Ovvero chi ha maturato i diritti avrà tutto il dovuto, mentre per i prossimi consiglieri regionali non ci sarà nulla.
Intervistata da Sardiniapost, Lombardo rivendica di avere tagliato più che poteva le spese (“Il costo del Consiglio è passato da 85 a 58,5 milioni di euro”, spiega), ma capisce che quella somma di 5mila euro “possa generare indignazione nell’opinione pubblica”.
Al giornalista che solleva l’obiezione del vitalizio fissato a 66 anni dal governo Monti lei replica: “Sì, ma dicevano anche che da questa prescrizione erano esentate le regioni che avevano già legiferato”.
Quindi rivendica quanto in materia i consiglieri della regione Sardegna fossero stati dei “precursori”.
“Avevamo già messo tutto nero su bianco un anno prima, nel novembre 2011, quando appunto abolimmo il vitalizio“.
Peccato che la misura non riguardasse il presente.
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: la casta | Commenta »
Maggio 7th, 2014 Riccardo Fucile
PROFONDO ROSSO: NEL PARTITO SI APRE UN BUCO DI 720.000 EURO
È moroso il sottosegretario al Lavoro Teresa Bellanova, così come non ha ancora tirato fuori un centesimo il
sociologo Franco Cassano, capolista dem alla Camera per le politiche 2013.
La stessa cosa fa un’altra deputata, la brindisina Elisa Mariano.
Tutti e tre avrebbero dovuto versare nelle casse del Pd pugliese la una tantum di 30mila euro dopo l’elezione a Montecitorio e a Palazzo Madama.
Dei diciotto parlamentari pugliesi, appena quattro onorano l’impegno: Anna Finocchiaro, Nicola Latorre, Michele Pelillo, Francesco Boccia.
Gli altri quattordici saldano un tanto al mese o fanno spallucce.
Nei forzieri local della principale forza politica del centrosinistra dovevano esserci 540mila euro, se ne contano poco meno della metà : 267mila.
Mancano quindi all’appello 273mila euro
Si aggiungono ai 447mila euro che consiglieri e assessori regionali non fanno arrivare dall’inizio della legislatura, il 2010, ai democratici, ritornati a essere governati da Michele Emiliano, che si ritrova a gestire una pesante eredità .
Sono più o meno in regola quattro su diciannove, e basta.
Eppure, come recita lo statuto, gli eletti hanno «il dovere di contribuire al finanziamento del partito»: 1.250 euro al mese poi ridotti a 700 per gli assessori, 1.000 euro dimagriti fino a 500 perchè i consiglieri non finiscano nelle file dei debitori.
Se rifiutano di mettere mano al portafoglio nell’epoca in cui i rimborsi pubblici sono una chimera, dovrebbero essere marchiati come incandidabili alle prossime elezioni.
È almeno dall’estate dell’anno scorso che il Pd all’ombra di San Nicola scopre di avere i conti in rosso fisso.
Tant’è che tra settembre e novembre erano state inviate lettere agli onorevoli e a un senatore, con lo scopo di «recuperare la morosità ».
Comprese quelle per il terzetto di evasori totali. Ma solo Cassano si sarebbe accordato per restituire «un po’ alla volta» 30mila euro.
I numeri di un disastro annunciato finiscono a febbraio di quest’anno in un report trasmesso al tesoriere nazionale, Francesco Bonifazi: il buco ammonta a 720mila euro.
Il rischio è serio: i sei dipendenti ex Ds e ex Margherita potrebbero tutti finire in cassa integrazione o addirittura essere licenziati perchè non ci sono più soldi per gli stipendi.
La vicenda sarà risolta dopo le consultazioni europee e amministrative, così fanno sapere dal quartier generale di via Re David a Bari.
Ma già bolle il fuoco della polemica. Nessuno esclude ingiunzioni di pagamento ai ritardatari perchè, diversamente, sarebbe difficile fare quadrare entrate e uscite. Antonio Maniglio, vicepresidente del consiglio regionale, chiede «al segretario Emiliano di dare il via a un’operazione trasparenza».
L’assessore della giunta Vendola, Guglielmo Minervini, uno dei virtuosi, scuote la testa: «Offro da nove anni il mio contributo economico al Pd. Sono più di un pirla».
