Maggio 26th, 2014 Riccardo Fucile
TRACOLLO DI FORZA ITALIA NEL NORD EST… “IL CENTRODESTRA UNITO PUO’ ANCORA COMPETERE”, MA ORA SI TEMONO NUOVE FUGHE
È l’ora del tracollo, del tramonto, quello vero. 
Oltre la condanna, oltre la decadenza, oltre l’interdizione.
Silvio Berlusconi se ne rende conto a notte fonda, al termine di una giornata vissuta ad Arcore sulla soglia della depressione, raccontano i suoi, come se avesse avvertito già ore prima l’imminenza dell’addio.
Quello degli elettori che lo hanno voluto e votato per vent’anni. «Forse potevo fare di più, fare di meglio, ma mi hanno messo fuori gioco e più di questo non potevo, ho dovuto fare tutto da solo» si sfoga, stremato.
Al fianco di Giovanni Toti, di Adriano Galliano, di Francesca Pascale appena rientrata con Maria Rosaria Rossi da Roma, il leader a Villa San Martino appare ai suoi come un pugile suonato.
Prova a dettare la linea della “resistenza”, ha ricominciato col dire: «Ora cambio tutto».
Ma Forza Italia è un partito allo sbando, altro che soglia del 20, via via nella notte precipita al 16 per cento, relegato al ruolo di terza forza.
È un partito nel bunker, come il suo capo. I consensi si sono dimezzati rispetto alle precedenti Europee e ridotti di mezza dozzina rispetto alle Politiche 2013 (allora era Pdl).
Ora il rischio della fuga si fa concreto. Quanti deputati, quanti senatori saranno disposti nei prossimi giorni, nelle prossime settimane, a restare in un serbatoio a esaurimento?
«Tutta colpa della scissione, i nostri voti sommati a quelli dell’Ncd e dei Fratelli d’Italia sarebbero stati gli stessi dello scorso anno, addirittura cresciuti » spiega il leader al telefono a Denis Verdini e agli altri pochi big ammutoliti nella sede romana di San Lorenzo in Lucina.
Giovanni Toti lo ripete in tv. Ma nel quartier generale è già un terremoto. E in questo quadro, di declino evidente, l’avvento di Marina potrebbe subire un’accelerazione.
Il tracollo investe prima di tutto le ragioni chiave del consenso berlusconiano.
Nella Lombardia nella notte si viaggiava sotto quota 15.
Nel Nordest la disfatta dell’11-12 per cento.
Il leader vuole dare un segnale, una scossa, «se non sarà così, da qui a breve Forza Italia muore» racconta uno dei dirigenti di punta, ancora incredulo.
Nella sede di San Lorenzo in Lucina la sola Deborah Bergamini ha il coraggio di affrontare le telecamere per ricordare che questo è stato «l’annus horribilis» del partito e del suo leader, «risultato non esaltante» minimizza.
Berlusconi ha convocato per mercoledì un ufficio di presidenza, per leggere i risultati, ma anche per imprimere una svolta, provarci, dare un segnale di vita.
A Giovanni Toti e al giovane amministratore Alessandro Cattaneo il compito di selezionare volti nuovi. Tanto per cambiare.
Ma soprattutto, vuole «strutturare il partito». Saranno istituiti dipartimenti, una segreteria ristretta, nuovi organismi. Altro che club, come ha ammesso in privato: «La gente non li ha capiti, non sono decollati come avrebbero dovuto».
Ci vuole un partito vero, necessario per preparare la strada alla successione dinastica.
A ora di pranzo, nel giorno cruciale, Silvio Berlusconi è a tavola proprio con i suoi figli. È a loro che confessa: «Avrei potuto fare di più. Ma ancora una volta ho dovuto fare tutto da solo e senza di me chissà come saremmo finiti».
Il fatto di non aver potuto mettere la scheda nell’urna è la cosa che definisce più «umiliante».
Niente ressa stavolta nel seggio 502 di via Scrosati a Milano, dove abitualmente andava.
Si è presentata lì per solidarietà al capo la sola fedelissima eurodeputata Licia Ronzulli.
L’handicap «imposto dai giudici» è il vero alibi con cui l’ex premier spiega il flop. «Tutti a dire che non ho fatto le piazze, ma se i giudici me lo hanno impedito, tutte le volte in cui abbiamo chiesto delle deroghe per fare comizi ce le hanno negate». L’unica chiave per invertire il trend è rilanciare il partito e il centrodestra con la carta Marina, Berlusconi ne è sempre più convinto.
«Tieniti pronta» le ha ripetuto in queste ore.
