Maggio 10th, 2014 Riccardo Fucile
GRASSO AVEVA CHIESTO A LUI E GASPARRI DI RIPENSARCI…”UN PREMIER NON PUO’ PERMETTERSI DI CALUNNIARE I TECNICI DEL SENATO E INSULTARE I SENATORI”
Domanda secca. 
Dopo l’intervento di Grasso rinuncia a presentare querela contro Renzi?
Risposta secca: “Non ci penso neanche”. E ancora: “Secondo me, il presidente del Senato è stato chiamato dal Colle che gli ha chiesto di intervenire per raffreddare i toni. Questo dimostra una cosa sola: il fatto sussiste”.
Roberto Calderoli, quando scende dal palco di un comizio è carico, risponde al telefono ed esplode lanciando il suo aut aut: “O Renzi chiede scusa o io martedì presento querela”.
Nessuna retromarcia?
“Il premier deve chiedere scusa ufficialmente, agli uffici di Palazzo Madama e a tutti i senatori”.
Difficilmente lo farà …
“Ah sì? E io martedì presento denuncia”.
La polemica tra il governo e il Senato sulle coperture per l’intervento Irpef da 80 euro, con ogni probabilità , arriverà in Tribunale.
Il leghista Calderoli e il forzista Maurizio Gasparri, entrambi vicepresidenti del Senato, minacciano di querelare Renzi per quelle che ritengono offese ai dirigenti della Camera Alta, accusati dal premier di aver detto il falso mettendo in dubbio le coperture.
Lo scontro tra i due poteri dello Stato – prima che arrivi alle estreme conseguenze – porta Grasso a chiamare i due senatori.
La premessa è: “Come ieri sono intervenuto con forza a difesa della serietà e della competenza degli uffici del Senato e delle prerogative dei senatori, perchè ritengo che la difesa delle Istituzioni sia irrinunciabile, oggi – passaggio successivo – ho chiamato i vicepresidenti Gasparri e Calderoli per chiedere loro di fare un passo indietro rispetto all’idea della querela al Presidente del Consiglio”.
Conclusioni: “Non bisogna travalicare i limiti della contesa politica e rispettare le istituzioni”.
Per Grasso, infatti, “il dibattito tra maggioranza e opposizione, anche in campagna elettorale, non può e non deve arrivare al conflitto e alla delegittimazione tra le Istituzioni fino al punto di pensare di rimettere all’autorità giudiziaria temi che possono essere mantenuti all’interno di un dibattito pre-elettorale”.
Calderoli, di fronte a queste parole, resta irremovibile. Anzi.
“Io rispetto il presidente del Senato, l’ho ascoltato, ma se mi ha chiamato vuol dire che la vicenda ha una certa sussistenza, altrimenti non mi avrebbe chiamato. Non trova?”. Tuttavia “dopo l’appello di Grasso sono pronto a ripensarci ma devono arrivare le scuse ufficiali di Renzi, diversamente martedì presento denuncia agli uffici di polizia del Senato perchè un premier non può permettersi di insultare i senatori. Inoltre il presidente del Consiglio è colpevole di calunnia nei confronti dei funzionari del Senato”.
Neanche Gasparri usa toni soft e, anche lui in attesa delle scuse di Renzi, attacca: “Riteniamo che le politiche economiche del premier siano sbagliate, piene di bugie, e lo denunceremo formalmente perchè ha detto che l’ufficio studi del Senato ha mentito quando ha detto che i suoi decreti sono privi di copertura”.
Secondo Gasparri, “ha ragione l’ufficio del Senato e ha torto Renzi. I suoi decreti sono senza copertura e deve scusarsi”.
Palazzo Chigi tace e nessuno scommette sull’arrivo delle scuse di Renzi.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 10th, 2014 Riccardo Fucile
SUL BLOG DELL’EX MINISTRO: “NESSUNO VA SUL MONTE SINAI E VIENE GIU’ CON I NUMERI DELLA LEGGE”
Provo ad intervenire sulla controversia “Liparitana”, in atto tra Governo della Repubblica e Senato della Repubblica, a proposito del Decreto per gli “80 euro”.
Lo faccio “sine ira ac studio” (pur avendo sulla particolare materia una qualche personale esperienza).
La controversia deriva dal confronto tra due testi:
A) il testo governativo, fatto da 70 norme di legge, 40 pagine di relazione “politica”, 50 pagine di relazione “tecnica”. Un fascicolo che nell’insieme cuba 168 pagine;
B) il testo del Senato, Servizio del Bilancio dello Stato (SBS), che a sua volta cuba 157 pagine.
Si tratta di due testi tecnicamente molto buoni. E’ anche per questo che trovo non appropriata la polemica fatta dal Governo sul testo del Senato, una polemica sviluppata in termini di “vero-falso”.
Infatti, se nel caso c’è un margine di possibile discussione, questo è semmai in termini di “giusto-sbagliato”.
Nessuno va sul Monte Sinai e viene giù con i numeri della legge! E’ anche per questo che serve la discussione nel Parlamento e nella pubblica opinione.
Ho una qualche personale ed iniziale esperienza di “dialettica” con i servizi bilancio del Parlamento.
Quando, nel giugno del 1994, ho presentato (con il primo Governo Berlusconi) il Decreto Legge che detassava chi investiva, chi assumeva e chi si quotava, ho avuto una discussione telefonica molto “vivace” con un duro funzionario parlamentare. Ignoravo il suo cognome, non lui il mio.
In agosto scoprimmo di essere da tanti anni compagni di camminate. Chi aveva ragione? Chi aveva torto? Io sostenevo che la detassazione si sarebbe “autofinanziata” con l’effetto indotto dello sviluppo economico, senza bisogno di coperture “contabili”.
Per suo conto il funzionario sosteneva che no. A monte la Ragioneria generale dello Stato aveva sì “bollinato” il Decreto, ma solo “per correntezza”.