Lello Parise
(da “La Repubblica“)
argomento: Partito Democratico, PD | Commenta »
Maggio 7th, 2014 Riccardo Fucile
AMBIENTE, APPALTI, GIUSTIZIA: BEN 114 LE PROCEDURE UE CONTRO L’ITALIA
È un fatto di credibilità oltre che di soldi, di tanti soldi.
Con la bellezza di 114 procedure di infrazione pendenti di fronte a Bruxelles l’Italia è maglia nera assoluta per il livello di illegalità nel rispetto delle regole comuni ai 28 paesi dell’Unione.
A contribuire alla Waterloo italica ci sono un po’ tutti: ministeri, regioni e burocrazie varie che non adottano le direttive europee o che proprio non riescono a rispettarle
Un’emergenza che ci può costare centinaia di milioni di sanzioni che, in periodo di crisi, fanno gridare allo scandalo.
Basti contare che la multa minima che Bruxelles può adottare contro l’Italia al termine dei contenziosi è di 8 milioni ai quali si aggiungono penalità da 10 mila a 642 mila euro per ogni giorno in cui il Paese non rientra nella legalità dopo una sentenza definitiva.
Cifre da capogiro. E poi come chiedere all’Europa di cambiare, come si propone Matteo Renzi, se oltre ad avere il secondo debito pubblico dell’eurozona ogni anno si buttano via miliardi di fondi strutturali e oltretutto si è il Paese con più infrazioni del Continente?
Se lo chiedono a Palazzo Chigi, dove stanno preparando un pacchetto d’emergenza per arrivare al semestre italiano di presidenza dell’Unione con le carte in regola per ridiscutere le regole base della moneta unica.
Già , perchè non è facile pretendere dall’Europa più solidarietà (si parli di debiti sovrani, di lotta alla disoccupazione o di immigrazione) e più flessibilità sui conti pubblici quando si buttano via i soldi. E per giunta per inettitudine.
Basti pensare che delle 114 procedure di infrazione a carico dell’Italia, 34 sono provocate dalla mancata trasposizione nel nostro ordinamento delle direttive comunitarie, leggi Ue che i nostri governi hanno approvato insieme agli altri partner al Consiglio europeo.
Nulla di imposto o sgradito, dunque.
E poi ci sono le 80 procedure per violazione delle regole comunitarie.
Scorrendo le tabelle si capisce subito che il problema più grave le nostre amministrazioni ce l’hanno con l’ambiente, che con 21 procedure pendenti è il settore più colpito da Bruxelles (14% del totale).
E quasi sempre quando si parla di ambiente la colpa è delle regioni.
Seguono i trasporti con 16 procedure aperte, ma ce n’è per tutti: dagli appalti al lavoro passando per salute, tutela dei consumatori, economia e giustizia.
A far paura sono le sedici infrazioni che a breve possono trasformarsi in multe.
In cima alla lista c’è la procedura aperta nel 2003 per il mancato rispetto delle direttive Ue sulle discariche.
La Commissione di Bruxelles ha chiesto 61 milioni di multa e una penalità di 256mila euro per ogni giorno in cui l’Italia non si è conformata ai richiami.
A breve arriverà la sentenza finale della Corte di giustizia del Lussemburgo e la condanna definitiva potrà essere evitata solo chiudendo prima del giudizio, ovvero in tempi rapidissimi, le discariche fuori norma.
L’altra stangata dietro l’angolo nasce dall’emergenza rifiuti in Campania, quella che il governo Berlusconi prometteva di risolvere con la bacchetta magica: la Commissione chiede alla Corte il via libera a 34 milioni di multa più una penalità di mora di 94 milioni all’anno a partire dal 2014. E ci sono altre due procedure in fase finale: quella per gli aiuti illegali ai servizi pubblici del 2006 e quella per gli aiuti alle imprese di Venezia e Chioggia: Bruxelles a breve proporrà ai giudici del Lussemburgo le multe da comminare all’Italia.