Dentro Forza Italia è chiaro già da tempo dove che quello è l’approdo. L’annuncio di Marina non avverrà ad horas, ma da oggi lo scenario cambia.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Maggio 26th, 2014 Riccardo Fucile
M5S SOTTO SHOCK, CASALEGGIO ORDINA IL SILENZIO
Si va dal “ma non scherziamo”, al “Tutto è possibile, anche lo scioglimento del Movimento”.
Il tonfo del Movimento 5 stelle è talmente fragoroso che le voci sulle dimissioni di Beppe Grillo impazzano.
E le poche che si riescono a raccogliere quando i venti punti percentuali dal Pd si stanno ormai consolidando sono spaesate, e non riescono a dare il polso della situazione.
Da Milano, dove Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio hanno seguito lo spoglio, è partito l’ordine: “Non commentate i risultati, aspettiamo il video di Beppe”.
Sarà l’ex comico a dare la linea via blog, con un messaggio registrato che andrà oggi online.
Sono ore di sofferenza. Raccontano che alterni momenti di rabbia con la profonda delusione: “Se vogliono Renzi se lo tengano – sarebbe sbottato – si vede che è questo che desiderano. Io con la politica chiudo”.
Forse solo una reazione a caldo, forse l’embrione di qualcosa di enorme che potrebbe maturare nelle prossime ore.
Così al mesto comitato elettorale alla periferia di Roma, per evitare parole in libertà , compaiono pochissimi parlamentari.
Sono i fedelissimi Roberta Lombardi e Nicola Morra a chiudersi in una saletta, cellulare attaccato all’orecchio.
Verso le 2.00, quando i dati reali del Viminale riportano già il 40% dei seggi scrutinati, si siedono dietro un tavolo e si trincerano dietro un lessico che di rivoluzionario ha davvero ben poco: “Sono dati ancora troppo disomogenei, aspettiamo almeno l’80%, ci vediamo domani”.
“Grillo è andato a dormire”, chiude la questione Lombardi. Poi si alzano e se ne vanno.
Tutta un’altra storia rispetto a un anno fa, quando un Alessandro Di Battista ancora sconosciuto girava come una trottola davanti alle telecamere e Marta Grande, con lui a festeggiare la trionfale chiusura dello Tsunami Tour, era una presente in pectore della Camera dei deputati.
La consegna del silenzio è rispettata alla lettera.
A microfoni spenti spiegano che i due leader stellati sono lontani dalle braccia di Morfeo: “Pensavamo veramente di arrivare vicini al 30%, Beppe e Gianroberto stanno discutendo su cosa fare adesso”.
La delusione è tanta, e nessuno se la sente di fare previsioni: “Lo sapete com’è Beppe – spiegano dallo staff – per noi non cambia nulla, è una battaglia persa, ma lui è imprevedibile”.
Stando a quanto detto lui stesso, la decisione dovrebbe essere scontata. “Se perdo le europee me ne vado”, proclamò stentoreo lo scorso 28 ottobre calcando i corridoi del Senato, “se perdiamo queste elezioni non ho più voglia di continuare”.
Grillo ha perso, inequivocabilmente. E sarà nell’elaborazione della sconfitta nel bunker di Milano che si giocherà molto del futuro del M5s.
Sui rovesci stellati ha pesato una campagna elettorale giocata tutta sull’alzare l’asticella fino alla vittoria, al voto in più rispetto ai rivali Democratici.
Con queste premesse, un distacco di venti punti percentuali non può che risuonare come un sonoro schiaffone. Una battaglia campale persa su tutta la linea. Circa il 5% in meno rispetto a un anno fa, più di tre milioni di voti persi per strada.
Il rovescio della medaglia sono i segnali di radicamento di un progetto politico la cui tenuta era tutt’altro che assicurata, che più di tanti altri rischiava di subire il contraccolpo di un elettorato volatile, che li aveva alzati sugli scudi in forza di un generico “vaffanculo”.
A distanza di dodici mesi si possono iniziare a cogliere segnali di trasformazione di quello che poteva essere un meteoritico fenomeno di costume in un elemento non secondario nella dialettica politica.
Ma è proprio la logica della contrapposizione, del “vaffa”, l’incapacità di cambiare registro semantico, orizzonte prospettico, ad aver penalizzato il Movimento.
Grillo aveva colto segnali di spaesamento, aveva provato a calibrare l’ultima settimana di campagna elettorale su toni più morbidi, mettendo da parte la rabbia e rispolverando un fiducioso ottimismo.
I sondaggi interni allo staff continuavano a segnalare costantemente un gap dai quattro agli otto punti rispetto al partito di Matteo Renzi, e l’istrionico leader aveva intuito che forse la bussola del paese era orientata sulla speranza più che dalla volontà di rovesciare il tavolo.
