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EXPO, LA CRICCA SI SPACCA: PRIME AMMISSIONI DI CATOZZO E MALTAURO, NEGANO PARIS E FRIGERIO

Maggio 12th, 2014 Riccardo Fucile

GREGANTI IN UNA CELLA 4 X 2 SCEGLIE IL SILENZIO

Da una parte, il silenzio più glaciale. Dall’altra, le prime ammissioni.
A quattro giorni dagli arresti che hanno fatto ripiombare Milano negli anni bui di Tangentopoli la “cricca degli appalti” – che decideva come spartirsi la succulenta torta dell’Expo 2015 – si comincia a spaccare.
I primi a fare parziali ammissioni davanti ai magistrati, durante gli interrogatori di garanzia che sono andati avanti tutta la giornata nel carcere di Opera, sono stati l’ex segretario regionale Udc della Liguria, Sergio Cattozzo, e l’imprenditore Enrico Maltauro.
Gli stessi immortalati da un video della Procura mentre si scambiano, il 17 aprile scorso in corso Sempione a Milano, una bustarella da 15mila euro.
“I biglietti che ho cercato di nascondere erano quelli su cui ho annotato la contabilità  delle tangenti”, avrebbe spiegato Cattozzo al gip, riferendosi ad alcuni foglietti che durante l’arresto ha cercato di nascondere nella biancheria intima, ma che poi ha consegnato ai militari della Guardia di Finanza.
Più o meno sulla stessa linea le dichiarazioni di Maltauro, che davanti al suo avvocato Paolo Grasso ha ammesso alcuni dei fatti che gli sono stati contestati dalle toghe pur specificando di avere con Cattozzo “un rapporto professionale”.
Ha negato tutte le accuse, invece, l’ex senatore di Forza Italia Luigi Grillo. Che davanti al suo avvocato Andrea Corradino ha spiegato di “non aver mai preso soldi da nessuno e di non essersi mai occupato di appalti”.
Ha parlato per più di due ore — conferma il suo legale Luca Troya — il responsabile dell’ufficio contratti di Expo Angelo Paris.
Davanti alle toghe, il manager avrebbe chiarito la sua posizione senza rispondere in maniera specifica alle accuse che gli vengono contestate. Paris ha però insistito per fare una cosa: si è fatto consegnare carta e penna e ha redatto una lettera ufficiale di dimissioni da consegnare alla società .
Nessuna ammissione neanche dall’ex Dc Gianstefano Frigerio, detto ‘o professore. Eppure era proprio sua la voce intercettata dagli uomini delle Fiamme Gialle mentre, al telefono con Cattozzo, illustrava il modus operandi della “cupola dell’Expo”, per dirla con le parole degli inquirenti: “Ci sono tre canali da seguire: il primo è quello con la sinistra, il secondo è quello con le banche e con Gigi Grillo (ex senatore Forza Italia, ndr), il terzo è il mondo cattolico”.
La più enigmatica, però, resta ancora una volta la posizione di Primo Greganti.
A sentire gli indagati, era il “canale rosso” da percorrere per raggiungere “i sindaci comunisti”. L’eminenza grigia che prometteva incontri e accordi fruttuosi con personaggi di spicco dell’area Pd.
Eppure, a 21 anni da Tangentopoli e dalla bufera che ha segnato la fine della Prima Repubblica, ora come allora Greganti resta un rebus.
Il compagno “G”, dal quale nel Pd oggi tutti prendono le distanze nonostante risultasse regolarmente iscritto al partito fino a pochi mesi fa, attraverso il suo avvocato torinese Nicola Durazzo fa sapere di non avere nulla dire.
Non ci sono più le fatiscenti mura di San Vittore, stavolta, ma il carcere di massima sicurezza di Opera, lo stesso che ospita l’ex capo di Cosa Nostra Totò Riina.
Il “compagno G” è stato sistemato in una cella di 4 metri per 2,5, insieme a un altro detenuto. “Mangia, dorme tranquillamente, non parla quasi mai”, fanno sapere dall’istituto penitenziario alle porte di Milano.
Quel che è certo, è che gli interrogatori andranno avanti anche nei prossimi giorni. Perchè è soprattutto la scia delle mazzette che sarebbero state elargite e intascate per accaparrarsi la succulenta torta degli appalti Expo e della Sanità  lombarda a interessare i magistrati milanesi.
In particolare, sotto la lente degli inquirenti ci sarebbe il caveau di una banca di Lugano utilizzato per custodire mazzette, riconducibile proprio a Frigerio, da cui avrebbe però attinto anche l’ex senatore Luigi Grillo.
Sono sempre loro, i “danè”, infatti, gli unici indiscussi protagonisti di questa nuova Tangentopoli all’ombra della Madonnina.
Il fruscìo delle mazzette fa da colonna sonora a molte delle intercettazioni telefoniche registrate dagli inquirenti: “Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette….ventuno, trenta, sessantacinque…bene, gli altri me li sistemi tu?”, dice Frigerio mentre conta le banconote.
Soldi che sarebbero stati sistemati, appunto, in una banca svizzera.