Lo stesso potrebbe avvenire per le altre infrazioni in fase finale che riguardano l’uso delle reti a strascico nei nostri mari (vietate), i mancati controlli sugli impianti industriali inquinanti, la responsabilità civile dei magistrati (contenzioso che dovrebbe essere chiuso a breve con la legge comunitaria) e il mancato recupero dei fondi illegali alle municipalizzate della “Tremonti bis”.
C’è poi la bomba ad orologeria delle quote latte, con Bruxelles che a breve potrebbe andare all’escalation visti i ritardi del recupero degli aiuti concessi agli allevatori del Nord dalla coppia Bossi-Tremonti, gentile regalo che all’Italia potrebbe costare carissimo
C’è infine la Corte dei diritti dell’Uomo di Strasburgo, tribunale non dell’Unione bensì del Consiglio d’Europa, organismo al quale aderiscono 47 paesi compresi tra il Portogallo e la Russia.
Tristemente nota la condanna all’Italia per il sovraffollamento delle carceri. La sentenza è sospesa fino al 28 maggio, data entro la quale Roma dovrà convincere Strasburgo di avere messo fine ai trattamenti «inumani e degradanti» dei detenuti. Ci proverà argomentando che ora ogni carcerato ha a disposizione più di tre metri in cella e che il sovraffollamento sta diminuendo grazie all’eliminazione del reato di clandestinità , alle misure alternative e all’abrogazione della Fini-Giovanardi.
Se non ci riuscirà verrà condannata a 100mila euro per ogni ricorso: al momento sono già 800. Senza dimenticare che il Belpaese ha già pagato centinaia di milioni di multe per l’eccessiva durata dei processi, problema ben lungi dall’essere risolto e che ogni anno ci “regala” nuove sanzioni.
A Palazzo Chigi stanno studiando un piano d’emergenza per la riduzione del danno.
Se ne occupa il sottosegretario alle Politiche europee Sandro Gozi che ha ideato un «pacchetto speciale » per l’abbattimento del numero di procedure Ue.
Gozi, oltre a pressare ministeri e amministrazioni ad agire, vuole usare gli strumenti messi a disposizione dalla legge 234 (che ha scritto con Buttiglione e Pescante nel 2012) approvando una legge comunitaria bis (prima se ne poteva fare solo una all’anno) per chiudere parte delle infrazioni dovute alla mancata applicazione delle direttive e due nuovi leggi di delegazione europea (prima non esistevano) per il recepimento delle direttive ignorate.
Una lotta non facile visto che i funzionari di Bruxelles quando la Commissione è a fine mandato tendono a “svuotare i cassetti”, con nuove infrazioni che a breve potrebbero planare su Roma vanificando parte degli sforzi del governo per ridurne il numero.
Alberto D’Argenio e Fabio Tonacci
(da “La Repubblica“)
argomento: Ambiente | Commenta »
Maggio 7th, 2014 Riccardo Fucile
L’EX SENATORE IN AULA AL PROCESSO: “TOMASSINI MI DISSE CHE QUESTA SOMMA A BERLUSCONI NON AVREBBE CAMBIATO LA VITA, MA A ME SI”
“Confermo che due dei miei colleghi, esponenti del Pd in parlamento, Nino Randazzo e Paolo Rossi, furono
avvicinati e invitati a passare con lo schieramento del centrodestra, attraverso promesse di vantaggi favori e di allettanti progetti economici. A uno di loro è stato offerto anche un posto in Mediaset. Ricordo in particolare la vivace indignazione di Randazzo nel riferirmelo, e ricordo come il senatore Rossi uscì molto turbato e provato dall’offerta che gli fu fatta dal collega suo concittadino Tommasini”.
Eccola, la senatrice Pd Anna Finocchiaro.
È la prima teste eccellente a parlare in aula, sollecitata dalle domande dei pm Henry John Woodcock e Alessandro Milita , nel processo sulla compravendita di senatori che vede imputati a Napoli l’ex premier Berlusconi e il faccendiere Valter Lavitola, difesi dagli avvocati Niccolà³ Ghedini, Michele Cerabona, Maurizio Paniz.
Il dibattimento scaturisce dall’inchiesta napoletana nata quasi tre anni fa e che aveva portato alla confessione dell’ex senatore Sergio De Gregorio , che ha dichiarato ai magistrati di essere transitato, nel 2007, tra le fila dei berlusconiani in cambio di 3 milioni di euro, una parte dei quali pagati in nero, il resto sotto forma di finanziamenti al suo Movimento, “Italiani nel mondo”.