Cambiamento di rotta tardivo, anche per limitare i danni.
Su facebook i parlamentari si dividono tra chi si dota di un’inaspettata dose di autoironia come Francesco D’Uva, che riprende l’hashtag al vetriolo #vinciamopoi, a chi si scaglia contro “uno stato di coglioni”, come fa Emanuele Cozzolino.
In mezzo Alessandro Di Battista e Carlo Sibilia, che parlano di “momenti duri, che fanno male”. Quanto, lo dirà Grillo nelle prossime ore.
Dal blog, ovviamente.
(da “Huffingtonpost“)
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Maggio 26th, 2014 Riccardo Fucile
BERLUSCONI AI SUOI: “DATE LA COLPA ALLA MIA ASSENZA”
La voce di Silvio Berlusconi pare arrivare dall’oltre.
Quando l’ex premier si collega in vivavoce da Arcore con lo stato maggiore riunito a San Lorenzo in Lucina, le proiezioni inchiodano Forza Italia al 16 per cento.
Il minimo storico dalla discesa in campo, un dato oltre le peggiori previsioni.
Il Capo è provato, consapevole che si tratta della fine di un epoca. Ammette che è un disastro e chiede di spiegare la sconfitta come frutto della sua “assenza” dalla campagna elettorale e come risultato dell’anno più difficile, con la decadenza dal Parlamento e il dramma dei servizi sociali.
Anche se, ragionando sui dati, tutti hanno la sensazione che è accaduto qualcosa di più profondo: al Nord Forza Italia si sta estinguendo (poco più di 12 nel Nord Est, poco più di 13 nel Nord Ovest), una parte del suo elettorato si è rifugiato nell’astensione e il marchio Berlusconi non tira più.
Più debole nel paese, Forza Italia è più debole anche in Parlamento: “Berlusconi — spiega un azzurro di rango — voleva usare il boom di Grillo per riaprire la trattativa con Renzi su riforme e governo. Ma il boom l’ha fatto Renzi e cambia tutto”.
San Lorenzo in Lucina è un deserto. Sulle pareti le foto dei bei tempi che furono: la discesa in campo, Silvio sorridente coi grandi della terra, l’Aquila, i G8, le folle oceaniche. Ora i corridoi sono vuoti. I pochi big chiusi nelle stanze.
Verdini è una maschera di ghiaccio. Ghiaccio, come la temperatura della sua stanza, ben sotto i venti gradi, quasi per tenere freddo il sangue. Arrivano Rotondi, la Polverini, Tajani.
“A quanto sta Alfano?” è la domanda che rimbalza nervosamente nel quartier generale berlusconiano. Perchè solo il funerale dell’Ncd può consentire di “coprire” il proprio: “Gli elettori – afferma Rotondi per esorcizzare la sconfitta – dicono che il centrodestra italiano è ancora berlusconiano”.
L’ingrato compito di affrontare i cronisti viene affidato a Deborah Bergamini, esausta dopo una campagna elettorale con quattro ore di sonno a notte.
È lei che dopo il summit telefonico con Berlusconi arriva in sala stampa: “Il risultato – dice – non è esaltante. Ma abbiamo fatto una campagna elettorale con Berlusconi ai box, impossibilitato a muoversi a seguito dell’affido ai servizi sociali e impossibilitato a tenere comizi e a parlare liberamente, ad esempio non ha mai potuto parlare della magistratura. Insomma, è stato un anno orribile, con la condanna ingiusta per Berlusconi e la sua estromissione dal Senato, poi la scissione di Ncd. Alla luce di questo dato non si può dire che sia un risultato negativo per Forza Italia”.
In nottata arriva da Arcore anche la dichiarazione fotocopia di Giovanni Toti: “Forza Italia paga pesantemente una campagna elettorale viziata da una decisione che considero gravemente iniqua da parte della magistratura e che ha privato i moderati italiani del loro storico punto di riferimento”.
È questa la linea su cui si attestano le poche dichiarazioni dei big di Forza Italia. Poche, per un partito abituato all’inondazione dei media.
Gelmini, Santanchè, Romani che parla della necessità di aprire il “cantiere del centrodestra”. Poche e rilasciate quasi come un atto dovuto e senza convinzione.
Nella consapevolezza che questa volta sarà difficile spiegare tutto con l’assenza di Berlusconi. A microfoni spenti già trapelano i primi segnali di guerra: “Così moriamo tutti, serve una riflessione”.
Raffaele Fitto, unico vincitore di un partito in disfacimento, è pronto a piombare a Roma per chiedere un chiarimento interno, forte della sua valanga di preferenze e dell’ottimo risultato al Sud. Chiarimento politico sulla linea da tenere con Renzi. E organizzativo sulla gestione del partito. Non è il solo.