Quando chiesi la ragione di questa formula, mi spiegarono che non erano davvero convinti ma che, se fosse sorto un incidente, sarebbe stata colpa mia.
Per fortuna, la positiva congiuntura economica dell’anno escluse in radice ogni tipo di incidente. Allora, comunque, non c’era l’euro.
Adesso, con una moneta comune, non puoi avere sistemi contabili diversi da paese a paese.
Ed è questa l’origine del “Manuale Eurostat” e del “Sistema Eurostat” (Commissione Europea + Istat e Banca d’Italia). Giusta o sbagliata, ma questa è la realtà che dobbiamo tenere in conto nel tempo presente.
Se dipendesse da me, non ne sarei proprio del tutto convinto. Ma tant’è!
Nel merito trovo che è stato un po’ troppo “fiscale”, da parte dell’SBS, il conteggio sulla “perdita” di gettito IRAP.
Mentre è assolutamente prudenziale il ragionamento critico fatto sul maggior gettito che deriverebbe dall’aumento al 26% della tassazione finanziaria: se lasci al 12,5% la tassazione sui titoli di Stato, etc. è infatti molto probabile che gli impieghi migrino dal comparto più tassato a quello meno tassato, riducendo di riflesso gli impieghi a favore dell’economia reale, che invece si vorrebbe sostenere, proprio con il Decreto (tutto ciò ricorda dunque la seconda legge del mio amico Carlo Cipolla: “lo stupido fa male agli altri senza fare bene a se stesso”).
Ancora, trovo corretto il conteggio prudenziale fatto dall’SBS sul gettito IVA che deriverebbe dagli anticipati pagamenti dei debiti della PA: non solo si devono infatti considerare gli effetti di compensazione, tra debiti e crediti, ma anche il fatto che si tratta di un anticipo che causa un buco nell’anno successivo.
Quando nell’estate scorsa ho proposto a titolo sperimentale qualcosa di simile, il Governo ha (forse giustamente) bocciato l’emendamento!
Comunque, al posto (ormai non più invidiabile) del Governo, più che polemizzare sulla “fiscalità ” applicata dal lato delle entrate, avrei ringraziato l’SBS per l’elegante “lievità ” dei rilievi formulati sull’incidenza (?) dei tagli di spesa pubblica!
Ma vorrei chiudere passando dai numeri alle parole.
Il “Capo II” del Decreto Legge è letterariamente intitolato “Amministrazione sobria”! Forse l’amministrazione diventerà sobria (?), ma certo non lo è ancora la legislazione, pure prodotta da un Governo che ispira la sua azione – svoltando verso la volta buona – proprio verso la novità e la sobrietà .
L’arte della legislazione è davvero molto complessa e certo nessuno può scagliare la prima pietra ma, magari per il futuro – diciamo con l’occasione del prossimo Decreto Legge o dintorni – si potrebbe sorteggiare, a sorpresa, un componente del Governo – il Presidente del Consiglio ma in alternativa anche un Ministro o un Sottosegretario – invitandolo a venire in Parlamento od a partecipare ad un “talk-show”, qui sorteggiando un qualsiasi comma di legge e poi invitandolo a spiegarlo.
Se non lo capisce e non lo spiega lui (è fortemente probabile), figurarsi un cittadino.
Giulio Tremonti
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Maggio 10th, 2014 Riccardo Fucile
“SOLO TREMONTI CI HA TRATTATO COSàŒ”….”SE ACCANTO AI PRESUNTI GETTITI NON VENGONO INDICATE LE MISURE PER RAGGIUNGERLI, DOVREMMO FORSE FAR FINTA DI NULLA?”
«Solo Tremonti nel 1994 aveva fatto qualcosa di simile — non so dire se peggio o meglio — di quanto è
accaduto in questi giorni con Renzi: alzò il telefono e chiamò il capo del Servizio. Ci accusò di stare con la sinistra, di aver fatto sconti al governo di Giuliano Amato e non al suo. Si tentò anche di intervenire sul segretario generale del Senato per bloccare l’uscita del dossier che evidenziava criticità sulle coperture del suo provvedimento che incentivava le imprese ad investire».
Il racconto dei tecnici del Servizio di Bilancio del Senato scorre lucido ma insolitamente incline all’emozione, se non alla rabbia.
Di solito tengono le bocche cucite, ma stavolta, anonimato garantito, non rinunciano a sfogarsi.
Dagli sms che si sono scambiati in questi giorni emergono parole come «frustrazione », «scoramento» e «umiliazione» per gli addebiti del presidente del Consiglio Renzi: li ha accusati di «falsità », per chi fa un lavoro guidato dal rigore tecnico-scientifico, è la cosa peggiore.
«Errori ne possiamo fare, come accade a tutti, ma cose false non ne diciamo: il nostro compito è di verificare le quantificazioni delle norme e di evidenziare le criticità delle coperture. Quando si presentano è nostro dovere farlo. Altrimenti che ci stiamo a fare?».
Di loro si parla poco ma sono una sorta di corpo speciale della finanza pubblica, un argine parlamentare all’invadenza dell’esecutivo sempre tentato dalle esigenze elettorali e dalla voglia di spendere di più.
Dal manipolo dei funzionari del Senato che, quasi a marcare l’autonomia, se ne stanno in una dependance di Palazzo Madama, nei pressi di Sant’Eustachio, sono usciti i tecnici migliori degli ultimi anni.
Come Paolo De Ioanna, che allestì il servizio nel 1990, e poi lavorò accanto a Ciampi e Padoa-Schioppa, oppure Giuseppe Fotia (attualmente consigliere economico di Napolitano).
Dal Servizio Bilancio, di cui è stata direttrice, viene anche Chiara Goretti: l’unica donna che, superata la difficilissima selezione, è stata nominata da Boldrini e Grasso nella terna del nuovo Ufficio parlamentare di Bilancio.