(da “Huffingtonpost”)

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ALEMANNO ORA RISCHIA IL PROCESSO PER FINANZIAMENTO ILLECITO: “FATTURE PER FALSO SONDAGGIO”

Maggio 12th, 2014 Riccardo Fucile

CHIUSE LE INDAGINI: L’ESPONENTE DI FRATELLI D’ITALIA E’ RITENUTO L’IDEATORE DI UN’OPERAZIONE DI “TELEMARKETING” DA 30.000 EURO A FAVORE DELLA LISTA POLVERINI: “FACEVANO DOMANDE SULLE MENSE”

Rischio processo a Roma per l’ex sindaco Gianni Alemanno. La procura, a conclusione di un’inchiesta su un’ipotesi di finanziamento illecito, ha fatto notificare all’ex sindaco l’avviso che prelude alla citazione diretta a giudizio.
Verso l’archiviazione, invece, la posizione di Renata Polverini, ex governatrice del Lazio, ora deputata di Forza Italia.
L’inchiesta dei pm Paolo Ielo e Mario Palazzi riguarda una presunta provvista di circa 30mila euro realizzata con false fatture dalla società  Accenture e destinata alla Coesis per confezionare un falso sondaggio favorevole al listino della Polverini.
Il tutto in prossimità  delle elezioni regionali del 2010 vinte dalla Polverini.
Rischiano il processo anche Fabio Ulissi, collaboratore dell’ex sindaco, e Giuseppe Verardi, ex manager della “Accenture”. La Polverini è risultata estranea “all’operazione” che per i pm fu ideata da Alemanno.
Secondo quanto emerso nel corso dell’inchiesta nel 2010 il Pdl viene escluso dalle liste elettorali per le Regionali (che peraltro il centrodestra ha poi vinto).
La Accenture quindi commissiona un sondaggio. L’oggetto riguarda in teoria le mense scolastiche. In realtà , secondo gli inquirenti, quando le persone rispondono al telefono si sentono fare domande diverse.
Un testimone sentito durante le indagini dichiara: “La finalità  del progetto (il sondaggio, ndr) era far vincere le elezioni alla Polverini. Il telemarketing è un vero e proprio spot pubblicitario, in questo caso a favore della Polverini”.
Della lista Polverini faceva parte anche la moglie di Alemanno, Isabella Rauti.
Già  ad aprile del 2013, Roma Capitale Investments Foundation era stata oggetto di perquisizioni da parte della procura di Roma.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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INTERVISTA AL SINDACO DI LAMPEDUSA: “UN DRAMMA EPOCALE, DA SOLI NON CE LA SI FA”

Maggio 12th, 2014 Riccardo Fucile

GIUSI NICOLINI: “MARE NOSTRUM SOLUZIONE EMERGENZIALE”

Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa, come vive queste ore di angoscia?
Con la speranza che il bilancio parziale cambi a favore dei vivi e non dei morti.
Questo naufragio ha specificità ?  
Ogni naufragio la le sue specificità , ma il tema è unico. Ci sono barconi a perdere con a bordo vite a perdere. Se non avvistati in tempo e soccorsi, sono destinati ad affondare. Questo era a venti miglia dalla costa libica, appena partito.
Che cosa pensa del dibattito che si è aperto nelle ultime settimane sull’operazione Mare Nostrum?  
Mare Nostrum è stata una soluzione emergenziale, ovvio che non può essere definitiva per diversi motivi. Primo: non evita naufragi, perchè è impossibile rastrellare il mare in tutta la sua immensità . Secondo: ha costi elevati. Terzo: richiede uno sforzo enorme, anche per i nostri uomini.
C’è chi sostiene che la certezza che le nostre navi siano pronte al soccorso incentivi i trafficanti di uomini a moltiplicare le partenze, anche in situazioni disperate.  
Probabile, ma poi che facciamo? Non soccorriamo più? Lasciamo morire? E poi il 3 ottobre non c’era ancora Mare Nostrum eppure ci fu un naufragio drammatico. No, mi sembrano ragionamenti privi di logica.
E quindi?  
Bisogna capire che questo è un dramma epocale, da soli non ce la si fa.
Che cosa si dovrebbe fare?  
Capire, in Europa, che il Mediterraneo non è un problema dell’Italia.
Tutti chiedono aiuto all’Europa, ma non accade nulla.  
Ora c’è il semestre italiano di presidenza Ue. Il riconoscimento formale non serve più. Anche i soldi non sono tutto. Occorre che i nostri uomini, invece di stare a qualche decina di miglia dalla costa libica ad avvistare barconi, stiano in quei porti, offrendo l’asilo ai rifugiati prima che salgano sui barconi.
Com’è la situazione a Lampedusa?  
Tranquilla. Quasi nessun migrante è rimasto qui, il centro è chiuso per lavori. Sono sollevata per la mia isola, in vista dell’estate, ma aver spostato l’emergenza altrove non risolve l’emergenza. Continuando così, il Mediterraneo sarà  sempre un cimitero di morti.