Per mercoledì è prevista una riunione di Berlusconi con tutto lo stato maggiore di Forza Italia.
A notte fonda nessuno vede l’alba.
(da “Huffingtonpost“)
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Maggio 26th, 2014 Riccardo Fucile
GLI IMPRENDITORI LASCIANO LEGA E FORZA ITALIA
C’è una parte d’Italia che può spiegare molti dei motivi del successo di Matteo Renzi.
È un’Italia di destra, o al massimo di centrodestra, che per la prima volta ha votato per la sinistra. È il Veneto.
Il Veneto degli imprenditori e delle partite Iva; il Veneto che non aveva mai votato a sinistra.
Scrivo da Treviso perchè, di questa parte d’Italia che ha «cambiato verso», Treviso è forse il luogo più simbolico.
Lo è perchè capitale di quella Marca che è stata il motore, negli ultimi decenni, dello sviluppo economico più miracoloso del nostro Paese.
Lo è perchè, appunto, zona «di destra» che aveva già dato il primo segnale di inversione di marcia l’anno scorso, quando Giovanni Manildo del Pd era diventato sindaco dopo un ventennio di primi cittadini leghisti. E lo è pure per una terza ragione.
Treviso è il primo luogo che Matteo Renzi ha voluto visitare da presidente del Consiglio. Il giorno dopo aver ottenuto la fiducia è venuto subito qui, a incontrare studenti, sindaci e imprenditori.
Perchè? Ma è semplice: Renzi aveva capito che qui c’era la possibilità di una svolta storica.
Storica? Sì, storica. Il Veneto è, da quando esistono le elezioni, una terra proibita per la sinistra: regione più bianca d’Italia ai tempi della Dc, roccaforte leghista e berlusconiana nella Seconda Repubblica. Qui il centrodestra a volte ha vinto, a volte ha stravinto: come alle Regionali del 2010, quando Pdl e Lega insieme raggiunsero il 59 per cento.
Oggi il vento è cambiato. O sono cambiati i veneti, o è cambiata la sinistra.
Fatto sta che già una ventina di giorni fa era arrivato un indizio importante: la Confartigianato regionale aveva reso noti i risultati di un sondaggio fra i suoi iscritti: il Pd era dato come primo partito con il 34 per cento; era al 9, un anno fa, fra gli artigiani.
La fiducia personale nel premier e segretario Pd è stata poi stimata, nel sondaggio fra gli artigiani veneti, al 59 per cento: 41 punti in più di quanti ne aveva Bersani un anno fa. La fiducia in Berlusconi è calata dal 31 al 27; Salvini ha il 31, ma Maroni un anno fa aveva il 40. Solo il trevigiano Zaia, nel centrodestra, gode ancora di una fiducia altissima: 72 per cento.
Che cosa è successo? Che cosa è cambiato?
Per capirlo bisogna prima dare un’occhiata ai risultati delle politiche dell’anno scorso. Dunque, dopo anni di vacche grasse leghiste e berlusconiane, in Veneto era andata così: Pdl al 18,5; Lega al 10,4; Scelta Civica al 10; Pd al 21,6; Movimento Cinque Stelle nettamente primo partito con il 26,5.
A chi ha «rubato» i voti Grillo l’anno scorso? Non c’è il minimo dubbio: al centrodestra. Il risultato del Pd, infatti, era stato quello di sempre.
Ma il boom di Grillo in Veneto è già finito. Già fra gli iscritti a Confartigianato risultava un calo: dal 35 al 24 per cento.
Secondo Natascia Porcellato, la sociologa che ha condotto per Demetra quel sondaggio, c’è stato uno sblocco psicologico: «Le scorse elezioni politiche sono servite ad aprire una breccia. Per la prima volta gli artigiani hanno smesso di votare compatti per il centrodestra e si sono orientati verso un altro partito, il movimento di Grillo. In pratica hanno rotto un tabù e a questo punto il passaggio verso un’ulteriore coalizione, in questo caso il centrosinistra, è diventato più digeribile».
Parlare di tabù e di rischio indigestione non è esagerato.
Sentite il racconto che mi fa Bepi Covre, il primo sindaco leghista eletto in provincia di Treviso (a Oderzo) e imprenditore a Gorgo al Monticano: «L’altro ieri sono stato a una cena con una trentina di miei colleghi. Molti mi hanno detto: se lo sapesse mio padre si rivolterebbe nella tomba, ma quest’anno, per la prima volta, voto a sinistra». Sono parole importanti, perchè spiegano anche gli errori di tutti i sondaggisti: il Pd è stato sottostimato perchè gli elettori di centrodestra si «vergognano» a dire che votano per la sinistra, così come qualche tempo fa molti altri nascondevano l’intenzione di votare per Berlusconi o la Lega.