«Di dossier ne abbiamo fatti centinaia, ma contestazioni ne abbiamo avute poche… ».
Una casta? «Abbiamo buoni stipendi, come prevede la legge, ma lavoriamo anche sodo, non saremo certo noi ad opporci alle riforme, soprattutto quelle che vanno nella direzione della tenuta dei conti pubblici ».
Sicuramente i tempi di lavoro sono serrati: la velocità e la precisione sono il loro punto di forza. I decreti o le leggi di Stabilità arrivano sui tavoli del Servizio appena un paio di giorni prima della convocazione della Commissione Bilancio per l’inizio dell’esame e i loro preziosi dossier devono essere sui banchi dei parlamentari in tempo utile.
Non è un lavoro facile: leggi e decreti, come si sa in Italia, sono quasi incomprensibili; uno slalom tra centinaia di commi per capire se la Relazione tecnica della Ragioneria dello Stato ha ceduto alle pressioni del governo e se l’articolo 81 della Costituzione è stato rispettato.
Stavolta, business as usual, hanno preso il decreto n.66 del 24 aprile 2014, sul bonus Irpef e in un paio di giorni, week end e notti comprese, lo hanno vivisezionato.
«Se accanto al gettito dell’evasione fiscale, non ci si mettono le misure per raggiungerlo, non va segnalato? Del resto il nostro compito è anche quello di mettere il governo sull’avviso ».
Ma Renzi non li ha perdonati.
Roberto Petrini
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Maggio 10th, 2014 Riccardo Fucile
PER LA DDA “MATACENA SCELSE SCAJOLA PER RAPPORTI POLITICI CON LE COSCHE”, MA IL GIP RIGETTA LA TESI AGGRAVANTE
“Condotte dirette a interferire su funzioni sovrane quali la potestà di concedere l’estradizione“. Con queste parole i pm della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria contestano a Claudio Scajola e agli altri sette arrestati lo scorso 8 maggio insieme all’ex ministro, a Vincenzo Speziali, nipote omonimo dell’ex senatore del Pdl, la messa in atto di comportamenti volti a impedire l’estradizione dell’ex deputato condannato a cinque anni per concorso esterno in associazione mafiosa Amedeo Matacena.
L’accusa è stata ipotizzata nel decreto di perquisizione emesso dalla Dda ed eseguito contestualmente agli arresti e si riferisce alla presunta attività svolta da Scajola e da altri indagati al fine di far trasferire Matacena da Dubai, dove si trova attualmente libero ma privato del passaporto, in Libano, Paese ritenuto più sicuro per evitare l’estradizione.
Un progetto che, secondo l’accusa, emerge dalle conversazioni telefoniche intercettate tra Scajola e, tra gli altri, la moglie di Matacena, Chiara Rizzo.
Conversazioni nel corso delle quali il Paese mediorientale ricorre più volte, citato espressamente o con la sola iniziale. In una telefonata Scajola riferisce anche alla Rizzo di avere contatti con un “ministro in carica in quello Stato” che per gli inquirenti è, appunto, il Libano.
Secondo l’accusa, gli indagati “prendono parte a una associazione per delinquere segreta collegata alla ‘ndrangheta da rapporto di interrelazione biunivoca al fine di estendere le potenzialità operative del sodalizio mafioso in campo nazionale e internazionale“.
Nello specifico avrebbero fatto in modo di interferire sulle funzioni sovrane di altri Stati per proteggere la latitanza di Matacena, “decisivo concorrente esterno della ‘ndrangheta reggina” che svolge un “rilevantissimo ruolo politico e imprenditoriale a favore” della stessa ‘ndrangheta, “interessata a mantenere inalterata la piena operatività del Matacena e della galassia imprenditoriale a lui riferibile, utilizzata per schermare la vera natura delle relazioni politiche, istituzionali ed imprenditoriali dal predetto garantite a livello regionale, nazionale ed internazionale”.
Dda: “Scajola proiezione degli accordi di Matacena”. Il Gip: “Mancano indizi”- Claudio Scajola era stato individuato da Amedeo Matacena quale “interlocutore politico” delle cosche di ‘ndrangheta “a operare su sua indicazione”.
È la convinzione dei magistrati della Dda di Reggio Calabria, anche se al momento, sul punto, hanno ricevuto lo stop del gip che ha respinto la richiesta di contestare l’aggravante mafiosa all’ex ministro e agli altri sette arrestati.
Una decisione sulla quale la Dda intende dare battaglia, tanto che i pm hanno già predisposto il ricorso da presentare al tribunale del riesame.
Nell’ordinanza i magistrati ricostruiscono i rapporti tra Scajola e Matacena.
Secondo l’accusa, dopo la sentenza di condanna, Matacena, del quale viene evidenziata “la stretta commistione tra l’attività politica e quella imprenditoriale volta sia al proprio interesse che in favore delle cosche”, si trova costretto a scindere i due aspetti.
Ed è in questo contesto che l’ex deputato individuerebbe “l’interlocutore politico destinato a operare su sua indicazione in Scajola, interessato alla candidatura per le elezioni europee, come risulta da alcune conversazioni con la moglie e con Chiara Rizzo, peraltro poi escluso dai vertici del partito con il conseguente naufragare di tale golosa prospettiva”.
Una prospettiva che Scajola attendeva, al pari della probabile elezione.
E che gli sarebbe servita, tra l’altro, a poter dare, col proprio stipendio, 15.500 euro a Chiara Rizzo, che è la moglie di Matacena, per l’anticipo di una casa in affitto a Montecarlo.
Una circostanza emersa dalla sintesi di una telefonata intercettata dalla Dia il 4 aprile 2014 e che è agli atti del procedimento.
D’altra parte, come dichiara la moglie dell’ex ministro, Maria Teresa, uscita dal silenzio che si era imposta dal giorno dell’arresto del marito, “Claudio Scajola è un galantuomo, con una grande testa e un grande cuore“.
