Destra di Popolo.net

LA RETE DI “POLIZIA” PARALLELA AL SERVIZIO DI SCIABOLETTA

Maggio 22nd, 2014 Riccardo Fucile

UNA SQUADRA DI INFORMATORI CHE SCAJOLA UTILIZZAVA PER CONTROLLI PERSONALI

Aveva una sua particolare squadra di informatori, poliziotti, persone che utilizzava per controllare uomini e donne di cui aveva poca fiducia, e disponeva di informazioni delicate.
Claudio Scajola è un pozzo senza fondo di notizie. La “Spino”, Carole Spino, da Bordighera, deve “curare” gli spostamenti di Chiara Rizzo, la moglie del latitante Matacena, e scrivere un dossier sulle frequentazioni della donna; il sovrintendente di polizia Michele Quero, invece, avrà  il compito di monitorare spostamenti e incontri di Francesco Bellavista Caltagirone.
È prudente l’ex capo del Viminale, soprattutto con i telefoni. È il 12 dicembre 2012, quando prende il cellulare e chiama Chiara Rizzo. La donna ha problemi di soldi, “come faccio a mantenermi con mille euro? Ma, non ridiamo, con 1.200 euro? Quando io di casa ne pago 2 mila e rotti… io ho spese per 4 mila, e che vivo con 1200”.
L’unica soluzione, allora, è spostare soldi dalle società  ancora controllate dal marito Amedeo Matacena, erede di un vero impero, sui suoi conti correnti. Scajola è comprensivo e disponibile.
“Ho parlato con mia sorella Elsa chiedendole riservatamente un grande piacere. Domani mattina va a Montecarlo, vede lui alle 11… senti bene, mi ha già  accennato, con un telefono pulito, la vicenda e l’urgenza assoluta…”.
È quel “pulito” riferito al telefono che insospettisce e indigna gli agenti della Dia delegati dalla Procura di Reggio Calabria di monitorare le telefonate del “loro” ex ministro, tanto che parlano di “spregiudicatezza” dell’uomo che fu capo del Viminale.
Prudente e sospettoso, Scajola. Troppo, come può esserlo chi conosce le modalità  di controllo e investigazione della polizia.
Sono le 15:21 del 22 agosto 2013, Amedeo Matacena è ancora nel suo buen retiro delle Seychelles, cinque giorni dopo atterrerà  a Dubai e verrà  arrestato.
Nel frattempo la signora Matacena si rilassa a bordo di una nave da crociera . Scajola la chiama, vuole capire come sta, se si sta divertendo, poi parlano della casa che Chiara deve sistemare a Montecarlo.
A bordo di quella stessa nave c’è una vecchia conoscenza di Scajola, si tratta dell’armatore siciliano Gianni Barbaro, leader nel settore delle navi da turismo e per il trasporto di idrocarburi. È anche amico della Rizzo (“lo conosco da ragazzina, è anche amico di Amedeo (Matacena, ndr).”
L’armatore in quei giorni è dispiaciuto assai per una inchiesta palermitana e di Eurojust, che lo vede coinvolto in un giro di affari che riguarda la simulazione dell’acquisto di “sei navi in Corea del Sud, con lo scopo di fatturare costi mai sostenuti, sì da sottrarre al fisco oltre 20 milioni di euro.”
Nell’operazione restano coinvolte “compagini societarie attraverso le quali sarebbero stati trasferiti cospicui capitali presso banche svizzere, lussemburghesi, del Principato di Monaco e di Dubai.”
Una brutta vicenda giudiziaria, dalla quale l’armatore siculo cercherà  di affrancarsi versando la somma dovuta all’erario, anche se pesano ancora tutte le accuse penali.
Al telefono, ma sempre con estrema prudenza, l’ex ministro chiede alla Rizzo “se avesse capito qualche altra cosa da lui, qualche preoccupazione.”
Chiara, che secondo gli agenti della Dia viaggia insieme all’armatore, si mostra interessata, vuole sapere di più. “Si tratta di cose complicate — risponde Scajola — hanno a che fare, come scenario, sia il Nord che la Rocca Raineri. Allontanati da lui, anche al rientro in Italia”.
Chiara non capisce e continua a insistere, Scajola si spazientisce, la invita a “stare attenta”, perchè — e qui le orecchie degli agenti dell’antimafia si drizzano — a bordo potrebbero esserci passeggeri che stanno lì sia per guardare che per sentire… c’è stata una escalation e le cose riguardano anche elementi locali”.
Maledetto linguaggio cifrato, maledette intercettazioni che impediscono di essere chiari. Scajola è costretto a richiamare alle sei della sera mentre la nave veleggia nel Mediterraneo. “Hai capito? Io ti ho riferito queste cose perchè devi sapere che qui si vive in un mondo che fa schifo, e io ho paura per il fatto che farete tu e lui il volo Atene-Nizza insieme”. Chiara lo tranquillizza, il volo insieme non si farà .
È raggiante in quei giorni lady Matacena detta “coppa di champagne”. La crociera va bene, Claudio è lontano, ma a bordo c’è tanta bella gente.
Il giorno prima, si è sentita con l’ex ministro e gli ha raccontato di una serata da urlo. “Per tutta la sera ho avuto accanto a me un uomo affascinante. È stato un incontro stupendo e spettacolare. Lui è proprietario di una catena di alberghi a Venezia. Le donne sono rimaste tutte colpite dalla sua bellezza, ma per me non era bello, diciamo affascinante. Ma anche lui è rimasto molto colpito da me”.
Gli 007 della Direzione antimafia di Reggio Calabria, registrano, annotano, sorridono. La linea cade.