Comunque, la conversione di massa dei veneti c’è stata. Covre me la spiega così: «In realtà non c’è stato uno spostamento a sinistra: c’è stato un interesse pragmatico per Renzi, un leader che parla un linguaggio nuovo. Grillo, invece, l’anno scorso ha preso molti voti da destra: ma adesso fa paura».
Perchè paura? Dopo anni di crisi, il Veneto vede qualche piccolo segnale di ripresa: nel primo trimestre di quest’anno il saldo tra assunzioni e cessazioni è stato di più 33.000, e le esportazioni sono cresciute del 5 per cento.
I veneti hanno pensato che una vittoria di Grillo sarebbe stata un salto nel buio. Siccome poi di Berlusconi non si fidano più, ecco perchè Roberto Zuccato, presidente della Confindustria regionale, pochi giorni fa aveva dichiarato al Corriere del Veneto che «molti industriali vedono in Renzi l’ultima spiaggia».
In un’altra intervista allo stesso giornale aveva detto: «Renzi rappresenta l’unica prospettiva reale di cambiamento». Segnali che non tutti hanno colto, ma che le urne hanno confermato, anzi addirittura reso più clamorosi.
Michele Brambilla
(da “La Stampa“)
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Maggio 26th, 2014 Riccardo Fucile
LA SINISTRA SI AGGRAPPA A TSIPRAS, LA BECERODESTRA A SALVINI, I CATECHISTI SALVANO ALFANO DALLA SCOMUNICA, AFFOGANO I POLTRONISTI EX AN
Saremo eretici, saremo controcorrente, ma spesso ci azzecchiamo. 
Mentre mezza Italia aspettava (o temeva) il sorpasso dei Cinquestelle sul Pd, eravamo tra i pochi a sostenere (e scrivere) che Renzi avrebbe stravinto il confronto.
Perchè non contano le persone che riesci a portare in piazza o la capacità di egemonizzare il web, se non hai un progetto alternativo.
Di fronte alla crisi del centrodestra, Renzi (che ideologicamente è figlio di nessuno) è riuscito a porsi come il nuovo referente dei moderati di quell’aerea: la sua leadership avrebbe potuto portarla avanti sotto qualsiasi altra sigla e il risultato sarebbe stato lo stesso.
In questa fase politica gli elettori avevano bisogno di chi promette “speranze” più che di “rabbia”.
Con Berlusconi ormai fuori gioco e con caratteristi competitor di basso livello, Renzi e la sua compagnia di giro con la quale ha comprato il teatrino del Pd, ha portato sulle scene uno spettacolo forse anche comico (come quello sugli 80 euro) ma che gli spettatori hanno dimostrato (per ora) di gradire.
Nel centrodestra si sono aperte falle perchè a destra da tempo non esistono più anticorpi al primo imbecille che si presenta con qualche idea reazionaria.
Perchè dopo venti anni di berlusconismo, della destra cattolica con principi etici rappresentata dalla Dc di De Gasperi o della destra sociale del Msi che sapeva parlare anche ai ceti più poveri, non esiste più nulla.
Solo dei finti chierici o della patetiche macchiette rovinate da anni di marchette di sottogoverno.
Nessuno capace di fare una seria opposizione al governo del nulla, fino a far preferire all’elettore moderato il nulla a loro, il che è tutto dire.
Ma l’esito elettorale impone anche qualche altra riflessione: la scomparsa di Scelta civica dovrebbe far capire che non è credibile appellarsi al liberismo per sconfiggere i mali che esso stesso ha generato.
Ci rifletta chi ancor oggi pensa che quella sia la via maestra e che ha già portato al deragliamento di Futuro e Libertà .
La fine dell’equivoco dei Fratelli d’Italia, che ha fatto perdere un anno al progetto di rifare una destra moderna anche nel nostro Paese, deve poi far comprendere che un’intera classe dirigente deve essere spazzata via per sempre.
Non si ricostruisce una destra consegnando le chiavi di casa a chi l’ha distrutta più volta: basta scimmiottare partiti stranieri che nulla hanno a che vedere con la nostra tradizione, basta poltronisti che si posizionano secondo le convenienze.
A rottamare questa destra farlocca devono essere volti nuovi con idee sociali, altrimenti per rappresentare quel 10% della popolazione che detiene il 90% delle ricchezze troverete sempre qualcuno più credibile di voi.