Per i pm, invece, Scajola “rappresenta la proiezione degli accordi e degli impegni assunti dal Matacena”. Ma per il gip “manca un supporto indiziario idoneo a superare il mero dato congetturale”.
Una questione sulla quale dovrà pronunciarsi il riesame e, eventualmente, la Cassazione, alla quale i pm sono intenzionati a rivolgersi nel caso in cui dovesse andare male l’appello.
Perchè i magistrati, e con loro gli investigatori della Dia, sono convinti che Scajola, gli altri arrestati ed anche Vincenzo Speziali, nipote omonimo dell’ex senatore del Pdl, siano componenti di “un’associazione per delinquere segreta collegata alla ‘ndrangheta”.
Tant’è che tutti e nove sono indagati, come si evince dal decreto di perquisizione eseguito dalla Dia contestualmente agli arresti, per associazione a delinquere e associazione mafiosa.
Sviluppi nell’inchiesta potranno venire anche dall’esame del materiale sequestrato che dovrebbe arrivare a Reggio a metà della prossima settimana.
Tra le tante carte, ce n’è una, in particolare, che i magistrati vogliono leggere.
Si tratta di una lettera scritta in francese al computer indirizzata al “mio caro Claudio” e che, secondo gli investigatori, potrebbe essere stata siglata dall’ex presidente libanese Amin Gemayel.
Nella missiva si legge, tra l’altro, che “la persona potrà beneficiare in maniera riservata della stessa posizione di cui gode attualmente a Dubai” e che “troveremo un modo per per fare uscire la persona dagli Emirati Arabi e farla arrivare in Libano”.
E proprio dagli Emirati Arabi Matacena è tornato oggi a fare sentire la sua voce con una intervista a Sky.
L’ex deputato ha detto di avere scelto la fuga per aspettare in libertà la decisione della Corte europea per i diritti dell’uomo.
Una scelta che gli è costata il divorzio dalla moglie, visto, ha spiegato, che “non voleva che andassi via”.
Matacena ha anche colto l’occasione per dire che “al sud hanno usato il concorso esterno per colpire Forza Italia, che aveva una forza notevole”.
E per domani sera è atteso il rientro in Italia di Chiara Rizzo che, ha annunciato, torna spontaneamente per mettersi a “disposizione della giustizia”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 10th, 2014 Riccardo Fucile
IL RUOLO DI MARIA GRAZIA, ROBERTA E CHIARA
«Sto anticipando il mio rientro in Italia e sono in grado di chiarire tutto, è la sola cosa che voglio»: lo
dice Chiara Rizzo, la moglie di Amedeo Matacena, colpita da provvedimento restrittivo nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Reggi Calabria che ha portato all’arresto dell’ex ministro Claudio Scajola.
«Sto tornando da un viaggio programmato – dice la moglie di Matacena – per mettermi a disposizione della giustizia e per chiarire la mia posizione. L’unica cosa che voglio e riabbracciare i miei figli e chiarire. Credo nella giustizia e ritengo che presto si farà chiarezza. Chiarirò tutto, anche le parole dette a Scajola e riportate dalle intercettazioni. Io ho appreso la notizia ieri, non avevo idea di tutto questo e, se lo avessi saputo, non sarei partita».
“Robertina”, Maria Grazia e Chiara. Tre donne legate da un rapporto, più che di amicizia, di affari.
Ma i “loro” affari sono in realtà solamente quelli di Claudio Scajola e Amedeo Matacena. E sono proibiti. Non che a loro importasse.
Maria Grazia Fiordelisi, segretaria di Matacena, e Roberta Sacco, “ombra” dell’ex ministro per l’intera sua carriera politica, sarebbero state pronte a tutto pur di aiutare i rispettivi “capi” a tessere la loro tela.
Anche a far girare su conti correnti a loro intestati fiumi di denaro, perchè ne venisse cancellata ogni traccia.
E a Maria Grazia e Roberta si rivolgeva per ogni sua esigenza Chiara Rizzo, moglie di Matacena, l’unica delle tre ancora in libertà , malgrado l’ordine di arresto inviato a Montecarlo (Carlo Biondi, il suo avvocato assicura che appena tornerà dal viaggio all’estero programmato si consegnerà alle forze di polizia).
Poco importa se tra quest’ultima e la segretaria del marito venisse mantenuta una certa forma, quel “lei” che quasi stona davanti al delicato contenuto delle conversazioni, mentre con “Roby” tutto sembra molto più semplice, e la confidenza è quella di due amiche di vecchia data.
Maria Grazia Fiordelisi, 51 anni, originaria di Lauria, in provincia di Potenza, vive a Sanremo, in via Ansaldi, una strada tranquilla accanto all’Aurelia.
Da lì gestiva gran parte dei traffici dell’ex parlamentare del Pdl e della moglie, e da lì poteva raggiungere in poco più di mezz’ora Montecarlo, dove entrambi vivono.
Ieri mattina, quando gli uomini della Dia hanno bussato alla sua porta, sembrava quasi che se lo attendesse da un momento all’altro. Forse consapevole di avere infranto molte regole per sistemare le “cose” del suo capo.
Per il gip del Tribunale di Reggio Calabria Olga Tarzia, la segretaria di Matacena «è detentrice di ogni informazione, impegnata nelle movimentazioni economiche e persona a cui si rivolge sistematicamente, senza necessità di spiegazioni, Chiara Risso, evidentemente delegata dal marito».
Non è strano, allora, che la Fiordelisi, a Sanremo, fosse praticamente una sconosciuta: la maggior parte del suo tempo era dedicata al lavoro che le è costato gli arresti domiciliari.
Ben diversa, invece, la figura di Roberta Sacco.
La sua giornata, ieri, è stata lunghissima, e ha lasciato il segno. Viso tirato e stanco, capelli all’indietro con gli occhiali da sole a fare da cerchietto, gilet blu e borsa a tracolla turchese.