La senatrice si sofferma sui due distinti incontri avuti con quei colleghi, che le confidarono quanto era successo e aggiunge anche che “aveva sentito parlare anche di analogo avvicinamento che aveva riguardato il senatore Caforio, dell’Idv”.
Aggiunge anche la senatrice: “Io denunciai in aula, nel 2007, che nel momento in cui numeri i maggioranza erano risicati, due colleghi dei miei gruppi erano stati avvicinati. Ritenevo e ritengo quello che accadde di assoluta gravità “.
Nel pomeriggio la testimonianza dell’ex senatore Rossi in aula conferma le parole della Finocchiaro: “In cambio del mio passaggio al centrodestra, l’ex senatore Antonio Tomassini mi offrì una somma di denaro che, mi disse non avrebbe cambiato la vita del presidente Berlusconi, ma la mia sì”.
Rossi spiega che Tomassini, ginecologo di sua moglie e come lui ex esponente della Dc, lo invitò a casa sua.
Credendo di dover discutere di problemi relativi a Varese, la città nella quale vivono entrambi, vi andò. Il collega, tuttavia, cominciò a parlare di politica.
“Mi disse che il governo Prodi non aveva futuro e che per Berlusconi era assolutamente fondamentale tornare a fare il presidente del Consiglio, perchè era una cosa che sentiva molto”.
Per questo motivo, afferma Rossi, Tomassini gli offrì del denaro, assicurandogli che ‘ad horas’ avrebbero potuto raggiungere Berlusconi a Villa Certosa, in Sardegna, per perfezionare l’accordo.
Conchita Sannino
argomento: Giustizia | Commenta »
Maggio 7th, 2014 Riccardo Fucile
E ORA L’EX CAV PENSA A UN APPOGGIO ESTERNO AL GOVERNO DOPO IL VOTO
Per Berlusconi quello sulle riforme è un voto pesante, che può aprire nuovi scenari, avvicinando Forza Italia al governo: “Abbiamo dimostrato che siamo determinanti sulle riforme, e non solo. E che Renzi senza di noi non va da nessuna parte”.
È con queste parole l’ex premier spiega ai suoi quella che è apparsa come una incomprensibile giravolta in commissione.
Perchè, fino alle 20,25, ora in cui i senatori sono entrati in commissione, i big di Forza Italia erano certi che “il governo andasse sotto”.
E che, di fatto, si aprisse la crisi. Perchè se il governo “va sotto” su un suo testo è complicato dire che esiste ancora.
Del resto proprio questo era stato il ragionamento usato dal ministro Boschi per convincere i riottosi senatori della sua maggioranza.
È nell’ultima di una serie di telefonate con Renzi che l’ex premier rassicura Matteo: “Non preoccuparti, avrai i nostri voti in commissione”.
Lo sa bene Calderoli che accade tutto alla fine. Anche l’ex ministro leghista è stato il destinatario di una serie di telefonate di Berlusconi, in cui veniva invitato a “tenere il punto” e rassicurato sul fatto che Forza Italia avrebbe fatto lo stesso.
Perchè a quel punto è Berlusconi a usare un “doppio forno”, mandando giù il governo sull’ordine del giorno e poi salvandolo facendo passare il testo base.
Fornendo la dimostrazione plastica che senza Forza Italia non c’è maggioranza.
È questo risultato che fa apparire il Cavaliere in conferenza stampa quasi pimpante, come chi è tornato al centro della scena.
E va ben oltre il suo narcisismo la battuta con cui ha apostrofato Renzi a Matrix: “E’ innamorato di me”.
Il fiuto politico del vecchio combattente dice che i rapporti di forza sono cambiati. L’abbraccio mortale di cui parlavano Toti e la Gelmini nel fuorionda vale anche per Renzi, costretto a subire uno smacco pur di avere i voti di Forza Italia.
È vero che il premier ha fatto capire a Berlusconi che se non passano le riforme, l’alternativa è una sola, ovvero il voto. E ognuno si prende le sue responsabilità .