Giuseppe Salvaggiulo

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ECCO PERCHE’ LA SCONFITTA DI SONIA GANDHI PUO’ ESSERE UN PUNTO A FAVORE DEI MARO’

Maggio 12th, 2014 Riccardo Fucile

IL LEADER NAZIONALISTA MODI VUOLE UN’INDIA INFLUENTE E AVRA’ BISOGNO DI TANTI AMICI ALL’ESTERO

La democrazia dell’India – Paese in via di sviluppo e con una diversità  interna senza pari – è una storia incredibilmente complessa.
Da un lato, vi è stata un ampliamento della mobilitazione politica tra gruppi sociali precedentemente emarginati e una serie di programmi di azioni positive che danno a questi gruppi svantaggiati alcuni diritti in posti di lavoro e nell’istruzione.
D’altra parte, lo Stato è stato in grado di fornire servizi anche di base o protezione per la maggior parte indiani, compresa l’acqua , l’elettricità  e l’assistenza sanitaria.
C’è una cultura dinastica profondamente radicata nella politica indiana che confina con il culto della personalità  megalomani , e la corruzione è così diffusa che quasi un quarto dei legislatori eletti in India ora hanno una fedina penale sporca.
L’ India vota spesso, con una grande partecipazione, in modo per lo più trasparente, e soprattutto i poveri votano con un entusiasmo e una speranza particolarmente forti.
Gli indiani hanno l’abitudine di votare il partito di governo o della coalizione al potere e una volta ogni cinque anni, in occasione delle elezioni nazionali, mettono in scena uno dei più grandi spettacoli politici del pianeta, di cui sono consapevoli e orgogliosi. I risultati – questa volta – saranno dichiarati il 16 maggio, e tutti i sondaggi lasciano pensare che il partito del Congresso al governo guidato da Sonia Gandhi è alla vigilia di una grave sconfitta .
Il vincitore di queste elezioni, e il più probabile futuro primo ministro dell’India, è Narendra Modi del BJP , il ministro attuale della provincia di Gujarat e un leader forte destra di centro- la cui campagna si è concentrata sulla ri-partenza economica dell’India grazie allo stimolo degli investimenti e alla creazione di posti di lavoro, in forza di una governance più efficiente.
La maggior parte degli osservatori concordano: questa è una delle elezioni più importanti nella storia indiana.
L’affluenza record di votanti (quasi il 64 per cento a livello nazionale) fa pensare a una   estrema polarizzazione nella società  indiana , con il Congresso, BJP e sostenitori comunisti disposti a riconoscere anche un atto di legittimità  politica a vicenda. In un certo modo, la politica indiana e italiana sono su percorsi molto simili : c’è una natura “do-or -die” per le elezioni in entrambi i paesi, una crisi acuta di leadership, e una politicapesantamente segnata dal calcolo e dalle reciproche accuse. I parallelismi tra Italia e India sono diventati più interessanti negli ultimi mesi a causa del notevole successo di Arvind Kejriwal , leader molto simile a Beppe Grillo, e del suo nuovo partito politico, il Partito Aam Admi ( che in inglese si traduce direttamente come Partito dell’Uomo comune) .
AAP è emerso sulla scena indiana a pochi mesi fa con metodi poco ortodossi e uno zelo messianico finalizzato a combattere la corruzione .
Kejriwal ha scosso l’establishment politico ordinando un’indagine contro il CEO della più grande azienda privata indiana, ha messo in scena una protesta di strada contro gli eccessi della propria forza di polizia locale, ha cercato di istituire “tribunali del popolo” e si è fatto fotografare e riprendere mentre andava in ufficio ogni giorno con la sua piccola utilitaria.
Come Grillo , Kejriwal ha agito come la quintessenza dell’ “estraneo“ in una crociata per ripulire un sistema completamente marcio .
Il successo di AAP rappresenta non solo il movimento del “ buttare fuori i mascalzoni “, ma riflette anche l’emergere della classe media indiana , un gruppo che forma già  quasi il 25 per cento dei 1,2 miliardi della popolazione indiana , e che dovrebbe salire al 40 per cento nell’arco del prossimo decennio.
L’India non è più solo un paese rurale e agricolo in difficoltà , ma anche uno con abitudini urbane e aspirazioni moderne , ed è questa parte dell’India che esige strade sicure, approvvigionamento affidabile di acqua ed elettricità , e il progresso economico attraverso posti di lavoro qualificati .   L’attuale processo elettivo, tuttavia, presenta anche aspetti più in ombra, come quello che coinvolge i due marò italiani, caso che è diventato apertamente un fatto della politica indiana . Nel mese scorso, il leader del Bjp , Narendra Modi , ha sollevato l’incapacità  di India di avviare azioni legali contro Massimiliano Latorre e Salvatore Girone , e della loro sistemazione “con tutti i comfort nell’ambasciata italiana in India” , come un segno di debolezza e partigianeria di Sonia Gandhi , il suo principale avversario .
Il riferimento di Modi ai fucilieri italiani, e le relative ricadute nazionaliste in parte dei media indiani , ha dato una nuova e sfortunata declinazione alla disputa, tanto più evitabile perchè il Bjp ha al suo interno un discreto numero di diplomatici in pensione in qualità  di consulenti che dovrebbero sapere quanto pericoloso e avventato sia stato tutto ciò.
E ‘ molto sconcertante inoltre, per molti analisti sia in Italia sia in India, constatare quanto rapidamente un rapporto bilaterale una volta saldo e forte, sia diventato così aspro, soprattutto perchè entrambi i paesi hanno avuto crescenti legami culturali e commerciali nel corso degli ultimi due decenni . Infatti, anche oggi , il fascino del cibo italiano, delle vacanze e dei marchi della moda è irresistibile per la classe media indiana, così come i ristoranti e il design italiani sono un business sicuro in India , molto più di qualunque altro paese .
La morte dei due pescatori indiani è una tragedia che richiede grande umiltà  , introspezione e cooperazione, più che accuse selvagge o prese di posizione ispirate alla cieca difesa.
Latorre e Girone non sono gli eroi che Giulio Terzi ha descritto, e non sono certamente i criminali politici che hanno descritto gli indiani.
Il loro gesto è stato un errore orribile che ha portato alla grande tragedia per le famiglie dei due pescatori indiani , ma è stato fatto a difesa della loro nave e in acque internazionali.
Chi lo sa, forse marinai indiani avrebbero agito allo stesso modo in circostanze analoghe…
Se l’India non starà  attenta, questo caso rischia di costituire un precedente diplomatico molto negativo, con imprevedibili ripercussioni future.
Dal momento che molti diplomatici ed esperti legali italiani stanno continuando a lavorare sulle prossime mosse da mettere in atto per risolvere la questione, è forse bene ricordare che gli indiani hanno una certa inclinazione per la retorica teatrale, ma non sempre questa porta a decisioni durature, anzi tende piuttosto a morire una volta terminata la recita.
Ci sono tutte le ragioni per sperare e pensare che la linea della saggezza tenderà  a prevalere, una volta terminato il polverone elettorale.
Tutta la campagna elettorale di Modi è stata costruita sulla promessa di trasformare l’India in una nazione forte, prospera e influente , e in questo lui e i suoi colleghi più anziani sanno che l’India avrà  bisogno di tanti amici all’estero.
Con la probabile sconfitta del Congresso, anche il “problema” dell’italianità  di Sonia risulterà  meno importante.
Da parte italiana, sarebbe bene ricorrere a un po’ di pazienza, almeno per un paio di mesi, fino a quando in India non ci sarà  un nuovo governo.
Subhash Agrawal
Analista politico di Nuova Delhi e fondatore dell’India Focus, think- tank di affari politici