Discorso a parte merita il Movimento Cinquestelle, nato su presupposti condivisibili e pilotato da Grillo e Casaleggio sugli scogli come Schettino.
Bastava “vivere tra la gente” per capire che non solo non avrebbe mai operato il sorpasso, ma che avrebbe corso il rischio di una debacle.
La certezza l’abbiamo avuto quando Grillo è andato da Vespa, un autogol clamoroso: l’uomo è di una pochezza contenutistica notevole e non era il caso di dimostrarla a quattro milioni di italiani.
Su argomenti tecnici spara cazzate stratosferiche, non “rassicura” l’elettore come Renzi, ma lo spaventa per toni e incompetenza.
Per non parlare della corte di miracoli di cui si circonda, da ideologi da psichiatria e ragazzi di camera….
Tra i grillini vi sono però anche giovani in gamba, Grillo farebbe bene a mantenere la promessa di lasciare posto a loro, anche se siamo certi che non lo farà , perchè l’osso non è ancora spolpato.
Ma è quello che dovrebbero fare per dignità tutti gli sconfitti di queste elezioni: a partire da Berlusconi, Alfano e la Meloni.
Per opporre al nulla di Renzi (che prima o poi come tale sarà recepito) dei contenuti etici e sociali, nazionali e repubblicani, per costruire un progetto alternativo, un nuovo modello culturale di società .
Per farsi trovare pronti, per una volta, all’appuntamento con il cambiamento del nostro Paese.
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Maggio 26th, 2014 Riccardo Fucile
CAMPANELLA ATTACCA: “SI RIMUOVANO I CERCHI MAGICI”
“Questo è un Paese che ha un prezzo: 80 euro, vergogna”. E ancora: “Mi viene da piangere. Io emigro, qui non c’è speranza”.
Sul blog di Beppe Grillo si rincorrono i post amari degli attivisti dopo le proiezioni sui risultati delle elezioni europee, che danno il Partito democratico intorno al 40 per cento e il Movimento 5 stelle al 22.
“Nessun commento” è invece la parola d’ordine che gira nel quartier generale dei pentastellati allestito in un albergo all’Eur, nella periferia a Roma. Deputati e senatori prendono tempo in attesa dei risultati definitivi.
Grillo non è venuto a Roma, ha raggiunto Gianroberto Casaleggio a Milano.
Ha voluto seguire insieme a lui l’esito delle europee per verificare se la loro scommessa è andata in porto.
La conferenza stampa prevista per lunedì pomeriggio proprio è saltata. Si è deciso di sostituirla con un video che il leader Cinque stelle registrerà “solo quando i dati saranno certi”.
Ma sul blog, finestra sul mondo grillino si respira un clima di sconforto. “Il dato degli exit poll è drammatico! Un paese che si fida di Renzi dopo essersi fidato di Berlusconi per 20 anni è finito”, si legge in un commento.
Delusione ma non solo, c’è spazio per gli sfottò: “Domani date uno schiaffo ad un grillino, e ditegli che è lo schiaffo della realtà dei fatti”, scrive un utente facendo il verso alle parole di Casaleggio in piazza San Giovanni.
Molti poi sono i post che si scagliano contro Grillo e gli ricordano la “promessa” fatta nelle piazze: “Beppe — scrivono — avevi detto che o vincevi o andavi a casa. Ora vattene”. E fra questi c’è anche chi chiede, ironicamente, un collegamento streaming con la casa del leader dei 5 stelle.
Non si sono fatti attendere su Twitter i commenti di ex deputati pentastellati.
“Non sarò un mago della comunicazione — scrive il “dissidente” Luis Alberto Orellana, senatore espulso dal Movimento — ma era facile capire che Beppe Grillo ha sbagliato a definirsi ‘oltre Hitler’. Ha spaventato tanti”.
Rincara la dose Monica Casaletto, anche lei passata al gruppo Misto. “Che pena vedere un immenso capitale di parlamentari — scrive poi — proposte e idee in rete sacrificate sull’altare della più becera propaganda”.
Francesco Campanella, senatore grillino espulso, aggiunge con un post su Facebook: “La migliore riforma del M5S è che Grillo regali il simbolo al movimento, gli attivisti lo riprendano in mano rimuovendo i cerchi magici e coloro tra i portavoce che si sono trasformati in portavoce del capo. Usando una vecchia espressione: bisogna assaltare il quartier generale”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 26th, 2014 Riccardo Fucile
IL PD A PERCENTUALI MAI TOCCATE PRIMA
Sopra il 40%. Non è la Democrazia Cristiana di De Gasperi e Fanfani: più modernamente,
è il Partito democratico di Matteo Renzi.