Ma è anche vero che in questa interlocuzione a due l’ex premier vede aprirsi gli spazi per una manovra più ambiziosa. Ovvero un ingresso in maggioranza, sotto forma di “appoggio esterno”. Da realizzare dopo il voto.
A questo allude il vulcanico Brunetta quando dice che “la cosiddetta politica dei due forni, o delle due maggioranze, non può andare avanti”.
Non è un’analisi politologica ma un messaggio tutto politico: la politica dei due forni “non si può fare — prosegue Brunetta – per un motivo molto semplice, ma che finora nessuno ha ancora spiegato bene. In realtà non è assolutamente possibile distinguere tra le cosiddette riforme costituzionali e le altre riforme annunciate da Palazzo Chigi”. Per ora la campagna elettorale impone a tutti di stare nel guado, ma poi si porrà per Forza Italia il tema di come uscirne: se accentuando il profilo di opposizione o entrando in maggioranza.
Fonti solitamente affidabili rivelano che il grande obiettivo di Berlusconi è tornare al governo, in nome delle riforme.
Si spiega così il cambio dei toni di questa campagna elettorale. L’ex premier non parla più di “golpe” ma ha definito la sentenza un “bene” che gli dà l’occasione di diventare “un padre della patria”.
Il pericolo evocato non sono i comunisti ma Beppe Grillo, novello “Hitler”.
Ed è chiaro che di fronte a un novello Hitler è legittimo evocare un governo di emergenza di tutte le forze democratiche.
Si spiega così quella voce dal sen fuggita sulle larghe intese, poi prontamente corretta perchè non è il momento.
Insomma, l’operazione va costruita. “Ridurre la distanza tra maggioranza per le riforme e maggioranza di governo” è la parola d’ordine su cui è stata calibrata la comunicazione berlusconiana.
E le medesime fonti assicurano che l’ipotesi di un “appoggio esterno” al governo — da negoziare – non è un tabù nemmeno dalle parti di Renzi.
Certo, c’è il voto di mezzo. Certo, è tutto prematuro. Epperò se ne parla.
In fondo quello che è successo in commissione mostra che o si va avanti nel solco del “patto del Nazareno” oppure le alternative sono impraticabili. Il voto non è nell’ordine delle cose, perchè tutti sanno come la pensa il Colle.
E il premier non ha alcuna intenzione di rinchiudersi nel recinto di maggioranza.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Berlusconi | Commenta »
Maggio 7th, 2014 Riccardo Fucile
EMENDAMENTI AMMESSI FINO AL 23 MAGGIO, NEL FRATTEMPO RENZI SPERA NEL PATTO CON BERLUSCONI
La frenata era nell’aria già la scorsa settimana. 
Ma l’incidente di ieri in commissione Affari Costituzionali al Senato ha fatto decisamente scuola. E ora il dato è ufficiale: di riforme costituzionali si riparlerà solo dopo le europee.
Il termine per la presentazione degli emendamenti al testo del governo è stato infatti fissato al 23 maggio, due giorni prima del voto.
Fino ad allora, il treno voluto e messo in moto da Matteo Renzi si è fermato, per colpa dei veti incrociati interni al Pd e al resto della maggioranza, sui quali ha avuto buon gioco la mossa del leghista Roberto Calderoli.
Vale a dire la presentazione di un ordine del giorno sull’eleggibilità dei senatori approvato dalla commissione con parere contrario del governo.
Per il presidente del Consiglio non è una debacle, perchè “siamo riusciti a presentare come testo base quello del governo ed è quello che volevamo”, dice il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini.
Però è chiaro che, continuando così, rischia di saltare per aria anche l’altra data utile indicata dal premier per l’approvazione delle riforme in prima lettura al Senato: “Il 10 giugno”, aveva detto a Porta a Porta.
Insomma, la frenata di Palazzo Madama impone delle considerazioni strutturali: anche queste sono necessariamente rimandate a dopo il voto delle europee.
“Nessuno di noi sa che cosa esattamente succederà dopo le elezioni del 25 maggio”, dice un senatore del Pd.
Dal test elettorale dipende infatti non solo il cammino delle riforme, ovvero la mission principale del governo, ma anche la vita dell’esecutivo nato a febbraio.