(da “La Stampa“)

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NELLA GIUNGLA DELLA BUROCRAZIA: IN SEI ANNI 600 NUOVE NORME

Maggio 12th, 2014 Riccardo Fucile

QUASI 400 COMPLICANO LE PRATICHE PER LE IMPRESE, SOLO 72 SERVONO A SNELLIRE

Non c’è niente da fare: non solo abbiamo una pressione fiscale particolarmente alta, ma anche quella burocratica (legata a tutte le pratiche che il Fisco comporta) è da record.
Solo nelle ultime due legislature sono state ben 629 le nuove norme in materia fiscale adottate dallo Stato e di queste appena 72 (l’11,4% del totale) sono servite a semplificare le procedure a carico delle imprese, 168 quelle neutre, mentre ben 389 hanno aumentato il peso di scartoffie ed adempimenti.
In pratica, rivela un’analisi della Direzione politiche fiscali di Confartigianato che pubblichiamo in anteprima, dal 2008 ad oggi quasi due nuove norme fiscali su tre hanno aumentato il carico di pratiche da istruire.
L’anno peggiore è stato il 2013 (con 99 nuove norme che hanno prodotto un impatto burocratico e appena 6 che invece lo hanno ridotto), mentre il più «felice» è stato certamente il 2011 con ben 29 provvedimenti di riduzione del peso burocratico.
La politica della semplificazione in Italia — sintetizza lo studio – appare insomma sempre più «come una tela di Penelope, visto che per una norma che semplifica ne vengono emanate 5,4 che hanno un impatto burocratico».
Attribuendo valore zero alle norme neutre, -1 a quelle che semplificano ed un valore crescente da +1 a +3 a quelle che rendono progressivamente più complessa l’attività  imprenditoriale, Confartigianato ha elaborato un «Indice della pressione burocratica fiscale», indice che nel giro di 5 anni è passato da un valore di 33 punti del 2009 ai 93 nel 2013.
«Abbiamo un carico normativo sproporzionato rispetto agli altri Paesi: 2mila norme in Gran Bretagna e più di 100 mila da noi», denuncia Domenico Massimino, imprenditore edile, presidente di Confartigianato Cuneo e delegato per le questioni fiscali nel comitato di presidenza nazionale.
«Negli anni passati era stato costituito un ministero della Semplificazione, ma evidentemente non è servito a molto».
Il governo Renzi, che in materia fiscale ha ereditato dall’esecutivo precedente una legge delega già  bell’è pronta, promette di intervenire presto.
«A giugno saremo pronti con un primo robusto pacchetto di misure di semplificazione — conferma il viceministro all’Economia, Luigi Casero -. Le stiamo ancora definendo, ma certamente partiremo da qui per dare attuazione alla delega che in sostanza si regge su tre pilastri: riduzione del carico fiscale, certezza delle norme e, appunto, semplificazioni».
Sono le manovre di bilancio di fine anno a produrre i maggiori «danni» sul fronte dell’aumento delle pratiche burocratiche: in media ognuna delle 5 leggi finanziarie o di stabilità  prese in esame ha generato 17,4 norme con un impatto burocratico mentre sono state solo lo 0,4 quelle che hanno semplificato, con un saldo medio di 17 norme per provvedimento.
In termini assoluti le più «pesanti» sono state quella del 2014, 43 con un impatto burocratico e nessuna semplificazione, quella del 2013 (saldo impatto burocratico +25) e il Salva Italia del 2011 (+24).
Di contro solo il decreto Sviluppo del 2011, con 24 misure di semplificazione e altre 5 di segno opposto, ha prodotto un significativo -19. Sempre nello stesso anno il decreto Semplificazioni tributarie ha introdotto ben 21 semplificazioni, peccato però che le abbia accompagnate con altre 27 che invece hanno aumentato la burocrazia. Un vero paradosso.
Tutto questo, denuncia Confartigianato, produce un notevole stress sulle imprese. Un sondaggio condotto tra ottobre 2013 e gennaio 2014, stila la classifica delle procedure più complicate e mette al primo posto, col 32,9% delle segnalazioni, proprio gli adempimenti fiscali.
L’indagine segnala un «numero eccessivo» di dichiarazioni, comunicazioni e pagamenti che vengono richiesti e che si sovrappongono con scadenze diverse nell’anno, «e l’estrema difficoltà  incontrata nel calcolare le differenti imposte».
Per non parlare poi delle «continue modifiche delle regole», del «proliferare di nuovi adempimenti con scadenze ravvicinate e di istruzioni difficili da comprendere».
«Se si volessero aiutare davvero le piccole imprese – sollecita Confartigianato – oltre a disboscare la selva di norme bisognerebbe anche alzare la soglia di reddito per applicare le contabilità  semplificate».
Altro capitolo dolente quello dei controlli. «Anche qui ci vorrebbe una razionalizzazione — sostiene Massimino -. Non è possibile che ci siano 12 enti che controllano la stessa impresa: bisogna arrivare ad un ente unico capace di verificare tutto».
«Puntiamo decisamente ad alleggerire il peso degli oneri contabili e rivedremo certamente anche il sistema dei controlli – assicura Casero -. Il tutto per evitare, come spesso si dice, che l’azienda spenda più di commercialista che di tasse».