Enrico Fierro e Lucio Musolino
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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BIAGI NON ERA A SUA INSAPUTA

Maggio 22nd, 2014 Riccardo Fucile

LA PROCURA DI BOLOGNA RIAPRE IL CASO: IPOTESI OMICIDIO PER OMISSIONE… SCAJOLA NEI GUAI PER LE CARTE FIRMATE DAL SUO PRIMO COLLABORATORE AL VIMINALE

Ecco le carte che accusano Scajola. Questi documenti insieme alla testimonianza di chi li ha vergati, l’allora segretario particolare del ministro dell’Interno Scajola, Luciano Zocchi, hanno portato la Procura di Bologna a riaprire l’indagine sulla mancata protezione del giuslavorista Marco Biagi, ucciso il 19 marzo 2002 dalle Brigate Rosse.
Zocchi, carte alla mano, accusa Scajola di non avere fatto nulla nonostante fosse stato avvertito del rischio con una lettera.
Inoltre accusa il prefetto Giuseppe Pecoraro di avere pronunciato, per replicare al suo allarme su Biagi, la frase: “ma quello si fa le telefonate (di minaccia) da solo”.
Pecoraro nega, da quello che risulta al Fatto, ma il carteggio che oggi pubblichiamo unitamente alla testimonianza di Zocchi è impressionante.
Al punto che il pm di Bologna Antonello Gustapane ha riaperto l’indagine 12 anni dopo, stavolta per omicidio per omissione, un’ipotesi di reato più grave dell’omissione semplice che si sarebbe prescritta nel 2009. L’inchiesta è contro ignoti.
L’ex capo segreteria di Scajola non ha mai parlato perchè: “nessuno mi ha mai chiamato a deporre”.
Zocchi vedeva aumentare la distanza tra le versioni ufficiali e quello che sapeva lui e ha conservato le carte per sua tutela.
I documenti sono saltati fuori per caso quando è stato perquisito nel 2013 in un’altra indagine sull’eredità  dei Salesiani dalla quale è uscito con la richiesta di archiviazione della stessa Procura. Il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone lo ha ascoltato e ha immediatamente inviato il materiale esplosivo a Bologna.
Qui il pm Gustapane ha risentito lui e poi ha convocato gli altri protagonisti della vicenda: la moglie dell’allora sottosegretario al lavoro Maurizio Sacconi, Enrica Giorgetti, il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro e il prefetto Giuseppe Procaccini, recentemente protagonista del caso Shalabayeva.
Scajola a Libero nel 2007 dichiarava: “Io non sapevo nemmeno chi fosse Biagi. Le pare che se avessero detto al ministro: ‘metti la scorta a Biagi’ non sarei intervenuto? Se non l’ho fatto significa che nessuno mi avvertì”.
Ora un appunto su carta intestata del Ministero firmato da Zocchi quattro giorni prima della morte di Biagi lo smentisce.
“L’onorevole Maurizio Sacconi — scriveva Zocchi — ti segnala l’opportunità  di rafforzare la tutela soprattutto del Prof. Marco Biagi, consulente del Ministro Maroni, ‘successore ‘ di Tarantelli, D’Antona ecc…”. L’elenco sinistro delle vittime delle Br purtroppo si è allungato con il nome di Biagi quattro giorni dopo dando un significato premonitore a quel ‘successore’.
Molto tempo prima di essere sentito dai pm Zocchi ci ha raccontato la sua versione con il patto che l’avremmo pubblicata in esclusiva ma solo quando lui avrebbe dato il via libera.
Zocchi temeva ripercussioni legali ma oggi, dopo che l’inchiesta è stata svelata, abbiamo deciso di pubblicare le dichiarazioni raccolte nel 2011.
“La moglie di Maurizio Sacconi, Enrica Giorgetti, che io conosco da tanti anni — ci ha raccontato Zocchi — per il mio precedente lavoro come dirigente della Unilever, mi telefona il 15 marzo del 2002. Mi dice che è uscita su Panorama la relazione dei Servizi segreti nella quale si parla dei rischi di attentati per i consulenti del ministero del lavoro. Mi dice che teme per il marito ma di più per Marco Biagi.
‘Luciano — mi implora la Giorgetti — prometti che farai tutto il possibile per Biagi, lui rischia la vita’. Immediatamente — prosegue Zocchi — scrivo un appunto (pubblicato sopra, ndr) nel quale segnalo a Scajola che il ministro Sacconi, non cito la moglie per sintesi, chiede di ‘rafforzare la tutela’ di Biagi.
Non immaginavo che non avesse nemmeno un uomo a sua tutela. Poco dopo mi arriva una telefonata dell’allora direttore generale di Confindustria Stefano Parisi che mi ribadisce la sua preoccupazione per Biagi e chiede un incontro urgente al ministro.
Io metto i due fogli insieme in una busta marrone con su scritto ‘personale urgente per On.le Claudio Scajola’ che viene consegnata alla segretaria del ministro, Fabiana Santini (poi divenuta assessore della giunta Polverini nel Lazio, ndr).
La prova che la lettera sia stata consegnata è nel secondo foglio (quello sulla telefonata di Parisi, ndr). Non c’è il protocollo ma la mia segretaria — spiega Zocchi — aveva scritto in alto la data e persino l’ora h 11 e 13 minuti e poi: ‘consegnato alla d.ssa Santini’”.
Zocchi è sicuro che Scajola abbia letto i messaggi perchè, spiega: “la sera dello stesso 15 marzo ricevo una telefonata di Scajola tramite la Batteria del Viminale. Il ministro mi dice con voce scocciata: ‘Come conosci Stefano Parisi?’.
Non era interessato alla scorta di Biagi ma sembrava irritato perchè io conoscevo un personaggio importante. Lui era fatto così.
Comunque mi dice che lo chiamerà  anche se non riuscirà  a incontrarlo perchè l’indomani è in partenza. Arriviamo così al 19 marzo, ero al ristorante Il Bolognese con un gruppo di politici liguri e mi chiama Enrica Giorgetti sconvolta: ‘lo hanno ammazzato’.
A quel punto chiamo subito Giuseppe Pecoraro, per dargli la notizia. Lui rimase di stucco. Sa perchè? Appena ricevuta la telefonata di Enrica Giorgetti il 15marzo io cercai Scajola ma era a presiedere il comitato nazionale sulla sicurezza.
Allora inviai le lettere alla Santini e la richiamai per sincerarmi che fossero state consegnate. Poi feci fare le fotocopie (che sono state sequestrate e che pubblichiamo, ndr). Però non mi accontentai. Andai da Giuseppe Procaccini, allora vicecapo della Polizia, con le fotocopie delle lettere in mano. Gli parlai della questione della scorta a Biagi e lui mi disse di parlarne con il capo della segreteria del dipartimento, Giuseppe Pecoraro dal quale dipendevano le scorte”.
Zocchi si precipita da Pecoraro sperando che lo ascolti: “Avevamo un amico in comune ed eravamo andati a cena una volta allo Scarpone al Gianicolo. Quando gli faccio vedere le lettere sulla richiesta di tutela lui mi gela: ‘Ma questo Biagi è quello che si fa le telefonate da solo’. Questa frase io l’ho letta la prima volta solo molti mesi dopo, quando Scajola si dimise perchè diede a Biagi del rompicoglioni. Gli dissi: ‘guarda che non me lo sono inventato io, mi ha chiamato la moglie di Sacconi’”.
Il giorno dopo Zocchi incontra Enrica Giorgetti perchè temeva che dessero a lui la colpa del mancato allarme. “Le dissi: ‘dì a tuo marito che io ho fatto il mio dovere e ricordo come fosse oggi che le ho mostrato le lettere in un bar vicino alla Chiesa evangelica”.
Nei mesi successivi Scajola affidò il compito di accertate le responsabilità  al suo capo di gabinetto, il prefetto Mario Sorge, scomparso due anni fa. “Pensavo che mi chiamassero in causa e sarei stato felice di parlare allora. Sarei molto curioso di sapere se c’è il mio nome nella relazione Sorge. Mi consultai con il mio padre spirituale che mi disse: ‘Luciano tu hai fatto quello che dovevi. Se ti chiamano parla’”.
Zocchi non fu mai chiamato e ora ha un grande rimpianto: “vorrei tanto incontrare la vedova Biagi per spiegarle tutto”.