È questo l’esito — clamoroso e inatteso alla vigilia — delle elezioni europee svoltesi nella giornata di ieri.
Beppe Grillo ne esce ridimensionato.
Silvio Berlusconi ne vien fuori ancora vivo: e già questa può considerarla una soddisfazione.
Il trionfo di Renzi, dunque. E perchè no, la buona figura fatta dall’Italia.
A fronte di quanto accaduto in altri Paesi europei — Francia e Gran Bretagna in testa a tutti, naturalmente — non c’è stato il temutissimo crollo dei votanti (certo calati ulteriormente) e nemmeno il sorpasso da parte di un movimento come quello di Grillo del principale partito di governo. Non è poco, e non era scontato.
Ed è un biglietto da visita niente male per un Paese che si accinge al suo semestre di guida europea.
Dai primi dati reali, l’avanzata del Pd a «trazione Renzi» appare sostanzialmente omogenea da Nord a Sud.
L’appello alla speranza e all’ottimismo, più una certa frenesia e velocità — che in certi momenti hanno ricordato il Berlusconi delle origini — hanno fatto presa nelle pieghe di un Paese provato ma evidentemente ancora fiducioso nella possibilità di un riscatto. Ed è stata forse questa — più ancora che gli 80 euro e le misure-simbolo sul tetto agli stipendi di manager e magistrati, o la vendita delle auto blu — la chiave della silenziosa ma trionfale marcia del più giovane premier della storia italiana.
Beppe Grillo, se i risultati indicati dalle proiezioni saranno confermati nella notte, non ha vinto la sua battaglia contro l’«ebetino».
Si attesta su livelli inferiori al risultato-boom del febbraio 2013, ma stacca Forza Italia e — da solo — vale più di tutti gli altri partiti (dalla Lega al Nuovo centrodestra) messi assieme.
Non è poco, anche se l’annunciata avanzata non c’è stata: e questo, in una forza politica «normale», determinerebbe certo l’avvio di una discussione.
I risultati fatti registrare dagli altri partiti e movimenti in campo non sono poi andati molto lontani dalle previsioni della vigilia.
La Lega un po’ meglio del previsto, il Nuovo centrodestra un po’ peggio, la lista Tsipras lì dove i sondaggi la collocavano (cioè in lotta fino all’ultima scheda per il superamento della soglia che può portarla a Strasburgo).
Male la neonata lista di Fratelli d’Italia: il che completa, se vogliamo dir così, l’insuccesso delle forze antieuropeiste del nostro Paese.
E male — ma poteva andare peggio — Forza Italia, tenuta in vita solo dalla solita straripante campagna di Silvio Berlusconi.
Alcune considerazioni — in attesa dei risultati ufficiali — possono forse esser sviluppate fin da ora.
La prima: si è molto detto di un governo (e di un premier) che si trovano lì dove sono senza alcuna investitura popolare.
Ora, è vero che quelle appena concluse erano elezioni europee: ma considerato il tipo di campagna svoltasi (tutta incentrata su temi interni e sul futuro del Paese) è difficile non considerare il voto espresso una legittimazione ed un via libera ad andare avanti al governo in carica.
La seconda riflessione possibile riguarda il M5S di Beppe Grillo.
La sensazione è che il risultato ottenuto nel febbraio 2013 (25%, cioè il consenso di un italiano su quattro) sia il tetto massimo possibile per un movimento che ha come sua unica cifra quella della protesta e del soffiar sul fuoco della comprensibile rabbia dei cittadini.
Un anno e più in Parlamento restando fuori da tutti i giochi e senza strappare risultati legislativi (concreti) ha lasciato un segno profondo.
Il tandem Grillo-Casaleggio dovrebbe rifletterci, e provare — nel prosieguo della legislatura — a trasformare in forza propulsiva un movimento che è parso più impegnato a bloccare iniziative piuttosto che a suscitarne di giuste e nuove.
La terza riflessione non può che essere sul futuro. Qualcuno (Grillo) aveva chiesto le dimissioni del governo in caso di sconfitta e nuove elezioni anticipate. Non accadrà .
E se dovesse accadere, non sarà certo per la spinta «grillina».
I retroscena delle primissime ore dopo il voto dicevano — al contrario — che sarebbe Matteo Renzi, ora, ad esser tentato dal voto anticipato.
Poco credibile, col semestre europeo alle porte e con tanto lavoro ancora da fare.
Un occhio d’attenzione, invece, lo merita il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano. È fermo al palo, e appena sopra la soglia per mandare deputati in Europa.
Una brutta sorpresa, che potrebbe determinare nervosismo: che ci stiamo a fare al governo, i donatori di sangue per Renzi? Interrogativo non retorico.