Paolo Baroni

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ADOZIONI, L’ASSURDO PERCORSO ITALIANO

Maggio 12th, 2014 Riccardo Fucile

LA LUNGA PROCEDURA DAI PAESI DELL’EST E LE CONDIZIONI DEGLI ORFANOTROFI SIBERIANI

Tomsk è una città  siberiana. In inverno si arriva a -40.
Ci sono 16 orfanotrofi e il mio amico Salvador ha trovato suo figlio in uno di questi. Denis è un bambino bello e gentile, guardingo; ha 4 anni.
Salvador è stato fortunato. È spagnolo e quindi si è risparmiato il Tribunale dei minorenni.
Tutta la procedura è stata gestita da un’associazione privata, Interadopt, riconosciuta e controllata dalla Comunitad dell’Andalusia.
Hanno accertato quanto guadagnava, dove abitava, come era composta la sua abitazione, se li’ vicino c’era una scuola e un centro sportivo; hanno fatto anche un corso psicologico a lui, a sua moglie e alla figliolina di 13 anni (biologica).
Durata totale, un anno.
Poi hanno cercato il bambino da adottare e, dopo 3 mesi Salvador è partito per Tomsk: 2 brevi soggiorni e ha potuto tornare a casa con Denis.
Costo totale dell’operazione piuttosto elevato: 24.4000 euro di cui solo 6.000 per Interadopt.
Nell’orfanotrofio c’erano 125 bambini, da 0 a 4 anni.
Dormivano in 5 per ogni letto. L’acqua calda non c’era e così in inverno nessuno si lavava. D’estate i bambini venivano allineati, tutti nudi, con le mani appoggiate a un muro e lavati con un tubo di gomma.
Salvador lo ha scoperto al suo ritorno in Spagna, quando — per la prima volta — ha cercato di portare Denis sotto la doccia.
Il bambino piangeva e tremava e, alla fine, disperato, si è appoggiato con le mani al muro singhiozzando.
Invece, che in orfanotrofio c’era poco da mangiare, lo aveva scoperto in Siberia, quando era andato a prendere Denis.
Lo aveva trovato magro, sciupato; eppure, due mesi prima, quando c’era andato per la prima volta, aveva un ottimo aspetto.
Un impiegato gli aveva confidato che c’era poco cibo e allora, quando si sapeva che i futuri genitori sarebbero arrivati, si davano razioni extra nel mese precedente; poi, a carte firmate, non importava più e le razioni tornavano le solite
Salvador ha fatto quello che ha potuto: una donazione per costruire l’impianto dell’acqua calda e qualche vestito per i bambini; Denis dormiva con le scarpe sotto il cuscino perchè altrimenti gliele avrebbero rubate. In effetti c’erano molti bambini scalzi..
Sono rimasto con tante domande e poche risposte.
In Italia la procedura davanti al Tribunale dei minorenni dura circa 2 anni: poi si può essere dichiarati idonei per adottare un bambino.
E poi si comincia a cercarlo. Passano anche 3 anni.
Meglio un Tribunale o un’associazione privata? Più rapidità  o più garanzie?
Ma poi, garanzie di che? Quali garanzie dà  una coppia che, magari senza lavoro e senza istruzione concepisce uno, due, tre bambini?
Quali garanzie danno due drogati che, nel corso dell’ennesimo “percorso di recupero”, mettono su famiglia e concepiscono un bambino?
Non dovrebbe essere la decisione di adottare (e di spendere un sacco di soldi) di per sè una garanzia?
E poi i bambini. Davvero occorrono tanto tempo e tanti requisiti per decidere che sì, è meglio che Denis stia con Salvador piuttosto che nell’orfanotrofio di Tomsk?
Certo, il traffico di organi, la prostituzione giovanile, i pedofili…
Ma cosa esclude che tutto questo avvenga nell’orfanotrofio? E di genitori che sfruttano la prostituzione dei loro figlioli biologici ne abbiamo avuto esempi recenti
Alla fine sono rimasto con una sensazione di incertezza. Domande e risposte superficiali?
Oppure la constatazione che il delirio di onnipotenza contagia chiunque si assume il compito di decidere della vita degli altri?
Ho ripensato ai miei anni da magistrato. Con qualche disagio.