Così “Robertina”, come la chiamava Scajola, o “Roby”, per Chiara Rizzo, nel pomeriggio di ieri ha lasciato gli uffici dell’ex ministro in viale Matteotti insieme agli uomini della Dia, che l’hanno poi accompagnata a Diano San Pietro dove risiede col marito e dove ha iniziato a scontare gli arresti domiciliari.
In attesa dell’interrogatorio di garanzia e di un eventuale ricorso al Riesame. Roberta Sacco, 43 anni, per l’intera mattinata, e dall’alba, ha assistito assieme al suo avvocato, Piera Poillucci, capogruppo di Forza Italia in consiglio comunale, alla perquisizione nell’appartamento adibito ad ufficio dell’ex ministro, nel quale ha iniziato a lavorare venti anni fa. Sempre e solo al fianco di Scajola.
A dirla tutta, le stanze di viale Matteotti sono diventate il sancta sanctorum di Scajola solo dopo l’ascesa dell’ex sindaco del capoluogo ai vertici politici nazionali, con la Democrazia Cristiana fino a Tangentopoli, poi con la lista civica “Amministrare Imperia”, e, infine, dal 1996, con Forza Italia.
Roberta Sacco ha iniziato a lavorare a tempo pieno per Scajola proprio a partire dalle elezioni amministrative del 1995, quando l’ex ministro – sindaco uscente – aveva deciso di candidarsi con la lista civica.
Poi, per la Sacco, gli impegni tra lavoro e passione politica sono diventati sempre più pressanti e coinvolgenti. Troppo. Seppure lei non abbia mai tenuto al potere, almeno esteriore.
Il suo ruolo, come si conviene ad ogni “assistente del capo”, è diventato via via sempre più discreto, dietro le quinte: gestione dell’agenda, organizzazione degli incontri, coordinamento delle scorte di Scajola.
Già nelle foto celebrative dello staff politico di Scajola delle elezioni del 2001 che lo incoronarono ministro dell’Interno del primo governo Berlusconi, “Robertina” non compare più.
Chi la conosce molto bene, oggi dice che Roberta è rimasta “vittima” del suo attaccamento al lavoro e di una sorta di sudditanza nei confronti di Claudio Scajola. Ma non per questo, per la Dda, adesso è meno responsabile.
E poi c’è Chiara. La moglie di Matacena cui Scajola, secondo il gip, «era asservito». Quarantatrè anni come Roberta Sacco, della quale è nata solo otto giorni prima, messinese di nascita e monegasca di adozione, per l’accusa era il tramite principale tra Matacena e Scajola.
Con il quale non esitava nemmeno a fare riferimenti alla latitanza del marito. Anche se spesso parlavano pure di politica.
Chiara Rizzo emerge dall’ordinanza come una donna “scafata”, al corrente di tutto e che sa come muoversi.
Ad esempio, quando per ricevere via mail documenti dalla segretaria di Matacena utilizza l’indirizzo di una sua amica.
O quando non chiede nemmeno perchè debba mettere una firma su un documento o correre in banca. Eccola, un’altra donna nella rete, che non si preoccupa di mettere a disposizione il suo account di posta elettronica per aiutare Matacena e l’amica.
Il gip è chiaro: ci sono tante persone che hanno a cuore le sorti dell’ex parlamentare. E molte sono appunto donne.
Tra loro c’è ancora una sanremese, Elisabetta Hoffman, abita alla Foce. E anche lei si è messa “a disposizione”.
E anche a casa sua è arrivata la Dia, per perquisirla, anche se la donna non risulta indagata.
(da “il Secolo XIX“)
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Maggio 10th, 2014 Riccardo Fucile
“PER EDUCARE UN FIGLIO CI VUOLE UN VILLAGGIO”
A due settimane di distanza dalla canonizzazione dei Papi Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII, piazza San Pietro questo pomeriggio è stata di nuovo invasa da migliaia di persone per ascolatre il discorso di Bergoglio: “Amo la scuola perchè è sinonimo di apertura alla realt�
L’hanno accolto attenti, con le facce rivolte verso i grandi schermi e verso Papa Francesco.
Tra studenti, insegnanti e genitori sono arrivati in 300 mila a Piazza San Pietro, Via della Conciliazione e nelle zone limitrofe per l’incontro della scuola italiana con Papa Francesco, questo pomeriggio.
Non c’erano solo gli istituti cattolici, ma tutte le scuole del Paese. E il Papa è arrivato in jeep salutando e benedicendo la folla che ha invaso completamente Roma.
Il suo discorso è stato un appello. Per dire: “Per favore, non lasciamoci rubare l’amore per la scuola”.
‘Per educare un figlio ci vuole un villaggio’. La scuola serve a unire e a formare. E’ un punto d’incontro. Un sinonimo di apertura alla realtà . Papa Francesco l’ha amata, la ama ancora. Il suo messaggio è un invito a non darla per scontata ma a curarla, a salvarla.
“La famiglia – ha detto il Papa – è il primo nucleo di relazioni: la relazione con il padre e la madre e i fratelli è la base, e ci accompagna sempre nella vita. Ma a scuola noi ‘socializziamo’: incontriamo persone diverse da noi, diverse per età , per cultura, per origine… La scuola è la prima società che
integra la famiglia. La famiglia e la scuola non vanno mai contrapposte! Sono complementari, e dunque è importante che collaborino, nel rispetto reciproco. E le famiglie dei ragazzi di una classe possono fare tanto collaborando insieme tra di loro e con gli insegnanti. Questo fa pensare a un proverbio africano tanto bello: ‘Per educare un figlio ci vuole un villaggio’. Per educare un ragazzo ci vuole tanta gente, famiglia, scuola, insegnanti, personale assistente, professori, tutti. Vi piace questo proverbio africano? Diciamolo insieme: per educare un figlio ci vuole un villaggio”.