Lo stesso Renzi non ne fa mistero. “No alla palude”, continua a ripetere ai suoi.
Per dire che, se si tratta di galleggiare, l’acqua non è quella che fa per lui.
Pare che il presidente del Consiglio abbia ribadito il concetto anche allo stesso Silvio Berlusconi, nella telefonata notturna che poi ha indotto l’ex Cavaliere a riconsiderare il voto in commissione e a ‘salvare’ il governo, votando sì al testo base presentato dal ministro Boschi.
“O così o si torna al voto”, avrebbe detto il presidente del Consiglio a Berlusconi, contando sul fatto che in questa fase, con i sondaggi in caduta libera per Forza Italia, all’ex Cavaliere non converrebbe tornare alle urne.
O almeno è questa la linea che per ora prevale dentro Forza Italia.
Ma è proprio l’incertezza che sembrerebbe attraversare il partito dell’ex premier a impensierire Renzi.
Se il punto sulla vita dell’esecutivo verrà fatto alla luce dei risultati elettorali, è anche vero che il presidente del Consiglio vuole avere garanzie sulla tenuta del Patto del Nazareno siglato con Berlusconi a gennaio.
“Senza quel patto, ci mettiamo nelle mani del ricatto dei piccoli”, dice una fonte renziana, pur confidando che “comunque, dopo le elezioni, anche i piccoli si placheranno”.
Ma il patto con Berlusconi serve proprio come arma per minacciare il resto della maggioranza, come garanzia di avere una maggioranza alternativa per andare avanti. Non è un caso che proprio l’ex Cavaliere abbia parlato della possibilità di sostenere il governo in maggioranza dopo le elezioni.
E’ una possibilità , ma per Renzi è vitale, come si è visto ieri in commissione quando il premier è riuscito a tirare Forza Italia sul sostegno al testo base della Boschi.
Tutto rimandato a dopo le elezioni, ma per il governo non è una frenata da niente.
“Ci siamo resi conto che ogni emendamento sarebbe stato un titolo di giornale o di tg. Non valeva la pena correre il rischio prima del voto”, dice un senatore Democratico.
Il treno renziano è costretto a decelerare. Non solo sulle riforme costituzionali.
Sul decreto lavoro l’esecutivo ha dovuto scegliere di porre la questione di fiducia in Senato, per via dei veti del Nuovo Centrodestra.
E in queste tre settimane che precedono il voto per le europee, ci potrebbero essere altre trappole in arrivo.
In queste settimane di pura campagna elettorale, quando il ‘governo del fare’ sarà costretto a fermarsi, il presidente del Consiglio e i suoi ce la metteranno tutta per indicare i responsabili dello stop: nel tentativo di costruire un argine tra chi è per il cambiamento e chi ha frenato proprio e di nuovo sulla palude.
Dopo le elezioni, Renzi tirerà le somme, convinto che il Patto del Nazareno reggerà , necessario com’è per mantenere l’equilibrio tra governo e maggioranza.
“Terrà “, dice una fonte renziana della prima ora.
Ma nessuna ne ha certezza assoluta.
(da “Huffingtonpost“)
argomento: Renzi | Commenta »
Maggio 7th, 2014 Riccardo Fucile
LA TIFOSERIA SI SPACCA SUL NOME DI STEFANO BANDECCHI, EX PARA’ E OGGI ALL’UNIVERSITA’ PRIVATA CUSANO
La squadra di calcio con la curva più “rossa” d’Italia acquistata da un ex parà ed ex simpatizzante del Movimento sociale italiano successivamente folgorato dal berlusconismo.
Curioso ma non impossibile.
Il presidente del Livorno Calcio (società di serie A attualmente in zona retrocessione) Aldo Spinelli, dopo 15 anni gioie e dolori, sembra intenzionato a vendere la società e nei prossimi giorni dovrebbe incontrare l’imprenditore livornese Stefano Bandecchi, 53enne ex paracadutista fondatore dell’Università telematica Niccolò Cusano di Roma (nata nel 2006, 12mila iscritti, tra i suoi docenti anche Davide Vannoni di Stamina).
A quanto si capisce sarebbe stato l’ex dg della Juventus Luciano Moggi a fare da trait d’union.