Bruno Tinti
(da “il Fatto Quotidiano”)

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PERCHE’ TUTTE LE FUGHE PORTANO A BEIRUT: DA DELL’UTRI A MATACENA, STESSE ACCUSE

Maggio 12th, 2014 Riccardo Fucile

LA RETE CHE PROTEGGE I LATITANTI IN LIBANO

Le strade della latitanza portano dunque in Libano.
A Beirut è riparato Marcello Dell’Utri. Beirut doveva essere il porto franco di Amedeo Matacena junior.
Perchè?
Latitanti l’uno e l’altro per lo stesso reato (concorso in associazione di stampo mafioso) e figli della stessa famiglia politica (Forza Italia), i due appaiono certamente orientati nelle loro mosse da una considerazione elementare per chi decide di sottrarsi all’esecuzione di una condanna già  inflitta (Matacena) o lì dall’esserlo (Dell’Utri).
Il Libano, dove il reato associativo di mafia è ignoto, la battaglia per l’estradizione non è una scommessa a perdere.
Soprattutto se, nell’estenuante procedura imposta dai trattati (a cominciare dalla traduzione in lingua araba degli atti processuali) e nella possibilità  che il processo di estradizione si trasformi nei fatti in un nuovo giudizio di merito, si ha buon gioco nell’agitare il fantasma di un giustizia orientata politicamente.
È tornato a farlo con significativo timing Akram Azouri, l’avvocato libanese di Dell’Utri («Sul dossier del mio cliente c’è un malsano chiasso mediatico. Ma se in Italia il dossier è politico, non lo è in Libano»). Avrebbe avuto agio di farlo Matacena.
E tuttavia la spiegazione non basta.
Sulla scena della fuga di Dell’Utri, così come in quella di Matacena documentata dagli atti della Procura di Reggio, si rintraccia infatti una cruciale ricorrenza che nulla ha a che fare con le Pandette o il diritto internazionale.
Che evoca piuttosto quel network che, dagli anni ’70, annoda gli ambienti falangisti cristiano-maroniti con quelle che, un tempo, furono le nostre correnti democristiane.
Accade infatti che, come per Dell’Utri, nell’affaire Matacena venga evocato quale nume protettore della latitanza un signore di 72 anni, Amin Gemayel, candidato alle elezioni presidenziali libanesi del prossimo 25 maggio.
Amin Gemayel, dunque. Figlio di Pierre, fondatore del partito cristiano-maronita delle kata’eb (le “Falangi libanesi” che negli anni del conflitto civile si macchieranno del massacro di Sabra e Shatila), ha molto a che fare con il nostro Paese e, quale vicepresidente dell’Internazionale democrisitana, i suoi legami con la rete degli ex dc transitati armi e bagagli con il centro-destra sono saldi come l’acciaio.
È a lui che si fa riferimento nell’intercettazione ambientale di “Assunta Madre”, il ristorante romano ai cui tavoli Alberto Dell’Utri ragiona della latitanza del fratello Marcello.
Ed è ancora lui ad essere improvvidamente evocato un mese fa da Berlusconi in un colloquio con i deputati di Forza Italia per giustificare la presenza di Dell’Utri in Libano («L’ho mandato io a Beirut per dire che Putin lo avrebbe appoggiato alle presidenziali»).
Un canovaccio che si ripete nell’affaire Matacena.
Nel maggio del 2013, Amin Gemayel è infatti in Italia per deporre una corona di fiori al cimitero del Verano sulla tomba di Andreotti, accompagnato da un signore cui la Procura di Reggio attribuisce un ruolo operativo chiave nell’organizzare l’arrivo di Matacena in Libano: Vincenzo Speziali, nipote dell’omonimo ex parlamentare forzista reggino e uomo dalla vita divisa tra la Calabria e Beirut, dove per altro ha incontrato la donna che è diventata sua moglie.
E ancora: in quello stesso mese incontra per un pranzo a Milano proprio Silvio Berlusconi.
C’è di più. Nelle indagini della Procura di Reggio e della Dia, il mondo che si agita insieme a Claudio Scajola per aiutare a raggiungere il Libano “l’amico Amedeo” (figlio per altro di quell’Amedeo senior animatore dei moti di Reggio nel ’71) ha invariabilmente le stimmate di quell’area di ex democristiani “grigio fumo” che flirtano con la destra.
E per i quali, evidentemente, la scommessa su un Libano “falangista” di Amin è qualcosa di più che un credito a futura memoria da riscuotere con due latitanti.
Nelle indagini della Dia, fa capolino un vecchio arnese come Emo Danesi, oggi ultrasettantenne ed ex segretario di Toni Bisaglia, espulso dalla Dc di De Mita perchè appartenente alla P2.
Di più: Chiara Rizzo, la moglie dell’armatore, trova aiuto e sponda nei figli di Amintore Fanfani, Giorgio e Cecilia. Incontra anche Luigi Bisignani. Che tuttavia, raggiunto al telefono, cade dalle nuvole prima di sciogliersi in una risata: «Non vedo Matacena da sei anni. Ho incontrato la moglie a una festa a Montecarlo organizzata da mia cognata in cui gli invitati saranno stati almeno 150. E quanto al Libano, sono stato di recente a Beirut. Ma per andare a trovare mia figlia, che si è trasferita lì con il marito, e il mio nuovo nipotino di 6 mesi».