La prima maestra di Bergoglio.
L’espressione di chi ricorda, e il suo discorso il Papa lo ha iniziato con l’omaggio alla sua maestra: “La mia prima insegnante è stata una maestra che mi ha preso a 6 anni, al primo livello della scuola. Mai ho potuto dimenticarla. Sono andato a trovarla tutta la vita fino a quando è mancata a 98 anni. Amo la scuola perchè quella donna mi ha insegnato ad amarla”, ha confidato Bergoglio all’incontro promosso dalla Cei e intitolato “We Care”.
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Maggio 10th, 2014 Riccardo Fucile
IL PRIMO GIORNO DA VOLONTARIO DI BERLUSCONI
Unico segno di nervosismo, il continuo accavallare le gambe. 
È in camice bianco, Silvio Berlusconi, in questo suo primo giorno da «volontario» per condanna penale.
È seduto all’ombra del giardinetto interno al reparto San Pietro, davanti alla signora Giuliana Mura, responsabile del gruppo Alzheimer.
Ed è un inconsueto, indefinibile, incerto Berlusconi questo che ascolta nel piccolo cortile, mentre intorno a lui, appena poco più in là , separati da una siepe, ci sono 130 giornalisti, le tv araba, americana, tedesca, francese.
Una situazione che ha spinto il giudice Beatrice Crosti, del tribunale di Sorveglianza, a chiamare ieri mattina al telefono i responsabili della Sacra Famiglia: «Avevo già detto tramite assistente, sociale, che le cose vanno fatte con la massima discrezione. Quindi, niente giornalisti. Vi ho dato disposizioni precise, di tenere il profilo bassissimo, della massima riservatezza all’interno struttura…».
Da venerdì prossimo, la stampa potrebbe restare fuori dall’intero perimetro della Sacra Famiglia.
Così come fuori resterebbero la candidata alle Europee di Forza Italia che ha preso il treno da Bergamo, il disturbatore che grida «Silvio in galera», l’imprenditore che assicura di essere «il fratello gemello di Silvio, basterebbe fare il Dna».
La giornata di Berlusconi in camice era cominciata con un piccolo giro tra i reparti. Dopo avergli chiesto di levarsi la giacca, con il simbolo di Forza Italia, è entrato in una stanza con quattro ospiti, riuniti nel dopo colazione. Un impatto morbido.
Poi è stato portato nella palestra, dove si fa la riabilitazione fisica, e anche là ce n’erano pochi, cinque.
Terza tappa, il salone. Più affollato, per quella che si chiama «socialità ». È là che si tiene un ballo degli anziani: cioè si mette la musica e ci si muove, per favorire le articolazioni, per interagire, per «rispondere».
Sono questioni e situazioni delicate: possono apparire molto tristi, ma umanissime; molto faticose, ma anche ricche di possibilità . Possono prestarsi a facili ironie? Anche, «ma è difficile se si pensa ai malati».
Quando Berlusconi s’è sfilato il camice, ha preso alcuni fogli sull’Alzheimer come compiti a casa e ha rimesso la giacca blu.
Ha stretto mani, salutato, dietro alle transenne affollate come al Giro d’Italia: «Andata bene. Mi chiedono di non fare alcuna dichiarazione », ed è andato via, abbracciato, oltre il cancello, da un’altra sostenitrice.
«Dentro» la Sacra Famiglia Berlusconi era sembrato a tutti, senza eccezioni, «compreso» nel ruolo: come se fosse un tutt’uno con la pena da scontare attraverso il servizio sociale.
«Fuori» di qui, però, sono bastate poche ore di relax e i riflettori di uno studio televisivo, quello di Telelombardia, per rimettere Berlusconi in trincea.
E per spararle grosse: persino sulle ore trascorse al Padiglione San Pietro.
Qualche distinguo, certo, lo fa: «La cosa che mi ha colpito di più è stata la dedizione delle persone che sono a contatto con questi malati di Alzheimer».
Ma le elezioni incalzano, bando all’etichetta: «Diversi pazienti mi hanno riconosciuto, una signora mi ha baciato, un’altra mi ha abbracciato. Molte persone mi hanno chiesto di raccontare la mia storia. Io mi sono messo a disposizione, non so se vorranno usufruire della mia esperienza»: usufruire della sua esperienza chi? I malati di Alzheimer?
«Abbiamo parlato tanto di Milan, e la prossima volta porterò anche degli orologi del Milan », aggiunge, come se avesse dimenticato la delicatezza, i «piccoli passi», con cui è stato portato nel reparto: «Sono state quattro ore e un quarto intensissime. Questa mia prima giornata — ha evidenziato — è stata anche un disturbo per loro. Spero di recuperare la prossima volta ».
Recuperare in quale modo, se Cesano Boscone viene «berlusconizzato »?
«Ero a Cesano per cercare facce nuove per il mio partito», dice.
E, rispondendo ad una domanda sul futuro di Clarence Seedorf sulla panchina del Milan, si consente questa frase: «A Cesano Boscone ho incontrato tante persone che potrebbero tenere in mano lo spogliatoio del Milan».
Qualsiasi argomento, insomma, può essere gettato in campo, perchè «Sento — spiega Berlusconi — siamo in un punto di svolta storico del nostro Paese, questo è l’ultimo tentativo che io faccio per cercare di diventare un “padre della patria”, come ho avuto già modo ironicamente di dire».
Il «padre della patria», ironia o meno, è dunque al «la va o la spacca».
E se ha ancora ri-annunciato quanto annuncia spesso e invano dall’anno scorso, e cioè la revisione tra Brescia e Bruxelles del suo processo per frode fiscale, un sussulto ce l’ha quando spiega la sua condizione: «Il Tribunale di Sorveglianza ha eseguito una sentenza politica infondata».