La trattativa, appena iniziata, sta però già spaccando la tifoseria.
Il motivo? Soprattutto le idee politiche di Bandecchi.
In passato l’ex parà ha infatti dichiarato di aver votato Msi: peggio di una pugnalata al cuore per quegli ultras che ogni domenica sventolano bandiere con l’immagine di Che Guevara o della falce e martello.
Nel 2005 il fondatore di Radio Manà Manà si è inoltre candidato con Forza Italia per il consiglio regionale del Lazio mentre nel 2013 ha fondato il Movimento Unione Italiano a sostegno della candidatura a sindaco di Gianni Alemanno (la lista ottenne solo lo 0,19%).
Quanto basta per sollevare le critiche di molti tifosi della curva nord, cuore del tifo amaranto.
Sul forum dei tifosi Alè Livorno c’è chi punta il dito contro il “fascistaccio” e chi si limita a dire che “il fatto che sia di destra non è certo positivo”.
Una parte della tifoseria non sembrerebbe invece affatto interessata alle idee politiche: “prima di tutto il Livorno”, “destra e sinistra, ancora con questi discorsi?”, “ma perchè, Spinelli è di sinistra?”.
Cosa risponde Bandecchi?
“Politica e calcio dovrebbero essere separati“. Poi precisa: “A essere interessato all’acquisizione del Livorno non sono io in maniera diretta bensì l’Unicusano di cui sono amministratore delegato”.
Il 53enne, che si definisce imprenditore “a 360 gradi”, va poi dritto al sodo: “Non sarò certo io a offendermi se sentirò cantare Bandiera rossa allo stadio: la ritengo una canzone emozionante perchè parla di lavoro”.
L’imprenditore non vuole essere etichettato come una persona di destra: “Se fossi nato nell’Ottocento sarei stato definito semplicemente un liberale“.
L’imprenditore ricorda che ogni settimana fornisce 2mila pasti caldi alla comunità di Sant’Egidio di Roma e che in passato pur di non licenziare i suoi lavoratori ha preferito vendere un appartamento: “Questo significa essere di destra o di sinistra?”. Poi aggiunge: “Se ci fossero ancora comunisti veri in Italia le cose andrebbero meglio. Molti si professano di sinistra ma posseggono grandi barche a vela… cosa che io non ho”.
Bandecchi si rivolge ai tifosi più intransigenti: “Molti soggetti che si definiscono di sinistra sono ai vertici delle banche e hanno le proprie aziende quotate in Borsa. E con Telecom e Alitalia hanno fatto quel che hanno fatto…”.
Il livornese nato nel quartiere popolare Shangai rincara la dose: “Parecchi imprenditori si definiscono di sinistra ma del futuro delle acciaierie di Piombino se ne sono fottuti”.
L’eventuale acquisizione del Livorno Calcio potrebbe garantire ulteriore visibilità ai progetti di ricerca della Unicusano aventi a oggetto ingegneria meccanica, elettronica e ricerca medica: “Il calcio — conclude Bandecchi — ha un potere di comunicazione enorme. Oltre a allestire una squadra competitiva vogliamo far diventare Livorno un importante punto di riferimento per la ricerca scientifica”.
David Evangelisti
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Costume | Commenta »
Maggio 7th, 2014 Riccardo Fucile
QUANDO MOSTRARE IL DITO MEDIO NON E’ INSULTANTE MA HA QUALCOSA DI GHANDIANO
Qualcuno salvi Piero Fassino da se stesso. 
Forse affascinato all’idea di entrare pure lui nel nutritissimo club degli sfollatori di consenso Pd, fianco a fianco alle Picierno e De Micheli, ha così preso a cuore tale intento da sbagliare tutto con precisione chirurgica.
Sinora Fassino era ricordato per tre motivi: i tic facciali che ne tradiscono l’eterna fibrillazione, il sogno diversamente bolscevico di avere una banca e la particolarissima composizione del sangue (“Fassino ha un globulo rosso solo che va su e giù lungo tutto il corpo, quando ha un’erezione sviene”: la battuta è di Beppe Grillo).
Nei giorni scorsi, il sindaco di Torino ha aggiunto al palmares un dito medio sbarazzino mostrato ai contestatori, come un Gasparri o Santanchè qualsiasi.