Marco Lillo
(da “il Fatto Quotidiano“)

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BERLUSCONI NON SPERA PIU’ NELLA GRANDE RIMONTA: “ARRIVARE POCO SOTTO IL 20% SAREBBE UN SUCCESSO”

Maggio 22nd, 2014 Riccardo Fucile

“SE PERDO NON FARO’ SALTARE IL VOTO”: E SILVIO APRE ANCHE ALLE LARGHE INTESE

La “remontada” questa volta non c’è.
Gli ultimi report recapitati a Berlusconi a Palazzo Grazioli prima che raggiungesse gli studi di Porta a Porta decretano quel che era nell’aria.
La rincorsa per Forza Italia si ferma qui, oltre non può andare. Bisogna correrei ai ripari, virare la comunicazione, metterci già  una pezza. «Per noi anche quella manciata di punti sotto il 20, in queste condizioni, sarà  un successo, è il messaggio che dovremo rilanciare domenica notte» è la linea che il leader detta anzitempo allo stato maggiore del partito.
Da Vespa mette le mani avanti: «L’esito delle Europee non influenzerà  il percorso delle riforme, anche se Forza Italia dovesse andare male».
La strategia è a più ampio raggio. Un ipotetico flop del Pd potrebbe riportare indietro le lancette, costringere a un governissimo da ultima spiaggia per fronteggiare quello che Berlusconi chiama «l’autoritarismo della banda Grillo-Casaleggio».
E allora ecco servita in tv la nuova apertura sulle riforme.
Votarle? «Se Renzi ne presenterà  di buone, allora sì, quella del Senato fa ridere». E un ingresso nel governo dopo le Europee? «Questi sono scenari futuri» taglia corto l’ex Cavaliere.
Perfino nei confronti del Quirinale i toni sono smorzati. La deputata Michaela Biancofiore deposita in Procura un esposto sottoscritto da cinque parlamentari (tra i quali Minzolini e Giammanco) sul caso Geithner per «attentato agli organi costituzionali italiani», evocando l’impeachment.
Berlusconi se ne tiene alla larga e a Porta a Porta chiude: «È impossibile, bisogna avere la maggioranza in Parlamento». «Siamo la forza della responsabilità , della serietà  » sottolinea Giovanni Toti a Repubblica tv, in linea col nuovo mood .
È contro Grillo che Berlusconi va a fondo come mai finora. Convinto com’è che il “tribuno” punti «ormai a un Piazzale Loreto, dopo il voto», con questa storia dei «tribunali del popolo via web» contro politici e giornalisti.
«È stato condannato per triplice omicidio colposo, non è stato un incidente ma una cosa che ha voluto lui e questo la dice lunga sulla sua natura» attacca ad Agorà .
Poi se la prende con il presidente della Vigilanza Roberto Fico che aveva denunciato un «patto segreto Berlusconi- Renzi per svendere Raiway».
Ancora da Vespa: «Lo querelo, quel grillino è un buffone». È lo stesso ex premier che in mattinata aveva lamentato di essere stato giudicato «da un plotone di esecuzione», in un Paese in cui «la democrazia è finita: possiamo essere arrestati per un nonnulla».
Visi tirati, tensione alle stelle nel quartier generale che si prepara ai colpi finali.
Ci sono piccoli segnali che a scoraggiati parlamentari forzisti danno la misura dell’inversione di tendenza.
Il video della sala convegni degli agenti immobiliari a Roma che ieri mattina si è svuotata tra le proteste in platea quando Berlusconi in collegamento telefonico ha iniziato a comiziare, è stato il primo colpo.
L’altro in serata, quando sta scendendo il sipario nello studio di Vespa: il leader chiede un minuto in più per l’appello finale, che il conduttore gli nega: «No presidente, doveva pensarci prima»,
Berlusconi insiste, ma parte la sigla. È il clima che cambia anche nel salotto un tempo amico, e pazienza se Vespa anche con lui aveva esordito a inizio puntata scattando un selfie.
Oggi il leader chiude a Roma e domani a Milano, con le uniche apparizioni pubbliche.

Carmelo Lopapa
(da “La Repubbica”)

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NCD, NUOVO CENTRO DETENUTI

Maggio 22nd, 2014 Riccardo Fucile

DIVERSAMENTE BERLUSCONIANI: HANNO PIU’ INQUISITI DI FORZA ITALIA, INFATTI

Ricordate Ncd, alias Nuovo Centro Destra, nato a novembre dalla scissione dei ministri Pdl che non volevano mollare le poltrone del governo Letta e infatti le conservarono nel governo Renzi?