Si sente «perseguitato », una «vittima» dei magistrati. E patisce il decreto del giudice Crosti: «Non sono solo le quattro ore al settimana, sono sottoposto a tutta una serie di limitazioni. Non mi sento bene ad affrontare questa situazione che mi ha limitato molto. È una situazione per me molto negativa».
È solo agli inizi, le conclusioni a febbraio 2015.
Piero Colaprico
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Maggio 10th, 2014 Riccardo Fucile
EXPO, NON SI LASCIAVANO SCAPPARE UN APPALTO
La ragnatela era così fitta che ogni appalto non poteva sfuggire.
«Un circuito deflagrante e perverso» quello che a Milano vedeva l’ex segretario regionale della Dc, Gian Stefano Frigerio, indiscusso burattinaio di ogni affare”. Per capirlo è bene prendere in prestito le parole usate dai magistrati milanesi Ilda Boccassini, Claudio Gittardi e Antonio D’Alessio nella loro richiesta d’arresto.
Un sistema «che inquina da un lato la libera concorrenza negli appalti pubblici (con prevedibili ricadute sui corrispettivi dei lavori e servizi), favorendo le sole imprese che attivano la mediazione illecita dell’associazione».
Una cordata capace di condizionare Expo, dividere gli appalti insieme a Primo Greganti e alle cooperative rosse, ma anche monopolizzare il mondo della sanità .
LE MANI SULLA SANITà€
Il metodo Formigoni, con i facilitatori Daccò e Simone, è politicamente archiviato e sarà giudicato in un processo per corruzione.
Oggi, Frigerio studia nei dettagli la nuova strategia per garantirsi anni di business tra le corsie. «In coincidenza delle Regionali 2013, si attiva per sostenere sul piano elettorale il senatore Mario Mantovani».
L’attuale assessore regionale alla Sanità del Pdl non è indagato, eppure la sua carriera politica sembra essere tracciata dal «professore ». Appena l’esecutivo timonato da Roberto Maroni si insedia (18 marzo 2013), la ragnatela inizia ad allargarsi.
Il professore «riprende i contatti con i vertici sanitari regionali rappresentati da Mantovani e Bergamaschi (Walter, nuovo direttore generale alla Sanità , ndr) ».
Il 26 marzo 2013, il direttore generale viene «invitato a un aperitivo presso l’albergo Westin Palace da Frigerio». Quello che si dicono durante il brindisi non è intercettato. Ma gli uomini della sezione di Pg della Finanza lo captano nel quartier generale di Frigerio, a due passi dalla Centrale. Davanti Frigerio ha due «dipendenti regionali», ai quali annuncia di aver «appena visto Bergamaschi…. persona intelligente, cauta, io gli ho parlato della necessità di cambiare anche registro, un po’, in assessorato».
GLI ORDINI AI MANAGER
Frigerio e la sua cordata hanno il potere per imporre regole, nomine e ruoli.
«Gli ho dato le mie indicazioni, le persone da spostare…». E anche Mantovani sembra subire direttive. «Gli ho posto solo il problema che va rinnovato l’assessorato, rinnovati i quadri e così via…».
I pm milanesi definiscono «autorevolezza» quella che dimostra Frigerio nel districarsi nella palude politica lombarda. Addirittura Frigerio «fissa appuntamenti del direttore generale Bergamaschi con soggetti indicati da Frigerio alla sua segreteria».
Ma per completare l’opera, bisogna anche suggerire le imprese a cui rivolgersi per gli appalti. Così «i rapporti tra Frigerio e Bergamaschi proseguono in modo intenso nel luglio del 2013 anche con il passaggio di appunti del primo al secondo con la segnalazione di appuntamenti con imprenditori».
LE BENEDIZIONI DI ARCORE
Gli interventi sono capillari. Chi si rivolge a Frigerio si mette in cassaforte.
Basta prendere il caso dell’imprenditore Enzo Costa: interessi nella sanità che gravitano su Pavia, Costa vuole entrare tra i fornitori. Frigerio attiva una delle sue tante pedine.
Si chiama Daniela Troiano, è il direttore generale dell’Asl di Pavia. Al telefono le «preannuncia il suo appoggio anche al massimo livello politico all’interno del suo partito nell’evidente prospettiva che questo faciliti l’inserimento di Costa nel giro degli appalti».
«Al limite mando (Costa, ndr) ad Arcore, lo faccio benedire ». Ancora Frigerio, convinto: «Ci penso io con Arcore… con Berlusconi e con Mantovani gli dirò… guarda che ci ha aiutato in campagna elettorale, ha votato per noi… anche se poi non è vero… non gliene frega niente… ».
GLI AIUTI A GREGANTI
Quello che la magistratura milanese è convinta di avere sventato è la spartizione degli appalti Expo. Il 29 gennaio scorso, davanti all’hotel Michelangelo, il direttore generale per gli acquisti di Expo, l’arrestato Angelo Paris, viene intercettato con un microfono direzionale mentre pianifica la divisione della «torta» dei padiglioni dell’Esposizione.
Con Greganti «Paris traccia un piano di interventi per insediare le cooperative sponsorizzate dal primo nelle attività di realizzazione delle palazzine espositive da assegnarsi con urgenza e con procedure ristrette ai singoli Paesi partecipanti».
L’ex «compagno G», viene tirato in ballo anche quando Frigerio e la sua area del Pdl hanno degli intoppi con il Comune di Milano. È il 13 maggio.
Di fronte a un appalto che coinvolge anche la partecipata comunale Atm, il professore suggerisce al suo sodale, Cattozzo: «Prova a parlarne con Primo. Sì, Sala (commissario di Expo, ndr ) è un uomo di sinistra, è un uomo neanche del sindaco Pisapia. Sala è più legato alla gente che Primo conosce, cioè Boeri e quelli lì del Pd».
LA GUERRA SU SOGIN
Nel maggio 2013, la «cricca» rischia di perdere un appoggio. L’«amico» Giuseppe Nucci, amministratore delegato della Sogin (controllata dal Tesoro), è in scadenza di mandato.