Vedremo che risposta si daranno Alfano e soci.
Federico Geremicca
(da “La Stampa”)
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Maggio 26th, 2014 Riccardo Fucile
LO SLOGAN “VINCIAMO NOI” DIVENTA “VINCIAMO POI” ….E C’E’ CHI RICORDA A GRILLO LA SUA FRASE: “O VINCO O ME NE VADO”
“Non so se svenire o mettermi a piangere… domani sarò in lutto”. E’ uno dei tanti commenti, molti dei quali affranti e/o arrabbiati, che proliferano sul blog di Grillo dopo la pubblicazione dei primi risultati e proiezioni delle elezioni europee 2014. Sembra che i punti di differenza dal Pd siano venti.
E’ la risacca, devastante, dello tsunami grillino del 2013.
Sul blog del leader serpeggia disperazione, tanta rabbia nei confronti degli italiani che non hanno votato M5S, in generale uno sconcerto assoluto e deprimente.
C’è chi fa autocritica (“abbiamo usato toni troppo alti, troppo violenti”), chi denuncia fantomatici brogli (“è palese”), chi un neoberlusconismo di ritorno, chi comincia a dubitare del leader (“Beppe è straordinario, ma spaventa e parecchio una buona parte della popolazione”).
E chi, senza più speranze di vincere democraticamente, inneggia alla “disobbedienza civile”.
Una lunga notte.
“Sarà una lunga notte”, ha commentato a caldo Roberta Lombardi del M5S (già portavoce del partito) dopo i primi exit poll e proiezioni, che sottolineano una vittoria schiacciante del Pd.
Tuttavia, ostentano sicurezza i rappresentanti pentastellati. Predicano calma. Ma, a parte le sparute frasi della Lombardi e un successivo (ma brevissimo) intervento di Nicola Morra (altro portavoce), nessuno parla. Nessuno.
Perchè c’è la paura, e oramai forse l’evidenza, di un incredibile, inaspettato, devastante flop.
Il banchetto alla Camera.
Di certo, per adesso, c’è solo che sarà allestito un banchetto davanti alla Camera in Piazza Montecitorio domani, dalle ore 14: in questa sede, fanno sapere dal partito, senatori e deputati commenteranno i primi dati delle amministrative e quelli ormai definitivi delle europee.
La sede del M5S, durante le prime ore dello spoglio, è stata praticamente abbandonata da tutti i parlamentari stellati.
Lo slogan “Vinciamo noi” si è tramutato in una chimera agghiacciante. “Ma chi è quel cretino che ha scelto uno slogan così idiota”, scrive sul blog un fedele grillino.
E in Rete e sui social network lo scherno è servito con “Vinciamo poi”.
“Un altro mondo”.
“L’attesa sarà importante. Abbiamo pieno rispetto per le scelte degli elettori e quindi attendiamo i dati”, ha detto brevemente il senatore M5S Nicola Morra, avvertendo che exit poll e proiezioni “appartengono a un altro mondo”.
Quelle diffuse finora “sono proiezioni, anche se ci dessero al 70% noi attenderemmo il voto reale” prima di commentare.
“Io ho il massimo rispetto per il voto espresso dagli elettori – ha aggiunto – attendiamo i risultati, c’è tempo”. Ma lo psicodramma è evidente.
L’aut-aut di Grillo.
Intanto, c’è chi ricorda le parole di Grillo, che qualche settimana fa a Repubblica era stato esplicito: “Stavolta bisogna che la gente capisca che dobbiamo fare un culo così a tutti. Perchè su una cosa non ho dubbi: o vinciamo, o stavolta davvero me ne vado a casa. E non scherzo”.
E ora tutti, al pub, in casa o sulla Rete, si stanno chiedendo: Grillo manterrà la parola data?
C’è già chi lo sprona pubblicamente a farlo, come Lorenzo Guerini del Pd: “Aspettiamo che la coerenza di chi l’ha tanto sbandierata in questo mesi venga messa in pratica”.
(da “La Repubblica“)
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Maggio 26th, 2014 Riccardo Fucile
FUORI FRATELLI D’ITALIA 3,6%, SCELTA EUROPEA 0,7% E VERDI 0,9%
Risultati reali: 59.717 sezioni su 61.592
PD 41,1%
M5S 21%
Forza Italia 16,6%
Lega Nord 6,3%
L’altra Europa con Tsipras 4%
Nuovo Centro Destra 4,3%
Fratelli d’Italia 3,6%
Verdi Europei – Green Italia 0,9%
Svp Sà¼dtiroler Volkspartai 0,6%
Scelta Europea 0,7%
Idv 0,5%
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