Alfano li battezzo con l’immortale definizione di “diversamente berlusconiani”, superata pero in umorismo da quella scalfariana di “nuova destra europea e repubblicana”.
Bene, in meno di sei mesi di vita si sono affermati come la bad company di Forza Italia: infatti la sola caratteristica che li fa diversamente berlusconiani e che hanno collezionato qualche inquisito e detenuto piu dei berlusconiani.
Pareva una missione impossibile, invece ce l’han fatta. Chapeau.
Da Schifani indagato per mafia, a Gentile costretto a dimettersi da sottosegretario, a Formigoni rinviato a giudizio per corruzione, e’ tutto un florilegio.
L’ultimo della lista e’ Paolo Romano, presidente ex forzista del consiglio regionale di Campania, finito l’altroieri ai domiciliari per tentata concussione perche’ —scrive il giudice — “puntava a imporre i suoi favoriti agli incarichi di direttore sanitario e direttore amministrativo e procedeva con logiche di spartizione politica” all’Asl di Caserta.
I motivi della cattura sono gli stessi della candidatura alle Europee: e con questi sistemi, nel Sud ma non solo, che si diventa signori delle tessere e si scalano le istituzioni.
Per fatti simili, ma all’Asl di Benevento, Nunzia De Girolamo (ovviamente Ncd) fu indagata e si dimise da ministro dell’Agricoltura. Si dira: e’ solo indagato.
Vero, ma Giuseppe Scopelliti ha una condanna a 6 anni in primo grado per abuso, e’ decaduto da governatore della Calabria, dunque e pure lui nelle liste europee di Ncd: il partito di Alfano che come leader candida il condannato e come responsabile del Viminale commissaria la Regione (e capeggia le forze dell’ordine che ogni tanto vanno ad arrestare uno dei suoi).
Anziche tacere, e magari vergognarsi un po’, Angelino Jolie riesce a dichiarare: “Se i magistrati avessero proceduto prima della presentazione delle liste o dopo le elezioni avremmo evitato sospetti su un intervento a tre giorni dal voto”.
In quel caso il ministro dell’Interno, che candida un condannato in primo grado, che cosa ne avrebbe fatto di Romano? Magari, anziche in posizione defilata, l’avrebbe messo capolista.
Pero — spiega — il giudice poteva pure rinviare l’arresto a dopo il voto, cosi Romano l’avrebbe arrestato l’Interpol già  da eurodeputato, con un blitz al Parlamento europeo. E l’Italia e il suo governo avrebbero fatto l’ennesimo figurone.
Interviene pure la De Girolamo, da cotanto pulpito: “L’arresto a tre giorni dal voto fa pensare male”. E non la sfiora il dubbio che faccia pensar male del suo partito. Letteralmente strepitosa l’intervista a Repubblica di Gaetano Quagliariello, noto padre costituente e uno dei pochi incensurati superstiti: “Qualcuno prova ad approfittarsi di noi visto che siamo freschi di nascita, ma per rinnovare la politica abbiamo costruito un nuovo confessionale e se il diavolo cerca di entrarci lo cacceremo”.
Quindi vuole proprio restare solo. Perche il confessionale c’e, ma nessuno si confessa, o almeno nessuno confessa.
Ultimamente si aggirano da quelle parti anche Luigi Grillo e Sergio Cattozzo (momentaneamente detenuti per le mazzette Expo) e Cesare Previti (basta la parola: se lo conosci lo Previti).
Ma per il Quaglia i primi due sono “entristi” e “millantatori”, e comunque “non faremo sconti”: ok, tariffa piena. Quanto a Cesarone, lui “non fa politica” (come sempre, del resto); se pero vuol fare campagna elettorale per portare voti al Ncd e una sua “libera determinazione” e “specularci sopra e’ un riflesso giacobino”.
Certo, se Quaglia avesse saputo prima di Romano, “non si sarebbe nemmeno posto il problema della sua candidatura”.
Infatti Scopelliti, condannato in primo grado, e felicemente candidato.
Ma solo perche “ha chiesto di essere sottoposto al giudizio degli elettori, che non e in alcun modo sostitutivo di quello della magistratura. Anche questa e una svolta”.
Una svolta con un precedente bimillenario: Barabba, capostipite di tutti i diversamente berlusconiani.

Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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GRILLO RACCONTA BALLE ANCHE SUI CONTRIBUTI ALL’EDITORIA: “SONO PASSATI DA 138 MILIONI NEL 2013 A 175 NE 2014”, MA SBAGLIA I DATI

Maggio 22nd, 2014 Riccardo Fucile

SI E’ PASSATI DAI 295 MILIONI DEL 2011 AI 140 DEL 2014 PER ARRIVARE A 120 MILIONI NEL 2016

«Tutto aumenta in Italia. A questa regola non potevano mancare i finanziamenti all’editoria passati dai 137 milioni di euro del 2013 ai 175 del 2014».
Una denuncia lanciata da Beppe Grillo che vuole rappresentare il punto di partenza per «un viaggio indimenticabile nei bilanci dei giornali assistiti».
Tra i capisaldi del programma del Movimento 5 stelle c’è infatti l’abolizione dei contributi pubblici alla stampa.
Cliccando sui dati presentati dal capo politico dei cinque stelle si arriva a un altro post del blog, del 20 dicembre scorso, dove ai milioni per l’editoria stabiliti dal Parlamento per il 2013 e 2014, si aggiungono quelli per il 2015 e 2016.
Nessun link a una fonte ufficiale è stato però inserito come supporto a queste cifre. Dopo aver approfondito la questione ecco quello che emerge.
I dati citati da Grillo provengono da una delle tabelle in allegato all’ultima legge di stabilità , precisamente la C.
Sotto il capitolo “Comunicazioni — sostegno all’editoria” (pag. 32 del documento) compaiono le previsioni triennali (2014, 2015 e 2016) a legislazione vigente, che, nella realtà  possono essere corrette se vengono emanate norme che modificano le autorizzazioni di spesa.
I numeri forniti dal leader del Mov5Stelle corrispondono con quelli ufficiali per il 2015 (119 miloni) e per il 2016 (120 milioni), ma per il 2014 c’è una netta differenza. Grillo infatti parla di un «panettone» di 175 milioni, mentre nelle legge di stabilità  la cifra si ferma a 140 milioni
Una discrepanza che ridimensiona l’aumento dei finanziamenti all’editoria denunciato da Grillo.
Dai 137 milioni del 2013, si passerebbe a un’aggiunta per il 2014 di 3 milioni e non più di 38 milioni.
Inoltre, anche l”aumento” stesso viene meno se si guardano i dati da un’altra prospettiva. Nella “nota preliminare al bilancio di previsione della presidenza del consiglio dei ministri per l’anno 2013 e per il biennio 2013-2015” si può vedere come dal 2011 il sostegno all’editoria abbia subito un netto taglio fino ad arrivare ai 120 milioni previsti per il 2016.
Ultimo punto: le voci che compongono i contributi stanziati o previsti dal governo.
Queste risorse sono poi destinate al sostegno diretto dei giornali in misura che difficilmente arriverà  al 50% del totale.
Nel 2013, come riportato sopra, i soldi stanziati sono stati 137 milioni di euro ma togliendo ad esempio i 21 milioni alle spese relative alle convenzioni stipulate con la Rai «per la realizzazione e la trasmissione di programmi per l’estero e per la trasmissione di programmi a tutela delle minoranze linguistiche» e i 51 milioni per il debito verso Poste Italiane per le pregresse agevolazioni postali (sospese dal 2010) — tutte le voci sono presenti a pag. 27 della “nota preliminare” — i contributi diretti alla stampa diminuiscono di molto, non corrispondendo più al totale della cifra.
La battaglia politica contro o a favore il finanziamento pubblico ai giornali è del tutto legittima.
L’unico punto fermo però è che, visto anche la complessità  della materia, i giudizi delle persone devono essere basati su dati di fatto rispondenti alla realtà .
Questo per creare un sano e onesto dibattito pubblico.