A differenza loro, Fassino ha inizialmente negato l’evidenza: “Dicono che ho fatto un gestaccio? Ma figuriamoci” .
Già qui, credendo che nessuno avesse fotografato o filmato la scena, Fassino ha dimostrato quella sua capacità prodigiosa di vivere il proprio tempo intuendone i cambiamenti, la stessa capacità che nel luglio 2009 lo portò a minimizzare l’eventuale peso politico del non ancora nato M5S: “Grillo vuole fare politica? Fondi un partito, metta in piedi un’organizzazione, si presenti alle elezioni, vediamo quanti voti prende, perchè non lo fa?”.
Fassino è così: se una cosa accade, lui la avverte col fuso orario delle Galapagos.
Partecipa alla storia collegato via satellite, e il satellite ha gli stessi tempi di reazione di una Duna in salita.
Ovviamente i filmati del “gestaccio” hanno invaso il web ed è stato proprio M5S a cavalcare la notizia.
Fassino avrebbe potuto chiedere scusa subito, ma è ancora convinto che una bugia mal detta possa negare l’evidenza persino in tempi di smartphone e wi-fi.
Non pochi lo hanno difeso, tipo Chiamparino: “Il problema non sono le bugie di Fassino, ma il comportamento degli ultras”.
Anche Massimo Gramellini, pur condannando le bugie puerili, gli ha concesso un alibi: “Forse solo un monaco zen avrebbe diritto di fargli la morale: sfido chiunque a rimanere impassibile mentre ti insultano il parentado stretto”.
Frase condivisibile se a ricevere gli insulti è una persona qualsiasi, non un politico navigato.
La contestazione è una costante: se non sai gestire un po’ di tensione, provocata peraltro da “non più di una decina di persone” come ha ammesso il diretto interessato, hai sbagliato mestiere.
E in effetti, osservando la carriera di Fassino, qualche dubbio viene. Non ancora soddisfatto della quantità di errori già sciorinati, ieri Fassino ha rilasciato a La Stampa un’intervista semplicemente lisergica.
Di nuovo aveva la possibilità di scusarsi e basta, senza cercare altri specchi a cui aggrapparsi goffamente. Macchè.
Quando gli hanno chiesto perchè avesse inizialmente mentito, Fassino ha risposto così: “Ieri, a chi mi chiedeva dell’accaduto, ho solo negato la rappresentazione di un gesto di offesa nei confronti dei tifosi granata verso i quali non ho fatto alcunchè”.
Provando a tradurre in italiano una tale tapioca prematurata, si evince che per Fassino il dito medio non è “la rappresentazione di un gesto di offesa” bensì “un gesto figlio di un clima convulso e concitato”.
Il dito medio, dunque, non solo non è insultante ma ha anzi qualcosa di gandhiano: “(Era) un gesto per dire: ‘Va bene, ma basta, così’. È questo il senso di quella mano alzata (..) Quel gesto era per dire ‘basta!’, “lasciatemi in pace!’. Questo era il senso”.
Ricostruzione inattaccabile: chi, in effetti, non mostra il dito medio quando desidera essere lasciato in pace?
È un po’ un esperanto universale. Fa così anche Obama quando Michelle gli chiede con insistenza se gradisce o meno un muffin; lui la guarda, le mostra il dito medio e lei, rapita, rifila il muffin al cane.
Fassino, nell’intervista, si è definito “aggredito” e non certo “aggressore”. A suo modo ha ragione.
Fassino è stato effettivamente aggredito, ma non dai tifosi: da se stesso, e dalla mancata percezione del senso del ridicolo.
Per non fare altri danni, dovrebbe come minimo osservare un mese di silenzio. Meglio ancora sarebbe uscire definitivamente allo scoperto e gridare: “Sono juventino e il Torino mi sta un po’ sulle palle. L’autocontrollo non è mai stato il mio forte, chi mi conosce lo sa, e non permetto a nessuno di insultare i miei cari”.
Chissà se un giorno ci arriverà perfino Fassino: errore per errore, molto meglio la nevrastenia sincera del politichese fantozziano.
Andrea Scanzi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Fassino | Commenta »