Carlo Bonini

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INTERVISTA A STEFANO BOERI: “MANDATO VIA PERCHE’ OSTACOLAVO GLI AFFARI”

Maggio 12th, 2014 Riccardo Fucile

L’EX ASSESSORE ALLA CULTURA DENUNCIA: “SONO STATO LASCIATO SOLO ANCHE DAL MIO PARTITO”

Le lobby economiche («compresa la Lega delle Cooperative») e la rete di potere di Formigoni e dei suoi uomini di Infrastrutture Lombarde.
«Per questi mondi io costituivo un ostacolo e per questo sono stato fatto fuori dalla partita». Stefano Boeri – architetto di fama internazionale e poi candidato sconfitto alle primarie milanesi del centrosinistra – è stato assessore alla Cultura e a Expo nella giunta Pisapia.
Il dissidio tra i due, Boeri e Pisapia, ha riempito per mesi le cronache dei giornali. Alla fine l’ha spuntata il sindaco.
A Boeri è stata prima sfilata la delega all’esposizione e poi, in un secondo momento, è stato «dimissionato» dalla giunta.
Boeri, che idea s’è fatto degli arresti di giovedì? Dietro Expo c’è davvero una nuova Tangentopoli ?
«Rispetto a Mani Pulite ci sono delle differenze evidenti. Un tempo i soldi arrivando dalle grandi imprese andavano ai partiti. Oggi circolano solo risorse pubbliche che non vanno direttamente ai partiti ma ad alcuni centri di potere in collegamento coi partiti. Mi sembra, semmai, che questa vicenda assomigli di più alle inchieste che hanno interessato vicende come il G8. Però mi faccia dire che non si tratta solo di malcostume privato. Su Expo si sono create le condizioni ideali perchè questo meccanismo di corruzione si mettesse in moto».
Quali sono le condizioni che hanno reso possibile questo disastro?
«L’elemento degenerativo è nato subito, con la scelta di organizzare l’evento su un’area privata. Nel nostro caso i terreni di Rho-Pero. Non era mai successo prima. E le alternative c’erano, eccome se c’erano. Penso per esempio all’Ortomercato o ad altri terreni pubblici della città . Poi la decisione di attribuire a quell’area un enorme carico volumetrico, pari a diciotto grattacieli Pirelli, che nessuno mai realizzerà  e soprattutto acquisterà . E infine la scelta di comprare dai privati. Il prezzo versato dal pubblico per i terreni è stato di 16 volte superiore al valore di quelle aree agricole. Un clamoroso regalo. Il rischio adesso è che quel sito resti senza futuro e sulle spalle del pubblico».
Il suo allontanamento dalla giunta è in relazione a questi dissensi?
«Ricordo che nell’autunno 2011 è stato prima messo da parte Renzo Gorini, un manager stimato che si occupava nella società  Expo di infrastrutture e appalti. Al suo posto è arrivato Angelo Paris (uno degli arrestati, ndr ), che invece si occupava di acquisti. Dopo poche settimane sono “saltato” io».
Il Pd non l’ha difesa ?
«In campagna elettorale parlavamo di un evento “sobrio”, su terreni che non andavano acquistati, e che non potevamo consegnare tutto nella mani di Formigoni. Ma al momento di sostenere queste posizioni i dirigenti locali e nazionali del Pd mi hanno lasciato solo. Perchè? Sospetto che il Pd di allora conservasse un rapporto anomalo con certi operatori interessati all’evento, come quelli con alcuni settori del mondo delle cooperative. Per fortuna oggi il vento è totalmente cambiato».
È stato il sindaco Pisapia a ritirarle le deleghe. Responsabile anche lui?
«Non credo affatto che Pisapia sia ostaggio di questi interessi. Il suo però è stato un grande errore politico. Lui pensava a una politica di “riduzione del danno”, non capendo che invece Expo aveva bisogno di un governo forte, di un sindaco che se ne occupasse in prima persona. E infatti alla fine questo ruolo se lo sono presi Formigoni e Maroni. E Infrastrutture Lombarde. La prova di quello che dico è che in giunta nessuno mi ha sostituito. Non esiste un assessore all’Expo».
L’Expo disegnato dal Masterplan è stato snaturato?
«In massima parte sì. Di quel progetto rimane molto poco, purtroppo».
Ma Milano ce la farà ?
«Rimango ottimista. A patto che si ridimensioni il progetto e che si pensi al dopo 2015. Expo non può lasciare dietro di sè una distesa di rovine. L’idea valida resta quella di un grande parco agroalimentare. Ricerca, cultura, turismo e intrattenimento. Milano è una città  di potenzialità  enormi. E Pisapia e Maroni hanno le capacità  politiche per vincere la sfida».