(da “Valigia Blu“)

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EXPO, DUE MILIONI DI MAZZETTE E LA CENA CON IL VICE DELLO IOR

Maggio 22nd, 2014 Riccardo Fucile

LE AMMISSIONI DI CATTOZZO… NEGLI ATTI I RAPPORTI FRA LA CUPOLA E ANGELO CALOIA, L’UOMO CHE GOVERNà’ LA BANCA VATICANA PER VENTI ANNI DOPO L’ERA MARCINKUS

Cinque ore d’interrogatorio per aggiornare il conto delle mazzette (al telefono chiamate “relazioni”) che salgono da 1,2 milioni di euro a 2,4.
Parola di Sergio Cattozzo, l’ex segretario ligure dell’Udc, ritenuto dalla Procura di Milano il contabile delle tangenti al servizio della cupola degli appalti che ha dato l’assalto all’Expo 2015.
Cattozzo, che era già  stato sentito la scorsa settimana dai pm Claudio Gittardi e Antonio D’Alessio, sviluppa l’impianto accusatorio. Stando alle carte dell’inchiesta rappresenta, infatti, la cerniera con le imprese.
Il sequestro del libro mastro delle “stecche”.
Un ruolo decisivo come dimostra il sequestro del libro mastro delle stecche. Archivio rigorosamente scritto a mano con nomi, cognomi, cifre da spartire e percentuali sugli appalti. Ed è proprio su questo che ieri si è concentrato l’interrogatorio.
Cattozzo ha chiarito molte cifre, ricalcolando la maxi-stecca da 1,2 milioni euro svelata dall’imprenditore vicentino Enrico Maltauro. E così a tredici giorni dagli arresti, la metà  delle persone coinvolte nello scandalo iniziano a collaborare.
Il primo è stato Maltauro che in nove ore d’interrogatorio ha confermato il sistema della cupola.
Dopo di lui è toccato all’ex manager Expo Angelo Paris ammettere di aver turbato le gare, spiegando di averlo fatto per ottenere coperture politiche davanti alle pressioni dell’ex direttore generale di Infrastrutture Lombarde Antonio Rognoni.
Lo stesso Paris che a Gianstefano Frigerio prometteva “qualsiasi lavoro”.
Paris, però, nega di aver preso mazzette. Confermate, invece, ieri dallo stesso Cattozzo che per i soli appalti Sogin ha calcolato un tesoretto da 1,5 milioni di euro, ai quali vanno aggiunti 300mila euro per lui e i 600mila promessi.
Frigerio: ho ricevuto regalie non tangenti
Il denaro aumenta nonostante resti ancora fuori tutta la partita che riguarda i lavori della Città  della salute.
E se lo stesso Frigerio, nell’interrogatorio davanti al giudice Antezza, conferma di aver ricevuto “regalie” ma non tangenti, Cattozzo accusa e dice che l’ex parlamentare di Forza Italia Luigi Grillo intascava il denaro degli imprenditori.
Intanto le nuove carte dell’indagine svelano l’attività  di Primo Greganti per fare entrare le cooperative nella costruzione di dieci padiglioni stranieri che nasceranno sulla Piastra dell’Expo.
Il progetto, ragiona la Finanza, è legato alle informazioni riservate che il Compagno G. ha ottenuto dallo stesso Paris durante una cena. Ma c’è di più.
Dagli atti depositati emergono gli inediti rapporti tra la cupola degli appalti e Angelo Caloia, l’uomo che governò lo Ior per vent’anni dopo l’era dell’arcivescovo Marcinkus, nonchè attuale numero uno della Veneranda Fabbrica del Duomo e presidente di alcune società  del Gruppo Intesa Sanpaolo.
L’incrocio con Caloia viene pilotato da Frigerio per garantire la carriera pubblica di Angelo Paris.
È il novembre 2013 quando l’ex Dc ne parla con il manager. “Poi un’altra persona che ti farò incontrare che è del nostro vecchio mondo, che è un mio amico carissimo è il professor Caloia”.
Paris è molto contento: “Ah sì, ecco quello lì mi piacerebbe molto incontrarlo. È molto interessante”. Pochi mesi dopo, nel gennaio 2014, Frigerio al telefono con Sergio Cattozzo illustra lo scopo dell’appuntamento con Caloia: “Lo vedo a pranzo, Curia milanese cioè Caloia e con Fininvest, che li ho preparati per potenziarlo per il suo futuro!”.
L’incontro, in effetti, si concretizza ai tavolini del Westin Palace di Milano. Qui, alle 13,30, c’è anche Fulvio Pravadelli, consigliere delegato Area Amministrazione e Finanza di Publitalia 80. E se da un lato la cupola lavora per garantire Paris, dall’altro si ingegna per trovare una poltrona importante a Giuseppe Nucci, ex ad di So-gin.
Grillo e la chiamata di Guzzetti (Cariplo)
E così il 16 aprile scorso, annota la Finanza, Grillo viene chiamato da Giuseppe Guzzetti presidente della Fondazione Cariplo (uno degli uomini più potenti in Lombardia) e l’ex senatore “gli rammenta la candidatura di Nucci (…) evidenziando che l’assemblea sociale” di Terna, società  partecipata dallo Stato, “si riunirà  il prossimo 25 maggio” e quindi “i nomi bisogna presentarli entro il 25 aprile (…) io ho avuto conferma da casa Gianni nazionale (Letta, ndr) che si spende”.
Grillo chiede a Guzzetti se deve parlare della questione durante una cena con il presidente della Cassa depositi e prestiti a casa dell’ex ministro Gianni De Michelis.
Guzzetti lo sconsiglia dicendo che la “segnalazione è stata fatta”.
In un’altra telefonata Grillo discute con Nucci delle nomine.
Dice: “Il mio amico di Milano (si riferisce a Giuseppe Guzzetti) la sua parte l’ha fatta, speriamo che qualcuno abbia spiegato a questo Presidente (Renzi) che non è Mussolini (…) Che ha diritto ma ci sono degli altri, se no fa come Enrico (Letta)”.