In una conversazione tra Cattozzo e Frigerio il 20 maggio, il primo «riferisce una novità appena appresa da Grillo, e cioè che circolerebbe voce che “ Verdini e Matteoli starebbero indicando Saglia (Stefano, parlamentare Pdl, ndr), per la guida di Sogin”».
L’importanza strategica della permanenza di Nucci in Sogin è testimoniata da una serie di passaggi durante i quali Frigerio afferma che sarebbe «già andato a parlare con Fedele Confalonieri » e che una “tornata” su Silvio Berlusconi l’aveva già fatta.
Cattozzo non usa mezzi termini per ribadire che occorre far la guerra su questa vicenda, perchè sopra Saglia ci sono Verdini e Matteoli e aggiunge che «i due toscani gli affari se li fanno loro». Della questione sarebbe stato investito anche Greganti, per attivarsi anche sull’altra «sponda politica».
Emilio Randacio
(da “La Repubblica“)
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Maggio 10th, 2014 Riccardo Fucile
IL GRAVE ERRORE DI AVER AFFIDATO AI GIUDICI IL POTERE DI ARRESTARE I LADRI
Chiunque sia stato a dedicare l’Expo Milano 2015 alla mancanza di cibo in vaste zone del mondo dev’essere un genio, dotato per giunta di un sopraffino sense of humour. Come dimostrano le carte della retata, i politici, i costruttori e i faccendieri intenti a costruirlo avevano una fame da lupi e mangiavano a quattro palmenti.
Una fame atavica, abbondantemente soddisfatta grazie a zanne e ganasce collaudate fin dai tempi di Tangentopoli.
Il fatto stesso che se ne occupassero i Frigerio e i Grillo (Luigi, per la destra) e i Greganti (per la sinistra), tangentisti di provata fede ed esperienza, dimostra che la corruzione è ormai considerata una variabile indipendente della politica e dell’economia.
La mazzetta simpaticamente lubrifica,agevola,risolve. Guai se non ci fosse.
E pazienza se poi le opere costano il doppio o il triplo che negli altri paesi: i costruttori sono contenti, i politici anche, i mediatori-professionisti-consulenti pure.
Ci rimettono solo i cittadini,con tasse sempre più alte e servizi sempre più scadenti, ma a distrarli e a trascinarli alle urne ci pensano i giornaloni e le tv a colpi di annunci e di slide.
La corruzione ci ruba 60 miliardi di euro all’anno e l’evasione 180, però su eBay abbiamo venduto sei auto blu per 57 mila euro, mica bruscolini: basta venderne un altro milione e siamo a cavallo.
La reazione dei politici agli arresti fa rimpiangere Genny ‘a Carogna, che avrebbe trovato parole più adeguate. Napolitano, per gli amici Giorgio ‘o Gnorri, apre la sua consueta campagna elettorale invitando gli italiani a evitare “il populismo” (cioè Grillo) e a non farsi influenzare dalle retate: “Non tirerei in ballo le Europee su vicende che sono strettamente italiane”.
Il fatto che in Italia si rubi più che in tutto il resto d’Europa e che lui sia il presidente strettamente italiano e non di un altro paese, non lo tange (scusi il termine).
Anzi, “il superamento di fenomeni di corruzione, che non sono esclusivi del nostro Paese, sono legati molto alla creazione di un impegno e di regole comuni in Europa”.Ecco:tutto il mondo è paese, così fan tutti.
E, per combattere la corruzione, non bisogna smettere di rubare nè emarginare i ladri, ma creare un impegno e regole comuni europee. Il conte Mascetti, con le supercazzole, era un dilettante.
Si rifà vivo anche D’Alema, che al nome “Greganti” salta su come la rana di Galvani. Nel 1993, appena finì dentro il Compagno G, Max attaccò il pool Mani Pulite chiamandolo “il soviet dei golpisti”, mentre l’amico Amato e l’amico Conso preparavano il colpo di spugna.
Ora che il Compagno G torna dentro, la Volpe del Tavoliere filosofeggia: “Non è la riedizione di Tangentopoli e comunque la corruzione non è un fatto legato ai partiti, ma è endemico della società italiana”. Ah, meno male, chissà che credevamo.
Poi aggiunge: “Io resto un garantista e ho preso una certa prudenza in materia: ho calcolato che il 40-45% degli accusati vengono poi prosciolti”.
Forse dovrebbe cambiare pallottoliere: solo il 5% degli imputati di Tangentopoli furono dichiarati innocenti; gli altri “prosciolti” erano colpevoli e spesso rei confessi, anche se poi furono salvati da leggi che cambiavano i reati o cestinavano le prove, e dalla solita prescrizione (che fra l’altro salvò anche lui).
Nemmeno una parola sulle mazzette accertate, filmate e fotografate dagl’inquirenti: sono “endemiche”.
Ora però — intima il Foglio — Renzi deve “cambiare i poteri della magistratura”: in effetti fu un grave errore affidare ai giudici il potere di arrestare i ladri, bisogna rimediare.
“Questa roba non fa bene”, commenta il renziano Matteo Richetti, anche se il Matteo supremo ha invitato a “non commentare”.
“La cosa è preoccupante, potrebbe essere il grimaldello per scardinare tutto”, conferma Quagliariello (Ncd). E la “roba” che non fa bene, la “cosa” che li preoccupa non è la corruzione che, vista la notorietà dell’Expo, fa il giro del mondo qualificando l’Italia per quello che è; bensì il fatto che — come intonano a una sola voce Sallusti, Belpietro, Ferrara, Berlusconi (centrodestra), Cicchitto (Ncd) e Pisicchio (centrosinistra) — “gli arresti portano voti a Grillo”, dunque è “giustizia a orologeria” (Toti).
Ora, per essere giusti, i giudici devono arrestare qualche grillino a caso, anche se non ruba.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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