I DEPUTATI PUGLIESI PD NON VERSANO LE QUOTE, SOLO QUATTRO IN REGOLA
PROFONDO ROSSO: NEL PARTITO SI APRE UN BUCO DI 720.000 EURO
È moroso il sottosegretario al Lavoro Teresa Bellanova, così come non ha ancora tirato fuori un centesimo il sociologo Franco Cassano, capolista dem alla Camera per le politiche 2013.
La stessa cosa fa un’altra deputata, la brindisina Elisa Mariano.
Tutti e tre avrebbero dovuto versare nelle casse del Pd pugliese la una tantum di 30mila euro dopo l’elezione a Montecitorio e a Palazzo Madama.
Dei diciotto parlamentari pugliesi, appena quattro onorano l’impegno: Anna Finocchiaro, Nicola Latorre, Michele Pelillo, Francesco Boccia.
Gli altri quattordici saldano un tanto al mese o fanno spallucce.
Nei forzieri local della principale forza politica del centrosinistra dovevano esserci 540mila euro, se ne contano poco meno della metà : 267mila.
Mancano quindi all’appello 273mila euro
Si aggiungono ai 447mila euro che consiglieri e assessori regionali non fanno arrivare dall’inizio della legislatura, il 2010, ai democratici, ritornati a essere governati da Michele Emiliano, che si ritrova a gestire una pesante eredità .
Sono più o meno in regola quattro su diciannove, e basta.
Eppure, come recita lo statuto, gli eletti hanno «il dovere di contribuire al finanziamento del partito»: 1.250 euro al mese poi ridotti a 700 per gli assessori, 1.000 euro dimagriti fino a 500 perchè i consiglieri non finiscano nelle file dei debitori.
Se rifiutano di mettere mano al portafoglio nell’epoca in cui i rimborsi pubblici sono una chimera, dovrebbero essere marchiati come incandidabili alle prossime elezioni.
È almeno dall’estate dell’anno scorso che il Pd all’ombra di San Nicola scopre di avere i conti in rosso fisso.
Tant’è che tra settembre e novembre erano state inviate lettere agli onorevoli e a un senatore, con lo scopo di «recuperare la morosità ».
Comprese quelle per il terzetto di evasori totali. Ma solo Cassano si sarebbe accordato per restituire «un po’ alla volta» 30mila euro.
I numeri di un disastro annunciato finiscono a febbraio di quest’anno in un report trasmesso al tesoriere nazionale, Francesco Bonifazi: il buco ammonta a 720mila euro.
Il rischio è serio: i sei dipendenti ex Ds e ex Margherita potrebbero tutti finire in cassa integrazione o addirittura essere licenziati perchè non ci sono più soldi per gli stipendi.
La vicenda sarà risolta dopo le consultazioni europee e amministrative, così fanno sapere dal quartier generale di via Re David a Bari.
Ma già bolle il fuoco della polemica. Nessuno esclude ingiunzioni di pagamento ai ritardatari perchè, diversamente, sarebbe difficile fare quadrare entrate e uscite. Antonio Maniglio, vicepresidente del consiglio regionale, chiede «al segretario Emiliano di dare il via a un’operazione trasparenza».
L’assessore della giunta Vendola, Guglielmo Minervini, uno dei virtuosi, scuote la testa: «Offro da nove anni il mio contributo economico al Pd. Sono più di un pirla».
Lello Parise
(da “La Repubblica“)
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