Davide Milosa
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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COSI’ L’EUROPA HA MIGLIORATO LA NOSTRA VITA

Maggio 22nd, 2014 Riccardo Fucile

TANTI TRAGUARDI SONO STATI RAGGIUNTI GRAZIE ALL’UNIONE EUROPEA

L’appello rivolto dal presidente Napolitano insieme ai Presidenti di Germania e di Polonia a «Votare e Votare per l’Europa», non ha trovato l’attenzione che merita, travolto nel gorgo di insulti, sciocchezze e battute di spirito che avvelenano la campagna elettorale.
E invece quell’appello è importante. È innanzitutto importante perchè viene dai Presidenti di tre grandi Paesi dell’Unione europea, che, pur rappresentando storie e caratteri diversi, chiamano all’unità  d’Europa.
A prova che il motto della Unione europea, Uniti nella diversità , risponde ad una realtà  ancor viva, che i vari stereotipi di contrapposizione (primo fra tutti quello dei Paesi del Nord opposti a quelli del Sud) non riescono ad annullare.
E’ poi fondamentale il contenuto dell’appello, perchè finalmente attira l’attenzione su temi diversi da quello, importante ma non esclusivo, della politica economica e della relativa crisi.
La pace nella grande area dell’Unione viene data per scontata. La maggior parte delle attuali generazioni non ha visto la guerra, non ne conosce l’orrore, non sa che per secoli gli europei si sono combattuti in un’infinita guerra civile europea, che nel secolo scorso, ha trascinato nel conflitto l’intero mondo.
Ma la pace acquisita è anche il frutto di un’audace iniziativa politica, lanciata alla fine della seconda guerra mondiale, da uomini politici lungimiranti e convinti che l’Europa non avrebbe potuto vivere in pace se non unificandosi.
La costruzione europea cominciò a realizzarsi concretamente mettendo in piedi istituzioni comuni. La nostra Costituzione già  nel 1948 offriva la disponibilità  dell’Italia a cedere porzioni della sua sovranità  a favore di istituzioni internazionali capaci di assicurare la pace e lo sviluppo delle nazioni.
L’Europa era distrutta materialmente e moralmente. L’Europa nei secoli recenti aveva indicato al mondo la via della libertà  di pensiero e di espressione, della libertà  religiosa, della libertà  di associazione, della tolleranza e del rispetto delle persone.
I Paesi d’Europa rimasti dall’altra parte della Cortina di Ferro erano costretti nel comunismo sovietico.
La ricostruzione dunque doveva certo riguardare l’economia, ma anche la democrazia, i diritti umani, le libertà  fondamentali. La pace, bene supremo, avrebbe potuto realizzarsi solo se entrambi i campi di azione fossero stati curati. Al primo venne destinato l’insieme delle Comunità  europee che sono ora raccolte nella Unione europea, al secondo doveva dedicarsi il Consiglio d’Europa. A quest’ultimo venne confidato il compito di promuovere la democrazia e i diritti umani, con l’azione culturale e politica e attraverso l’opera della Corte europea dei diritti umani.
L’influenza di quest’ultima sull’armonizzazione e la protezione dei diritti in Europa è stata ed è profonda, anche se qualche volta è accolta con irritazione da chi rilutta a seguire il movimento europeo verso il maggior rispetto dei diritti e delle libertà  di ciascuno.
Ora la dimensione delle libertà  economiche – inizialmente riassunte in quelle di movimento in Europa dei lavoratori, delle merci, dei capitali e dei servizi – ha incontrato inevitabilmente quella delle libertà  civili e politiche e quella dei diritti sociali.
L’Unione europea non è più solo strumento di un mercato comune europeo. Essa nei suoi trattati fondativi e nelle sue istituzioni protegge la sicurezza dei suoi cittadini, i loro diritti e le loro libertà  in tutta la vasta area dell’Unione. E i cittadini dei 28 Paesi dell’Unione sono anche cittadini europei.
Se ora in Italia il Parlamento modifica la legge sul divorzio, semplificandone e abbreviandone la procedura, è perchè non possiamo rimanere isolati dall’Europa in cui viviamo.
Se i diritti delle coppie che devono procreare con l’aiuto della scienza medica vengono ora assicurati anche in Italia, è perchè non regge l’imposizione di divieti in una Europa che conosce la libertà .
Se ora anche in Italia i figli, tutti i figli, comunque nati, sono eguali, è perchè le discriminazioni non sono ammesse in Europa.
Se i criminali che ignorano le frontiere possono essere ricercati e perseguiti efficacemente in Europa, è perchè i Paesi dell’Unione collaborano e riconoscono reciprocamente le sentenze dei loro giudici.
Se l’Italia dovrà  adattarsi a regolare le discariche dei rifiuti in modo da non danneggiare la salute delle persone, è perchè la salute in Europa è bene comune e l’Unione impone sanzioni ai governi che non se ne curano.
Se, quando necessario, è possibile farsi curare in Europa nei servizi sanitari pubblici di altri Paesi, è perchè vi sono accordi europei che lo consentono.
La lista può continuare e certo si arricchirà  in futuro se all’Unione si chiederà  di aumentare l’integrazione e rafforzare le politiche comuni.
Un tema urgente e grave è quello della gestione delle immigrazioni dall’esterno dell’Unione. Ma c’è contraddizione in chi accusa l’Unione di non fare abbastanza e di lasciar sola l’Italia (e la Spagna, e la Grecia) e al tempo stesso fa crescere idee di abbandono dell’Unione e di isolamento nazionale.
L’Italia può pensare di affrontare da sola simili epocali movimenti di popolazioni?
Ora, proprio a partire dalle prossime elezioni europee, il Parlamento dell’Unione vedrà  i propri poteri di iniziativa e decisione aumentati rispetto a quelli restanti dei singoli governi.
La sua composizione è dunque più importante di prima e sarà  determinante il conflitto tra i gruppi che vogliono andare avanti e quelli che vogliono abbandonare il disegno grandioso della federazione dell’Europa.
La libertà  di movimento nell’Unione non è solo una comodità , nè riguarda solo la libertà  di viaggiare. Significa invece libertà  di lavorare e di studiare e vivere in tutta l’Europa dell’Unione. Essa è un diritto per i cittadini dell’Unione.
Quando era necessario il passaporto, la persona doveva chiederlo alle autorità  del proprio Stato e doveva presentarlo a quelle dello Stato in cui voleva entrare. Doveva chiedere e poteva ricevere un rifiuto. Non aveva diritto.
Ora non ci si rende nemmeno conto di attraversare le antiche frontiere. I cippi in pietra che si vedono sulle creste alpine per segnare che più oltre c’è Francia, sono ora una curiosità , ma per quei confini, che abbiamo abolito e che qualcuno vorrebbe veder rinascere, si sono combattute guerre e sono morte persone.
Ricordiamocene ora che abbiamo il diritto di votare per comporre il Parlamento di noi europei.