Andrea Senesi
(da “il Corriere della Sera“)

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DENTIERE E PENSIONI, IL WELFARE DI BERLUSCONI PER IL VOTO DEGLI ANZIANI

Maggio 12th, 2014 Riccardo Fucile

“IMPIANTI E CURE DAL DENTISTA A CARICO DELLO STATO”

Chissà  se è perchè gli hanno segnalato che sul blog di Beppe Grillo, fino a qualche ora prima, campeggiava in bella vista un’inserzione pubblicitaria che prometteva «denti fissi in otto ore», per giunta con la garanzia che il tutto sarebbe stato (testualmente) «veramente indolore».
O se è perchè davvero l’idea era «una cosa a cui avevo pensato già  negli anni in cui stavo al governo, ma che poi non è stato possibile realizzare».
Sta di fatto che ieri mattina Silvio Berlusconi ha imboccato la via odontoiatrica al moderatismo. E, intervistato da Canale Italia, s’è abbandonato alla promessa elettorale che segue: «Per gli anziani abbiamo moltissime altre cose in previsione. Andando in campagna elettorale al Sud – e il riferimento è ovviamente ai tour del passato, condotti da uomo libero – ho fatto quasi una classifica. Ho visto che ci sono persone anziane a cui mancano i denti e che non hanno i soldi per pagarsi gli impianti dai dentisti».
Ergo, ha concluso l’ormai ex Cavaliere, «come già  sta facendo la Svezia in Europa, lo Stato pagherà  questi impianti dentali che durano per sempre».
Letto, firmato e controfirmato davanti al notaio a cui l’ex premier riconosce autorità  suprema, e cioè davanti alle telecamere.
La zampata folkloristica di un leader che deve recuperare terreno rispetto a Matteo Renzi e Beppe Grillo? La solita trovata a effetto? Può darsi.
Ma, almeno a sentire quello che si dice tra gli uomini-comunicazione di Forza Italia, il tutto sembra confezionato seguendo una ricetta studiata a tavolino.
Che rimanda al target di riferimento a cui l’ex presidente del Consiglio punta per risalire la china. E cioè agli anziani.
«Sono proprio i pensionati quelli che stanno rischiando di più rispetto alle politiche del governo Renzi», sussurra Giovanni Toti, che oltre a essere capolista nel Nord-Ovest è pur sempre l’ex direttore di due telegiornali molto seguiti dagli over 65, Studio Aperto e Tg4.
E poi, aggiunge il consigliere politico, «ci sono anziani che avranno sempre un debito di riconoscenza verso Berlusconi, che è l’ultimo ad aver innalzato le pensioni minime e che adesso si propone di elevarle ancora fino a ottocento euro, magari a mille».
Ma non è tutto. Berlusconi sognerebbe di incunearsi nella sfida aperta tra un premier di centrosinistra da un lato e i sindacati dall’altro.
L’ossatura degli iscritti di questi ultimi è sorretta dalle tessere dei pensionati. E Toti lo dice: «Non mettiamo limiti alla provvidenza. Oltre a partite Iva, artigiani, commercianti, oltre a tutti quelli che Renzi sta lasciando fuori dai suoi provvedimenti, puntiamo al voto dei pensionati. Anche di quelli della Cgil».
Deborah Bergamini, responsabile comunicazione di Forza Italia, partendo dalla «dentiera gratis» arriva addirittura a teorizzare «un modello di welfare» che starebbe già  in cima ai desiderata berlusconiani.
«Siamo di fronte a un nuovo Medioevo, dove la salute è un bene che possono permettersi solo i ricchi? Vi pare normale? Con la crisi, la gente rinuncia anche a curarsi. E i denti sono proprio quelli che vengono trascurati di più». E così, oltre che dall’insistente campagna animalista, Berlusconi riparte dalla sedia del dentista.
A differenza di quanto non avesse fatto promettendo l’abolizione dell’Ici (2008) e la restituzione dell’Imu (2013), questa volta dimentica di pronunciare la formula da televendita, quel «sì, avete capito bene, cari italiani» che in passato aveva quasi sempre scandito (non la volta che promise la sconfitta del cancro, però, anche perchè quello era un comizio).
Ma la sostanza rimane agli atti. Tornasse al governo, centinaia di migliaia di italiani avrebbero una dentiera.
Indolore più di quella pubblicizzata dal blog di Grillo.

Tommaso Labate
(da “il Corriere della Sera”)

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