Vladimiro Zagrebelsky

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UN PONTE DI CUI ESSERE ORGOGLIOSI

Maggio 22nd, 2014 Riccardo Fucile

IL NOSTRO RISCATTO STA NEL RISCOPRIRE CHE SIAMO CAPACI DI UMANITA’

Parlare di immigrati ormai è diventato difficilissimo, nessuno ha più pazienza d’ascoltare, i più moderati restano in silenzio, gli altri o invitano a rispedire ogni barca a destinazione o a girare la testa dall’altra parte quando fanno naufragio.
La questione è trattata solo in termini economici: prima ci si preoccupa dei costi di salvataggio e accoglienza, poi della minaccia che rappresentano per la sicurezza o per il nostro già  disastrato mercato del lavoro.
Inutile cercare di discutere razionalmente, guardare i numeri che mostrano che sono molti di più quelli che si stabiliscono in Germania, in Francia o in Svezia.
Noi siamo terra di passaggio non meta finale.
Poi leggi il racconto di quella madre che è riuscita a tenere a galla per un’ora il figlio di otto anni, prima di morire all’arrivo dei soccorsi, e senti che qualcosa non funziona più, dentro e fuori di noi.
Guardi la foto sopra e scopri che su questa barca verde e rossa alla deriva ci sono 133 bambini, che sono stati asciugati, rifocillati e hanno dormito sotto una coperta grazie alla Marina Militare italiana che li ha salvati.
Sono siriani, in fuga dalla guerra con i loro genitori.
L’operazione Mare Nostrum ne ha salvati 30 mila da ottobre a oggi.
Per molti è una colpa, un ponte che andrebbe ritirato al più presto.
Ma forse è anche l’unica mano che tendiamo verso una serie di conflitti che non vogliamo vedere.
Il nostro sport nazionale è ripetere ad alta voce che l’Italia fa schifo, che non c’è niente da difendere, che siamo perduti.
E se il nostro riscatto stesse nel riscoprire che siamo capaci di umanità ?
Mi attirerò una bella dose di critiche, ma ho voglia di dire che sono orgoglioso di appartenere a una nazione che manda i militari a salvare le famiglie e non a sparargli addosso.

Mario Calabresi
(da “La Stampa”)

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